Fabrizio Ulivieri's Blog, page 130
November 17, 2017
Ebook "CECILIA 2.0" - POSTFAZIONE di Roberto Guerra (edizioni Roberto Guerra)

Fisica e sessualità caratterizzano la parola speciale di Fabrizio Ulivieri, scrittore di particolare equilibrio narrativo e “outsider” rispetto certa narrativa contemporanea liquida e evanescente.
Come in romanzi quasi saggi del recente passato, Ulivieri ha il raro dono di mixare erotismo ai limiti del porne (ma nell'accezione “classica) con una cifra di scrittura non solo raffinata e vellutata, anche colma di “significanti” colti: ad esempio giocando sul titolo della protagonista, la misteriosa diversamente cat woman Cecilia, in questo breve racconto squisitamente 2.0, il menu è come una Sofia tutta da disvelare letteralmente.
Ambientato nella Firenze eterna città d'arte renaissance, tra erotismo alla Bataille dell'era digitale e un micro noir a metà tra gialli e spionaggio all'americana e witz vagamente fanta alieni, Cecilia, dalla paleoindustriale Detroit, in missione segreta dagli Usa e addestrata come un robot femmina smarrisce i suoi rigidi algoritmi operativi e quasi colpita dalla Sindrome di Stendhal s'innamora innestando complicazioni fatali.
Come accennato trionfa la sublime superficie di un Wilde nei significanti concettuali dell'autore, capace di conciliare con leggerezza intrigante passaggi quasi alla Bukowsky e citazionismi complementari e strutturali di Aristotele e Lao Tze, oltre a una sorta di password incipit di Noam Chomsky!
Va da sé la parola in certo senso cibernetica virtuosa di Ulivieri evoca persino il Tao della Fisica celeberrimo di F. Capra, come una app compressa e “seminale”: una “pornologia” della vita quotidiana fiorentina, a volte quasi atemporale, quasi brecce, appunto, dal/nel rinascimento, oppure certo primo novecento.
La scansione del racconto è essenzialmente visuale, cinematografica e persino video: non fosse per l'archetipo in primo piano di Firenze, Ulivieri non sembra un autore italiano, semmai anglosassone e dalla parola simultaneamente piena e minimalista alta, vocali e consonanti frullano come un minimum maximum e viceversa.
In pillole e riassumendo e come già evidente nei suoi precedenti lavori, Ulivieri fa narrativa scientifica, senza fare fantascienza se non in senso laterale, nello specifico percorso letterario in Italia distante secondi-luce dalle parole vuote di troppi letterati quasi ectoplasmatici.
Mentre nell'autore, semmai spiccano le ”relative” nanosincronie se non sintroprie di particelle e elettroni, dalla Fisica quantica e l'amore come un entaglement ( o il numero come “Spirito”) che colpisce come un atomo Cupido, in queste pagine, rivitalizzando la bellezza della materia vivente (erotismo incluso).
Contro certa Meccanizzazione dei battiti cardiaci o vibrazioni sinaptiche come apparenza ma anche pretesto di certo Moloch attuale orwelliano e inquinante l'America che fu di Colombo e Kennedy, ma anche l'attuale Neuropa...
Insomma una narrativa metapoliticamente, “psicothriller” e eroticamente scorretta.
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Published on November 17, 2017 06:50
Marco Pantani - La distruzione di un mito (quinta parte)

Città di T*** 30 maggio 1999
“Mannaggia a’ morte! Scusate ma che me vulite fa’ ndurato e fritto? Ma avvocato gliel’ho già detto oggi il procuratore non può ricevere sta occccupaaato! Oh sant’Antonio…e finalmente avete capito. Oggi non riceve e non parla con nessuno!” Esposito riattaccò in malo modo il ricevitore.
Mannaggia che iuornata! E questo santuuomo del procuratore! Mannaggia com’è cambiato negli ultimi tempi. Sempre più strano! Non sempra chiù chillo e’ primma. Isso a me mme pare un altro A me mme pare cagnato! Boh?
E poi ‘sta mania del Giro d’Italia…Il procuratore P. era cambiato negli ultimi anni. Non era ancora quarantenne e aveva già tutti i capelli bianchi.
Sotto gli occhi gli erano venute delle borse nere. E i suoi occhi avevano come per incanto cambiato colore. Da neri che erano, erano divenuti verdi.
In procura si mormorava che avesse messo delle lenti a contatto di quelle colorate, come mettono gli attori.
Il suo carattere era divenuto taciturno e irascibile. Esposito non ce la faceva più a sopportare tutte le sue isterie quotidiane e difatti aveva già inoltrata la domanda di prepensionamento. Avrebbe perso qualcosa in soldi ma ci avrebbe guadagnato in salute.
Il procuratore si era incupito e invecchiato insomma. Ma nel giro di pochissimo tempo. In quattro e quattr’otto.
Eh avrebbe bisogno di una mugliera o’ guaglione!
Ma il procuratore P. non sembrava inclinare da quella parte e allora erano cominciate piccole, sottili ma allusive insinuazioni.
“Fesserie!!!”, lo difendeva Esposito. Ma pure a Esposito qualche dubbiarello era cominciato a venire.
Il procuratore P. era chiuso nella sua stanza dalla mattina. Neanche era uscito per mangiare.
Esposito origliò alla porta.
Si sentiva solo il televisore gracchiare.Eh! l’ha presa con quel povero criaturo, che ce vulimm’ fa’ ?
Ma se l’Esposito, in quel momento, avesse visto il ghigno del procuratore mentre al Pelato saltava la catena sulla salita di Oropa, forse a Esposito i capelli gli si sarebbero rizzati e ingrigiti di botto e la pelle accapponata.
Esposito viveva a contatto con il baratro del mondo e pazziava. Senza la minima coscienza di quel male che avrebbe infettato anche lui giù giù fino alla terza o quarta generazione.
Marco ha una nuova visioneMarco se ne stava in un bar di C. con la testa bassa appoggiata sui gomiti. Con le mani si massaggiava la pelata, e facendo leva sui gomiti ondeggiava in avanti e indietro come cullato da un ritmo che si fosse impossessato di lui.
Indossava una maglietta a righe simile a quella di un carcerato. Sembrava volesse anche nel modo di vestire manifestare la sua condizione di spirito.
Ancora rivedeva quelle quattro facce, bianche come tazze di porcellana, che gli alitavano davanti.La vedi questa provetta? E’ la tua, vero?
La vedi? Non ci sono dubbi è la tua! D’accordo?
E’ la tua! E’ la tua! D’accordo!
I quattro “vampiri”, mandati dall’Uci, erano arrivati la mattina presto. Avevano bussato alla porta come SS. Gli avevano urlato di muoversi ad aprire la porta. Erano nervosi, agitati. Gli avevano prelevato il sangue in modo arrogante, cinico.
Poi era stato il finimondo…
Il corpo di Marco tremava.
Gli altri clienti davano occhiate interrogative al padrone del bar.
Quello rispondeva con un’alzata di spalle: come dire che Marco era così non ci si poteva fare nulla. Andava solo lasciato in pace.
Quasi che Marco avesse percepito quegli sguardi, tirò su la capoccia e si guardò intorno.
I suoi occhi a forza di stare a capo basso non mettevano bene a fuoco.
Allora si alzò e andò alla toilette per sfuggire la loro curiosità.
Si chiuse nella toilette e cominciò a orinare.
Poi scoppiò in un pianto dirotto. Piangeva Marco. Piangeva per la disperazione.Perché avevano voluto fargli il culo? Perché fregare proprio lui? Lui che al ciclismo aveva dato tanto. Che aveva riportato sulle strade giovani, bambini, donne e non più solo vecchi!
Perché proprio lui?
“Ciao Marco. Ci rivediamo. Che ti avevo detto?”
Marco pensò di aver sognato.
Aprì la porta della toilette: nessuno!
“Sono qui Marco!”Ma chi cazzo sei? Dove sei?"
Son qui Marco”
Marco abbassò gli occhi e vide.Fece un salto indietro e gli si accapponò la pelle.Ma chi sei???
Urlò Marco con la voce che gli fece cilecca per la paura.
“Ma come Marco non mi riconosci? Guardami meglio?”
Marco si fece coraggio e guardò.
Scorse una faccia. Non si distingueva bene ma era una faccia che lui aveva già incontrato.
“I morti pesano Marco. Non ti ricordi?”
Disse la voce come se leggesse nel pensiero di Marco.
Marco fece un salto indietro.La stessa voce mielata!“Che ti avevo detto Marco? Io potevo darti tutto…ma tu non hai voluto. E’ l’amore che tiene tuo nonno ancora vicino a te. Ma questo amore ti peserà Marco, rovinerà la tua vita. Noi lo vogliamo giù. O tu o lui scegli!”Io! Mille volte Io che mio nonno!!!
Vide ancora quei denti scoprirsi fra labbra carnose.
Poi l’immagine scomparve.
Marco tirò lo sciacquone per cancellare ogni traccia di quell’essere schifoso.
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Published on November 17, 2017 03:17
Perchè gli (pseudo-) scrittori di oggi non questionano più la realtà - ovvero la povertà della nostra letteratura odierna

È deprimente almeno per me, è sconfortante e innegabilmente triste vedere il nulla a cui è arrivata la letteratura odierna e a cui sono giunti gli scrittori.
Non ci sono più i grandi temi al centro: la morte la vita il mistero del passaggio dall'esistenza della vita alla morte. Dio. Le falsità insegnateci da religioni false. Le lotte sociali. La ribellione. La politica. La libertà...
Gli scrittori di oggi sono zucche senza contenuto. Ripetono solo schemi vuoti come nel cinema.
Colpa delle case editrici che privilegiano la qualità medio bassa (ma non i prezzi medio bassi) contenuti anonimi, anodini, perché i libri ormai si vendono come il tonno o il prosciutto o qualsiasi altro prodotto alimentare. E si vende meglio la qualità medio bassa che incontra il gusto più generale relegando la qualità alta a gusti (e tasche) di nicchia.
Colpa dello Stato perché lo Stato è assente dalla promozione della cultura e del benessere culturale e sociale (lo stato ormai è assente da ogni forma di rispetto e di protezione e beneficio per il proprio cittadino - vorrei sapere la media dei libri all'anno che legge un Gentiloni, un Renzi, o una Boschi la cui espressione del volto rivela una profonda intensità intellettuale...)
Ma colpa soprattutto di (pseudo-)scrittori che scrivono memes, schemi di libri che si autoreplicano nel tempo e producono un tipo di scrittura senza originalità che si genera come un fattore genetico per trasmissione ereditaria e soprattutto incapaci di questionare i temi fondamentali dell'esistenza.
Ma sono scrittori questi ?
No. Perché? Perché in primo luogo sono avvocato e scrittore, giornalista e scrittore, calciatore e scrittore, cantante e scrittore. ..e perché per lo più divengono ..."e scrittore " quando nella loro prima professione sono già bolliti o a fine carriera...ovvero "e scrittore" rappresenta una categoria di ripiego e dunque debole e non una categoria primaria, forte.
Credo che uno dei migliori esempi sia Walter Veltroni che mi sembra possa rientrare nella categoria "Walter Veltroni e politico e giornalista e regista e scrittore e... (non so che altro)" . Basta leggere la trama del suo ultimo libro ( "Quando" - un chiaro plagio del film "Good Bye, Lenin!" del 2003) pubblicato da Rizzoli, che pure va in giro per l'Italia a promuovere e (sic!) vi è un pubblico che lo ascolta e gli dà ascolto.
Ripenso agli scrittori degli anni Sessanta quando gli scrittori erano scrittori o tutt'al più "scrittore e regista" , " scrittore e filosofo", "scrittore e giornalista (nel peggiore dei casi)" ...ma erano in primo luogo "scrittore (e...)" e non "...e scrittore" per lo meno per la statura e l'autorità acquisita tramite i meriti delle loro opere in primis.
Ripenso agli anni Sessanta, alla forza dirompente delle domande dell'esistenzialismo e delle filosofie che vi erano connesse (Sartre, Heidegger, Simone de Beauvoir....) e auspico l'annihilimento della inutilità di chi imbratta oggi pagine e di chi (ma più comprensibile ) gliele pubblica per far quadrare i conti.Silenziamo le voci inutili di chi non ha nulla da dire e smettiamo di svenderci anche in letteratura in questo paese già svenduto fin dalla sua nascita (Unificazione) alle forze economiche e politiche estere.
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Published on November 17, 2017 00:50
November 16, 2017
Marco Pantani - La distruzione di un mito (quarta parte)

Firenze, ristorante La Grotta del mare
Rocco 23 anni. Labbra carnose e piene. Sorriso dolce. Capelli nero-pece lunghi, ondulati.
Occhi grandi e marroni. Naso leggermente camuso. Faccia fiera.
Una tipica faccia meridionale.
Rocco cameriere.
Rocco respira dentro.
Doloroso e sofferente respiro interno.
La testa ondeggia su e giù.
Dietro di lui solo colori.
I colori vanno su e giù.
La testa sembra stare ferma.
Corre leggero, agile come una gazzella fra i tavoli.
Musica in sottofondo.
Leggeri mormorii dei clienti.
“Rocco per favore mi porti il sale?”
“Eccolo signor Grandi!”
“Grazie Rocco!”
“Prego! Ci mancherebbe”
…
“Rocco questo vino sa di tappo!”
“Glielo cambio subito Baronessa!”
“Grazie Rocco! Sei sempre così gentile tu!…” e gli fa gli occhi dolci, lei di sessant’anni.
Rocco, ragazzo gentile e sorridente, giostra con i piatti in mano che sembra volare. Veloce, snello, una saetta che sfreccia fra tavoli e teste dei clienti.
Interno cucina
Rocco con una pedata apre la porta d’ingresso della cucina.
Sempre da destra! Sempre da destra mi raccomando! Non dimenticarlo mai altrimenti ti cozzi con l’altro che esce da destra!
Entra in cucina.
Uno scoppio violento e improvviso del rumore di pentole, piatti, padelle che friggono.
Il luogo è un caos infernale. Il rumore esplode in modo orribile, esasperato.
“Ehi ricchione! Prendi questo piatto e portalo all’11. E non ci mettere le mani dentro. Va bbuono!” gli fa Rollenscheiße, il cuoco meridionale che più sta sulle palle a Rocco.
“Sucamelo!” gli risponde Rocco.
“Che hai detto testa di cazzo? Che hai detto testa di cazzo? Sucamelo a chi? A sorate!”
Rollenscheiße prende un mestolo e glielo tira dietro.
Rocco evita il mestolo.
Gli altri cuochi ridono.
Rocco scompare.
Sinuoso come un gatto.
Il sogno di Marco Modica 1999
La notte dopo la prima tappa, dopo l’arrivo a Modica, Marco è agitato.
Qualcosa sembra ancora non andare come lui voleva.
Il suo maniacale perfezionismo lo ossessiona, anche nelle cose minime in corsa.
La sella non va bene, due millimetri su allora…no meglio solo un millimetro…lo scarponcello è troppo stretto devo cambiarlo…il cambio è troppo duro…il cardiofrequenzimetro mi disturba me lo tolgo…
Marco sogna. Sogna quel figuro strano che ha incontrato nella hall dell’albergo.
Gli sembra di essere in una cripta di cui non riesce a vedere le pareti ma solo colonne altissime. Tutto è immerso nel buio. Ad un certo punto sente quella voce melliflua e sibilante. Si gira e se lo ritrova.
“Marco questo è il mio regno. E’ il tuo se vuoi. E’ il regno del sottosuolo. E’ un regno straordinario Marco. Tu non sai la potenza di chi governa questo regno. Questo è il regno delle ombre. Ma le ombre Marco aprono a tutto. Non è vero che le ombre nascondono: le ombre rivelano Marco.
Se vuoi, tutto questo sarà tuo.
Io ti darò tutto. Vincerai tutto. Tutto quello che nessuno ha mai vinto. Sarai il più grande campione di tutti i tempi.
Ma in cambio ti chiedo una cosa sola.”Cosa? Cosa vuoi mostro?
“Voglio l’anima di tuo nonno”L’anima di mio nonno?“Sì, lui è ancora nel tuo mondo. E’ ancora vicino a te. Non vuole lasciarti. Vuole stare vicino a te ancora. Vuole proteggerti, dice lui.
Ma lui deve venire giù. Giù con noi Marco. Perché qui deve stare. Qui con noi!
Accetti Marco?”
No!!!
Tutto svanì di colpo e Marco si ritrovò su una salita a cavallo di una grande bicicletta, mentre nevicava.
La neve era strana. Non era neve. Era polvere. Polvere bianca, con un odore penetrante.
E cadeva, cadeva continuamente senza fine ma strano a dirsi non si attaccava in terra: scompariva.
Anche la bicicletta era strana. Aveva la ruota anteriore molto grande e quella posteriore piccolissima.
Marco fa fatica a pedalare. Ma poi si accorge di avere un paio di ali sulla schiena e allora comincia a muoverle e la bicicletta prende velocità lungo una salita tutta tornanti come quella dello Stelvio.
D’un tratto gli si avvicina uno dei tifosi, che stanno al bordo della strada e lo incitano.
E’ un uomo alto, segaligno e dall’aspetto scuro.
Gli si avvicina con eleganza, leggero come una piuma, e quand’è a un palmo di mano gli sorride.
La sua faccia si trasforma d’un tratto in quella di una ragazza bionda bellissima, ma anche dalla bocca di lei spuntano improvvisi i due orribili canini bianchi.
Neanche il tempo di accorgersene che quella gli pianta un coltello nella schiena all’altezza del cuore.
Marco si sveglia nella notte tutto sudato con la bocca aperta come se stesse per urlare. Ma non urla. Non riesce a urlare.
Tutto è tranquillo. Neanche il rumore di una macchina che passa.
Solo un odore strano e pestilenziale, sembra entrare dalla finestra.
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Published on November 16, 2017 07:51
November 15, 2017
Marco Pantani - La distruzione di un mito (terza parte)

Agrigento 1999
Un gruppo di giovanotti svitati vestiti di nero si avvicinano seguiti da una telecamera con lo stemma del serpente. Il gruppetto s’insinua tra la folla. Botte spinte. Si fanno largo.
“E’ vero Marco che ti dopi?” chiede uno di quei pazzi vestiti di nero sbattendo il microfono sui denti di Pantani.
Marco ha una brutta reazione. Dice qualche parola irripetibile. Reagisce violentemente.
La telecamera con il serpente filma. Il suo occhio spietato inizia l’opera di demolizione.
Marco rientra in albergo.
Gia prima dell’inizio del Giro la maldicenza si era messa in opera. Qualcuno aveva definito questo ottantaduesimo Giro d’Italia come il “il tour delle stazioni sciistiche”. Un Giro costruito su misura per lui.
Marco rientra in albergo. Sente il peso della responsabilità sulle sue spalle.
Ora sa che c’è un nuovo nemico da combattere. Ancora non sa spiegarsi quello che hanno fatto i gendarmi francesi al Tour l’anno prima.
Li hanno presi come bestie. Li hanno trattati come bestie. Li hanno maltrattati come si maltrattano i cani bastardi. Ma questa è gente che lavora, che si allena tutti i giorni. Non sono ladri, non sono banditi. Solo la fatica, tanta fatica li fa arrivare. Ma come si può trattare così uno che lavora!
Rientrando in albergo s’imbatte in A.: “Ma come cavolo è possibile?” gli urla in faccia Marco “Ma te che ci fai qui? Questi sono arrivati fino a me con il microfono in mano: ma te che ci conti qui se non li sai gestire? Da me non ci devono arrivare! Lo capisci? Ci devi pensare te a loro non io! Chiaro!!!”
Che ti succede Marco perché ti arrabbi così con lui? In fondo è uno dei tuoi migliori amici.
D’un tratto i suoi occhi (per caso?) s’imbattono in quelli di un tizio vestito in modo strano. Sta in piedi vicino al bar dell’albergo, vestito quasi fosse uscito da un ballo in maschera. Indossa un paio di scarpe da charleston, un paio di pantaloni a righe da cerimonia, e sopra un frac con tanto di cappello a cilindro.
Ma chi è quello?
Stranamente nessuno sembra accorgersi di lui. Anzi pare che solo Marco lo veda.
Quel tipo gli sorride.
La sua faccia è scura come quella di un marocchino. Ma i suoi occhi sono impressionanti: verdi come il fondo di una bottiglia.
Il tipo continua a fissare Marco e a sorridergli.
Si avvicina.
“Ciao Marco”
Lo saluta il tipo con una voce mielata, quasi stucchevole.
“Ci Conosciamo?”
Risponde Marco un po’ intimorito.
“No Marco. Non ancora. Ma presto ci conosceremo. Io ho molto da offrirti Marco. Ancora non lo sai…ma lo scoprirai, lo scoprirai Marco…”
Marco è confuso dal suo modo di fare equivoco e taglia duramente, com’è solito fare con la gente che non gli piace.
“Scusa ma non voglio comprare niente. Scusami ma ora devo andare…ho avuto una giornata proprio terribile.”
“Non ti preoccupare. Ci rivedremo Marco”
E gli sorride.
“I morti pesano Marco. Ricordatelo!”
Gli grida quel figuro mentre la porta dell’ascensore si chiude e la faccia del figuro si eclissa.
Marco rimane lì perplesso.
“I morti pesano? Che avrà voluto dire?”
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Published on November 15, 2017 05:35
Marco Pantani - La distruzione di un mito (seconda parte)

Tour de France 1997, Alpe D’Huez
Un respiro. Un respiro che diviene sempre più affannoso.
Un piccolo punto. Un piccolo punto giallo-blu che sale come un missile fra mille altri colori ai bordi della strada.
Il respiro diviene assordante. Insopportabile.
Il puntino giallo-blu passa velocemente.
Ritornerò quello di prima? Devo ritornare quello di prima! O salto io o saltano loro!
Se mio nonno fosse qui a vedermi…oh nonno!…ma vincerò, vincerò per te! O salto io o saltano loro…ritornerò quello di prima?Devo ritornare quello di prima…ce la farò…?
La testa pelata sale su come un automa ad una velocità impressionante fra due ali di folla che lo toccano, lo spingono, lo picchiano sulla schiena…Sale! Sale! Sale su come un missile!
La strada è una bolgia. Il rumore esplode in modo infernale. Motociclette. Clacson. Macchine. Urla. Marco sale su fra un tributo di folla e di gloria.
Sale su verso la vittoria.
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Published on November 15, 2017 01:31
November 14, 2017
Marco Pantani - La distruzione di un mito (prima parte)

Agli incubi
Che mi rendono impossibile la felicità
Non tutti forse sanno che nel mondo c’è un sotto-mondo, un mondo sotterraneo. Un mondo sconosciuto ai più. Un mondo che talora si rivela e che paurosamente, orribile, viene su. Viene su per far soffrire.
Dapprima vagisce e si agita nelle fogne, nei tombini, nelle cloache, nei ristagni d’acqua ma poi cresce e si insinua, serpenteggia su per le tubature e viene in superficie. Viene su consapevole della sua forza a rapire, a distruggere e ad uccidere.
Per anni, per decenni anche, se ne sta là sotto in attesa silenziosa di una nostra debolezza per infettarci poi col morso dei suoi esseri notturni, delle creature dei suoi incubi notturni.
E’ come se laggiù sotto la superficie di questo nostro mondo se ne fosse partorito un altro. Come se invisibili cordoni ombelicali percorressero le nostre città da una parte all’altra alimentando inconsapevoli pedine del proprio veleno.
Questo è il mondo del Male.
Il Male quando affiora opera in modo violento, ma qualche volta perfido si finge Bene: agisce come se fosse Bene, ma va nella direzione opposta, verso quella che porta a ripetere il “salto originario”.
E forse questa è la figura più alta e più sofisticata del Male. Il modo più maligno di colpire ciò che lo disturba: il Male che t’induce a ripetere la caduta dell’origine. Il salto originario che si ripete ogni volta che da uno stato di "Bene" passi a quello di "Male".
Il Male non ama i miti: i miti insegnano, indicano ciò che è giusto e ispirano i giovani e le masse verso la positività del Bene.
Per questo il Male ha paura dei miti.
Ma il Male sa-già-in-anticipo, pre-vede. E già da lontano inizia a combatterli, perché i miti hanno la forza di stanarlo dalle città e dagli angoli sporchi, dai rifiuti del mondo, dal buio della mancanza di speranza, dove il Male s’intana pronto a balzare in avanti con i suoi aguzzi canini.
Il Male ha un punto di vantaggio: conosce la mappa del nostro corpo. Sa dove colpirci. Sa dove siamo più deboli. E di lì inizia spietato.
Città di T*** 17 agosto del 199***
Ancora una scossa? Non è possibile! Sta per succedere il finimondo?
Ma quante scosse saranno state oggi?
Quindici? Venti? Tutte piccole…uno stillicidio….Cazzo già le 19,30! Sarà meglio che smetta di lavorare. Sto perdendo la testa. E’ tutto il giorno che lavoro. Basta.
Vado a casa…ma…no! Devo andare a casa. No!!! Ho detto no…non voglio farlo ancora…Fu così che il procuratore P. spense la luce del suo ufficio e decise di andarsene a casa quella sera del 17 agosto 199***. Un’estate calda, torrida. Con gli abiti che ti si appiccicavano addosso per il continuo sudare.
“Buonasera Dotto’! Che se ne va?”
“Sì Esposito sono piuttosto stanco. Vado via è tutto il giorno che lavoro! Mi gira la testa…”
“Le chiamo la scorta Dotto’.”
“No! No, Esposito grazie…stasera no. Ho bisogno di una boccata d’aria…ho la testa che mi scoppia…meglio di no. Vado a piedi: so badare a me…
Sapeva che mentiva. Mentiva anche a se stesso. Ma no…in verità aveva davvero bisogno di camminare, di vedere un po’ di gente…di sentire le voci della gente, gli odori…No! Non ci sarebbe andato lì. Ne era sicuro…
…Grazie Esposito non disturbare i ragazzi. Me la cavo da solo!”
“Ad ogni modo Dotto’ stia in campana! Oggi è un brutto giorno…”
“E perché mai…? E’ una così bella giornata!”
“Dotto’ non mi dica che non ha sentito il terremoto?”
“E come no? Mamma mia sembrava la fine del mondo!”
“Ecco, appunto Dotto’: s’è revortat ‘o monno! Sa quante scosse sono state esattamente Dotto’?”
“Una ventina Esposito”
“Dicìotto per l’esattezza Dotto’! Dicìotto! E sa quanto fa dicìotto diviso tre?”
“6 Esposito! Ma che domande fai?”
“No dottore fa tre volte sei: 6 6 6 !!!”
“Certo 6 x 3 = 18. E’ così! Che c’è di strano?”
“Ah Dotto’ si vede che Lei non è di Napoli: 6 6 6 è il numero del Diavolo Dotto’!”
Il Procuratore P. rimase un po’ interdetto.
“E poi oggi è anche venerdì 17 Dotto’ non lo dimentichi!”
Dio ma che strana coincidenza! Non aveva tutti i torti Esposito.
Troppe coincidenze per non stare attenti. In fondo anche lui, sebbene nato a T***,
un pochino superstizioso lo era…ma…ma l’aveva vista l’altro giorno passando in macchina…e quelle gambe non le aveva dimenticate…l’idea di toccare quelle gambe fino a…
Non ci andare! Non ci andare! Oggi non è il giorno giusto. Anche Esposito ti ha avvertito. No, non ci andrò non è…il…giorno…giusto…
Uscì dal palazzo di Giustizia e fece la solita strada lungo Corso*** che avrebbe fatto se fosse andato a casa in macchina.
Non ci andrò.
Si ripeteva per la strada.
Non ci andrò.
Ma quando arrivò all’altezza di Corso*** le sue gambe andarono nella direzione che non avrebbe mai voluto.
Ormai erano quasi le 20,30 e la luce cominciava a mancare. Si disegnavano le prime ombre. Ma l’ombra che lui cercava la conosceva bene, sapeva bene dove trovarla.
Quando la vide per un attimo gli mancò il respiro. Era appoggiata al muro dietro un cassonetto della spazzatura, con una minigonna cortissima che faceva risaltare le sue gambe lunghe affusolate. Alta, con due spalle da scaricatore di porto. Un trucco estremamente marcato. Due labbra rosse che sembravano l’anticamera dell’inferno.
“Va bene seguimi!” gli disse.
Lei si diresse verso il cancello di una villa in stato di abbandono.
Aprì il cancello.
Si intravedeva la vegetazione di un giardino ormai inselvatichito. Abbandonato a se stesso e preda di erbacce.
“Vieni” gli disse “vieni che ti mostro il paradiso”. E gli soffiò una nuvola di fumo in faccia.
Lo portò nei pressi di un piccolo stagno.
Ma lei si avvicinò a lui. E il procuratore P. sentì solo il suo odore. Un odore forte come di muschio e di antico. Un odore che gli penetrò in tutti i pori. E lo portò in un altro mondo.
Lo baciò leggermente sulle labbra.
“Ehi! niente male bell’uomo...”
Si voltò e volgendogli le spalle si piegò leggermente in avanti.
Lui entro dentro di lei.Sentì un calore, un fuoco bruciargli dentro. Un fuoco irresistibile che cominciò a divorarlo.
La sua vista si annebbiava e lui si rese conto che qualcosa non andava.
Ma troppo tardi.
“Resta nel mio mondo. E’un altro mondo lo sai. Qui è il mondo di sotto. Dove tutto galleggia. Dove tutto muore. E’ il mondo infinito delle ombre…presto anche tu sarai di questo mondo.”
Lei si voltò. I suoi occhi erano bianchi e freddi come quelli di un morto. Si divincolò e si gettò agile come un gatto selvatico su di lui. L’ultima che sentì fu l’alito di lei: sapeva ora di carogna come quella sepolta nello stagno.
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Published on November 14, 2017 05:38
Marco Pantani - la distruzione di un mito

Da oggi iniziamo a postare "Marco Pantani, la distruzione di un mito" un racconto lungo pubblicato nel 2010 e nel 2011 da "Il Politico.it", il giornale online del compianto amico Matteo Patrone, con il quale ho collaborato per molti anni per il ciclismo e per il cinema.
Questo testo scritto alla maniera dark e horror ripercorre il lungo calvario del campione Marco Pantani. Gli ultimi anni della sua carriera rovinata dalla infame congiura di Madonna di Campiglio. E' di questi giorni la notizia che la camorra fu la causa del suo stop a Madonna di Campiglio, per un giro di scommesse. Già nel testo si faceva dei riferimento a questa congiura.Gli ultimi anni di carriera sportiva di Marco Pantani dovettero essere veramente un incubo da gestire da parte sua: la squalifica, la stampa contro, la vita personale segnata dall'amore infelice per una ballerina danese, la cocaina...ma soprattutto vi era nell'aria una volontà di distruggere il suo mito a favore, ed è mia opinione personale, di un altro mito che allora tutti osannavano: Lance Armstrong.Troppe coperture, troppe protezioni ha goduto l'americano il cui mito faceva comodo all'enorme business che era dietro di lui. E Pantani disturbava quel mito. Pantani intaccava quella macchina da soldi che era Armstrong (che giustamente alla fine ha pagato tutte le menzogne - ma ci sono voluti anni!). Pantani era scomodo. Pantani era l'unico che metteva sotto l'americano. Pantani andava fatto fuori.E fu fatto fuori.Certamente la mano operativa può essere stata la camorra ma la mente operativa, come sempre fin dalla nascita dello stato unitario d'Italia - uno stato sempre svenduto fin dalle origini alle ragioni estere e la cui svendita totale ora ha raggiunto il picco - non fu la camorra, non può essere stata la camorra.Ricordate gli anni di piombo, l'assassinio di Aldo Moro? La defenestrazione di Berlusconi? I colpi di stato di Monti e Renzi?Il sistema operativo è sempre quello. Nulla era ed è cambiato.
Il racconto, con uno stile e una visione fra il dark e l'horror, ripercorre quel calvario.Oggi certamente non riscriverei una storia così, ma la storia, pur con uno stile che non mi appartiene più, tiene. Prende. Emoziona.E io ho pianto alla fine, rileggendo la storia. Mi sono emozionato e ho pianto.Cosa rara per un autore emozionarsi per una sua storia a distanza di così tanti anni.Eppure ho pianto per Marco Pantani, un mito che si voleva distruggere ma che invece ora è più bello di prima. Più pulito e più forte che mai.
Fabrizio Ulivieri
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Published on November 14, 2017 01:03