Fabrizio Ulivieri's Blog, page 127
December 11, 2017
Succhi gastrici e effetti colaterali (Microstorie e microriflessioni in tempi di crisi) - I Sentimenti

Presentiamo da oggi la nostra opera "Succhi gastrici e effetti collaterali" un testo di microracconti, che sono più da visualizzare che leggere.
Il 90% delle cellule di un corpo sano è costituito da batteri.
Nell'intestino i batteri presiedono non solo alla digestione ma anche agli stati d'animo dell'essere umano, per cui non sarebbe azzardato dire che decidono a priori le scelte dell'individuo o quanto meno le inquadrano in una certa disposizione umorale.
Sono l'infinitamente piccolo del nostro corpo che in uno stato alterato rispetto al normale possono condizionare le scelte di vita.
I personaggi e le storie di "Succhi gastrici e effetti collaterali" sono tutti personaggi di pancia e le loro vite sono decise in base agli umori gastrici e i loro effetti collaterali.
Sono personaggi che pensano poco ma sentono fortemente.
I Sentimenti(Microriflessione)
I sentimenti sono qualcosa che si prova spesso in contrasto alle decisioni della mente.Ciò che affiora da un sentimento è sovente uno stato di cose che di solito chiamiamo umore. Il nostro umore cambia con il cambiare dei sentimenti.In un sentimento non c'è nulla che possa essere legato a un valore, a una riflessione logica. I sentimenti sono partoriti dallo stato interiore del nostro corpo, dalle composizioni o decomposizioni chimiche e batteriche. E per questo si dice che un sentimento è cieco: nasce da regioni e ragioni oscure del nostro corpo.
Ragioni, soprattutto, invisibili. Imperscrutabili.Dopo quello divino, il mistero dell'intestino è uno dei più impenetrabili.
Una volta avevo scritto un racconto dove un rutto aveva cambiato direzione alla vita di un uomo. Quel rutto aveva stasato e aperto la via a un male che covava nascosto nei suoi visceri.Spesso il sentimento è questo: l'annunciatore della lotta di forze batteriche interiori.Sostanze ingerite dall'esterno possono alterare lo stato percettivo dell'umore (i.e. sentimento). L'alcol è ad esempio uno dei mezzi migliori per manipolare una situazione depressiva. Le droghe anche. Le medicine pure: possono completamente modificare lo stato percettivo di un corpo.I dèmoni che ci portiamo dentro, come sosteneva la letteratura rinascimentale, sono perciò questo: cambiamenti batterici, cellulari, ormonali... che divertono un corpo da un modo di sentire a un altro. E, come credevano gli antichi, ciò può anche avvenire attraverso la contaminazione del cibo, che un "dèmone" appunto entri nel corpo e ne prenda possesso.D'altronde le persone cattive, maligne, perfide, infide, esistono. Il loro stato di "negatività" è legato a un modo di strutturare la vita che le ha portate a vivere secondo una persistente alterazione dei recettori neuro-gastrici. Queste persone negative sono malae operanti naturae cooperatores, ovvero costruttori della loro stessa natura perversa.In genere la loro è una struttura culturale basica. Di poche letture. Di scarsi ideali. Vivono come animali, assecondando i loro istinti uterini o fallici, del basso ventre. Mancano di "ligature" per usare un'idea di Giordano Bruno, per cui leghino la loro “volontà animale” ai valori che però disconoscono a priori: agli aspetti magici e terapeutici della Bellezza. Coltivare la bellezza dentro di sé calma i dèmoni interiori. Li lega. Li imbriglia e li doma.
Attraverso un'educazione alla Bellezza anche i sentimenti più radicati nelle parti oscure dell'intestino verranno "ligati" (connessi) a uno stato permanente di luce.
Amazon: Fabrizio Ulivieri Books and author page Facebook
Published on December 11, 2017 06:19
Succhi gastrici e effetti collaterali - I Sentimenti

Presentiamo da oggi la nostra opera "Succhi gastrici e effetti collaterali" un testo di microracconti, che sono più da visualizzare che leggere.
Il 90% delle cellule di un corpo sano è costituito da batteri.
Nell'intestino i batteri presiedono non solo alla digestione ma anche agli stati d'animo dell'essere umano, per cui non sarebbe azzardato dire che decidono a priori le scelte dell'individuo o quanto meno le inquadrano in una certa disposizione umorale.
Sono l'infinitamente piccolo del nostro corpo che in uno stato alterato rispetto al normale possono condizionare le scelte di vita.
I personaggi e le storie di "Succhi gastrici e effetti collaterali" sono tutti personaggi di pancia e le loro vite sono decise in base agli umori gastrici e i loro effetti collaterali.
Sono personaggi che pensano poco ma sentono fortemente.
I Sentimenti(Microriflessione)
I sentimenti sono qualcosa che si prova spesso in contrasto alle decisioni della mente.Ciò che affiora da un sentimento è sovente uno stato di cose che di solito chiamiamo umore. Il nostro umore cambia con il cambiare dei sentimenti.In un sentimento non c'è nulla che possa essere legato a un valore, a una riflessione logica. I sentimenti sono partoriti dallo stato interiore del nostro corpo, dalle composizioni o decomposizioni chimiche e batteriche. E per questo si dice che un sentimento è cieco: nasce da regioni e ragioni oscure del nostro corpo.
Ragioni, soprattutto, invisibili. Imperscrutabili.Dopo quello divino, il mistero dell'intestino è uno dei più impenetrabili.
Una volta avevo scritto un racconto dove un rutto aveva cambiato direzione alla vita di un uomo. Quel rutto aveva stasato e aperto la via a un male che covava nascosto nei suoi visceri.Spesso il sentimento è questo: l'annunciatore della lotta di forze batteriche interiori.Sostanze ingerite dall'esterno possono alterare lo stato percettivo dell'umore (i.e. sentimento). L'alcol è ad esempio uno dei mezzi migliori per manipolare una situazione depressiva. Le droghe anche. Le medicine pure: possono completamente modificare lo stato percettivo di un corpo.I dèmoni che ci portiamo dentro, come sosteneva la letteratura rinascimentale, sono perciò questo: cambiamenti batterici, cellulari, ormonali... che divertono un corpo da un modo di sentire a un altro. E, come credevano gli antichi, ciò può anche avvenire attraverso la contaminazione del cibo, che un "dèmone" appunto entri nel corpo e ne prenda possesso.D'altronde le persone cattive, maligne, perfide, infide, esistono. Il loro stato di "negatività" è legato a un modo di strutturare la vita che le ha portate a vivere secondo una persistente alterazione dei recettori neuro-gastrici. Queste persone negative sono malae operanti naturae cooperatores, ovvero costruttori della loro stessa natura perversa.In genere la loro è una struttura culturale basica. Di poche letture. Di scarsi ideali. Vivono come animali, assecondando i loro istinti uterini o fallici, del basso ventre. Mancano di "ligature" per usare un'idea di Giordano Bruno, per cui leghino la loro “volontà animale” ai valori che però disconoscono a priori: agli aspetti magici e terapeutici della Bellezza. Coltivare la bellezza dentro di sé calma i dèmoni interiori. Li lega. Li imbriglia e li doma.
Attraverso un'educazione alla Bellezza anche i sentimenti più radicati nelle parti oscure dell'intestino verranno "ligati" (connessi) a uno stato permanente di luce.
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Published on December 11, 2017 06:19
December 9, 2017
Isole di felicità - Laimės salos (quarantesima parte)

In quei giorni a Vilnius venne all’Istituto Culturale un filosofo italiano a presentare il suo ultimo libro. Si chiamava Raimondo Vatoli. Presentava un libro dal titolo “Lo stato performativo enhanced della felicità”.Rūta pensava molto alla felicità in quei giorni. Quasi un’ossessione l’aveva presa di non riuscire ad essere felice. Ciò che temeva era la paura che il piccolo mondo, l’isola felice, che era riuscita a costruirsi sottraendosi a tutto ciò che la faceva soffrire, si sgretolasse e perisse.
Così decise di andare.
Non era mai andata ad una presentazione dell’Istituto Culturale. Durante l’anno vi erano almeno una decina di presentazioni di libri o conferenze su temi della lingua e cultura italiana.Anche se vi frequentava il corso di italiano non le piaceva il clima. Vi era una direttrice di Roma dalla faccia antipatica di cui tutti avevano paura. A lei non incuteva paura ma un senso di disagio le rare volte che la incontrava.
Mentre il moderatore introduceva l’autore Rūta si guardò attorno. In tutto vi saranno state una quindicina di persone non di più.Riconobbe anche qualcuno dell’ambasciata italiana che frequenta il gruppo di italiano e con cui erano spesso usciti insieme per una pizza. Lo salutò e fu risalutata.
Il moderatore disse che l’autore insegnava filosofia all’università di Camerino e aveva scritto molti libri sul tema della felicità, che partito da posizioni classiche, ovvero da una visione aristotelica della felicità si era poi orientato sempre più verso la mind philosophy e i problemi connessi all’intelligenza artificiale del tipo “Può un robot avere coscienza e percepire?”, “L’Io come software?”, “Uploading e downloadingdella mente”. Il moderatore concluse che l’autore si stava indirizzando ormai ai temi del transhumanism (Rūta si sentì spiazzata – un termine che sentì per la prima volta).
L’autore congiunse le mani come se stesse per pregare, inspirò profondamente e esordì con una domanda perentoria:
- Che cos'è la felicità?
La platea tacque. Il filoso si guardò attorno come aspettasse una risposta. Ma non ci fu. Parve soddisfatto.
- Vi darò una possibile definizione. Le definizioni sono indicazioni, come i cartelli stradali. Non sono in grado di cogliere completamente la portata ma ne danno la direzione. Se io leggo il cartello stradale “Milano” so che sono per la strada di Milano ma ciò non mi aiuta a visualizzare definitivamente l’intera città di Milano.Ecco, la felicità potrebbe essere ”uno stato momentaneo di pienezza e soddisfazione, uno stato di mente e di corpo piacevole ed equilibrato, dal quale sono assenti sofferenza, preoccupazione e problemi".
Per comprendere meglio questa possibile definizione si deve togliere ogni ingerenza del "caso". Ovvero il "caso" nella felicità non esiste. La felicità è uno spazio o stato che ci conquistiamo giorno per giorno rispetto allo stato quotidiano di non-felicità.
Se siamo felici il merito è nostro e solo nostro perché siamo riusciti a approdare su un'isola di felicità provenendo dal mare della infelicità. Noi siamo gli attori di quello sbarco sull'isola della nostra felicità. L'abbiamo cercata e trovata navigando a vista in mezzo a quel mare. È merito nostro della nostra sagacia, capacità e volontà di approdo e non del "caso".
Il "caso" non esiste.
Nelle nostre sofferenze quotidiane elaboriamo bit dopo bit un programma rivolto a generare felicità.
Se si è felici è perché in un certo qual modo abbiamo lavorato per programmare quegli attimi di felicità che di per sé non sussisterebbero. Li abbiamo cercati individuati e selezionati. Pur sbagliando e nonostante tutto…
Rūta cominciò ad interessarsi a quelle parole. Le sembrava di riconoscere il suo modo di vivere in quelle frasi del filosofo.IL filosofo faceva pause studiate. Congiungeva le mani in atto di preghiere. Poi le apriva come volesse accogliere la benevolenza dell’uditorio.Gesticolava, si interrogava e rispondeva.
- Siamo noi gli attori di quello sbarco sull'isola della nostra felicità? Sì! Siamo noi. Siamo sbarcati su quell’isola dopo averla lungamente cercata e finalmente trovata… navigando a vista in mezzo a quel mare. È merito nostro, della nostra sagacia, capacità e volontà di approdo e non del "caso".
Il "caso" non esiste. MI ripeto! (e qui fu imperioso – innalzando l’indice verso l’alto per ammonire ogni contraddizione)
Nelle nostre sofferenze quotidiane elaboriamo bit dopo bit un programma rivolto a generare felicità.
Se si è felici è perché in un certo qual modo la felicità è un fatto individuale, la percentuale di rendere un popolo felice dipende dalle politiche degli stati invece.
Ambo le parti (l'individuo e le politiche sociali) rendono evidente che la felicità è un fatto concreto e non un'illusione come erroneamente e comunemente si crede.
La felicità non è duratura ma è un'arte virtuosa di riuscire a trovare un' isola in mezzo al mare. Un' isola piccola e soggetta poi a continui maremoti ma che per un attimo ci salva e protegge e ci rende sereni.
La felicità non è un agire in-vista-di qualcosa, aristotelicamente intesa, ma è il sottrarsi alla-vista-di-qualcosa nel momento che costruiamo lo spazio o lo stato in cui avviene la pienezza e soddisfazione personale.
L'isola in cui si attua la nostra felicità è il mondo quotidiano e personale nel quale nonostante tutto riusciamo a vivere bene e in cui potenzialmente possiamo essere felici.
Persino Giacomo Leopardi che di (in-)felicità se ne intendeva adombrava la sua isola di felicità per sottrazione e non per intensione (in-vista-di) in senso aristotelico
Tacque. Una lunga pausa. Disorientò la platea. Poi disse che avrebbe citato un passo dello Zibaldone di Giacomo Leopardi, scusandosi per possibili eventuali errori o omissioni.Rūta aveva una volta vagamente sentito parlare di Leopardi durante una lezione di italiano all’Istituto Culturale e fu ben contenta di saperne di più.
- Felicità da me provata nel tempo del comporre, il miglior tempo ch’io abbia passato in mia vita, e nel quale mi contenterei di durare finch’io vivo. Passar le giornate senza accorgermene; parermi le ore cortissime, e maravigliarmi sovente io medesimo di tanta facilità di passarle
Rūta ancora si riconobbe in quelle parole. O almeno riconobbe l’ideale del suo modo di vivere. E non si pentì di essere venuta alla presentazione del libro.L’autore tuttavia aveva molto altro da aggiungere e interruppe le riflessioni di Rūta.
- E' la felicità un valore morale? Disse come se accusasse tutta la platea. Come all’inizio della presentazione fece una pausa e attese un’ipotetica risposta che non ci fu.- Lo escludiamo. Non è né morale né immorale.
Si può essere felici seguendo un valore morale e si può essere felici seguendo valori immorali (almeno per gli altri).
La felicità è innanzitutto la costruzione di un proprio mondo (isola di felicità).
Non era felice Leopardi nei suoi anni di studio matto e disperatissimo? Non era felice il tenente Drogo dei ritmi della vita di caserma all'interno della fortezza ne "Il deserto dei tartari" di Dino Buzzati?
Non sono felici i seduttori nel momento che seducono?
Probabilmente anche Hitler era felice nei momenti della sua ascesa al potere e creazione del nazionalsocialismo...come lo era Stalin...
In fondo anche questi controversi personaggi erano dei grandi seduttori di folla...
E' la vecchia concezione filosofica aristotelica che fa credere che la felicità sia un valore morale vissuto in-vista-di...
Chi vive in questa isola di felicità è come se avesse subíto un processo di uploading. Ovvero fosse passato da uno stato di coscienza naturale (in-)felicità ad uno stato enhanced di coscienza.
Nella fase di innamoramento questo stato performativo superiore (enhanced) del sentire è evidente. Nello stato di felicità è altrettanto evidente.
Chi è felice dunque vive in un universo altro da quello in cui viveva come (in-)felice.
Passare da un universo ad un altro non implica nessun valore morale né un aspirare in-vista-di in senso aristotelico.
Implica un'idea di passaggio, scoperta e appartenenza al nuovo universo semmai.
In quel passaggio (uploading) è l'io dell'(in-)felice uguale all'io del felice?
La risposta è: lo è nello stesso rapporto in cui una copia è l'originale, in cui l'uploading è il punto di contatto o trait d'union ma lo stato performativo del felice è enhanced rispetto allo stato performativo dell' (in-)felice.
Mentre ritornava a casa con il filobus numero sette guardava fuori le strade ghiacciate di neve su cui era pericoloso camminare e insidiose. Anche se vi avevano buttato il sale la neve a causa delle basse temperature era divenuta spesso dei blocchi di ghiaccio ineliminabili. Era felice di essere andata a quella presentazione. Non era abituata al linguaggio filosofico soprattutto a quel tipo di linguaggio ma delle volte, pensò, dobbiamo anche ascoltare chi parla linguaggi non comuni o rischiamo di divenire esseri piatti e vuoti. Forse a causa di questa piattezza un giorno saremo sostituiti da macchine pensanti e più intelligenti di noi.
Forse l’uomo oggi davvero non sa più pensare? O non vuole più pensareMi riconosco in quelle parole del filosofo
Guardò di nuovo fuori dal finestrino e vide le luci di alcuni alberi di Natale bucare la notte gelata.Fu in quel momento che senti il cuore toccato da un indefinito timore di perdersi.
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Published on December 09, 2017 06:22
December 7, 2017
STORIA DI PELO, IL RAGAZZO CHE VINSE LA MILANO-SANREMO (IV parte)

Quella notte Pelo stette male.
Il sonno fu agitato. La notte rifece quello stesso sogno. Gli pareva di essere una locomotiva che filava all’impazzata sui binari. D’improvviso s’arrestò ai piedi di una salita impervia. Questa volta però c’era un bivio. A destra la strada saliva ampia e larga verso la cima del monte dove un bagliore accecante impediva la vista. A sinistra si dipartiva una stradicciola buia e nera.
Lui fece per prendere a sinistra. Ma un vento fortissimo cominciò a soffiargli sul fianco sinistro, costringendolo allora a prendere la strada di destra. Mentre saliva, vide giù Giovannino che solo solo aveva imboccato quella stradina buia. Era triste e gli pareva piangesse. Urlò. Non gli venne niente alla bocca. Stranamente non era più sulla bicicletta. Era a metà salita, in piedi, come un tifoso ai bordi della strada. Guardò verso il basso, ed ecco che di nuovo veniva su quell’omino tutto nero e sozzo, su quel biciclettone di ferro.
Guardò l’omino e poi guardò in basso verso la stradina. Giovannino non c’era più.
Il vento ricominciò a soffiare violento sul fianco sinistro, e gli piegò il volto verso la cima del monte, nell’attimo che l’omino spariva nella luce abbacinante.
Quando Pelo si risvegliò era tutto sudato e agitato. Fece per rizzarsi sulle gambe: non gli ressero e gli ronzava la testa. Sentiva di avere un febbrone da cavallo.
“Vatta! Vatta!”, urlò.
Dalla camera accanto comparve il fido Vatta, massaggiatore.
“Aiutami, sto male. Ho la febbre.”
“Ci penso io!”, rispose Vatta, e andò di là in camera.
Ritornò con un boccettino in mano: “Bevi questo!”, gli disse.
E Pelo senza far domande l’ingoiò: “Che è?”, chiese.
“Nulla, una cosa che fò io con l’erbe! Bevi e starai meglio!”.
Meglio lì per lì stette. Ma le gambe tremavano, e l’emozione gli tagliava il fiato.
Alla partenza il tempo era da tregenda. Erano in centocinquanta alla partenza. C’era Binda, Girardengo, Piemontesi, Guerra.
Milano era fredda e nebbiosa.
Si indossò la giacca. Cominciò a piovere. Verso Pavia smise di piovere ma il cielo era sempre minaccioso: riprende a piovere a Voghera. I corridori sono irriconoscibili per il fango. Ai centottantasei metri di Ovada ci sono i primi scatti, e va in fuga un gruppetto, tra cui Girardengo.
Si supera i confini del Monferrato e si entra nella collina ligure. Si attacca i cinquecentotrentadue metri del Turchino. Nevica. Tutto è gelato. La strada appare ricoperta di quindici-venti centimetri di neve ed è battuta da una bufera di fiocchi impazziti, che ferisce le carni dei corridori, che non sembrano più figure umane ma strani addobbi natalizi.
Pelo sta male. Le gambe non girano. Si sente gelato. Sbuffa. Sgrugna. Ansima. Ma sale con il biciclettone. Ma ormai sta per mollare. Le lacrime gli vengono agli occhi. Vede tradito il sogno di bambino. Guarda su in alto e vede la cima avvolta da un chiarore abbagliante, impossibile quasi a guardarsi. “E’ Troppo lontana. Non ce la faccio più. Mollo!”
Ma d’improvviso sente una pacca, due pacche.sulle spalle. “Vài Pelo. Vài!Vài!”, gli urla una voce familiare. Si gira. E’ Giovannino. “Vinci Pelo! Vinci per me!”: gli urla in faccia ancora.
Pelo fa appena in tempo a voltarsi che vede due figuri vestiti in abiti borghesi scuri scendere da una macchina che era dietro di lui, acchiappare Giovanni e a forza di legnate lo caricano sulla macchina. “Vai Pelo! Vai! Vinci per me!…”, gli ribolle ancora nelle orecchie.
Il sangue gli sale alla testa, un calore improvviso gli entra nel corpo. Guarda in alto. Vede la cima chiara, ora, calma e placida. Ora la cima è più vicina.
S’alza sui pedali, Pelo. Scatta. Scatta. Scatta, scatta a ripetizione. Ora pare il Pelo di sempre. Danza ora, sui pedali. Riacchiappa il gruppetto, riacchiappa Girardengo in fuga e lo stacca e scollina da solo. Si butta giù a capofitto nella melma della discesa e zig-zagando sparisce fra le curve.
Tutti si aspettavano il crollo di Pelo sul Berta, ma i muscoli di Pelo non fanno scherzi e continua la sua fuga solitaria, e alla media straordinaria di 29,485 km all’ora taglia tutto solo il traguardo di Sanremo.
Quando Binda e Piemontesi arrivano sono già passati venti minuti. Girardengo a venticinque. Guerra a trentadue. Il gruppetto dei migliori a quaranta.
E Pelo?
Di Pelo allora si perdono le tracce.
A quel che si narra Pelo sparì. Alla premiazione uno gli mormorò in un orecchio che Giovannino era morto, ammazzato dai fascisti a suon di legnate. Allora si dice che pianse, buttò da una parte i fiori. Prese la bicicletta e se ne andò verso la Cipressa.
C’era uno strano chiarore lassù in cima alla Cipressa: forse vi nevicava. Qualcuno racconta di aver visto un omino nero, come un negro, tutto sudicio che saliva, con un biciclettone anch’esso nero, su verso quel chiarore lontano lontano.
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Published on December 07, 2017 07:56
Lo stato performativo enhanced della felicità

E' la felicità un valore morale?
Lo escludiamo. Non è né morale né immorale.
Si può essere felici seguendo un valore morale e si può essere felici seguendo valori immorali (almeno per gli altri).
La felicità è innanzitutto la costruzione di un proprio mondo (isola di felicità).
Non era felice Leopardi nei suoi anni di studio matto e disperatissimo? Non era felice il tenente Drogo dei ritmi della vita di caserma all'interno della fortezza ne "Il deserto dei tartari" di Dino Buzzati?
Non sono felici i seduttori nel momento che seducono?
Probabilmente anche Hitler era felice nei momenti della sua ascesa al potere e creazione del nazionalsocialismo...come.lo era Stalin...
In fondo anche questi controversi personaggi erano dei grandi seduttori di folla...
E' la vecchia concezione filosofica aristotelica che fa credere che la felicità sia un valore morale vissuto in-vista-di...
Chi vive in questa isola di felicità è come se avesse subíto un processo di uploading. Ovvero fosse passato da uno stato di coscienza naturale (in-)felicità ad uno stato enhanced di coscienza.
Nella fase di innamoramento questo stato performativo superiore (enhanced) del sentire è evidente. Nello stato di felicità è altrettanto evidente.
Chi è felice dunque vive in un universo altro da quello in cui viveva come (in-)felice.
Passare da un universo ad un altro non implica nessun valore morale né un aspirare in-vista-di in senso aristotelico.
Implica un' idea di passaggio, scoperta e appartenenza al nuovo universo semmai.
In quel passaggio (uploading) è l'io dell'(in-)felice uguale all'io del felice?
La risposta è: lo è nello stesso rapporto in cui una copia è l'originale, in cui l'uploading è il punto di contatto o trait-d'union ma lo stato performativo del felice è enhanced rispetto allo stato performativo dell' (in-)felice.
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Published on December 07, 2017 04:27
December 6, 2017
IL MAGO DI GOXIAN (Conclusione)

Un giorno Paolo se n’è andato. In silenzio così com’era arrivato.
E mi ha lasciato solo e sveglio, me che amavo solo dormire. Perché pensavo, come dice Eraclito, che solo nel sogno ognuno trovi il proprio mondo. Io che fino a quarant’anni avevo fermamente creduto che uomini e donne fossero, sesso a parte, completamente uguali. Io che per disperazione avevo preso la patente a quarantadue anni e che prima avevo vissuto perso fra ottativi, accusativi, aoristi, scolastici, platonici, neoplatonici, res extensa e Dasein…
Ma poi il sogno finì. E caddi, sempre come dice Eraclito, in quel mondo che è comune a tutti, di gente che di sogni ne hanno uno solo e si chiama denaro.
Ma un umanista fra il denaro è come pesce fuor d’acqua.
E così sono rimasto. Piegato come tutti ai debiti di denaro e alla ricerca disperata di questo elemento vitale.
Ma mi ricordo ancora bene come conobbi Paolo.
Un giorno, mentre bevevo un caffè alla stazione, un piccoletto asiatico mi importunò.
Era un piccoletto dall’aria goffa che con un italiano misero osò disturbarmi.
Io inacidito cercai di liberarmi di quella presenza importuna e sgraziata, di quel "cinese".
Ma il mondo è maya dicevano le Upanishad. Il mondo fa presumere ciò che in realtà non è, il mondo copre la realtà.
E così il piccoletto non era cinese ma koreano. Non era goffo. Ma era la certezza assoluta. Non era sgraziato. Ma un bellissimo mago. E quel mago mi ha rivelato tanti segreti. Mi ha fatto rivedere la luce. Mi ha parlato di cose che nel "mondo degli svegli" tutti hanno dimenticato. Per un anno il mago ha ridato un senso alla mia vita, di uomo profondamente persosi.
Ma ora Paolo è scomparso e non si è fatto più vivo.
Non c’è più niente da spiegare, ma solo ascoltare la voce di questo mago che in preghiera trascorre i suoi giorni e con la preghiera cambia il mondo e aiuta il mondo.
Ma il mondo lentamente si riprende tutto quello che tu hai cercato di rubargli se una grande forza non gli si oppone, e come un fiume ritorna nel suo letto e riprende a scorrere.
Potrei dire, come Paolo diceva, "Guarda la Croce, se cerchi quella forza!".
Essa è il simbolo della nostra vita.
In essa c’è un livello verticale e uno orizzontale. Quest’ultimo (orizzontale) è il mondo, limitato. E indica la relazione fra uomini, il vivere insieme degli uomini, tutto ciò che copre la luce della verità.
L’altro (verticale) è il livello dell’illimitato, dove tutto è possibile. E’ rivolto, non più al rapporto uomo-uomo, ma uomo-Dio: uomo-luce. Uomo-Universo.
Nel mondo viene sempre l’ora in cui s’incontra il punto d’intersezione di questi due livelli.
Ecco, Paolo ha parlato di questo, ha insegnato a cercarlo, a vederlo, a individuarlo, e a scegliere quale livello sia da seguire nella nostra vita. C’è sempre, come diceva lui e il di lui Maestro, un momento in cui si deve dire sì o no, a questo mondo.
E’ un momento che si rivela solo a chi lo cerca, solo a chi cerca di togliere le macchie che avvolgono la luce, quella luce increata che ci portiamo dentro fin dalla nascita.
Quando tagli un albero, nel tronco si palesano tanti anelli concentrici. Ogni anello è una macula che ha avvolto, nascondendola, la luce. Così è l’uomo, se cerca la luce: deve eliminare, buttare via tutte quelle macule che dalla nascita hanno coperto la luce originaria. Fino a raggiungere il centro.
Ma prima e prima di tutto, il primo atto di inizio è sempre quello: dire sì o no, a questo mondo.
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Published on December 06, 2017 03:27
December 5, 2017
IL MAGO DI GOXIAN (favola coreana buddista - VI parte)

Parabola Quinta
Dove Paolo diventa mago
Gli ho chiesto: "Come sei diventato mago?".
Ha alzato gli occhi. Ha vòlto la sua testa verso di me. Ha corrucciato le sopracciglia. Ha abbassato gli occhi.
Fin da piccolo voleva diventare mago. Ma sua madre non l’ha mai voluto. E lui, la tigre bianca di Goxian, con le mani legate al volere di sua madre non si è mai ribellato.
Ma passava lunghissime ore in chiesa a pregare Gesù, che sua madre gli permettesse di diventare mago.
Finita la scuola correva in chiesa e per sette ore vi rimaneva in preghiera.
E così passarono anni.
Un giorno era nella sua camera e pregava il cuore di Gesù che avvolge il mondo. Aveva gli occhi umidi di lacrime. Disperato chiuse gli occhi e ricordò le parole di sua madre: "Ti lascerò diventare mago quando dal cielo pioveranno soldi!"
(E qui devo aprire una parentesi: in Korea il figlio maggiore maschio deve provvedere al sostentamento e all’accudimento dei genitori. In Korea il sistema pensionistico non esiste, come qui da noi. E gli anziani non hanno altro sostentamento che i figli. Certamente se Paolo fosse diventato mago, se ne sarebbe dovuto andare lontano. E chi avrebbe provveduto a lei, alla madre? )
Con gli occhi chiusi rimuginava sulle parole della madre quando un calore improvviso lo invase. E aperti gli occhi vide un fulmine nella stanza. Stordito dal lampo cadde riverso sul letto.
Forse dormì, forse no. Quello che ricorda è che riaperti gli occhi la stanza era chiazzata d’acqua. E per terra erano tutte le carte, volate lì chissà come, delle sue decisioni scritte che lui aveva sottoposte al giudizio del cuore di Gesù.
Fra le carte notò un libro. La Bibbia. Si avvicinò e lo raccolse. Dalle pagine spuntava una banconota di grosso taglio, che stava lì come fosse un segnalibro.
Aprì la Bibbia nel punto segnato dalla banconota e lesse Samuele 1, 3 – 10: " Il giovane Samuele continuava a servire Iahvé sotto la guida di Eli. Ma la parola di Iahvé era rara in quei giorni, le visioni non erano più frequenti. In questo tempo Eli stava riposando nel suo reparto, perché i suoi occhi incominciavano a indebolirsi e non riusciva più a vedere. La lampada di Dio non era ancora spenta, mentre Samuele era coricato nel tempio di Iahvé, dove si trovava l’arca di Dio. Allora Iahvé chiamò ‘Samuele!’ e quello rispose ‘Eccomi’, poi corse da Eli e gli disse ‘Eccomi, perché mi hai chiamato’. Eli rispose ‘Non ti ho chiamato, torna a dormire!’. Tornò e si mise a dormire. Ma Iahvé di nuovo chiamò ‘Samuele!’ e Samuele di nuovo si alzò e corse da Eli dicendo ‘Eccomi, perché mi hai chiamato’. Ma quegli rispose di nuovo ‘Non ti ho chiamato, figlio mio, torna e dormi!’. In realtà Samuele fino allora non aveva ancora conosciuto Iahvé, né gli era stata ancora rivelata la parola di Iahvé. Iahvé tornò dunque a chiamare ‘Samuele!’ per la terza volta, ed egli parimenti si alzò e corse da Eli dicendo ‘Eccomi, perché mi hai chiamato. Allora Eli comprese che era Iahvé a chiamare il giovanetto. Disse pertanto Eli a Samuele ‘Va’ pure a dormire, ma fa’ attenzione: se ti chiamerà ancora dirai ‘Parla Iahvé, perché il tuo servo ti ascolta’. Samuele si ritirò e riprese a dormire al suo posto. Venne allora Iahvé, ristette accanto a lui e lo chiamò ancora come le altre volte ‘Samuele, Samuele!’ Samuele rispose subito ‘Parla, perché il tuo servo ti ascolta’.
Così Paolo decise di salire di nuovo alla montagna.
Salì dunque sulla solita montagna e si mise in preghiera. Nella preghiera cercava come sempre il cuore di Gesù. Ma quella volta non era lì (Paolo dice sempre che il cuore di Gesù è dappertutto. Basta fissare un punto qualunque dello spazio, e ci trovi il cuore di Gesù). Cercava disperatamente in tutti punti dello spazio il cuore di nostro Signore. Niente. Da nessuna parte era presente.
Così si decise a cambiare montagna, e si spostò in quella dirimpetto. Niente. Anche lì il cuore del Salvatore se ne era fuggito. Così cambiò ancora montagna. Niente!
Paolo mi ha raccontato che passò una settimana a inseguire il cuore di Gesù.
Alla fine si perse.
Si trovò in una valle che non conosceva. Cominciò a salire la montagna fino a che non giunse a un villaggio. Ne lesse il nome: He bu ri. Mai sentito!
Si inoltrò nel villaggio. Gli abitanti erano strani. Erano koreani. Ma erano alti. I loro volti lunghi e magri. E soprattutto avevano gli occhi blu e i capelli biondi. Lui piccolino, si sentiva sperso fra quei biondi giganti.
Dice che a quel punto sentì che dovunque batteva il cuore di Gesù. Dice che incontrò un vecchio.
Dice che il vecchio gli raccontò la storia del villaggio. Dice che 2000 anni fa in quella valle, regnante l’Imperatore Sam do chu, era arrivato un giovine biondo seguito da 13 altri giovani. Non si sapeva da dove venissero. Ma erano venuti in quella valle scortati dai soldati dell’Imperatore e furono da quelli accompagnati in un tempio buddista che allora si trovava dove ora si trova il villaggio. Qui rimasero per dieci anni. Per dieci anni gli abitanti del luogo videro un via vai di maestri di corte e dei più famosi monaci buddisti del tempo. Tutti questi dottori, si racconta, andavano al tempio a istruire questi giovani maghi. I soldati impedivano a chiunque di avvicinarsi, a chiunque non avesse l’autorizzazione scritta dell’Imperatore.
(Si vocifera però che i soldati non fossero così rigidi con certe signorine che andavano a far visita nottetempo ai giovani maghi stranieri. Erano maghi, è vero, ma pur sempre giovani maghi!)
Secondo una leggenda l’Imperatore non voleva far partire più il mago biondo, perché si dice che una volta ritornato nella sua lontana patria un destino di morte l’avrebbe preso in consegna. E l’Imperatore amava quel giovane come suo figlio (un’altra leggenda, ma non è molto attendibile, dice che il giovine mago avesse usato la sua magia per resuscitare il primogenito dell’Imperatore, morto per una caduta da cavallo ) e avrebbe dato tutto per salvarlo dal suo destino di morte. Ma nulla riuscì a trattenere il biondo e giovane mago.
"Io non sono di questa terra. Il padre mio mi aspetta. Un giorno io devo ritornare a lui." Ripeteva il giovane mago, sordo ad ogni supplica dell’Imperatore.
Finalmente partirono.
E quel giorno è rimasto nella memoria collettiva del popolo della valle.
Pare che un grosso pallone che volava alto nel cielo fu mandato dall’Imperatore. Su quello salirono i maghi stranieri e con quello fuggirono via nel celeste cielo della Korea.
Nel frattempo erano cominciati a nascere tanti piccoli koreani biondi e con gli occhi blu… "E’ per questo" disse il vecchio "che oggi noi della valle siamo così: è un regalo del giovane mago, che ha fatto agli abitanti della valle, prima di andarsene. Ma se vuoi pregare" gli disse ancora il vecchio "vai lassù sulla collina. Là troverai una piccola pagoda. Là si racconta pregasse sempre il giovane per diventare un grande mago. Si dice anche che lì da qualche parte è scritto il suo nome".
Paolo vi salì. Si mise in preghiera. Sentì che dappertutto batteva un grande cuore. Dappertutto era il fuoco di quel cuore: era un fuoco che entrava dentro l’anima che bruciava tutte le incrostazioni dei peccati e liberava la luce dell’anima, quella luce che ci è stata data quando siamo venuti al mondo e che il mondo ci sottrae lentamente giorno dopo giorno.
Lì Paolo ebbe la luce. La luce della giovinezza eterna.
"E hai trovato il nome del mago, da qualche parte scritto?" gli ho chiesto curioso.
"Sì" mi ha risposto.
Non ho avuto la forza di chiedergli quale fosse.
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Published on December 05, 2017 07:11
December 4, 2017
La felicità - ovvero la praticità di voler essere felici

Che bella cosa na jurnata 'e sole,
N'aria serena doppo na tempesta!
Pe' ll'aria fresca pare gia' na festa...
Che cos'è la felicità?
Qui una possibile definizione: "La felicità è uno stato momentaneo di pienezza e soddisfazione, uno stato di mente e di corpo piacevole ed equilibrato, dal quale sono assenti sofferenza, preoccupazione e problemi".
Per comprendere meglio questa possibile definizione si deve togliere ogni ingerenza del "caso". Ovvero il "caso" nella felicità non esiste. La felicità è uno spazio o stato che ci conquistiamo giorno per giorno rispetto allo stato quotidiano di non-felicità.
Se siamo felici il merito è nostro e solo nostro perché siamo riusciti a approdare su un' isola di felicità provenendo dal mare della infelicità. Noi siamo gli attori di quello sbarco sull'isola della nostra felicità. L'abbiamo cercata e trovata navigando a vista in mezzo a quel mare. È merito nostro della nostra sagacia capacità e volontà di approdo e non del "caso".
Il "caso" non esiste.
Nelle nostre sofferenze quotidiane elaboriamo bit dopo bit un programma rivolto a generare felicità.
Se si è felici è perché in un certo qual modo abbiamo lavorato per programmare quegli attimi di felicità che di per sé non sussisterebbero. Li abbiamo cercati individuati e selezionati. Pur sbagliando e nonostante tutto.
La ricerca della felicità è un fatto individuale, la percentuale di rendere un popolo felice dipende dalle politiche degli stati.
Ambo le parti (l'individuo e le politiche sociali) rendono evidente che la felicità è un fatto concreto e non un'illusione come erroneamente e comunemente si crede.
La felicità non è duratura ma è un'arte virtuosa di riuscire a trovare un' isola in mezzo al mare. Un' isola piccola e soggetta poi a continui maremoti ma che per un attimo ci salva e protegge e ci rende sereni.
La felicità non è un agire in-vista-di qualcosa ma è il sottrarsi alla vista-di-qualcosa nel momento che costruiamo lo spazio o lo stato in cui avviene la pienezza e soddisfazione personale.
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Published on December 04, 2017 13:41
IL MAGO DI GOXIAN (favola coreana buddista - V parte)

Parabola Quarta
1) Dove si parla della della luce e degli scheletri
Un giorno Paolo Nah si recò di nuovo sulla montagna per pregare e per cinque ore restò immobile. Per cinque ore aspettò la luce. Finalmente alla quinta ora fu avvolto da una nube di luce. Lì rimase al centro di questa nube che lo coprì agli occhi del mondo. Il suo corpo si fece di luce e si svuotò della carne: la sua pelle, le sue ossa, il suo sangue scomparvero, e fu solo sagoma di luce.
Mentre era in preghiera e fattosi luce, decine di scheletri, venuti da chissà dove, cominciarono ad avanzarsi verso di lui. Questi scheletri parevano avere emozioni. Parevano provare piacere per quella luce.
Allora Paolo aprì gli occhi e li puntò verso una determinata regione del cielo. In quella regione si formò come una strada di luce che portava verso quel punto dove Paolo aveva diretto il suo sguardo.
Gli scheletri in quello stesso attimo si diressero verso quella scia di luce e rapiti dalla luce medesima fuggirono rapidi lungo quella striscia, sù, verso quel punto.
D’improvviso gli scheletri si moltiplicarono e furono migliaia e migliaia cosicché quella strada non bastava più per trasportarli tutti. Allora Paolo puntò gli occhi verso un’altra direzione celeste e si aprì una strada nuova e subito gli scheletri in fila puntarono su quella, ma di nuovo, d’improvviso come prima, si moltiplicarono a migliaia. Così Paolo misericordioso gli aprì un’altra fuga verso il cielo. Ma ogni volta che ne apriva una subito non bastava, perché gli scheletri si moltiplicavano all’infinito. E Paolo guardò in tutte le direzioni della volta celeste e a tutti cominciò a regalare luce, a tutti quelli che si avvicinavano a lui.
Gli scheletri tendevano le mani e, ricevuta la luce da Paolo, sparivano nello stesso modo in cui erano comparsi.
Con un sorriso pieno d’amore e misericordia per tre giorni e tre notti Paolo rimase in quella nube avvolto.
All’alba del quarto giorno la nube scomparve e Paolo riprese il suo corpo di carne. Cominciò a scendere la montagna. Era freddissimo e dovunque era gelato, e tremava e batteva i denti, ed era anche debolissimo per la fame.
Ma come diceva sempre Paolo il regno di Dio qui in terra è una condizione del cuore. Così pensò che non era poi freddo come sembrava. E a poco a poco il suo corpo si fece di nuovo di luce e un calore grande lo colse durante tutta la discesa della montagna.
Paolo mi ha anche raccontato che dal cielo piovve improvvisamente acqua di mare, lungo il cammino. E bagnava continuamente il suo corpo, di nuovo fattosi di luce.
Quando mi raccontato questo fatto giuro di essere rimasto, direi, più che perplesso.
Paolo però con grande semplicità mi ha detto: "Perché non mi credi? Già Samyong De Sa, un monaco buddista vissuto 500 anni fa, ha avuto la stessa esperienza. Samyong De Sa organizzava la resistenza contro le incursioni giapponesi. E addestrava i monaci alle arti marziali. Quando fu catturato dai giapponesi, fu chiuso, vivo, in un forno. Si accese il fuoco. Si aspettò. Alla fine, si aprì di nuovo il forno, per prenderne i resti carbonizzati. Ma quando si aprì il forno si trovò Samyong De Sa completamente congelato. E ai suoi carnefici, aprendo gli occhi, disse - Perché in questo luogo è così freddo? -
"Vedi" mi disse Paolo raccontandomi questo aneddoto "il regno di Dio è soprattutto una condizione del cuore, in vita.
Una volta fu trovato uno morto congelato in una cella frigorifera. Ma perché era morto congelato? Per una condizione del cuore.
Si scoprì infatti che la spina della cella era staccata, e dentro la cella c’erano sì e no 16 gradi. Ma lui si era convinto di dover morire, perché uno che rimane chiuso in una cella frigorifera non può che morire congelato."
2) Dove si parla che Dio punirà ogni tre o quattro generazioni
Spesso Paolo a Seoul si recava nelle case dei fedeli per officiare la messa.
Una volta era in una casa e davanti a lui era riunita tutta la famiglia.
Paolo notò che non c’erano bambini.
"La messa è la presenza del cuore puro di Gesù. Perché qui non ci sono bambini?"
"Loro sono molto rumorosi" gli fu risposto.
"Loro hanno il cuore più puro degli adulti", continuò Paolo. "Gesù celebra la messa tramite il corpo del sacerdote verso Dio padre. Chiamateli dunque!"
Furono fatti entrare: ma quelli erano due piccoli demòni, che correvano a destra e a sinistra e facevano un grande confusione.
Allora Paolo mandò la luce, la luce dell’anima, su uno di loro e quello subito si addormentò. Mandò poi la luce sull’altro. Ma quando la luce lo raggiunse, Paolo vide lo scheletro del bambino. Questi subito si fermò, e poi vòlto ai genitori cominciò a urlare: "Ho sangue, ho sangue all’alluce!"
Ma non era vero.
I genitori gli guardarono il piede e non c’era sangue per niente. Ma il bimbo insisteva a dire che aveva il sangue. Così alla fine, come nella storia del piccolo pastore che gridava sempre "Al lupo! Al lupo!", nessuno gli badò più e il bambino imbronciato se ne andò fuori, di nuovo a giocare.
"Perché" gli chiesi "secondo te se n’è andato? C’era forse in lui un demonio, che quando hai mandato la luce il bambino ha cominciato a dire la bugia del sangue perché non voleva essere cacciato da quel corpo, a causa della tua luce?"
"No!" mi ha risposto " In lui c’era il germe di una malattia. Dio nell’Esodo dice ‘Punirò ogni tre o quattro generazioni ’".
"Come tu credi che Dio possa punire così, con una malattia, un bambino!" gli ho risposto quasi disperato.
"No! L’uomo non è uguale al diavolo! Quello che è scritto nell’Esodo, vuol dire che una malattia si genera in una stirpe ogni tre o quattro generazioni: E’ una forma mentale che si tramanda di generazione in generazione e che alla fine mutatasi in malattia colpirà un membro di quella stirpe.
Se in una famiglia la madre è malinconica, ad esempio, anche il figlio sarà malinconico. E così il figlio del figlio, e così il figlio del figlio del figlio... finché la malinconia da forma mentale non si trasformerà in una malattia polmonare in uno dei discendenti.
Se nella famiglia si soffre di arrabbiature continue un figlio sicuramente soffrirà di fegato. Nel bambino ho visto il germe della malattia ereditaria ma non posso dire se si attuerà. Nella bugìa lui ha espresso quella preoccupazione incombente"
Io ho guardato Paolo. La certezza del volto con cui mi ha spiegato tutto ciò. In un mondo in cui di certo non rimane più che la fede.
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Published on December 04, 2017 01:53
December 3, 2017
Isole di felicità - Laimės salos (trentanovesima parte)

- Sai - disse a sua madre per interrompere quei pensieri di fuga - vorrei che un giorno qualcuno, uno scrittore, magari famoso, scrivesse di me, delle mie figlie, della mia vita, della nostra vita....dove non succede nulla eppure succede tutto anche se in apparenza non sembra così. Credo non sarebbe facile rappresentare un soggetto simile.
Una volta ho letto uno scrittore giapponese, Tanizaki Junichiro...lo conosci?
Sentí la sorpresa della madre a quella domanda che tuttavia rispose con un composto "No".
- Beh è famoso nel mondo per aver scritto temi sessuali. Il suo libro più importante è "La chiave" un libro a sfondo fortemente erotico...ma ha scritto anche un altro libro bellissimo "Neve sottile" che è la storia della vita quotidiana di quattro sorelle a Osaka a cavallo fra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. E' un romanzo dove non c'è sesso e non succede nulla se non i fatti quotidiani, la vita e i sentimenti di ogni giorno...come la mia...l'unica cosa forte della mia vita sono infatti i sentimenti con cui affronto i giorni e le menzogne di chi mi circonda. Sono poche le persone sincere vicine a me...
La madre tacque.
Forse tardi Rūta intese di aver incluso anche lei in quella lista.
Ma ignorando la sua mancata reazione concluse
- Non sarebbe facile scrivere un libro cosí. Solo uno scrittore che avesse una determinata sensibilità per certi temi potrebbe farlo
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Published on December 03, 2017 19:23