Rachele Riccetto's Blog, page 12

July 27, 2024

PRIMA PERSONA SINGOLARE – HARUKI MURAKAMI

Voto: 7/10

Edito: Einaudi

Otto racconti brevi che, come una finestra, si affacciano sul mondo di Murakami.
Otto piccoli capitoli di vita, per allontanarci un po’ dal Murakami romanziere del fantastico, ed imparare a conoscerlo nella sua vita quotidiana.
Otto storie raccontate in prima persona, vissute in prima persona.
Otto fotografie di un Giappone appena accennato, fra piccole locande e l’arrivo dei Beatles.
Otto primi piani che si concentrano, sì, sull’autore e i suoi pensieri, ma con il diaframma chiuso e una lunga esposizione, cercando di mettere a fuoco i volti che si muovono nel resto dell’inquadratura, una scia di persone incontrate e dimenticate, vecchie fidanzate e tanta musica.

Tutto sommato, la definirei una lettura decisamente piacevole.

Con tono indagatore e un po’ distaccato, molto ironico e maturo, Murakami ci mostra alcune situazioni più o meno “surreali” che si è ritrovato ad affrontare nella sua vita.

Ci parla di musica, di tanta musica, dai Beatles al jazz passando per Schumann, e non c’è niente di più bello al mondo di Murakami che parla di musica (o di pittura).

Ci parla di alcune donne che sono entrate nella sua vita, chi per una notte e per chi sei mesi, la sua prima fidanzata ed una vecchia compagna di scuola.
Per una volta in vita sua non nomina seni di ragazzine in età prepuberale, e vorrei strillare dalla gioia.

Ci racconta di quando ha passato la serata bevendo birra e chiacchierando con una scimmia in grado di rubare i nomi delle donne di cui si invaghiva, ed è qui che risplende il suo talento delicato per il fantastico, percorrendo in punta di piedi quella linea sottile fra sogno e realtà, con quella chiarezza onirica tipica dei suoi romanzi.

Ѐ facile ritrovare dei pezzi di noi stessi nei suoi racconti, come ritrovarsi per caso nella folla immortalata in una foto di uno sconosciuto.

Ma Murakami non è uno sconosciuto, e il suo occhio attento e il suo animo acuto ci mostrano un mondo uguale al nostro, una vita così simile alla nostra, eppure sempre un po’ diversa, con quel tocco di magia che appartiene soltanto a lui.

Questo libro non cambierà la vita a nessuno, mi sento di poterlo dire con parecchia sicurezza, ma in questa estate afosa e soffocante si è rivelata una lettura davvero interessante, un po’ per il semplice fatto che i racconti scivolano via meglio di un romanzo, non ci restano addosso ad appesantire l’aria già così opprimente, e un po’ perché Murakami, con questo viaggio fra memoria e fantasia, ci ricorda che la realtà pura non esiste, che ogni ricordo è un universo a sé stante e la bellezza è racchiusa in ogni più piccola esperienza, e le cose non sono sempre come appaiono dall’esterno.

Ho deciso, d’estate si leggono solo racconti, viaggi brevi ma intensi dal fascino incantevole.

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Prima persona singolare

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Published on July 27, 2024 00:14

July 22, 2024

BANGKOK WAKES TO RAIN – PITCHAYA SUDBANTHAD

Voto: 8/10

Edito: Hodder&Stoughton / Fazi

Una casa al centro di Bangkok, che muta insieme ai suoi abitanti, travolta dal fluire del tempo e dell’acqua e della vita, e osserva tutto ciò che la circonda.
Nel XIX secolo, un medico missionario, arrivato dall’America, cerca di adattarsi a nuove tradizioni, nuove abitudini, una nuova lingua; negli anni ’70, le rivolte imperversano per le strade di Krung Thep, in un delirio di dolore e paura; un colonnello dell’esercito cerca gli odori della sua terra natale e li ritrova in un piccolo ristorante di Tokyo; un pianista jazz dal passato turbolento suona per placare i fantasmi; una giovane ragazza decide di modificare esteticamente il proprio volto per costruirsi un futuro migliore; un’anziana carica la sua coscienza per continuare a vivere.

Un romanzo corale che salta avanti e indietro nel tempo, unendo a più riprese tutti i vari personaggi, per creare una trama fitta, intricata, che si avvolge su stessa come le spire di un serpente, al cui centro spicca una casa, il ricordo di una casa, e una Krung Thep viva e vibrante.

Il tempo scorre come un fiume, copre tutto ciò che incontra sul suo cammino, una goccia alla volta, e poi come l’inevitabile piena che sommerge tutto quanto.

Proprio come la pioggia, che risuona dolcemente sulle larghe foglie degli alberi, sui tetti di bambù, sulle strade allagate, sull’oceano che inghiotte il mondo.

Un romanzo che contiene tutto: storia e religione, filosofia e politica, lotte intestine ed emigrazione, un pizzico di ecologia e quel tanto di fantascienza che basta per tenerci incollati fino all’ultima pagina.
Perché questo libro non molla la presa fino all’ultima frase, non mostra del tutto le sue carte finché l’ultima parola non è stata scritta.

Non è assolutamente il libro che mi aspettavo, ed è stata un’esperienza fantastica.

All’inizio non avevo idea di come si sarebbe svolta la storia, soprattutto perché i primi capitoli sono completamente scollegati fra loro (o almeno i personaggi, mentre un’ombra si allarga costante sin dalla prima pagina), e i capitoli si leggono quasi come tanti piccoli racconti separati, ma ad un certo punto le cose iniziano a ricollegarsi fra loro, i destini dei protagonisti si incontrano e si incastrano, si sfiorano e si trasformano, trasportati dal fiume ingrossato dalla pioggia battente.

Sudbanthad gioca con il tempo e con il suo fluire, intreccia i piccoli affluenti che scorrono per le strade di Bangkok e del mondo, li unisce fino a formare un oceano profondo, dal cuore impenetrabile, al centro di una città in continuo mutamento.

L’acqua unisce, in un modo o nell’altro, tutti i personaggi che si muovono per due secoli fra le pagine di questo libro, che sia sotto forma di pioggia, all’interno di una piscina o di un palazzo sommerso.

Lentamente la storia prende forma, una forma liquida e mutevole, difficile da trattenere e da descrivere; il finale, nascosto tra note futuristiche, è dolce-amaro, è carico, è umano.

Le persone ricordano, così come i luoghi.

Ciò che ci rende forti è ciò che ci rende umani, che ci unisce e ci accomuna.

Con un stile estremamente dolce, anche nei suoi momenti più crudi, Sudbanthad ci trasporta in una Bangkok indimenticabile, carica di odori e colori e sapori, di musica suonata a tutto volume e grida dei lavoratori, di luci scintillanti e raggi di sole riflessi sulla superficie dell’acqua, in un’esperienza inedita e che ci fa sentire parte di qualcosa di più grande.

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Bangkok wakes to rain (eng)

Sotto la pioggia (ita)

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Published on July 22, 2024 22:50

July 19, 2024

T – CHETNA MAROO

Voto: 7/10

Edito: Adelphi

Gopi ha undici anni, un padre, due sorelle più grandi, ed ha perso la madre da poco.
Nella casa in cui vivono sembra essere calato uno strano silenzio, che occupa uno spazio tutto suo.
Zia Ranjan e zio Pavat vivono ad Edimburgo, e si offrono di prendere una delle tre figlie per aiutare l’uomo rimasto solo.
Ma il padre di Gopi non accetta, e tenta di tenere occupate le figlie con lo sport, trasmettendo loro la sua passione per lo squash. Le due sorelle maggiori non si mostrano particolarmente interessate, mentre la vita di Gopi inizia a girare intorno a quello sport, i suoi pensieri rincorrono match passati e colpi futuri, le sue giornate prendono forma intorno ad allenamenti e possibili tornei, inizia ad innamorarsi di Ged e ad affrontare a modo suo il lutto per una perdita così grande, che coinvolge tutti le persone che la circondano.

Un romanzo breve che, anche leggeste lentamente come me, è possibile terminare in una giornata.

Con uno stile chiaro e scorrevole, Maroo riempie le sue pagine con il vuoto.
Il vuoto di un silenzio, di una poltrona, di una cucina, di un tavolo da pranzo, dell’angolo preciso in cui piazzare un colpo in un campo da squash.

Un romanzo di formazione che, attraverso pochi mesi della vita della protagonista (un anno?), ci mostra una faccia del dolore, così giovane e inesperta, senza i termini giusti per descrivere un sentimento così grande, che combatte una partita infinita.

Un continuo botta e risposta, uno scambio di parole e volée, di silenzi e colpi smorzati, con una consapevolezza dello spazio circostante tipica di chi deve tenere d’occhio una palla e un avversario in continuo movimento.

Lo sport come catalizzatore, come punto d’unione, come sfogo per un dolore distruttore.
Uno sport in cui si gioca da soli, dentro un cubo di vetro, e tutti guardano da fuori.
Un dolore enorme all’interno, racchiuso fra pareti di vetro, ben visibile a tutti dall’esterno.

Il rapporto tra Gopi e suo padre è la parte più interessante del romanzo, questo loro avvicinarsi grazie allo sport, ma questo onnipresente silenzio carico di dolore che continua ad espandersi, impedendo loro di comunicare davvero.

Da una parte c’è un uomo distrutto dal dolore, da un vuoto improvviso che sembra inglobare tutto quanto, tutte le forze che dovrebbe dedicare al lavoro e alla casa e alle figlie, e dall’altra c’è Gopi e lo squash, che diventa quasi un’ossessione, che occupa spazio, che consuma tanto quanto il lutto una vita che ha appena iniziato a formarsi.

Purtroppo, però, oltre che per la brevità, anche per il modo in cui molte cose vengono affrontate, questo sembra quasi un principio di romanzo, un abbozzo, un’idea intrigante, ma che avrebbe potuto essere sviluppata meglio.

La buona scrittura di Maroo aiuta ad assorbire rapidamente il libro, che ci scivola davanti agli occhi fra un allenamento e una collina buia, una cucina carica di odori e la sensazione di una racchetta stretta nel pugno, con una malinconica dolcezza che ci pervade sin dalle prime righe.

Una scrittura buona e un’idea interessante, però, non bastano per fare un grande romanzo, soprattutto per un esordio come questo, candidato a molti premi prestigiosi.

Un buon inizio sicuramente, questo di Maroo, che però non colpisce con abbastanza forza e non manda a segno un punto relativamente facile.

Non un libro che lascia il segno, che si fa ricordare.

E poi, a me, lo squash, sta anche un po’ sul c*lo.

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T

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Published on July 19, 2024 23:38

July 15, 2024

I PERDENTI – STEFANO STANZIONE

Edito: Delrai edizioni

Un sentito ringraziamento a Delrai per avermi inviato una copia in anteprima di questo romanzo!

Bianca ha appena perso il lavoro, il compagno, e la casa in cui abitava.
Dopo anni di relazione con Enrico, lui ha deciso di lasciarla per tornare dalla ex moglie e di licenziarla, ponendo fine ai suoi sogni di interior designer.
Bianca si ritrova così completamente persa, almeno fino al momento in cui non incontra Valentina, che la ospita in casa sua e la aiuta a trovare un nuovo impiego.
Lavorare in un supermercato, però, non fa per lei, e così Bianca, complice la rabbia che prova nei confronti di Enrico, si ritrova a ricordare un altro momento difficile della sua vita, quando appena ventenne aveva deciso di lasciare la sicurezza della casa e dell’università per andare “alla ventura” con il suo primo grande amore, Max.
Un periodo complicato per i due ragazzi che, credendosi destinati al fallimento in un mondo che non è in grado di comprendere e accettare gli artisti, avevano tentato di vivere “fuori” dalle regole della società.
Ma Max è un capitolo ormai chiuso, di un passato lontano, e Bianca dovrà trovare la forza per andare avanti.

Un romanzo molto carico, questo di Stanzione.
Carico di avvenimenti, di personaggi più o meno importanti, di filosofie (forse un po’ troppo adolescenziali e trite).

Una storia in cui succede di tutto: cause in tribunale e famiglie mafiose, primi amori e aggressioni, aspirazioni artistiche e filosofia nichilista, giovani senza fissa dimora e senza una guida, lotta ecologica e morale, amicizia e amore filiale.
Succede di tutto, sì, forse anche troppo.

Le situazioni in cui si ritrova Bianca sono un po’ troppo assurde per poter risultare davvero credibili, e il suo modo di pensare (e giudicare costantemente tutti quelli che le stanno intorno) la rende un personaggio con cui è difficile entrare in sintonia.
(Mettiamoci anche che Bianca, parlando di sé stessa o di altre ragazze, è sempre parecchio sessista, e usa termini come “protuberanze” per parlare di seni; mettiamoci anche che Bianca arriva a scusarsi con un “amico” per la propria “reazione eccessiva” quando quello ha tentato di farle violenza; mettiamoci anche che Bianca dice di trovare piacevole che uomini sconosciuti, in mezzo alla strada, mostrino apprezzamento per il suo aspetto fisico con fischi e commenti inappropriati…forse Bianca, come personaggio, andrebbe un po’ ricalibrato sulla sensibilità realistica.)

Una storia, quindi, carica di avvenimenti e di personaggi, che spesso sembrano dover ricoprire un ruolo più importante di quanto effettivamente non abbiano, per poi essere abbandonati in poche pagine.

Una storia di crescita, di accettazione di sé, di amore e perdono; una storia sull’importanza delle proprie scelte e sulle motivazioni che ci spingono.

Il romanzo riesce a coinvolgere abbastanza il lettore, anche se i lunghi paragrafi sulla filosofia di vita di Max tendono a rallentare molto la scorrevolezza del testo e a mettere in luce la volubilità di Bianca.

Lo stile è abbastanza moderno e scorrevole, ma spesso carico di troppe metafore anche assurde, che rendono la lettura meno realistica.
Stessa cosa con i dialoghi, che utilizzano spesso un lessico troppo artificioso, trasformandoli in siparietti poco credibili.

Una lettura piacevole, che avrebbe avuto bisogno di una direzione un po’ più “marcata” verso cui muoversi, per non rischiare di disperdersi in mille piccole direzioni senza sbocco.

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I perdenti

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Published on July 15, 2024 22:53

July 13, 2024

L’IMPULSO – LIDIA YUKNAVITCH

Voto: 8/10

Edito: Nottetempo

Questa è la storia di Laisvė che, dopo aver perso la madre, il fratellino e, infine il padre, inizia a viaggiare nel tempo attraverso le acque dell’universo, spostando oggetti e persone, riunendo chi si è separato, ricreando ciò che è andato distrutto.
Questa è la storia di Frédéric, l’uomo che ha progettato la Statua della Libertà, e della sua amata cugina Aurora, che sopravvive alle ferite del corpo e dell’anima per portare salvezza a chi la circonda.
Questa è la storia degli uomini e delle donne che hanno camminato sul ferro, nel cielo, per costruire la Statua della Libertà, e del futuro (a noi non troppo distante) in cui lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento delle maree contribuiranno alla riformazione del mondo.
Questa è la storia di Mikael, rinchiuso in un istituto di detenzione per minorenni, alla ricerca della neonata che gli è stata sottratta.
Questa è la storia di Lilly, figlia di un uomo che ha compiuto terribili crimini di guerra, e che cerca il suo posto nel mondo e dentro di sé.

Questa è una storia di mille corpi che ne compongono uno solo; mille voci e mille strade che sembrano muoversi parallele fra loro, ma che convergono verso un fulcro luminoso; questa è la storia dei mille pezzi che compongono Lidia.

È relativamente facile riconoscere il suo viso, la sua mano, i suoi occhi, i suoi capelli, nascosti in bella vista praticamente in ogni frase.

Il flusso del tempo e dell’acqua e dello spazio si muove intorno a noi, trasportando luoghi e persone in un vortice senza fine.

Di sicuro non è un libro adatto a tutti, e non so neanche se sia stato un libro adatto a me.

Yuknavitch conosce alla perfezione l’arte dello storytelling, e sa esattamente come muoversi per rimescolare quelle regole a cui siamo tanto attaccati e creare così qualcosa di sublime e liminale.

Gli svariati personaggi che incontriamo non sono particolarmente approfonditi, sono abbozzati, sono fumosi, sono ritratti fatti con gli acquerelli i cui bordi hanno iniziato a svanire, le loro voci si assomigliano tutte fra loro, e trasmettono uno stesso messaggio di libertà e vita che si diffonde attraverso i secoli e i chilometri.
Le singole voci non sono importanti, non quanto il coro umano e sovrannaturale che si innalza come un’onda gigantesca.

Tutte le cose che ho imparato a riconoscere come “parti di Lidia” sono presenti in questo romanzo, e ne sono il cuore pulsante, con l’acqua e i bambini al centro di tutto.

Ci sono la maternità e l’essere figli, l’individualità e l’appartenenza a qualcosa di più grande, la religione e il sesso, i desideri e il corpo, la perdita e la rinascita, la libertà e la femminilità e l’umanità, in un’unione che non ha inizio e non ha fine.

Il suo stile si alza e si abbassa con la marea, sommergendo le pagine con frasi di una dolcezza straripante, di un sentimento così chiaro e limpido e, con il ritirarsi delle acque, riportando alla luce tutti gli aspetti più crudi e sporchi e umani che compongono le nostre vite.

Ci sono tante piccole cose che, separatamente, ho apprezzato moltissimo, perché Yuknavitch è davvero una penna particolare, tagliente e acuta, che nasconde una potenza incredibile; al tempo stesso, però, come opera completa, l’ho trovata un po’ troppo dispersiva e a tratti confusa.

Di sicuro non è un libro che lascia indifferenti, ma che ci spinge a ragionare sulle connessioni tra persone, con i luoghi, tra causa ed effetto, su ciò che sembra impossibile e ciò che possiamo davvero raggiungere.

Lidia si muove sul confine fra realtà e fantasia, in una specie di allucinazione dai colori vividi e il sapore pungente, in un inno alla forza di volontà e al desiderio di vivere, alla lotta all’oppressione e agli aspetti fondamentali della natura umana, unendo corpo e spirito per un grande tuffo nell’oceano che è la culla della vita.

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L’impulso

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Published on July 13, 2024 01:05

July 9, 2024

IL PRIMO LIBRO DI MATTIA GARGIULO

Salve a tutti!

Oggi ho il piacere di presentarvi il primo libro di Mattia Gargiulo, una raccolta di racconti pubblicata a giugno del 2024, edita Edizioni Open, e colgo l’occasione per ringraziare l’autore per la copia.

L’amore non può essere definito.

Perché è una di quelle parole che assume un significato diverso a seconda di chi la pronuncia.

Come per le parole anche la sua forma cambia, perché l’amore per sopravvivere ha bisogno di trasformarsi in tanti altri sentimenti che si insinuano nella vita di ogni giorno, soprattutto quando non succede niente, soprattutto quando la vita è il ripetersi di un giorno dietro l’altro.

A volte con ironia, a volte con cinismo, questa raccolta di racconti narra storie di vita di coppia in cui la routine mostra l’amore per quello che è: un eterno compromesso, dove dare e ricevere cambiano forma a un sentimento che giorno dopo giorno cambia forma a ognuno di noi.

BIO: Mattia Gargiulo, dopo essersi imbarcato su più navi battenti bandiera italiana, oggi naviga nel mondo della pubblicità come copywriter. Ha pubblicato alcuni racconti su SPLIT, rivista di Pidgin Edizioni, ed è uscito con il racconto Una trappola per topi, sul primo numero della rivista per scrittori LibriCK.

Questo è il suo ultimo libro, nonché il primo.

Non vedo l’ora di leggere questa storia e di parlarne con voi.

Presto la recensione!

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Published on July 09, 2024 01:10

July 6, 2024

PAESE DALLE OMBRE LUNGHE – HANS RUESCH

Voto: 8/10

Edito: Einaudi

Una famiglia Inuit come tante, composta da un uomo, Ernenek, sua moglie Asiak, e i loro due figli Papik e Ivalù.
I quattro vivono nella parte settentrionale dell’Artico ed hanno pochi contatti con altre persone, dato che la loro terra è poco popolata.
Nella prima metà del romanzo, seguiamo la storia di Ernenek ed Asiak, assistiamo al loro incontro e alla loro unione, grazie a loro veniamo a conoscenza di molte usanze e tradizioni inuit, impariamo a cacciare foche e costruire trappole per orsi, a gestire una muta inferocita ed affamata di husky e il modo migliore per lasciar macerare e marcire vari tipi di carne, così che sia morbida e facilmente commestibile.
Ci viene presentato un mondo freddo e ostile, particolarmente duro e crudo, come dure devono essere le persone che ci vivono, per sopravvivere.

Quello degli Inuit è un popolo che ha imparato tutti i trucchi per combattere il freddo e la fame, il sonno ed ogni tipo di ristrettezza, anche cose che a noi potrebbero sembrare terribili (soprattutto al giorno d’oggi): mute di cani nutriti con i cuccioli appena partoriti, cani uccisi per combattere il freddo e la fame, bambine abbandonate appena nate perché meno “utili” dei figli maschi, anziani lasciati morire in mezzo ai ghiacci per risparmiare cibo e non doversi prendere cura di loro.

La vita degli inuit è controllata da moltissime superstizioni e tabù, i ruoli nella società sono ben definiti e c’è poco spazio di manovra, eppure il loro modo di affrontare le cose è molto più aperto e libero se paragonato a quello delle società occidentali.

Nella seconda metà del romanzo, invece, osserviamo principalmente Ivalù, divenuta ormai donna, che vive al sud in un paese dove gli inuit convivono con gli uomini bianchi.
E sarà proprio lo straniero a causare più danni.

L’uomo bianco, con le sue leggi e la sua religione, la sua chiusura mentale e la sua presunzione, cerca di convertire il popolo degli uomini, infondendo nei loro cuori la paura del peccato.

Interessantissimo tutto l’aspetto che riguarda le differenze fra la religione cristiana e l’animismo degli Inuit, con un bellissimo discorso che il vecchio angaqquk (uomo di medicina e guida spirituale) rivolge ad Ivalù, sottolineando l’insensatezza e la crudeltà del cristianesimo.

Gli Inuit, così aperti e pronti a condividere tutto, anche (e soprattutto) le mogli, si ritrovano improvvisamente a dover cambiare il loro stile di vita, a dormire nel caldo soffocante di una stanza, a non poter allattare liberamente i bambini, a non potersi spogliare senza troppi pensieri.
Il pensiero dell’uomo bianco contamina tutto ciò che incontra e incatena un popolo abituato alla libertà, ingabbiandolo.

Ivalù si ritrova così a voler vivere da cristiana, senza saperne neanche lei il motivo, convinta dallo straniero e dalla sicurezza con cui espone le sue idee, ma al tempo stesso non riesce ad integrarsi in questa nuova società così chiusa e giudicante, e dovrà compiere una scelta finale.

Una lettura molto intensa e molto particolare, che trascina il lettore in quelle terre così fredde e mai desolate, in mezzo a quella bellezza mortale e terrificante.

Forse nella prima metà del romanzo ci vengono mostrati degli aspetti più crudi della vita del popolo degli uomini, ma sono molto interessanti per imparare a conoscere le tradizioni e il modo estremamente pratico che hanno gli Inuit di gestire le cose; la seconda metà, però, con lo scontro tra Inuit e cristianesimo, l’ho trovata molto più crudele, con gli uomini bianchi e il loro senso di superiorità che arrivano a distruggere tutto ciò che incontrano.

Lo stile di Ruesch è chiaro e semplice, estremamente scorrevole e coinvolgente, ed eccelle nel suo obiettivo di farci prendere parte alla scena a cui stiamo assistendo.

Siamo noi che inseguiamo per giorni un orso, che frustiamo gli husky e costruiamo un igloo per sopravvivere ad una tempesta; siamo noi a scogliere un po’ di neve per il tè e a gustarci della carne piena di vermi freschi; siamo noi a non comprendere l’uomo bianco e le sue assurde tradizioni, le sue visioni ristrette, la sua piccolezza, la sua crudeltà.

Un ottimo libro per chi cerca un’esperienza immersiva (anche se alcune scene non sono adatte agli stomaci più deboli) e per chi vuole iniziare a conoscere il popolo Inuit.

Un ottimo libro, una lettura particolare ed interessantissima, un mondo tutto da scoprire.

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Paese dalle ombre lunghe

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Published on July 06, 2024 00:55

July 2, 2024

V13 – EMMANUEL CARRÈRE

Voto: 9/10

Edito: Adelphi

Venerdì 13 novembre 2015.
Parigi è sotto attacco, il convoglio della morte è arrivato a destinazione e dieci ragazzi, jihadisti, hanno raggiunto i loro obiettivi: il teatro Bataclan, lo Stade de France, e una serie di piccoli bar e bistrot. Centotrent’uno morti e quattrocento tredici feriti.
V13 è il nome del processo che si è svolto per nove mesi, dal settembre 2021, nel cuore di Parigi.

Un processo per la Storia, un processo al terrorismo. Al terrore, al velo della realtà squarciato senza la possibilità di tornare indietro.

Un libro senza alcuna pietà. Almeno, non per il lettore.

Carrère ci racconta le cose come sono avvenute in quell’aula che assomigliava tanto ad “una chiesa moderna, al cui interno si svolge qualcosa di sacro”.
Si inizia con le vittime, e per novanta pagine Carrère ci prende a pugni nello stomaco, instancabile, inarrestabile.
Alcune delle pagine più dure che io abbia mai letto nella mia vita, e che mai leggerò.
Ci viene raccontato un dolore che è quasi troppo difficile da immaginare, non fosse per le immagini che oggi scorrono sotto ai nostri occhi, e che ci costringono a rimanere in costante contatto con una violenza senza eguali.

Quindi si passa agli imputati, ai pochi sopravvissuti, ai pochi coinvolti ma in maniera minore, a quelli che si sono ritrovati lì praticamente per caso.
Li osserviamo nascere e crescere, la loro radicalizzazione ci risulta quasi incomprensibile e per questo ancora più spaventosa, tutto quell’odio e quella sete di vendetta fuoriesce nella maniera più terribile immaginabile.

La terza parte riguarda la Corte, le arringhe degli avvocati, la sentenza pronunciata dal giudice.

Carrère si presenta quasi tutti i giorni in quell’aula, osserva ed ascolta attentamente, prende appunti.
Ed è proprio lì, seduto su quelle panche, che fa un passo indietro, e prova a mettere su carta tutto ciò che accade (ed è accaduto) nella maniera più distaccata possibile.
Ma Carrère è pur sempre uno scrittore, ed uno dannatamente bravo, e con una parola al punto giusto, una virgola, una domanda a cui non è possibile dare risposta, un dettaglio che potrebbe sembrare quasi superfluo, ci sommerge con tutto il dolore e la rabbia e la disperazione e la solitudine e la stanchezza che riempiono quell’aula, Parigi, il mondo.
Quindi distaccato, sì, ma di un passo appena.

Ma lo sguardo di Carrère è sempre puntato sulle persone, tanto sulle vittime quanto sui colpevoli.
E ci costringe a ragionare sulla giustizia e la vendetta, sul perdono e sulla resa, sulle pene e sui delitti, sulle colpe e sugli sbagli, sulla differenza di classe e l’ingiustizia sociale, su ergastolo ostativo e lucida agonia, con una chiarezza che si mescola dolorosamente all’ombrosità della materia trattata.

Ogni paragrafo di ogni capitolo si apre con una frase, due o tre parole-chiave, come un piccolo titolo che ci accenni ciò di cui sta per parlare, quasi un “avvertimento”, che serve a colpire il lettore con ancora più forza.

Una lettura che, probabilmente, dovrei definire “obbligatoria”, ma che non mi sento davvero di consigliare.

Questo di Carrère è ovviamente un grande libro, un eccellente reportage, ma racchiude un dolore troppo grande per poter essere preso alla leggera.

Un libro terribile, terrificante, sconvolgente.

Un libro che non ci aiuta a capire, perché non c’è nessuno che possa rispondere a quelle domande, e i pochi rimasti restano muti o decidono di non collaborare.

Un orrore difficile da immaginare, che toglie il fiato, raccontato in maniera eccelsa, a cui è impossibile sfuggire.

Facciamo così: io non ve lo consiglio.
Quando vi sentite felici e vi sembra che le cose stiano andando nel verso giusto, non lo leggete. Quando vi sentite tristi e vi sembra che il mondo faccia schifo, non lo leggete.

Se però c’è un giorno che vi sentite particolarmente forti, in cui pensate “mi andrebbe proprio di piangere disperatamente per duecentocinquanta pagine ininterrottamente”, allora magari prendetelo in mano, fate un respiro profondo, e preparatevi.

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V13

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Published on July 02, 2024 00:08

June 28, 2024

IL CIELO NERO – RICCARDO CASCINO

Un grandissimo ringraziamento a Riccardo per avermi inviato una copia del suo libro!

Sono passati dodici anni dall’arrivo degli Invasori e dalla completa trasformazione di Novark.
Ultima grande città-stato della Terra, con milioni e milioni di abitanti, ora completamente isolata dal resto del mondo: un’enorme faglia circolare la isola ed una cupola scura, un Cielo Nero, la ricopre completamente.
La maggior parte dei suoi abitanti adulti sono stati resi schiavi e i bambini dei soldati.
Una serie di terremoti ha spezzato e dislocato la struttura della città, affondando intere zone nel sottosuolo.
I pochi scampati all’attacco dei nuovi venuti si sono rintanati sottoterra, dove si sono reinventati una nuova vita, in attesa.
Tra questi c’è Draak, che non ricorda nulla della sua vita prima dell’invasione, e che si è creato una nuova famiglia: ci sono Jert, Lyn, Horin, e il girovago Godar.
Ma un giorno Draak incontra una nuova ragazza, Aril, e da quel momento le cose cambieranno per sempre.

Ma chi sono gli Invasori?
Che cosa vogliono?
Che cos’è il Cielo Nero?

Riccardo Cascino ha scritto un’opera davvero interessante, molto concentrata sullo sviluppo dei suoi personaggi, cosa che rende la lettura più coinvolgente.

Lo stile di Cascino è molto scorrevole e ben studiato (considerando che si è anche inventato alcune parti di altre lingue ed ha introdotto una serie di easter eggs nei nomi e nella città stessa di Novark).

Tutta la parte che riguarda il sottosuolo è quella che mi è piaciuta di più, questa città parallela alla città “vera”, questa vita che brulica nel buio e che riemerge in cerca di luce (e verità).

Forse alcune parti avrebbero potuto essere snellite un po’ (come tutta la lunghissima parte di Draak nella cella, in cui non succede nulla per molto tempo, che è, sì, interessante, ma avrebbe potuto essere accorciata).
In fondo la mole dell’opera non è da sottovalutare, perché è difficile tenere l’attenzione del lettore per 550 pagine. Cascino riesce nell’impresa quasi per tutta la durata dell’opera, anche se la parte centrale fa un po’ traballare l’intera struttura.

Fino alla fine della storia non verremo a sapere chi sono gli Invasori, perché scopriamo le cose insieme ai nostri protagonisti, e non è una cattiva idea, perché ci permette di osservare ogni cosa con sguardo più attento, in cerca di dettagli e segreti.
L’attenzione dell’autore si concentra principalmente sullo sviluppo dei personaggi, sui loro pensieri e sentimenti, cosa che non accade spesso in questo genere di romanzi, e che invece Cascino ha saputo rendere molto bene.
Forse mi sarebbe piaciuto avere qualche spiegazione in più, ma comunque nei capitoli finali la maggior parte delle domande trova una risposta.

Ho apprezzato molto l’ultimo capitolo, il prologo che ci permette di lanciare una rapida occhiata alla città di Novark (e più precisamente ad alcuni suoi abitanti) nel giorno stesso dell’invasione; anche questa parte lascia alcune cose in sospeso, ma l’ho trovata comunque un’abile mossa, un ottimo colpo di coda.

Cascino ha creato un mondo sommerso, posto sotto ad un mondo racchiuso, all’interno di un mondo ormai distrutto, ed ogni parte si interseca molto bene con le altre, creando una storia su più strati, raccontata da più voci, e davvero interessante.

Una buona lettura per gli amanti della fantascienza, con un occhio al distopico, in cerca di una grande avventura.

Se siete interessati, potete acquistare il libro direttamente al link qui sotto:

Il cielo nero

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Published on June 28, 2024 00:19

June 25, 2024

NUOVO TITOLO PER DOMINIONI EDITORE

Salve a tutti!

Oggi ho il piacere di presentarvi un nuovo titolo edito Dominioni, con il loro nuovo marchio Docu per i romanzi-inchiesta, che mi è stato gentilmente inviato dall’editore, che ringrazio moltissimo.

VOLEVO DIVENTARE GRANDE SUBITO – MARIO SCHIANI

A nove anni Ibu ha due sogni nel cassetto. Il primo: diventare una star della musica come il suo idolo, Takana Ja. E tra un dispetto e l’altro alla sorellina Fatu, si sta già impratichendo con il suo tamburo e insiste con mamma e papà a farsi iscrivere alla scuola di musica. Mamadou e Adama, i suoi genitori, sanno che Ibu non basta “saperlo prendere”; no, bisogna proprio dargliela vinta: in effetti, rispetto agli altri bambini della sua età, dire che Ibu è competitivo è riduttivo; gli piacciono sempre e solo le cose da grandi, come il caffè o i film d’azione di Van Damme.

Ecco, infatti, il suo secondo sogno: diventare un adulto, e il prima possibile.

Il destino lo accontenta in una mattina di luglio: mentre in lontananza si intravedono i fumi neri causati dalle esplosioni di una protesta politica, a casa di Ibu si abbatte una tragedia famigliare che cambierà per sempre il corso della sua vita.

Da quel momento, comincia per lui un’epopea verso l’età adulta. Un viaggio lungo dieci anni che, da Conakry, capitale della Guinea, lo porterà negli inferi del continente africano; tra i cercatori d’oro delle miniere; nel deserto dei trafficanti di uomini; sfruttato da un gruppo di gangster libici, per poi affrontare, infine, le acque del Mediterraneo.

Mario Schiani mette in fila le tappe di un viaggio epico; analizza e descrive il contesto storico-sociale in cui si svolgono i fatti, e colora il tutto con il racconto individuale di un bambino che, ironia della sorte, cresce troppo rapidamente ma senza accorgersene; perché se per così tanto tempo l’obiettivo di una vita è la sopravvivenza, non si può che raggiungere la maggiore età senza badare agli anni, ai giorni, ai compleanni.

Seguendo l’odissea di Ibu, e incontrando attraverso la sua esperienza una grande galleria di personaggi e situazioni, Volevo diventare grande subito si dimostra un particolarissimo romanzo di formazione e un ritratto vivido, brutale del fenomeno migratorio e dei nostri tempi.

BIO: Mario Schiani (Como, 1963) è giornalista professionista dal 1988. Il suo esordio nella narrativa risale al 2009 con La banda delle Quattro Strade (Salani), finalista al premio nazionale di letteratura per ragazzi “Il gigante delle Langhe”. Nel 2020 un secondo romanzo, Quel dolce nome (Giovane Holden Edizioni). Nel 2021, Il fucile dietro la schiena (Dominioni Editore), scritto con il fratello Paolo e incentrato sul dramma degli internati militari nella Seconda guerra mondiale.

Sarà una delle mie letture del prossimo mese, e non vedo l’ora di leggerlo e parlarne con voi.

Presto la recensione.

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Published on June 25, 2024 00:26