Rachele Riccetto's Blog, page 13
May 25, 2024
L’ECO DEL SILENZIO – TIMOTHY MEGARIDE

Edito: La Valle Del Tempo
Un ringraziamento speciale a La Valle del Tempo per avermi inviato una copia di questo romanzo!
Il protagonista di questa storia è Robi, un giovane dirigente ministeriale che, improvvisamente, a causa di uno scandalo, si ritrova ad affrontare vecchi ricordi e a rivangare antichi segreti.
Cleto Ruffini, noto esponente di estrema destra e bullo sin dalla più tenera età, è rimasto coinvolto in uno scandalo nazionale, prima di sparire dalla circolazione.
Robi lo conosce bene Cleto, sin dai tempi dell’oratorio, quando lui e il suo migliore amico Giovi si ritrovavano spesso a fare gli spettatori delle sue malefatte.
Ma sono passati parecchi anni ormai, Giovi si è ritirato su una piccola isola dove vive affittando barche, Robi ha un compagno amorevole e due bambine piccole da crescere, eppure la vicenda arriva a bussare con forza alla sua porta, riportando alla sua memoria tanti eventi della loro gioventù e tanti segreti che erano sempre rimasti nascosti, e che, se svelati, avrebbero potuto cambiare tutto.
Un romanzo breve ma intenso, questo di Megaride, che tratta molti argomenti: l’omofobia (e l’omofobia interiorizzata), il fascismo, il bullismo, violenza sessuale e aggressioni fisiche, la scoperta di sé e dell’altro, l’identità di genere, la religione cristiana e le sue idee di peccato e vergogna, e tante ipocrisie.
Importante anche il tema del maltrattamento infantile, che però non ho apprezzato particolarmente quando le frasi più ripetute a riguardo sono “come può una madre abbandonare i propri figli? Quale madre farebbe una cosa simile?”. Li ho trovati dei commenti particolarmente insensibili e che mostrano un’ottusa mancanza di percezione per un argomento tanto delicato.
La storia in sé non ruota prettamente intorno allo scandalo, quanto a tutto ciò che fa riemergere dal passato, e che può essere riosservato e studiato con occhio più maturo da parte dei protagonisti.
Mi è piaciuta molto la struttura del romanzo, che Megaride afferma all’inizio del libro di aver trovato casualmente e che lo stesso Robi dichiara alla fine di aver iniziato a scrivere per ricordare i momenti salienti della crescita delle figlie, ma che alla fine si trasforma in una storia di accettazione e amore, pur passando attraverso una serie di episodi crudi e violenti.
Lo stile dell’autore è abbastanza scorrevole, anche se utilizza un linguaggio un po’ ricercato (mescolato ad altre espressioni più volgari) che, da una parte crea un interessante amalgama, ma finisce per sembrare un po’ troppo pomposo e affettato, e rende i dialoghi particolarmente poco credibili.
Una lettura comunque interessante, che affronta davvero molti argomenti delicati ed importanti in questo momento, e tenta di trasmettere un messaggio di amore, di accettazione, di comprensione, di perdono.
A tratti toccante e a tratti umoristica, drammatica e violenta, una storia che riesce bene a colpire il lettore.
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May 23, 2024
IL PRIMO ROMANZO DI RICCARDO CASCINO
Salve a tutti!
Oggi ho il piacere di presentarvi il primo romanzo di Riccardo Cascino, che ringrazio infinitamente per la copia, pubblicato a febbraio del 2024.

Un’avventura, un’impresa impossibile, un viaggio dalle profondità della terra fino al Cielo Nero.
Dodici anni sono trascorsi da quando misteriosi Invasori hanno il totale controllo di Novark, l’ultima metropoli della Terra. Dal loro arrivo, un immenso manto nero oscura il cielo e il sole coprendo l’intera città. L’intricato Sottosuolo costituisce una città parallela sotterranea, dove si sono rifugiati i giovani e dove vige la legge del più forte. Il destino degli altri abitanti non è stato migliore: gli Invasori hanno reso schiavi gli adulti e formato un esercito spietato, armando e addestrando i bambini. Inoltre, un ulteriore e inspiegabile flagello affligge la popolazione: la memoria del passato è preclusa a tutte le menti.
Draak è un ventenne che vive nel Sottosuolo con il suo piccolo gruppo di coetanei. La sua vita viene sconvolta quando fa la conoscenza di Aril, una girovaga. Da quel momento, la compagnia trova il coraggio di avventurarsi sulla Superficie, scoprendo a poco a poco che la realtà è ben più complessa. Affrontare gli Invasori sarà un’impresa che li trasformerà profondamente.

BIO: Riccardo Cascino nasce a Milano coltivando fin da bambino la passione per il cinema e la letteratura di fantascienza. Si laurea in Comunicazione Digitale e in quel periodo scrive articoli per un quotidiano online e dirige alcuni cortometraggi. Dal 2010 lavora nel digital advertising come informatico e nel 2018 decide di avventurarsi nel progetto di un romanzo.
Il Cielo Nero ha ricevuto la Menzione di Merito in due Premi Letterari Internazionali: Xenia Book Fair 2023 e Città di Sarzana 2023.
Non vedo l’ora di leggere questa storia e di parlarne con voi.
Presto la recensione!
Se vi interessa, potete acquistarlo direttamente al seguente link:
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May 21, 2024
SAND. IL TESORO DELLE DUNE – HUGH HOWEY

Voto: 7/10
Edito: Fanucci
Il mondo come lo conosciamo non esiste più, e ogni cosa è stata ricoperta da uno strato di sabbia dopo l’altro, fino a crearne un oceano che si estende a vista d’occhio.
La vita è dura, difficile, in continuo movimento per cercare di restare a galla sulle dune, le quali si spostano con il vento che, perenne, soffia con forza da est.
La sabbia arriva, si deposita, ricopre ogni cosa, soffoca e schiaccia e seppellisce tutto quello che trova.
La vecchia civiltà è scomparsa, e una nuova è nata sulla superficie.
Ed è proprio qui che vivono Vic, Palmer, Conner e Rob, quattro ragazzi come tanti altri. Sono passati 12 anni da quando il padre li ha abbandonati e la madre, Rose, gestisce il bordello di Springston, e con gli anni ognuno è andato per la propria strada.
Vic è una delle sommozzatrici più conosciute e talentuose, e Palmer sta seguendo le sue orme.
Rob è il più piccolo ma mostra già un talento fuori dal comune nella riparazione delle mute da immersione, e Conner sta pensando di andarsene, proprio come il padre, e scoprire cosa si nasconde oltre la Terra di Nessuno.
Ma quando Palmer viene ingaggiato per un lavoro e si ritrova improvvisamente intrappolato in un grattasabbia (un grattacielo del vecchio mondo, nascosto fra le dune), nella mitica città di Danvar, le cose prendono una piega imprevista per tutti quanti, che dovranno affrontare nuovi nemici e nuovi segreti.
Conoscevo già Howey, avendo letto i primi due capitoli della trilogia del Silo, e quindi mi aspettavo un buon libro, ed è proprio quello che ho trovato. La verità è che volevo davvero amarlo, ma alla fine della lettura non mi ha lasciato quasi niente tra le mani, come sabbia che scivola via silenziosa fra le dita.
Il mondo che Hugh ha creato, o meglio distrutto e ricreato, è immersivo e reale, e sembra di percepire la ruvidezza della sabbia contro la pelle, di sentire la graniglia fra i denti, il peso soffocante di una duna sul petto.
Howey è davvero un bravo romanziere, questo lo sapevo; la sua prosa è molto scorrevole, eppure dettagliata e approfondita, rendendo la lettura particolarmente coinvolgente.
La storia, però, assomiglia più ad una lunga introduzione, che ad un vero e proprio primo capitolo, con una trama un po’ troppo vaga e senza mordente, che ci abbandona in mezzo alle dune senza un vero e proprio appiglio.
Le descrizioni dei paesaggi e delle città sono abbastanza particolareggiate da permetterci di vedere questo mondo completamente ricoperto di sabbia, ma mai troppo lente o verbose.
I personaggi sono ben caratterizzati, ognuno con la propria voce e un modo diverso di affrontare la realtà, e creano un coro di voci armonioso e molto umano.
I personaggi di Vic e Conner sono forse quelli più sviluppati, anche se Rose ha un posto speciale nel mio cuore.
C’è una scena, però, a metà romanzo circa, dove viene fuori una parte della storia di Vic, con forza e violenza e rabbia e frustrazione, che è semplicemente bella, molto bella, e serve perfettamente ad aggiungere uno strato in più a tutta la storia, a renderla più vera, più umana.
La parte delle immersioni è semplicemente fantastica: le bombole d’ossigeno e i visori, le mute grazie alle quali fendere la sabbia come se fosse acqua, tutto ben pensato e ben inserito nella storia, compresi i sarfer che navigano sulle dune.
All’inizio del libro ci viene presentato questo mondo e, in un certo senso, mi aspettavo una spiegazione semplice del tipo “è tutta colpa degli uomini del passato, hanno distrutto il mondo e questo è ciò che ci hanno lasciato”.
E invece a metà del romanzo ci viene rivelata (almeno in parte) una possibile realtà dei fatti, e da lì gli eventi hanno preso una piega che non mi aspettavo, e la storia riesce a catturare l’attenzione del lettore fino alla fine.
Non è un libro perfetto, non è una storia eccezionale, il finale è un po’ troppo affrettato, e non mi è piaciuto tanto quanto “Wool”, ma è un romanzo post-apocalittico scritto davvero bene (Hugh, mio caro, che scoperta che sei stato) e forse leggerò i capitoli successivi.
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May 18, 2024
IL CANTO DEL PROFETA – PAUL LYNCH

Voto: 8/10
Edito: 66thand2nd
Tecnicamente descritto come “romanzo distopico”, non credo che questa categorizzazione rappresenti alla perfezione quest’opera.
Lynch ha, sapientemente, compiuto un’azione più intelligente: ha riscritto per il mondo occidentale precisamente ciò che sta succedendo in altre parti del mondo, in questo momento.
Non si è inventato niente.
Ma visto che molte persone non riescono a comprendere la gravità di certe situazioni perché “troppo lontane”, “qui non succederebbe mai”, “ma come possono comportarsi in questa maniera?”, allora Lynch ha detto: e se succedesse proprio qui? Visto che altri Paesi ci sembrano tanto lontani, diciamo in Irlanda. Ora è più difficile voltarsi dall’altra parte, no?
In un’Irlanda appena accennata (che potrebbe essere qualunque parte del mondo), in un momento non ben specificato (che potrebbe essere il nostro presente), la rapida ascesa di un partito di estrema destra costringe il Paese in un totalitarismo dai toni ben noti, mentre il mondo resta a guardare.
I protagonisti della storia sono i membri della famiglia Stack, con particolare attenzione su Eilish.
Quando suo marito viene convocato dalla polizia segreta per essere interrogato e non fa più ritorno, la donna si ritrova da sola con i quattro figli, un padre malato e la realtà che ha sempre conosciuto che inizia a sbriciolarsi intorno a lei.
E così Eilish resta a casa, in attesa che lo Stato rilasci suo marito, tentando di trattenere un figlio quasi adulto che vuole unirsi alla ribellione e di proteggere gli altri tre, di controllare un padre malato che sta perdendo dei pezzi di sé, aspettando che tutto ritorni alla normalità.
E mentre tutta la nazione intorno a lei è scossa e sconvolta da questa nuova realtà che si trasforma presto in una vera e propria guerra civile, Eilish resta immobile al centro della scena, in attesa.
La storia principale segue un percorso molto classico, senza colpi di scena, senza niente di innovativo.
Eilish stessa, per la maggior parte del romanzo, resta in casa, in attesa che le cose migliorino, che tornino alla normalità, che qualcuno li salvi.
E questo perché è precisamente la reazione che avrebbe la maggior parte delle persone.
Leggendo libri distopici ci piace sempre immedesimarci in quel personaggio che da uomo comune si trasforma in grande eroe, ma purtroppo, nella realtà, le cose non andrebbero così per la maggior parte di noi.
Leggendo altre recensioni, ho notato che questa è una delle critiche principali che ha ricevuto questo libro, questa immobilità che si estende per la maggior parte del romanzo, questa “inazione”.
Eppure credo sia una descrizione assolutamente realistica di come si svolgerebbero le cose per moltissime persone.
Le atmosfere oscure e agghiaccianti sembrano scivolare silenziosamente nella nostra testa, infiltrarsi dalla finestra aperta su una notte senza stelle come una nebbia che, lentamente, occupa tutto lo spazio che trova, ci entra nelle ossa e ci pesa sulle spalle, ci fa venire i brividi come un soffio di vento freddo sulla pelle umida.
Il punto forte del romanzo, secondo me, è lo stile di Lynch, e anche qui ho trovato l’opinione generale divisa in due: o lo ami o lo odi.
Ho avuto la possibilità di leggere qualche stralcio qua e là dell’opera in lingua originale, e devo ammettere che sì, è uno stile particolare, che tenta di donare un tocco di liricità alla sua prosa, rischiando quasi di strafare, e in certi momenti i toni forzatamente poetici ed emo ci fanno quasi storcere il naso, ma secondo me funziona benissimo (anche grazie alla sapienza del traduttore italiano, Riccardo Duranti, che ha fatto un ottimo lavoro).
Lynch ingabbia il lettore in frasi lunghe venti righe, con un utilizzo del discorso indiretto libero che sembra tenere il lettore con il fiato sospeso, in un’apnea emotiva che ci schiaccia e ci lascia addosso un senso crescente di claustrofobia.
E così, alla fine, seguendo una storia che abbiamo già sentito, un destino a cui abbiamo già assistito troppe volte da lontano, Eilish e la sua famiglia prendono l’unica decisione possibile, ripercorrendo i passi già percorsi da altri, con lo stesso cuore infranto, la stessa stanchezza sulle spalle, la stessa paura negli occhi, e la stessa luce di speranza a guidarli.
“In mare, dobbiamo andare in mare, in mare è la vita.”
Questo romanzo mi è piaciuto davvero molto perché, con una storia semplice e già nota, ci ricorda la realtà che molte persone stanno già vivendo in questo momento, ci intrappola sotto il cielo nero delle sue atmosfere oscure e cariche di tensione crescente, non ci accompagna in un viaggio che ci permetta di comprendere la situazione ma ci abbandona al centro della scena insieme alla protagonista, lasciando che la situazione ci precipiti addosso.
Il messaggio è chiaro e potente, e non perde la sua forza nonostante sia già stato pronunciato milioni di volte, ma rinasce come una profezia dai toni oscuri e i bordi taglienti, si avvolge su sé stessa e ritorna con più forza, finché non avremo imparato la lezione, finché l’amore non sarà più forte della paura e dell’odio.
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May 17, 2024
NUOVO TITOLO PER CORBACCIO
Salve a tutti!
Oggi ho il piacere di presentarvi un nuovo titolo edito Corbaccio, che mi è stato gentilmente inviato dall’editore, che ringrazio tantissimo.
BASTA UN PEZZO DI MARE – LUDOVICA DELLA BOSCA
Agata e Sara sono due giovani donne, due personalità irrisolte. Agata ha perso la madre da pochi anni; apparentemente ha superato il trauma, ma all’università, lei, bravissima a scuola, si è bloccata e ha finito per fare la commessa. Sara, sua amica inseparabile, ha rivelato in famiglia la propria omosessualità che però non è stata accettata, e ha deciso di tagliare i ponti con tutti e di vivere viaggiando all’estero. Per caso si incontrano al rientro di Sara a Monza, dove entrambe abitano, proprio quando Agata ha appena deciso di liberare in mare un astice ancora vivo acquistato al supermercato. Un progetto bislacco – Agata è la prima a esserne consapevole –, una situazione paradossale, che però rappresenta per entrambe la possibilità di dare una svolta alla loro vita e riprendere un’amicizia che si era bruscamente interrotta ma mai dimenticata.
Basta un pezzo di mare è un romanzo d’esordio intimo e commovente che affronta con toni delicati e spiritosi la difficoltà di diventare adulti e di trovare il proprio posto nel mondo, il rapporto viscerale tra madri e figlie, il distacco, l’accoglienza, l’amore incondizionato. È la storia di un’amicizia profonda, capace di ricucire le fratture e superare le distanze. È il racconto di un viaggio reale e metaforico di scoperta e accettazione della propria identità.

BIO: Ludovica Della Bosca nasce a Monza nel gennaio del 1992. In seconda elementare scrive il suo primo romanzo su un foglio protocollo e alla fine della terza media decide di intraprendere un percorso di studi classici. Nel 2011 si diploma presso il liceo ginnasio Bartolomeo Zucchi di Monza e inizia a studiare Lettere Moderne all’Università degli Studi di Milano, mentre collabora con il Giornale di Monza. A novembre del 2017 frequenta un corso annuale presso la scuola di scrittura Belleville, dove capisce finalmente che quello di diventare scrittrice è il suo sogno più grande. Basta un pezzo di mare, segnalato dalla giuria del Premio Calvino 2022, è il suo primo vero romanzo.
Se vi interessa, dal 14/05 è disponibile in libreria e online.
Non vedo l’ora di leggerlo e parlarne con voi.
Presto la recensione.
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May 13, 2024
LA SINDROME DI RÆBENSON – GIUSEPPE QUARANTA

Voto: 8/10
Edito: Blu Atlantide
Quando sono comparsi i primi sintomi, tutti sono rimasti sorpresi, ma nessuno aveva la minima idea di come si sarebbero svolte le cose.
A raccontarci la storia è uno psichiatra senza nome, un io narrante che cerca di tramandare gli avvenimenti nel modo più preciso possibile: i primi sintomi mostrati dal suo amico e collega Antonio Deltito sono una serie di amnesie, quindi alterazione nella visione dei colori, sbalzi d’umore, e un declino che sembra semplicemente inarrestabile.
Durante uno dei molteplici ricoveri, Deltito si decide a confidarsi con l’amico, rivelandogli il nome della malattia da cui è affetto, che gli impedisce addirittura di morire di una morte naturale: la sindrome di Ræbenson.
E mentre gli altri medici liquidano subito questa dichiarazione senza fondamenta, il narratore decide di assecondare l’amico ed inizia ad indagare su questo disturbo che non solo nessuno ha mai sentito nominare, ma che viene tenuto volutamente nascosto dai suoi studiosi, i ræbensonologi, portando alla luce una serie di eventi e coincidenze e sintomi che cambieranno per sempre la sua vita ed avranno un’influenza significativa su tutto il mondo.
Non so precisamente che cosa mi aspettassi da questo romanzo, ma di sicuro non era quello che vi ho effettivamente trovato all’interno.
Ovviamente non posso dire che le cose andranno in questa maniera per tutti quelli che decideranno di leggerlo, ma sicuramente ci troverete dentro molto di più di ciò che vi aspettereste.
Ed anche per questo bisogna fare i complimenti a Quaranta, che ha scritto un’opera prima complessa ed articolata, ricca e densa e ben studiata, ben congegnata.
Quaranta ha creato un romanzo ricchissimo, di personaggi e di storie, di idee e medicina e filosofia e metafisica, di riferimenti ad altre opere ed altri pensatori, in cui ha inserito sapientemente anche l’utilizzo di altri media (fotografie, radiografie, dipinti), per creare un amalgama di colori e parole che donano ancora più spessore alla lettura.
Nonostante la voce distaccata, praticamente analitica, che ci accompagna in questo viaggio, è un romanzo estremamente coinvolgente.
Con uno stile ed un tono ricercati e algidi, ci sembra quasi di leggere un romanzo austriaco dell’800, che scava nella realtà e nei concetti così poco realistici da essere assolutamente credibili.
E questo è uno degli aspetti più coinvolgenti del romanzo: più il protagonista continua le sue ricerche e i suoi studi sulla sindrome, diventandone uno dei maggiori esperti al mondo, più la realtà inizia a perdere i suoi contorni definiti, mescolandosi con l’immaginazione, il subconscio, la paranoia.
Tutto viene costantemente rimesso in gioco, nulla è chiaro e certo.
La verità si nasconde sempre un passo più in là, e sta al lettore rimettere insieme i pezzi, questi sintomi di una malattia sconosciuta, per interpretare questa nuova sindrome che si diffonde a macchia d’olio.
Ragionando sull’identità dei tanti personaggi che incontriamo nella storia, ci ritroviamo a ragionare sulla nostra stessa identità, inserendoci anche nella narrazione stessa, con la nostra coscienza e la nostra conoscenza.
I concetti di identità e memoria (e le loro instabilità) si mescolano fra loro, e la loro connessione si fa al tempo stesso più forte e più labile, in un vortice vertiginoso e perturbante.
Non vorrei rivelare troppi aspetti della trama (e della malattia), perché lo studio che Quaranta ci permette di farne insieme al protagonista è davvero uno degli aspetti più importanti ed intriganti, e possiamo così scavare sia nella mente di chi è afflitto dalla sindrome, che nell’idea stessa di persona, di coscienza, di ciò che rende una vita degna di essere vissuta e ciò che la rende insostenibile, della reazione dell’uomo di fronte alla vita eterna e della consapevolezza che abbiamo di noi, dell’importanza della morte per dare valore e senso alla vita, dei nostri ricordi, del nostro passato.
Se prima di iniziare un libro cerco sempre di evitare la maggior parte delle informazioni (ormai non leggo più neanche le trame, mi affido completamente ad occhi chiusi ad ogni romanzo che attira la mia attenzione), alla fine della lettura adoro leggere quante più recensioni possibili, interpretazioni, idee, per tentare di riconoscere le strade prese dalla mente di ogni lettore. E per questo romanzo vi invito a fare la stessa cosa: prima di tutto a leggerlo, a lasciarvi avvinghiare dalla prosa arguta e ricercata di Quaranta e dalla sua storia intricata e intelligente; quindi di osservare come, da queste pagine, siano partite tante altre strade, tante interpretazioni e idee, fino a creare un’unica grande entità interpretativa, della sindrome del lettore appassionato.
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May 7, 2024
I RINTOCCHI DELL’APRUTINA – DAVIDE FALSINO

Edito: La Valle del Tempo
Un grande ringraziamento a La Valle del Tempo per avermi inviato una copia di questo romanzo!
Una domenica di maggio, 1847.
Al Molo Angioino c’è un nuovo Rinaldo intento a declamare una nuova versione della storia di Carlo Rainone.
Questa versione è stata scritta da Tonno Grieco, fratello del celebre brigante Titta Grieco, entrambi salvati da bambini dallo stesso Carlo, e quasi tutta la verità verrà svelata al pubblico che si presta all’ascolto, mentre una parte rimarrà nota solo a pochi.
Tonno è sopravvissuto al celebre e famigerato fratello, e dopo così tanti anni è pronto a rivelare tutta la verità sul loro passato ad Antonio, il nipote con cui stringe un rapporto epistolare che sembra averli quasi allontanati l’uno dall’altro.
L’infanzia difficile, la fuga di Titta dal Conservatorio di Sant’Onofrio a Porta Capuana, le vite dei due fratelli che intraprendono due strade diverse, fino alla fine, con la rivelazione di un dolore antico e profondo, mai dimenticato e mai perdonato.
Sullo sfondo l’Abruzzo e Napoli e re Ferdinando II, i francesi e i moti di ribellione e i giacobini, per creare un quadro vivido e vibrante, carico di pathos e coscienza civica, che spicca senza mai soverchiare la storia principale, ma diventandone parte essenziale e comprimaria.
Un racconto in un racconto in un racconto, mille voci che si inseguono e si sovrappongono e si mescolano, per creare una polifonia dal cuore struggente.
Falsino ha creato un’opera davvero molto intrigante: le parole dei personaggi si riconcorrono e ci svelano, un poco alla volta, una storia nascosta in una storia, un passato celato e quasi dimenticato, in un coro di voci che crea un’armonia profonda e dolcissima.
Falsino è un compositore, e si sente benissimo nella sua prosa: non solo per l’evidente conoscenza della musica che emerge con forza dalle pagine, ma anche per il modo in cui è riuscito ad organizzare con sapienza i vari strati di narrazione, coinvolgendo il lettore ad ogni livello.
Lo stile dell’autore è sicuramente l’aspetto che più contraddistingue questo romanzo: con un lessico forbito e ricercato (con qualche inserzione in dialetto napoletano o in francese, a creare una piacevole intermittenza), la lettura parte in maniera quasi stentata; una volta che ci abituiamo al suo stile affettato e ben costruito, però, ed iniziamo a conoscere un po’ meglio i personaggi che si muovono sulla scena di fronte ai nostri occhi, il testo diventa un vero piacere, così diverso dal linguaggio semplice e “comune” a cui siamo abituati, più articolato e stratificato.
Un libro davvero interessante, che richiede particolare attenzione da parte del lettore, ma che ne ripaga completamente l’applicazione, coinvolgendoci in lotte e politica, pensieri filosofici e ragionamenti storici, lezioni di musica e vita da briganti, in un miscuglio eterogeneo ed affascinante, pieno di grandi sentimenti e grandi ideali, in un crescendo continuo che ci conduce ad una conclusione dai toni amari e malinconici.
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May 4, 2024
CHE COSA FA LA GENTE TUTTO IL GIORNO? – PETER CAMERON

Voto: 7/10
Edito: Adelphi
Che cosa fa la gente tutto il giorno?
Bè, se si volesse un po’ di bene, leggerebbe Cameron.
Una raccolta di 12 racconti, che Adelphi ha pubblicato l’anno scorso, ma che originariamente sono stati pubblicati da metà degli anni ’80 fino ad una decina di anni fa.
In alcuni la voce dell’autore sembra non aver trovato ancora del tutto la propria forza, altri brillano pur nella loro brevità.
Come sempre, Cameron ci parla con dolcezza e malinconia di vite che sembrano comuni, ma che nascondono disarmanti sprazzi di bellezza.
Ci sono segreti e menzogne, ci sono paura e cambiamenti, c’è amore, c’è nostalgia, ci sono persone che vivono vite tranquille, che si sentono sole o inadeguate, che vorrebbero di più.
Un uomo che nasconde una cagnolina e la voglia di amare dopo una perdita; una ragazza che cerca sé stessa in un parco a tema; una coppia che si ama, si perde e poi si ritrova in un tentativo di amicizia; un uomo malato che sta lasciando la vita che conosceva per tornare nel calore del nido famigliare.
Sembra quasi di osservare i personaggi delle storie che si muovono da un buco della serratura, trattenendo il fiato, per non rischiare di spezzare l’incantesimo.
Osserviamo le loro vite e le loro scelte, li vediamo mutare di fronte ai nostri occhi, prendere forma in modo nitido e chiaramente umano, perché Cameron sa scavare nelle menti e nei cuori dei suoi personaggi e portare a galla tutto ciò che si nasconde sotto la superficie, senza mai perdere di vista il quadro d’insieme.
L’aria fumosa e dal sentore dolciastro trasmette tutta la forza evocativa delle sue parole, che già sapevano creare suggestioni nei lettori quaranta anni fa.
Alcuni hanno uno stile più anni ’80/’90, lo stesso che caratterizza alcuni dei suoi romanzi, e altri sembrano elevarsi in maniera più eterea.
Non mi piace particolarmente quando gli stessi personaggi si ripetono in diversi racconti, perché allora, Peter, un romanzo non sarebbe stato meglio?
Ma alla fine questa raccolta funziona bene, è molto scorrevole e ci lascia quel tipico sapore dolce-amaro in bocca a cui Peter ci ha ben abituati.
Se dovessi scegliere, forse “Il cane segreto” è quello che più è riuscito a toccarmi nel profondo. Sicuramente non la raccolta più bella che abbia mai letto, ma che può sicuramente essere apprezzata dai fan di Cameron.
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April 27, 2024
SELVAGGIO OVEST – DANIELE PASQUINI

Voto: 8/10
Edito: NN Editore
Siamo nella Maremma, alle fine dell’800.
Nell’aria c’è odore di fieno, di sudore, di fumo, di animali.
Si sentono i fischi dei mandriani che richiamo i cavalli e le vacche, i cinguettii degli uccelli, le voci degli uomini e delle donne si spandono fra i campi, come i canti dei lavoratori.
Giuseppe “Penna” è un buttero silenzioso, nato e cresciuto in quei campi, in quella vita. Lui e sua moglie Leda, non riuscendo a concepire un figlio, si sono ritrovati ad adottare il piccolo Donato, rimasto orfano appena nato, e ormai anche il ragazzo è cresciuto, è quasi un uomo.
E saranno proprio padre e figlio ad aiutare, un po’ per caso e praticamente senza volerlo, i carabinieri ad arrestare il famoso brigante Occhionero.
Ma le loro strade incroceranno quelle di tanti altri personaggi: c’è Gilda, figlia di un carbonaio, che fugge per salvarsi la vita e per vendicarsi degli uomini che hanno abusato di lei; c’è il carabiniere Orsolini, che si ritrova suo malgrado ad inseguire briganti e ad essere braccato lui stesso dalla legge; il famoso generale Cody, noto come Buffalo Bill, che proprio in quegli anni portava il suo spettacolo sul Wild West in tournée per l’Italia; il giornalista Sigaretta; Alce Nero, guida spirituale degli Oglala.
Tanti personaggi si rincorrono attraverso campi e colline, nei boschi e oltre i fiumi di una terra, sì, toscana, ma che non è mai sembrata tanto americana.
Un buon romanzo sicuramente, questo di Pasquini.
Nonostante le ambientazioni siano più piccole e ristrette delle sconfinate praterie del Wild West (come si lamentano gli stessi nativi americani che si ritrovano ad attraversarle in groppa ai loro cavalli), ci sembra proprio di respirare l’aria tipica di un romanzo di McMurtry, chiara ispirazione dell’autore.
Oltre al soggetto dell’opera, però, è proprio lo stile di Pasquini a rendere questo romanzo così americano: con una prosa chiara e ariosa, scorrevole e mai pesante, ci permette di attraversare al galoppo le terre che descrive per noi.
Ok, forse non proprio al galoppo, forse alcuni passaggi si impuntano un po’, ci fanno rallentare e quasi inciampare (come nelle liste infinite di nomi di colli e poggi e paesini che incontrano i personaggi nelle loro peregrinazioni) ma, insomma, anche noi abbiamo bisogno di prendere un attimo fiato fra un colpo di fucile e uno di rivoltella, un lancio del laccio e qualche osso rotto, quindi nel complesso funziona più che bene.
I personaggi sono al centro della storia, insieme alle loro scelte e al destino che, ogni tanto, ci mette lo zampino.
Mi è piaciuto molto Beppe, così taciturno e ruvido, come un Clint Eastwood senza sigaro, ma col cuore d’oro. Donato è un giovane John Wayne, che cerca di mostrare al padre di essere un uomo, ormai, ed è pronto per occupare il proprio spazio nel mondo. Mi è piaciuto abbastanza anche Occhionero, così sicuro di essere dalla parte del giusto, unica speranza per le povere genti, nelle sue scorribande e nella sua lotta contro la legge.
In tutti i libri di cowboy che si rispettino le donne si dividono in due categorie (sempre sottorappresentate): le mogli pie e grandi lavoratrici, e le puttane. E anche qui le cose non sono differenti. Ci sono due donne e, bè, una è Leda, moglie pia di Beppe e grande lavoratrice, e l’altra è Gilda, grande lavoratrice e, suo malgrado, puttana. Certe cose non cambiano mai.
La cosa che ho apprezzato meno, probabilmente, è il modo in cui molti episodi “accadono” e si “risolvono” grazie al destino, o al caso: Gilda fugge e, per destino, finisce a casa di Giuseppe e Leda; il destino vuole che Alce Nero rubi otto cavalli di Giuseppe; vagando senza meta, Orsolini si imbatte, per destino, nel nascondiglio di Occhionero; il brigante e il suo aiutante arrivano a casa di Giuseppe proprio nel momento in cui anche lui fa ritorno. Se un cerchio lo dobbiamo chiudere, insomma, un modo si trova sempre, per destino o per caso.
In generale, comunque, il romanzo mi è piaciuto parecchio, perché è proprio ciò di cui avevo bisogno in questa strana primavera: lunghe cavalcate sotto al sole cocente e notti all’addiaccio intorno a un piccolo fuocherello, tante pallottole e qualche freccia, qualche sprazzo di dolcezza e parecchia violenza, agguati e furti e inseguimenti e regolamenti di conti.
Si nota anche l’enorme lavoro di studio e ricerca compiuto dall’autore, sia per il linguaggio utilizzato, che per delle lettere e articoli di giornale che intramezzano l’azione, e sono delle vere e proprie piccole perle: inventati ma basati su nomi e fatti reali, questi paragrafi parlano principalmente di Buffalo Bill, del suo spettacolo, e della sua “ingloriosa” fine, e aggiungono quell’accento completamente americano che tanto si fa notare nel resto dell’opera.
C’è un po’ di tutto in questa storia, che Pasquini ha magistralmente ritratto con pennellate italiane e americane, permettendoci di compiere un lungo viaggio per le terre della nostra nazione e, al tempo stesso, visitare il Lontano Ovest, senza mai attraversare l’Acqua Grande.
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– / 5Grazie per aver votato!document.cookie.match(/(^| )post_vote_1765=av_\d+(;|$)/)&&document.getElementById("av-rating-box-1765").classList.add("av-review-submitted")L'articolo SELVAGGIO OVEST – DANIELE PASQUINI proviene da Lego, Legimus.
April 20, 2024
LA RAGAZZA DALLE LABBRA COLOR ARANCIA – FRANCE HUSER

Edito: La Valle del Tempo
Un ringraziamento speciale a La Valle del Tempo per avermi inviato una copia di questo romanzo!
Il diario di una passione che brucia, e consuma tutto ciò che ha intorno.
Dal 3 ottobre 1919, la voce di Jeanne Hébuterne ci racconta gli ultimi tragici mesi della vita dell’artista italiano Amedeo Modigliani.
Jeanne non è soltanto una delle modelle di Modi (come lo chiamano gli amici), ma uno dei suoi soggetti preferiti e la sua musa, la sua compagna e la madre della sua bambina, Giovanna.
I due vivono insieme a Parigi, in un atelier dove Modigliani dipinge come un forsennato, beve come se avesse un fuoco dentro da spegnere, ed è alla costante ricerca di qualcosa che non riesce a trovare, o a raggiungere.
Un diario che è un’opera di fantasia, ma che si basa su alcuni fatti veri della vita della coppia, e tenta di ricostruire gli ultimi mesi di passione e distruzione che li hanno condotti a quel 24 gennaio e, inevitabilmente, a quell’ultimo cielo stellato.
Un libro breve, ma intensissimo, questo di Huser.
Devo ammettere che i miei ricordi delle lezioni di storia dell’arte del liceo sono molto vaghi, tanto che non ricordo neanche di aver studiato le opere (e tantomeno la vita) di Modigliani.
Attraverso questo libro ho “scoperto” molte cose interessanti: il fatto che Amedeo fosse principalmente uno scultore ma, per motivi di salute, dovette abbandonare quest’arte e dedicarsi completamente alla pittura; il fatto che dipingesse molto velocemente, terminando quasi tutti i quadri in una seduta; il modo in cui morì, e la conseguente fine della compagna.
Il focus del libro, il punto di fuga verso cui convergono tutte le linee della vita di Jeanne è Amedeo, con il suo talento e la sua sregolatezza, con i suoi scatti d’ira e i momenti di dolcezza, con il suo dolore e il senso di incompiutezza. L’amore che univa i due non può essere certamente definito “sano”, ma era come un fuoco che si fa terra bruciata intorno.
Purtroppo non posso dire di aver apprezzato particolarmente il personaggio di Jeanne: dalla sua voce risulta una donna debole, che si comporta anche in modi insensati e sciocchi.
Non solo la coppia, incapace di prendersene cura, aveva lasciato la piccola Giovanna con una balia (e forse questa è la decisione più sensata che abbiano mai preso insieme) e non andava quasi mai a trovarla, ma Jeanne era nuovamente incinta durante i suoi ultimi mesi di vita e, nonostante continuasse a dichiarare un grande amore per questo “bambino che sarà uguale a Modi”, non fece nulla per prendersi cura di sé e di lui.
La sua ossessione per Amedeo era ottundente, ottenebrante, le impediva di pensare a qualsiasi altra cosa.
Quando lo stesso Amedeo si ammalò, e passò giorni interi a letto, nella casa gelata perché non avevano soldi per il carbone, invece di andare a chiamare il dottore Jeanne preferì stendersi vicino a lui. Lo stesso tipo di ossessione che Amedeo aveva per l’arte, Jeanne lo riversava su di lui, in una maniera quasi ridicola.
Lei stessa era una pittrice, ma abbandonò completamente la sua carriera per devozione nei confronti di Modigliani e della sua arte.
Forse un ritratto realistico, ma dal quale emerge una donna debole, che si annienta completamente per un uomo.
Certo, questo tipo di personaggio rende la lettura più coinvolgente, più emotiva, piena di pathos fino all’orlo (e non ha influenzato il mio giudizio sull’opera in generale), ma alla fine del libro le sue sofferenze erano diventate quasi delle lagne.
Lo stile di Huser, però, aiuta moltissimo nella “sopportazione” di questa voce lamentosa ed è il vero punto forte: la sua prosa è quasi poetica, è malinconica e amara, inquieta e delicata, e ci permette di sentire più vicina una storia così intensa.
Huser compone delle bellissime immagini, dei momenti di intimità così dolci e sofferenti, che riescono a toccare il lettore nel profondo.
Così come le domande che Jeanne si pone su Amedeo ci permettono di ragionare sull’arte e sulla creazione e su questo bisogno che alcuni hanno di espellere da dentro di sé un qualcosa di troppo grande per poterlo contenere, il suo modo di osservare sé stessa attraverso i suoi quadri ci fanno pensare a ciò che siamo, ciò che pensiamo di essere, ciò che gli altri vedono in noi, e a come spesso nessuna di queste facce coincidano fra loro.
L’ultima pagina di diario è molto delicata, così come tutte le altre, che non ritraggono mai scene crude e violente, ma dipingono un mondo dai colori tenui, anche nei momenti di maggior sofferenza.
Pur non conoscendo la storia di Jeanne e Modigliani, si riesce ad intuire quale sarà la fine che incontrerà la coppia, perché un amore come quello che li univa, più simile ad un tormento che ad una gioia, angustioso e opprimente, non avrebbe mai lasciato scampo alla giovane donna.
Quindi, per quanto la voce del personaggio di Jeanne si sia rivelata quasi “piagnucolosa” e il suo carattere troppo remissivo e fiacco, il libro mi è piaciuto parecchio, perché riesce a coinvolgere il lettore, a mostrare le dinamiche della relazione fra la protagonista e Modigliani (e l’artista ed altri personaggi, anche famosi, che frequentava all’epoca), a descrivere sufficientemente l’ambiente nei quale i due vivevano e si muovevano, donando punti di luce ad una storia altrimenti oscura e sofferta, che come un vortice nero ci attira verso la sua terribile fine.
Se vi interessa, potete acquistarlo direttamente dal sito della casa editrice:
La ragazza dalle labbra color arancia
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