Marco Pantani - La distruzione di un mito (prima parte)

Agli incubi
Che mi rendono impossibile la felicità
Non tutti forse sanno che nel mondo c’è un sotto-mondo, un mondo sotterraneo. Un mondo sconosciuto ai più. Un mondo che talora si rivela e che paurosamente, orribile, viene su. Viene su per far soffrire.
Dapprima vagisce e si agita nelle fogne, nei tombini, nelle cloache, nei ristagni d’acqua ma poi cresce e si insinua, serpenteggia su per le tubature e viene in superficie. Viene su consapevole della sua forza a rapire, a distruggere e ad uccidere.
Per anni, per decenni anche, se ne sta là sotto in attesa silenziosa di una nostra debolezza per infettarci poi col morso dei suoi esseri notturni, delle creature dei suoi incubi notturni.
E’ come se laggiù sotto la superficie di questo nostro mondo se ne fosse partorito un altro. Come se invisibili cordoni ombelicali percorressero le nostre città da una parte all’altra alimentando inconsapevoli pedine del proprio veleno.
Questo è il mondo del Male.
Il Male quando affiora opera in modo violento, ma qualche volta perfido si finge Bene: agisce come se fosse Bene, ma va nella direzione opposta, verso quella che porta a ripetere il “salto originario”.
E forse questa è la figura più alta e più sofisticata del Male. Il modo più maligno di colpire ciò che lo disturba: il Male che t’induce a ripetere la caduta dell’origine. Il salto originario che si ripete ogni volta che da uno stato di "Bene" passi a quello di "Male".
Il Male non ama i miti: i miti insegnano, indicano ciò che è giusto e ispirano i giovani e le masse verso la positività del Bene.
Per questo il Male ha paura dei miti.
Ma il Male sa-già-in-anticipo, pre-vede. E già da lontano inizia a combatterli, perché i miti hanno la forza di stanarlo dalle città e dagli angoli sporchi, dai rifiuti del mondo, dal buio della mancanza di speranza, dove il Male s’intana pronto a balzare in avanti con i suoi aguzzi canini.
Il Male ha un punto di vantaggio: conosce la mappa del nostro corpo. Sa dove colpirci. Sa dove siamo più deboli. E di lì inizia spietato.
Città di T*** 17 agosto del 199***
Ancora una scossa? Non è possibile! Sta per succedere il finimondo?
Ma quante scosse saranno state oggi?
Quindici? Venti? Tutte piccole…uno stillicidio….Cazzo già le 19,30! Sarà meglio che smetta di lavorare. Sto perdendo la testa. E’ tutto il giorno che lavoro. Basta.
Vado a casa…ma…no! Devo andare a casa. No!!! Ho detto no…non voglio farlo ancora…Fu così che il procuratore P. spense la luce del suo ufficio e decise di andarsene a casa quella sera del 17 agosto 199***. Un’estate calda, torrida. Con gli abiti che ti si appiccicavano addosso per il continuo sudare.
“Buonasera Dotto’! Che se ne va?”
“Sì Esposito sono piuttosto stanco. Vado via è tutto il giorno che lavoro! Mi gira la testa…”
“Le chiamo la scorta Dotto’.”
“No! No, Esposito grazie…stasera no. Ho bisogno di una boccata d’aria…ho la testa che mi scoppia…meglio di no. Vado a piedi: so badare a me…
Sapeva che mentiva. Mentiva anche a se stesso. Ma no…in verità aveva davvero bisogno di camminare, di vedere un po’ di gente…di sentire le voci della gente, gli odori…No! Non ci sarebbe andato lì. Ne era sicuro…
…Grazie Esposito non disturbare i ragazzi. Me la cavo da solo!”
“Ad ogni modo Dotto’ stia in campana! Oggi è un brutto giorno…”
“E perché mai…? E’ una così bella giornata!”
“Dotto’ non mi dica che non ha sentito il terremoto?”
“E come no? Mamma mia sembrava la fine del mondo!”
“Ecco, appunto Dotto’: s’è revortat ‘o monno! Sa quante scosse sono state esattamente Dotto’?”
“Una ventina Esposito”
“Dicìotto per l’esattezza Dotto’! Dicìotto! E sa quanto fa dicìotto diviso tre?”
“6 Esposito! Ma che domande fai?”
“No dottore fa tre volte sei: 6 6 6 !!!”
“Certo 6 x 3 = 18. E’ così! Che c’è di strano?”
“Ah Dotto’ si vede che Lei non è di Napoli: 6 6 6 è il numero del Diavolo Dotto’!”
Il Procuratore P. rimase un po’ interdetto.
“E poi oggi è anche venerdì 17 Dotto’ non lo dimentichi!”
Dio ma che strana coincidenza! Non aveva tutti i torti Esposito.
Troppe coincidenze per non stare attenti. In fondo anche lui, sebbene nato a T***,
un pochino superstizioso lo era…ma…ma l’aveva vista l’altro giorno passando in macchina…e quelle gambe non le aveva dimenticate…l’idea di toccare quelle gambe fino a…
Non ci andare! Non ci andare! Oggi non è il giorno giusto. Anche Esposito ti ha avvertito. No, non ci andrò non è…il…giorno…giusto…
Uscì dal palazzo di Giustizia e fece la solita strada lungo Corso*** che avrebbe fatto se fosse andato a casa in macchina.
Non ci andrò.
Si ripeteva per la strada.
Non ci andrò.
Ma quando arrivò all’altezza di Corso*** le sue gambe andarono nella direzione che non avrebbe mai voluto.
Ormai erano quasi le 20,30 e la luce cominciava a mancare. Si disegnavano le prime ombre. Ma l’ombra che lui cercava la conosceva bene, sapeva bene dove trovarla.
Quando la vide per un attimo gli mancò il respiro. Era appoggiata al muro dietro un cassonetto della spazzatura, con una minigonna cortissima che faceva risaltare le sue gambe lunghe affusolate. Alta, con due spalle da scaricatore di porto. Un trucco estremamente marcato. Due labbra rosse che sembravano l’anticamera dell’inferno.
“Va bene seguimi!” gli disse.
Lei si diresse verso il cancello di una villa in stato di abbandono.
Aprì il cancello.
Si intravedeva la vegetazione di un giardino ormai inselvatichito. Abbandonato a se stesso e preda di erbacce.
“Vieni” gli disse “vieni che ti mostro il paradiso”. E gli soffiò una nuvola di fumo in faccia.
Lo portò nei pressi di un piccolo stagno.
Ma lei si avvicinò a lui. E il procuratore P. sentì solo il suo odore. Un odore forte come di muschio e di antico. Un odore che gli penetrò in tutti i pori. E lo portò in un altro mondo.
Lo baciò leggermente sulle labbra.
“Ehi! niente male bell’uomo...”
Si voltò e volgendogli le spalle si piegò leggermente in avanti.
Lui entro dentro di lei.Sentì un calore, un fuoco bruciargli dentro. Un fuoco irresistibile che cominciò a divorarlo.
La sua vista si annebbiava e lui si rese conto che qualcosa non andava.
Ma troppo tardi.
“Resta nel mio mondo. E’un altro mondo lo sai. Qui è il mondo di sotto. Dove tutto galleggia. Dove tutto muore. E’ il mondo infinito delle ombre…presto anche tu sarai di questo mondo.”
Lei si voltò. I suoi occhi erano bianchi e freddi come quelli di un morto. Si divincolò e si gettò agile come un gatto selvatico su di lui. L’ultima che sentì fu l’alito di lei: sapeva ora di carogna come quella sepolta nello stagno.
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Published on November 14, 2017 05:38
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