Isole di felicità - Laimės salos (quarantesima parte)


Foto Živilė Abrutytė

In quei giorni a Vilnius venne all’Istituto Culturale un filosofo italiano a presentare il suo ultimo libro. Si chiamava Raimondo Vatoli. Presentava un libro dal titolo “Lo stato performativo enhanced della felicità”.Rūta pensava molto alla felicità in quei giorni. Quasi un’ossessione l’aveva presa di non riuscire ad essere felice. Ciò che temeva era la paura che il piccolo mondo, l’isola felice, che era riuscita a costruirsi sottraendosi a tutto ciò che la faceva soffrire, si sgretolasse e perisse.
Così decise di andare.
Non era mai andata ad una presentazione dell’Istituto Culturale. Durante l’anno vi erano almeno una decina di presentazioni di libri o conferenze su temi della lingua e cultura italiana.Anche se vi frequentava il corso di italiano non le piaceva il clima. Vi era una direttrice di Roma dalla faccia antipatica di cui tutti avevano paura. A lei non incuteva paura ma un senso di disagio le rare volte che la incontrava.
Mentre il moderatore introduceva l’autore Rūta si guardò attorno. In tutto vi saranno state una quindicina di persone non di più.Riconobbe anche qualcuno dell’ambasciata italiana che frequenta il gruppo di italiano e con cui erano spesso usciti insieme per una pizza. Lo salutò e fu risalutata.
Il moderatore disse che l’autore insegnava filosofia all’università di Camerino e aveva scritto molti libri sul tema della felicità, che partito da posizioni classiche, ovvero da una visione aristotelica della felicità si era poi orientato sempre più verso la mind philosophy e i problemi connessi all’intelligenza artificiale del tipo “Può un robot avere coscienza e percepire?”, “L’Io come software?”, “Uploading  e downloadingdella mente”. Il moderatore concluse che l’autore si stava indirizzando ormai ai temi del transhumanism (Rūta si sentì spiazzata – un termine che sentì per la prima volta).
L’autore congiunse le mani come se stesse per pregare, inspirò profondamente e esordì con una domanda perentoria:
-          Che cos'è la felicità?
La platea tacque. Il filoso si guardò attorno come aspettasse una risposta. Ma non ci fu. Parve soddisfatto.
-          Vi darò una possibile definizione. Le definizioni sono indicazioni, come i cartelli stradali. Non sono in grado di cogliere completamente la portata ma ne danno la direzione. Se io leggo il cartello stradale “Milano” so che sono per la strada di Milano ma ciò non mi aiuta a visualizzare definitivamente l’intera città di Milano.Ecco, la felicità potrebbe essere ”uno stato momentaneo di pienezza e soddisfazione, uno stato di mente e di corpo piacevole ed equilibrato, dal quale sono assenti sofferenza, preoccupazione e problemi".
Per comprendere meglio questa possibile definizione si deve togliere ogni ingerenza del "caso". Ovvero il "caso" nella felicità non esiste. La felicità è uno spazio o stato che ci conquistiamo giorno per giorno rispetto allo stato quotidiano di non-felicità.
Se siamo felici il merito è nostro e solo nostro perché siamo riusciti a approdare su un'isola di felicità provenendo dal mare della infelicità. Noi siamo gli attori di quello sbarco sull'isola della nostra felicità. L'abbiamo cercata e trovata navigando a vista in mezzo a quel mare. È merito nostro della nostra sagacia, capacità e volontà di approdo e non del "caso".
Il "caso" non esiste.
Nelle nostre sofferenze quotidiane elaboriamo bit dopo bit un programma rivolto a generare felicità.
Se si è felici è perché in un certo qual modo abbiamo lavorato per programmare quegli attimi di felicità che di per sé non sussisterebbero. Li abbiamo cercati individuati e selezionati. Pur sbagliando e nonostante tutto…
Rūta cominciò ad interessarsi a quelle parole. Le sembrava di riconoscere il suo modo di vivere in quelle frasi del filosofo.IL filosofo faceva pause studiate. Congiungeva le mani in atto di preghiere. Poi le apriva come volesse accogliere la benevolenza dell’uditorio.Gesticolava, si interrogava e rispondeva.
-          Siamo noi gli attori di quello sbarco sull'isola della nostra felicità? Sì! Siamo noi. Siamo sbarcati su quell’isola dopo averla lungamente cercata e finalmente trovata… navigando a vista in mezzo a quel mare. È merito nostro, della nostra sagacia, capacità e volontà di approdo e non del "caso".
Il "caso" non esiste. MI ripeto! (e qui fu imperioso – innalzando l’indice verso l’alto per ammonire ogni contraddizione)
Nelle nostre sofferenze quotidiane elaboriamo bit dopo bit un programma rivolto a generare felicità.
Se si è felici è perché in un certo qual modo la felicità è un fatto individuale, la percentuale di rendere un popolo felice dipende dalle politiche degli stati invece.
Ambo le parti (l'individuo e le politiche sociali) rendono evidente che la felicità è un fatto concreto e non un'illusione come erroneamente e comunemente  si crede.
La felicità non è duratura ma è un'arte virtuosa di riuscire a trovare un' isola in mezzo al mare. Un' isola piccola e soggetta poi a continui maremoti ma che per un attimo ci salva e protegge e ci rende sereni.
La felicità non è un agire in-vista-di qualcosa, aristotelicamente intesa, ma è il sottrarsi alla-vista-di-qualcosa nel momento che costruiamo lo spazio o lo stato in cui avviene la pienezza e soddisfazione personale.
L'isola in cui si attua la nostra felicità è il mondo quotidiano e personale nel quale nonostante tutto riusciamo a vivere bene e in cui potenzialmente possiamo essere felici.
Persino Giacomo Leopardi che di (in-)felicità se ne intendeva adombrava la sua isola di felicità per sottrazione e non per intensione (in-vista-di) in senso aristotelico
 Tacque. Una lunga pausa. Disorientò la platea. Poi disse che avrebbe citato un passo dello Zibaldone di Giacomo Leopardi, scusandosi per possibili eventuali errori o omissioni.Rūta aveva una volta vagamente sentito parlare di Leopardi durante una lezione di italiano all’Istituto Culturale e fu ben contenta di saperne di più.
-          Felicità da me provata nel tempo del comporre, il miglior tempo ch’io abbia passato in mia vita, e nel quale mi contenterei di durare finch’io vivo. Passar le giornate senza accorgermene; parermi le ore cortissime, e maravigliarmi sovente io medesimo di tanta facilità di passarle
Rūta ancora si riconobbe in quelle parole. O almeno riconobbe l’ideale del suo modo di vivere. E non si pentì di essere venuta alla presentazione del libro.L’autore tuttavia aveva molto altro da aggiungere e interruppe le riflessioni di Rūta.
-          E' la felicità un valore morale? Disse come se accusasse tutta la platea. Come all’inizio della presentazione fece una pausa e attese un’ipotetica risposta che non ci fu.-          Lo escludiamo. Non è né morale né immorale.
Si può essere felici seguendo un valore morale e si può essere felici seguendo valori immorali (almeno per gli altri).
La felicità è innanzitutto la costruzione di un proprio mondo (isola di felicità).
Non era felice Leopardi nei suoi anni di studio matto e disperatissimo? Non era felice il tenente Drogo dei ritmi della vita di caserma all'interno della fortezza ne "Il deserto dei tartari" di Dino Buzzati?
Non sono felici i seduttori nel momento che seducono?
Probabilmente anche Hitler era felice nei momenti della sua ascesa al potere e creazione del nazionalsocialismo...come lo era Stalin...
In fondo anche questi controversi personaggi erano dei grandi seduttori di folla...
E' la vecchia concezione filosofica aristotelica che fa credere che la felicità sia un valore morale vissuto in-vista-di...
Chi vive in questa isola di felicità è come se avesse subíto un processo di uploading. Ovvero fosse passato da uno stato di coscienza naturale (in-)felicità ad uno stato enhanced di coscienza.
Nella fase di innamoramento questo stato performativo superiore (enhanced) del sentire è evidente. Nello stato di felicità è altrettanto evidente.
Chi è felice dunque vive in un universo altro da quello in cui viveva come (in-)felice.
Passare da un universo ad un altro non implica nessun valore morale né un aspirare in-vista-di in senso aristotelico.
Implica un'idea di passaggio, scoperta e appartenenza al  nuovo universo semmai.
In quel passaggio (uploading) è l'io dell'(in-)felice uguale all'io del felice?
La risposta è: lo è nello stesso rapporto in cui una copia è l'originale, in cui l'uploading è il punto di contatto o trait d'union ma lo stato performativo del felice è enhanced rispetto allo stato performativo dell' (in-)felice.
Mentre ritornava a casa con il filobus numero sette guardava fuori le strade ghiacciate di neve su cui era pericoloso camminare e insidiose. Anche se vi avevano buttato il sale la neve a causa delle basse temperature era divenuta spesso dei blocchi di ghiaccio ineliminabili. Era felice di essere andata a quella presentazione. Non era abituata al linguaggio filosofico soprattutto a quel tipo di linguaggio ma delle volte, pensò, dobbiamo anche ascoltare chi parla linguaggi non comuni o rischiamo di divenire esseri piatti e vuoti. Forse a causa di questa piattezza un giorno saremo sostituiti da macchine pensanti e più intelligenti di noi.
Forse l’uomo oggi davvero non sa più pensare? O non vuole più pensareMi riconosco in quelle parole del filosofo
Guardò di nuovo fuori dal finestrino e vide le luci di alcuni alberi di Natale bucare la notte gelata.Fu in quel momento che senti il cuore toccato da un indefinito timore di perdersi.


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Published on December 09, 2017 06:22
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