Rachele Riccetto's Blog

September 19, 2025

L’ISOLA DEI SENZA MEMORIA – OGAWA YŌKO

Voto: 8/10

Edito: Il Saggiatore

Un tempo non precisato, una piccola isola senza nome, una popolazione senza ricordi.
All’inizio la vita si muoveva nel più normale dei modi poi, all’improvviso, le cose hanno iniziato a scomparire, a perdere significato e a svanire dai ricordi.
E ogni scomparsa portava con sé il vuoto di quell’oggetto e il vuoto nelle menti e nei cuori degli abitanti dell’isola.
Ma alcuni non possono dimenticare, e i loro cuori sono pieni fino all’orlo, e per questo la Polizia Segreta dà loro la caccia.
La protagonista è una scrittrice che sta perdendo, giorno dopo giorno, delle piccole parti di sé, mentre tenta di aiutare il suo editore, che non può dimenticare.

E mentre la memoria si fa più labile ed evanescente, la realtà si fa sempre più pesante e nera.

Lo sappiamo bene che la memoria è essenziale per la vita: per non commettere sempre gli stessi errori, per guardare ad un futuro migliore, perché la storia è ciclica e possiamo imparare dal passato come muoverci verso il domani.
Perché ciò che siamo stati è fondamentale per la nostra umanità.
Ogawa tutto questo lo sa bene, e lo sa raccontare ancora meglio.

Avevo già sentito nominare l’autrice e diverse sue opere, ma questo è stato il mio primo vero approccio, e non posso che ritenermi davvero felice.
Mi è piaciuto moltissimo lo stile di Ogawa, così delicato ed etereo, quasi onirico, che sembra narrarci una fiaba terribilmente oscura, una poesia dai bordi taglienti.

Una storia che vuole parlarci dell’importanza della memoria, e di tutto ciò che ci rende umani, nel privato e nella comunità.
Una storia su ciò che perdiamo, e ciò che conserviamo, e su quanto sia importante scrivere per tramandare tutto ciò che rischiamo di perdere, o che vorrebbero strapparci via.

C’è un senso di oppressione costante e crescente in tutto il romanzo, che si avvicina di soppiatto e ci osserva dalle ombre, segue ogni nostra mossa e si nasconde dietro ogni parola.
Il buio del vuoto lasciato dai ricordi si fa sempre più incombente, e sappiamo sin da subito che non c’è scampo, ma anche un cuore svuotato può continuare a sperare.

Interessante il fatto che la protagonista sia una scrittrice, in grado di creare mondi e storie fantastiche dal nulla, mentre il suo mondo e la sua realtà stanno letteralmente scomparendo davanti ai suoi occhi.

Mescolati alle pagine della storia “principale”, ci sono dei capitoli dell’ultimo romanzo della protagonista, che narrano la storia di una donna che perde la propria voce e viene intrappolata da un uomo che credeva di amare, e il tutto si amalgama davvero benissimo, dando sempre più corpo e forza a questa realtà sempre più debole e lacerata.

Alla base di tutto, si tratta di un libro distopico, che parla di totalitarismi e autoritarismi e alienazione, legami e rimozioni.
Ma è soprattutto una storia di lotta e resistenza e identità, di ciò che rende una persona reale e vera.

Un’allegoria su una malattia che si porta via piano piano i pezzi che compongono una persona, fino a ridurla ad una mera voce senza corpo, fino a farla scomparire del tutto? Forse.
Un’allegoria sulla guerra che porta via ogni cosa? Forse.
Un’allegoria su ciò che succede alle persone private degli aspetti più basilari e scontati della realtà quotidiana? Forse.
Un libro sull’imparare ad accettare le cose per come sono, ad accettare la perdita come parte inevitabile? Forse.
Un libro che ho amato dall’inizio alla fine e al quale continuerò a pensare per parecchio tempo? Assolutamente sì.

Un libro tutto da interpretare, che non dà risposte precise e soluzioni chiare, che prende pieghe inaspettate e non tenta di risolvere i propri misteri.

So che molte persone vogliono almeno una risposta chiara e precisa alla fine di una storia, e spesso anche io sono così, ma quando si incontra un libro come questo, carico di un realismo magico e vibrante, coinvolgente ma mai troppo brutale, con un finale che ho trovato perfetto nella sua vacua bellezza, mi ritrovo a preferire questo nuovo spazio vuoto, da riempire con ricordi ed interpretazioni.

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L’isola dei senza memoria

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Published on September 19, 2025 00:41

September 5, 2025

AMICI DI UNA VITA – HISHAM MATAR

Voto: 9/10

Edito: Einaudi

Khaled è nato a Bengasi, dove è cresciuto abbracciato dalla sua famiglia e dalla consapevolezza di essere nel cuore della sua terra, della sua casa, con un’enorme passione per i libri e uno studio approfondito delle interiorità umane.
A diciott’anni vince una borsa di studio per l’università di Edimburgo e così parte, lascia la sua terra, e si trasferisce in un paese straniero, così lontano e così diverso, in cerca di qualcosa.
Quasi casualmente, convinto dall’amico Mustafa, il 17 aprile 1984 si ritrova a Londra, di fronte all’ambasciata libica, fra i protestanti radunati sul marciapiede.
Quei protestanti contro cui venne aperto il fuoco.

E quel momento, unito e mescolato alle sue più grandi amicizie, quella con Mustafa e quella con lo scrittore Hosam Zowa, insieme all’opposizione alla dittatura in Libia di Gheddafi, cambierà per sempre la sua vita.

Come sempre, ho iniziato questo libro senza neanche conoscerne l’argomento.
Come quasi mai, si è rivelata un’esperienza sconvolgente.

Un libro che parla con toni pacati di storie violente e silenzi nascosti, di nostalgia e rammarico, di decisioni prese e scelte subite, dei perenni mutamenti della vita e di quei piccoli dettagli che restano immutati per sempre.

Khaled è un giovane che ama la propria patria, la propria famiglia, le proprie radici e le tradizioni, e quando decide di trasferirsi ad Edimburgo per studiare letteratura non sa ancora che resterà lontano dalla sua terra per più di trent’anni.

La violenza della dittatura libica riuscirà ad inseguirlo fino a Londra, lo tallonerà lungo strade sconosciute e piccoli giardini, passerà lungo i cavi del telefono e fra l’inchiostro di lettere e cartoline, crescerà col fiato sul collo e l’istinto di guardarsi sempre le spalle.

Ma per fortuna troverà prima in Mustafa e poi in Hosam due fratelli esuli, così diversi e così uguali, come due parti della sua stessa anima, indispensabili per la propria completezza.
Nonostante le vite li conducano su sentieri diversi, un filo li unisce, li lega stretti, nonostante i chilometri a dividerli, nonostante gli ideali più o meno estremizzati, nonostante il desiderio di cambiamento e resistenza da raggiungere o meno attraverso la lotta armata.

La Libia, che non vediamo quasi mai davvero, perché tutta la storia ci viene raccontata in prima persona da un Khaled ormai adulto ed espatriato da decenni, e quindi possiamo osservarla soltanto nei ricordi suoi e dei suoi amici, nella nostalgia che lo attira costantemente, nelle voci dei genitori e della sorella che lo implorano di tornare, nei piatti che cucina e gli odori che si sprigionano nell’aria, è una presenza costante e calda, che riempie ogni pagina.
In contrapposizione, nonostante l’amore che Khaled prova per Londra, la città straniera che lo accoglie nel suo momento più fragile si muove insieme e intorno a lui, senza mai abbracciarlo davvero, quasi pronta a richiudersi immediatamente nello spazio appena lasciato vuoto dalla sua figura.

Interessantissimo il personaggio di Hosam, anche lui arrivato in Inghilterra ancora adolescente, autore di una prima raccolta di racconti appena ventenne, e poi scomparso nel nulla, inseguito dalla dittatura e dai suoi compatrioti innamorati delle sue parole.
La sua vita da esule è ben diversa da quella di Khaled, perché lo ha spinto al continuo mutamento, in tante diverse città europee, in tanti lavori diversi, senza più prendere una penna in mano, ma con il cuore sempre pesante.
E solamente quando, alla fine, farà ritorno in Libia per lottare contro la dittatura, e quando infine ci sarà la caduta di Gheddafi, riuscirà a trovare la sua pace e il desiderio di riprendere a scrivere, un ultimo viaggio e un nuovo tentativo di piantare radici.

Un libro sul significato di patria, di casa, di pace interiore e con il mondo che ci circonda, sulla diversità e l’uguaglianza; un romanzo politico e metaletterario, pieno zeppo di citazioni e di nomi e di titoli, di autori libici e palestinesi e un vero e proprio tour delle case di alcuni degli autori studiati all’università che hanno vissuto a Londra.

Un libro sull’importanza della letteratura e degli scrittori in tempo di pace e in tempo di guerra, su come gli ideali si trasmettano, le idee mutino forma e consistenza, i cuori siano sempre in grado di accogliere qualcuno che è rimasto lontano troppo a lungo.

Lo stile di Matar è pura poesia: lirico e delicato, sussurrato, come una tempesta di sabbia in una bottiglia, ci ronza nella mente e negli angoli più profondi dell’anima, ci lascia senza fiato.
Le sue frasi sono lunghe e ricche, strade tortuose dove le impronte si mescolano e la polvere si solleva e la ghiaia scricchiola, ma alla fine, quando tutto si fa quiete, ci accorgiamo di essere arrivati proprio lì, nell’unico punto possibile, alla meta imprescindibile, al finale migliore.

Una scrittura molto intelligente e molto emotiva, molto profonda e che scava a fondo, una voce assolutamente incredibile.

Nella vita bastano pochi buoni amici. E qualche buon libro scritto così, aggiungerei.

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Published on September 05, 2025 00:26

August 28, 2025

LUI CHE ANNEGÒ IL MONDO – SHELLEY PARKER-CHAN

Voto: 8/10

Edito: Mondadori

Zhu Yuanzhang, il Re Splendente.
Il suo obiettivo è sempre lo stesso: incoronarsi imperatore.
Zhu possiede il Mandato, ha al suo fianco sua moglie Ma e il fidato fratello Xu Da, un vecchio nemico così simile a lei da essere diventato un nuovo alleato indispensabile, e un esercito pronto ad eseguire ogni suo ordine.

Dalla Cina meridionale, strappata ai mongoli, Zhu deve sconfiggere una serie di nemici che la sfidano apertamente, ed alcuni più insidiosi che si nascondono e agiscono nel buio.

Tra fantasmi affamati di vendetta e cortigiane ambiziose, eredi imperiali e consiglieri, sete di vendetta e un destino già scritto al quale è impossibile sfuggire, la dinastia Ming sta per avere inizio.

Il ritorno di Shelley Parker-Chan (anche se tecnicamente pubblicato già nel 2023, Mondadori ha ben pensato di farci penare ed attendere due ulteriori anni) e Zhu, finalmente.

Devo ammettere di aver quasi completamente dimenticato il primo libro della dilogia, e l’idea di rileggerlo mi aveva attraversato la mente alla notizia dell’imminente pubblicazione di questo volume, ma poi ho deciso di lasciar perdere e affrontarlo così, con i pochi ricordi che ancora ne serbavo.

E quei pochi ricordi si sono rivelati uguali a molte delle nuove sensazioni: Parker-Chan riesce a caratterizzare in maniera fantastica i suoi personaggi; tutto ciò che riguarda credenze e destino nella cultura cinese è incredibilmente affascinante; l’aspetto fantasy è molto risicato ma pur sempre interessante; lo stile è intenso e coinvolgente.

Ma ho ritrovato anche lo stesso problemino che avevo riscontrato nel primo libro: nonostante succedano molte cose, ci siano grandi scontri e lotte e intrighi, il ritmo è, nella migliore delle ipotesi, altalenante.
Passando molto tempo a concentrarsi sui personaggi e sui loro desideri e grandi sogni di potere, la storia tende un po’ ad impantanarsi (e anche piuttosto spesso), un po’ come se cercassimo di correre in un acquitrino ma il terreno molle e gonfio d’acqua ci risucchiasse lentamente verso il basso.
Quando incontriamo un punto più solido e asciutto riusciamo a correre e la sensazione è meravigliosa, ma purtroppo la fatica nella sua totalità è parecchia.

Dato che Parker-Chan ha costruito questa storia come un retelling della nascita della dinastia Ming, sapevamo già dall’inizio come sarebbe andata a finire, quindi non c’è stato nessun tipo di sorpresa da quel punto di vista; sono i personaggi secondari, invece, che hanno grandi desideri e sono pronti a qualunque cosa per raggiungerli.
Il generale Ouyang e la sua vendetta, Wang Baoxiang e le sue segrete macchinazioni, madama Zhang e gli uomini che decide di mettere al potere, Ma e Xu Da e la loro fede incrollabile in Zhu; la voce narrante salta spesso da un personaggio all’altro, permettendoci di conoscere ciò che vive nei loro cuori.

Purtroppo, per quanto Zhu sia un personaggio complesso e moralmente ambiguo, che sa di poter fare e rinunciare a qualunque cosa pur di raggiungere il destino che ha scelto per sé, ho trovato i personaggi cattivi semplicemente “cattivi”, con grandi abissi neri nell’animo e poco altro (fatta eccezione forse per Wang Baoxiang che alla fine mostra l’accenno di uno spiraglio di luce, ma troppo tardi).
Anche Ouyang, che sotto molti aspetti è simile a Zhu e quindi ci viene naturale fare un po’ il tifo per lui, in realtà non mostra mai nulla che non sia disprezzo per tutto e tutti, perdendo così la possibilità di una caratterizzazione a tutto tondo.
La fine peggiore, comunque, è sicuramente quella di madama Zhang: io capisco che queste cose accadono davvero nella vita di tutti i giorni, ma in un momento tanto importante come il finale del libro mi è sembrato un pessimo espediente narrativo per giungere all’ultima scena.

La scrittura di Parker-Chan era ed è ancora il punto forte del romanzo, con la sua intensità e la sua capacità di scavare a fondo nei personaggi, trascinandoci nel buio di atroci sofferenze (e poco altro, questa volta, vista la quasi totale mancanza di gioia).

Una storia che parla, sì, di grandi battaglie, ma soprattutto dell’accettazione di sé, del superamento dei propri limiti, di quanto sia importante seguire i propri sogni e non arrendersi di fronte alle difficoltà, a chi dice di no, a chi non crede sia possibile perché è qualcosa che non è mai stato fatto prima.

Un libro sulla rinascita che affrontiamo ogni volta che scopriamo qualcosa di nuovo di noi, sul fatto che l’essere umano è in costante cambiamento e non un’entità immota e immutabile, e sugli effetti devastanti che può avere l’odio riversato sugli individui da parte della società.

Un romanzo molto oscuro, molto più oscuro del precedente, ma che sicuramente può essere apprezzato da chi ha amato il primo volume. L’attesa ne è valsa la pena.

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Lui che annegò il mondo (ita)

He who drowned the world (eng)

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Published on August 28, 2025 23:52

August 22, 2025

STRANI DISEGNI – UKETSU

Voto: 5/10

Edito: Einaudi

Strani disegni per risolvere una serie di omicidi.

Una bambina che uccide la propria madre, due omicidi identici a distanza di tre anni su di una montagna, una giovane donna che muore di parto, due suicidi.

Dalla scoperta di uno strano blog con dei messaggi nascosti, le indagini si diramano in diverse direzioni, ma alla fine puntano sempre dalla stessa parte.

Definire questo libro “una poracciata” equivarrebbe a fargli un enorme complimento.

Ha venduto così tante copie da essere quasi ridicolo, eppure è uno dei libri peggiori che io abbia letto quest’anno.

Non solo la storia non ha senso: per interpretare tutti gli “strani disegni” che servono a risolvere i vari misteri, i personaggi devono fare dei voli pindarici così assurdi che soltanto in un libro brutto possono essere accettati.

Le azioni compiute dai personaggi non hanno alcun senso (una donna che scopre che qualcuno sta cercando di ucciderla e invece di denunciare il tutto alla polizia, o almeno al marito, decide di lasciare dei disegni idioti con un messaggio nascosto…ok; un ragazzo scopre in maniera illogica come è stato compiuto un omicidio e, trovandosi nella stessa situazione, lascia come messaggio in codice lo stesso disegno idiota e senza senso lasciato dalla prima vittima…ok; una donna uccide la nuora perché ha letteralmente sognato di essere la madre del bambino che la giovane porta in grembo…ok).

I personaggi sono completamente vuoti: gusci con una sola idea in testa, che si muovono meccanicamente lungo il percorso tracciato per loro dall’autore, senza mostrare un minimo cenno di carattere o umanità, piatti e noiosi, senza voce e senza ragione.

Non conosciamo il mondo interiore dei personaggi, che viene appena abbozzato per giustificare la serie di azioni riportate in sequenza che costituisce il corpo del libro, senza cuore e senza un vero mistero.

Non solo la storia è brutta e senza senso, la scrittura è anche peggio: piatta e didascalica, ci racconta ogni minima azione compiuta dai personaggi e ci spiega ogni minimo dettaglio come fossimo degli idioti, ci trascina in una storia stupida infantilizzando il lettore per permetterci di “seguire la logica” della storia.

Ad onor del vero, devo ammettere che il libro ha un punto positivo: si legge davvero molto velocemente, ma direi che più che altro è “merito” della prosa scarna e della completa mancanza di coinvolgimento emotivo ed intellettuale causati nel lettore, che quindi può volare rapidamente fino alla fine per farlo terminare il più rapidamente possibile.

Brutto, ma brutto come non ne leggevo da un po’.

Mettiamola così: se avessi scritto questo libro, anche io andrei in giro con una maschera per nascondere la mia identità.

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Strani disegni

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Published on August 22, 2025 00:01

August 15, 2025

ESTRANEI – TAICHI YAMADA

Voto: 7/10

Edito: Nord

Harada Hideo ha quasi cinquant’anni, ha da poco divorziato da sua moglie, non ha un buon rapporto con suo figlio, si è trasferito in un piccolo appartamento in un palazzo di uffici che di notte resta praticamente vuoto, e passa la maggior parte del suo tempo da solo, a lavorare ai suoi copioni per la televisione.
La sua vita sembra più vuota e silenziosa che mai, mentre il mondo continua a muoversi intorno a lui.
Il giorno del suo quarantottesimo compleanno decide di tornare a visitare Asakusa, il quartiere della sua infanzia, dove ha perso entrambi i genitori all’età di dodici anni.
Ed è proprio lì che incontra prima un uomo che assomiglia in maniera incredibile al suo defunto padre, quindi la moglie dell’uomo, anche lei identica alla madre scomparsa.

Quella stessa sera, tornato a casa, una sconosciuta bussa alla sua porta, in cerca di compagnia, di umanità, e la vita prende una piega inaspettata.

Arrivo tardissimo alla lettura di questo romanzo perché non avevo la più pallida idea che il film “All of us strangers” fosse tratto da un libro, ma alla fine eccomi qua.

In generale sono felice di aver visto il film prima di aver letto il libro, perché riesce a “sorprendere” lo spettatore con il suo colpo di scena più di quanto il libro possa fare con il lettore.
Avendo amato molto il film, non potevo non recuperare anche l’opera originale.

E devo dire che è stata una buona idea.

Harada è un personaggio abbastanza interessante: un uomo che ha quasi raggiunto i cinquant’anni e sembra essere rimasto da solo.
Vive e lavora in un piccolo appartamento, parla con poche persone, prova un profondo senso di abbandono: prima i suoi genitori morti in un incidente quando era ancora un bambino, quindi il divorzio dalla moglie e il rapporto teso con il figlio, quindi il distacco da uno stimato collega che ha deciso di iniziare una relazione con la sua ex moglie.

Il mondo sembra continuare a muoversi intorno a lui, mentre Harada resta immobile al centro, incollato alla sua vita immota.

L’improvviso incontro con due persone che assomigliano incredibilmente ai suoi genitori, quindi con una vicina di casa, lo trascinerà in un’estate dalle tinte sovrannaturali.

Questo è un romanzo sulla solitudine, prima di tutto; Harada cerca dentro di sé e nel proprio passato un collegamento con qualcosa che è andato perduto, e che possa aiutarlo a ricollegarsi al distacco che sente dalla propria vita.

Lo stile di Taichi è asciutto e concentrato sul mondo interiore di Harada, di cui possiamo seguire attentamente sentimenti e pensieri.

Ma è anche un romanzo su quell’amore puro e incontaminato che può salvarci letteralmente da qualunque cosa, anche se è un amore scomparso da anni, ma mai davvero perduto.

Con una prosa minimalista ed estremamente giapponese, ci sembra di ascoltare le voci dei personaggi che ci giungono ovattate, dall’altro lato dello shoji.

Quando però la porta viene aperta, scopriamo che si trattava soltanto di un gioco di ombre, ma senza davvero quel senso di sorpresa che speravo di trovarci.

Forse perché avevo già visto il film?
Forse perché ovviamente tutta la parte sui genitori non poteva risolversi in maniera diversa?
Sicuramente il rapporto con Kei riesce a colpire il lettore che non conosce la storia, anche se ho trovato la parte riguardante le motivazioni della donna a dir poco “brutta”.
(Non voglio fare spoiler particolari per chi non ha ancora né letto il libro né visto il film ma, insomma, tutto questo astio perché un uomo rifiuta la compagnia di una sconosciuta? Stiamo calmi.)

Comunque, in generale, è un romanzo che mi è piaciuto parecchio, soprattutto per le atmosfere e questo senso di irrealtà mistica e onirica che si mescola alla solitudine del protagonista, come scie di diversi colori.

Però ho apprezzato di più il film.

Principalmente perché è molto gay, poi per la presenza di Andrew Scott, e infine perché credo riesca molto meglio a trasmettere il colpo di scena finale.
(E nessuno vuole trascinare nessun altro all’inferno, che è una cosa sempre molto positiva.)

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Estranei

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Published on August 15, 2025 02:34

August 7, 2025

ATTIMI DI NON TRASCURABILE NOSTALGIA – PASQUALE LISTONE

Edito: New Book Edizioni

Un sentito ringraziamento a Pasquale per avermi inviato una copia del suo libro!

Una piccola raccolta di racconti brevi per ripensare a tanti piccoli dettagli andati perduti.

Quindici racconti (o forse sedici) per assaporare quella sensazione che conosciamo bene tutti: quel sapore dolce e amaro di una cosa perduta ma mai dimenticata, dell’ultima volta che abbiamo fatto qualcosa, dell’ultimo incontro con qualcuno, l’ultima volta che abbiamo sentito una voce cara.

Brevi racconti carichi di attimi di non trascurabile nostalgia, pregni di un sentimento leggero ma incancellabile.

Due nonni che attendono il ritorno del nipote, il saluto definitivo ad un amico a quattro zampe, lo sguardo di una madre che si perde, la vita che separa un gruppo di amici; è capitato a tutti di guardarsi alle spalle e riconoscere un vuoto, un nuovo vuoto che silenziosamente e quasi senza che ce ne accorgessimo ha preso il posto di qualcosa che prima sembrava insostituibile.

O almeno a me è capitato molte volte, è un sentimento che ho incontrato spesso nella vita.
Un sentimento universale, ma quanto mai personale.

La fine di un lavoro, un film in famiglia, una malattia improvvisa, una dipendenza distruttrice.

Quelle di Listone non sono grandi storie, grandi trame, grandi invenzioni.
Tra queste pagine non vivono grandi personaggi, approfonditi e caratterizzati.

Ogni piccolo racconto gira intorno ad un piccolo dettaglio, che ne diventa parte fondamentale, per ricordarci che le cose possono cambiare in un attimo, e come spesso ce ne accorgiamo troppo tardi.
Non sempre questo è un male, ma a volte si lasciano dietro uno strascico di dolore latente.

Con uno stile semplice e diretto, moderno ed essenziale, Listone ci accompagna tra i nostri ricordi, tra quelle onde di nostalgia che risuonano in fondo ad ogni cuore.

La sua piccola raccolta di racconti non punta a qualcosa di nuovo ed innovativo, ma ad un sentimento antico e indelebile.

Pagine che scorrono velocemente sotto ai nostri occhi, e ci lasciano un retrogusto amaro ma piacevole, e ci ricordano di vivere pienamente ogni momento.

Ho detto che forse i racconti sono sedici perché proprio alla fine, per noi, l’autore ha lasciato delle pagine bianche su cui poter scrivere un nostro piccolo attimo, nostalgico e non trascurabile.
Un’idea carina per chiudere la raccolta.

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Attimi di non trascurabile nostalgia

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Published on August 07, 2025 23:54

August 1, 2025

L’ALTRA DONNA – DORIS LESSING

Voto: 7/10

Edito: Feltrinelli

Londra della Seconda Guerra Mondiale.
Questa prima novella si apre con una scena terribile: la madre di Rose sta attraversando la strada per andare a fare la spesa quando viene investita e uccisa.
Mancano pochi giorni al matrimonio di Rose con George ma, data la tragedia appena avvenuta, Rose decide di annullare il matrimonio e rimanere a casa del padre, per prendersi cura di lui.
La guerra continua a portare distruzione in giro per l’Europa, ma Rose cerca di portare avanti una vita il più tranquilla possibile, lavorando e prendendosi cura della casa.
Finché un giorno non trova la via in cui abita completamente distrutta dalle bombe e si ritrova improvvisamente sola.
Sarà così che incontrerà Jimmie e, proprio attraverso il rapporto che stringerà con lui, riuscirà ad iniziare una nuova vita.

Una storia pubblicata nel 1953, estremamente moderna per il suo tempo, e che mostra già tutti i segni della grandezza di Lessing e della sua profonda intelligenza emotiva, pur essendo una delle sue prime opere.
Il personaggio di Rose assomiglia ad altre donne che abbiamo già incontrato nelle pagine di Lessing, ma nonostante questo ha una sua forza particolare: prima rinuncia al matrimonio per rimanere nella sicurezza della sua casa; quando perde il padre, continua a vivere per settimane nel piccolo appartamento interrato e distrutto, chiusa nel proprio bozzolo; quando si trasferisce nella nuova casa con Jimmie, per la prima volta si ritrova ad osservare la città dall’alto, ma la sua continua ad essere una vita chiusa e sotterranea, essendo costretta involontariamente nel ruolo de “l’altra donna”; per due anni sopporta il comportamento indeciso (o meglio “doppiogiochista”) di Jimmie, ma lei sa cosa vuole e sa come ottenerlo, ed il finale è una rappresentazione perfetta della donna che può farcela.

Non è una novella perfetta, ci sono molte ripetizioni e accorciando un po’ la parte centrale sarebbe potuto diventare un racconto più d’impatto, ma chi sono io? Ha ragione Doris, sempre.

Ha ragione perché la storia parte con forza, sembra ristagnare in una nuova pace ritrovata che trema ad ogni nuova bomba, e vacilla, e tentenna; e alla fine, una nuova alba illumina la scena, in un crescendo senza strappi, ma con la saggezza della maturità.

Ha ragione perché nel 1953 Doris sapeva già parlare di femminismo e indipendenza, di forza di volontà e forza d’animo, di famiglia di elezione e capacità di affrontare i cambiamenti.

Con la sua prosa così densa e in grado di scavare in profondità, arricchita da bellissime immagini poetiche che danno spessore ad un racconto già carico di significati, Lessing già metteva in mostra il suo incontenibile talento.

Il secondo racconto si intitola “Il quadro” e ritroviamo subito ambientazione e temi molto cari a Lessing: una giovane coppia sposata si trasferisce in Sudafrica per lavoro e si scontra con un mondo completamente diverso.
L’uomo bianco crede di poter risolvere tutti i problemi che incontra, la maggior parte dei quali è stato lui stesso a creare, ma c’è un muro troppo alto da superare.

Le città polverose del Sudafrica, il veld, lo sfruttamento della servitù e l’ingenuità dei nuovi arrivati che va a cozzare con l’ostilità bigotta e l’ottusa perfidia di chi vive in quelle terre da tempo.

Doris torna e ritorna su questi temi, con una profondità ed un’intensità disarmanti, raccontando con onestà a tratti crudele una vita che conosceva fin troppo bene.

Grande portavoce della lotta alla disuguaglianza sociale, Lessing ci mostra vari aspetti di una vita così diversa dalla nostra: chi sogna in grande e chi si accontenta di poco, chi non si accontenta mai e chi non sa neanche che cosa chiedere alla vita.

L’ingenuità della protagonista è il ritratto chiaro del “white savior” che combatte con i propri sensi di colpa, ma finisce per arrendersi contro una marea che non può fermare.

Altro racconto particolarmente denso, intenso, che ci trasmette tutto il caldo soffocante racchiuso nelle sue pagine, e l’impossibilità di arginare il mare con uno scoglio.

Terzo e ultimo racconto della raccolta, “Eldorado”, con una nuova giovane coppia con figlio al seguito che si trasferisce in Sudafrica dall’Inghilterra per gestire una fattoria e vivere dei frutti della terra.
Ma la terra è insidiosa, così come l’uomo che la calpesta: quelle sono terre ricche, di un materiale prezioso che può far ammalare un uomo di una strana febbre.
E così Alec, da improvvisato agricoltore, si trasforma in un improvvisato cercatore d’oro, al lavoro tutto il giorno con una bacchetta da rabdomante in cerca di ricchezze nascoste.
Sua moglie Maggie lo osserva con sguardo sempre più preoccupato, relegata in un angolo dalla nuova visione del marito.
Il piccolo Paul, intanto, cresce, diviso fra i sogni del padre e la razionalità della madre, e il desiderio di essere una persona a sé stante, in grado di dimostrare il proprio valore e il proprio io.

Rispetto ai due racconti precedente, Lessing focalizza un po’ meno lo sguardo sulla donna protagonista, ma allarga la visuale per abbracciare tutti i presenti, una famiglia sradicata che non ha un buon terreno sul quale piantare radici e crescere sana.

La figura della donna resta comunque un punto centrale, nei panni della madre che sogna per il figlio un futuro migliore del proprio presente e della moglie che viene schiacciata dai sogni quasi allucinatori di un marito perso nella polvere d’oro.

Lo stile è sempre scorrevole e intenso, anche se forse un po’ più asciutto e meno poetico del solito.

Lessing ci parla di nuovo di molti argomenti diversi: del ruolo della donna nella famiglia, della distruzione di una persona che cerca la ricchezza “nella fortuna”, dello sviluppo di un bambino e del suo diventare un uomo in circostanze complicate, di famiglie che si sgretolano e persone che neanche se ne accorgono.

Ovviamente fanno sempre da sfondo un po’ di quel razzismo tipico di quegli anni (e di questi racconti), quel senso di vuota superiorità dell’uomo bianco che vuole conquistare natura e civiltà, e della natura che un po’ si ribella.

Un buon racconto, ma forse quello che mi ha convinto meno dei tre, ma io con Doris non sono mai imparziale.

Una piccola raccolta, formata da tre piccoli racconti, dove la donna risulta sempre sé stessa e altra da sé, centrale e secondaria.

Questi tre racconti fanno parte dell’inizio dell’opera di Lessing, e si sente un’imprecisione, quasi una titubanza, che assolutamente manca nelle opere successive.
Ma nonostante questo, già fra queste righe è evidente il talento dell’autrice, che con tono asciutto ma a tratti poetico sa dipingere quadri di peculiare accuratezza, di atroce bellezza, di solitudine e vuoto e pena.

La donna “relegata” al ruolo di amante, a compagna dell’uomo conquistatore, a mera spettatrice del disfacimento della propria famiglia; la donna come sguardo critico e punto di riferimento.

Anche l’Africa ha di nuovo un ruolo fondamentale nelle storie, come in altre raccolte e in altri romanzi, con la potenza della sua natura e l’indomabilità del suo popolo.

Racconti sicuramente molto più incisivi nel periodo in cui sono stati scritti, perché oggi possono sembrare quadretti sbiaditi dal tempo, di rapporti poco sani e donne che sanno lottare per la propria vita, senza nulla di davvero innovativo; ma settant’anni fa avrebbero avuto un impatto molto diverso.
Ancora oggi, comunque, è possibile apprezzarne lo stile e l’arguzia, l’incisività e lo studio dei tratti psicologici dei personaggi, così ben tratteggiati anche in brevi racconti.

Io sono di parte, Doris ha e avrà per sempre un posticino speciale nel mio cuore, e per quanto questa non sia stata una lettura perfetta (e sia durata quasi un anno), posso dire di averla apprezzata molto, nella sua completezza.
Grazie Doris, a presto.

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L’altra donna

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Published on August 01, 2025 00:39

July 25, 2025

IL DOLCE DOMANI – RUSSELL BANKS

Voto: 8/10

Edito: Einaudi

Un giorno come tanti altri, che cambierà per sempre le vite di tutti gli abitanti di una piccola città.
Dolores, come tutte le mattine degli ultimi vent’anni, sta guidando l’autobus con il quale accompagna a scuola i ragazzini della città di Sam Dent.
Una giornata nuvolosa e che promette neve, la stessa strada che percorre tutti i giorni, le stesse facce e gli stessi sorrisi.
Finché l’autobus non esce di strada e precipita in una cava abbandonata e piena d’acqua.

Questa è la storia di ciò che rimane.

Non c’è niente di dolce nel domani che ci racconta Banks: quattordici bambini morti, una ragazzina costretta sulla sedia a rotelle, vite distrutte per sempre.

Ciò che rimane, in una città sperduta fra i monti e i suoi boschi, con la neve a ricoprire ogni cosa, è un silenzio che spezza il respiro.

La storia ci viene raccontata attraverso quattro punti di vista: quello di Dolores, che quella mattina guidava l’autobus; quello di Billy Ansel, padre di due dei bambini che rimangono uccisi nell’incidente, che guidava il pick-up dietro lo scuolabus e ha osservato la tragedia che in un attimo si è svolta di fronte ai suoi occhi; quello di Mitchell Stephens, avvocato di New York che vuole aiutare i genitori coinvolti ad ottenere un risarcimento; e quello di Nicole, la quattordicenne dal futuro radioso e la spina dorsale spezzata.
Quattro voci diverse, quattro modi diversi di affrontare il lutto e la sofferenza, quattro modi diversi di osservare le persone, quattro vite accomunate dalla perdita.

Con uno stile denso e pagine fitte di parole, Banks ci racconta una storia stagnante, che ci fa precipitare nell’acqua gelata e ci blocca fra spessi cumuli di neve e ci sotterra sotto un cielo senza stelle; il tempo a Sam Dent si è bloccato nel momento della tragedia, come l’autobus affondato nell’acqua, come Nicole sulla sua sedia, come Mitchell e la perdita di una figlia ancora in vita ma già smarrita, come Bill e la cupa presenza della morte, tenuta a bada con l’alcol.

Raccontando un terribile incidente nella piccola America provinciale, Banks mostra un futuro che sfuma e svanisce, una comunità che perde sogni e realtà.

Appartiene a Nicole la voce più cruda, quella che metterà il punto decisivo alla situazione: nonostante il (o proprio grazie al) terribile segreto che si porta dentro, il suo dolore le permette di liberarsi almeno in parte di un peso e “aiutare” la città verso un futuro lontano dai tribunali; attraverso la sua sofferenza, Banks ci mostra come a volte sia accettabile mentire per un bene superiore (messaggio discutibile, reso migliore dall’aspetto “vendicativo”).

Appartiene a Bill la voce più lucida, nonostante l’alcol e il rombo assordante della sofferenza che risuona sotto ogni sua parola.

Mitchell, pieno di rabbia e senso di giustizia, ci mostra la parte legale e “razionale” della situazione, ma è mosso da un senso di impotenza che lo spinge a fuggire e a tornare sempre allo stesso punto.

Dolores e il senso di colpa, con una voce carica di pietas e la forza per guardare avanti.

Un romanzo sulla perdita e sul lutto, sulla vicinanza e i silenzi, sulle sofferenze reali e le presunte verità; una lettura intensa ed emotivamente coinvolgente; una storia che trova uno spiraglio finale di luce nell’oscurità di un enorme dolore, ma forse tenta di chiudere la storia con una speranza feel-good troppo romanzesca e poco realistica.

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Il dolce domani

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Published on July 25, 2025 00:40

July 18, 2025

UNA PICCOLA GOCCIA D’INCHIOSTRO – VINCENZO PATANÈ

Edito: Il Ramo e La Foglia

Un enorme ringraziamento a Il Ramo e La Foglia (e a Giuliano) per la copia di questo libro!

Dopo la scomparsa della madre, Vincenzo Patanè è entrato in possesso di 66 lettere, contenute in una scatola e tenute nascoste fino a quel momento.
Si trattava della metà dello scambio epistolare avvenuto dal 1953 al 1965 tra sua madre Rosa e uno dei suoi fratelli, Elvio.
Grazie al contenuto di quelle lettere, e alla conoscenza personale di suo zio, Patanè è riuscito a ricostruire e romanzare la vita di una persona tanto fragile quanto combattiva, decisa a vivere la vita secondo i propri bisogni, senza rinunciare alla propria felicità.

Nato a Napoli all’inizio del secolo scorso, Elvio si dimostra sin da subito un bambino particolarmente sensibile e intelligente, portato per l’arte e poco dedito alla vita sociale (anche e soprattutto a causa di un difetto fisico).
Elvio capisce subito che in lui c’è qualcosa di “diverso”, che lo separa dal fratello e dal padre, e dal resto della sua famiglia: un’attrazione “sconveniente” per lo stesso sesso, un senso di diversità difficile da spigare e a tratti anche da capire.
Quando scopre la storia di Christine Jorgensen e del suo percorso medico a Copenaghen, tenta di percorrere la stessa strada, senza raggiungere i risultati agognati.
Di nuovo a Napoli, grazie ad una serie di nuove amicizie attraverso le quali può esprimersi liberamente, ad un amore “sbagliato” che gli insegna una serie di lezioni dure ma gli permette anche di scoprire il proprio piacere, e un amore nuovo e puro che gli mostra quanto la vita possa essere piena di dolcezza, Elvio imparerà tutto ciò che deve sapere su sé stesso, su chi lo circonda e su ciò che la vita ha in serbo per lui.

Scambio epistolare trasmutato in romanzo denso e coinvolgente, questo di Patanè.

Con una scrittura particolarmente ricercata (che credo si basi sul linguaggio originale delle lettere scritte ormai più di cinquant’anni fa), un registro linguistico (quasi completamente) formale e uno stile elevato ma pur carico di emozioni, la storia di Elvio si dipana di fronte ai nostri occhi, mostrandoci una Napoli e un’Italia lontani nel tempo, ma per certi aspetti ancora troppo vicini.

Elvio era una persona complessa, pronta a tutto per ottenere un’opportunità di essere felice.
Pur non avendo ancora il lessico adeguato per descrivere la propria situazione e i propri sentimenti (tanti sono i termini e le espressioni che ci fanno un po’ storcere il naso, ma si tratta proprio del linguaggio antiquato adeguato al momento storico in cui il romanzo ha luogo), Elvio cerca di comprendersi fino in fondo, di conoscersi davvero, senza mai adeguarsi o accontentarsi di una vita a metà.

Un’anima artistica e poetica, da musicista e pittore, che tentava attraverso l’arte di far affiorare tutto ciò che la parola non avrebbe potuto.

Osserviamo l’Italietta bigotta e ipocrita che schernisce ciò che è “diverso” e che “non capisce”, che punta il dito e chiude il pugno; ma Patanè ci mostra anche un lato più dolce e amorevole, comunitario, di una collettività unita e mai sconfitta.

Una lettura davvero appassionante e coinvolgente, un ritratto dalle tinte forti e sgargianti, che mostra con orgoglio i propri colori e non ha paura di lottare per sé.

Partendo da una “piccola” vita (che piccola, poi, non è stata assolutamente), da uno zio allontanato dalla propria famiglia e mai davvero “perdonato” per aver osato essere sé stesso, Patanè ci racconta chi siamo, chi siamo sempre stati, e cosa ancora potremmo essere.

Forte e delicato, lirico e incisivo, un romanzo che, parlando di ieri, è una finestra aperta su un domani carico di amore e speranza.

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Una piccola goccia d’inchiostro

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Published on July 18, 2025 00:09

July 11, 2025

CONVALESCENZA – HAN KANG

Voto: 8/10

Edito: Adelphi

Due brevi racconti, che si leggono in un attimo, in un respiro, e si annidano dentro di noi per la loro stranezza e per i pensieri che suscitano.

Una donna, dopo la morte della sorella, riflette sui motivi che hanno portato al distacco fra le due, sul perché l’altra, più bella e dotata, si sentisse inferiore a lei e l’avesse improvvisamente allontanata; una donna, stanca di una vita sempre uguale rinchiusa in un piccolo appartamento, abbandona le spoglie umane e si trasforma in una pianta.

Molti temi verranno poi ripresi ne “La vegetariana”, soprattutto quelli del secondo racconto, che però in questo caso si concentra più sulla volontà della protagonista di non essere percepita da ciò che la circonda ma di riuscire a liberarsi di tutto ciò che le grava addosso “per poter vivere solo di vento, sole e acqua” (grande sogno condivisibile).
Anche il marito, in questo caso, è una figura diversa dal romanzo più celebre, è più umano e più comprensivo, ma mai abbastanza; pur non considerando sempre la moglie come un essere umano completo e a sé stante, osserva con preoccupazione la sua trasformazione e finisce per accettare questa nuova situazione che si è venuta a creare, assolutamente incapace di aiutare la donna, o anche solo di comprenderla davvero.

Pur nella sua brevità, forse questo secondo racconto ha tratti più incisivi e taglienti del romanzo, mostra con precisione e accuratezza (nonostante e attraverso la sua stranezza) i pensieri e i sentimenti della protagonista, il suo sentirsi ingabbiata e schiacciata, una depressione ben riconoscibile che mostra i propri segni sul corpo della donna.

Nel primo racconto, invece, è partendo dal dolore fisico ad una caviglia che la donna ragiona sul rapporto con la sorella morta, sul distacco, sulla perdita, su ciò che le univa e ciò che le aveva improvvisamente separate.
Scritto in seconda persona singolare, riesce non solo a farci immergere nella storia, come se camminassimo ad appena un passo dalla donna, osservando i suoi movimenti e le sue espressioni da una distanza ridottissima, ma anche a toccare quel tasto dentro di noi che modera i nostri rapporti interpersonali, facendoci riflettere su ciò che regola gran parte delle nostre vite famigliari.

La sofferenza fisica, quindi, si fa specchio ed amplificatore di una sofferenza psichica ed emotiva, come solo Kang è in grado di fare.

Con il suo tono sempre asciutto e deciso, ci ricorda che il problema non è nei dettagli ma negli aspetti più totalizzanti della vita, che il corpo reagisce ai dolori interni ed esterni come meglio può, e sta a noi trovare collegamenti e soluzioni.

La vita alienante che troppo spesso affrontiamo in maniera automatizzata non può non avere delle conseguenze sul nostro corpo e la nostra mente.
In una società indifferente e anestetizzata, un grido d’aiuto non ascoltato può portare al distaccamento più totale e definitivo.

Due racconti brevi carichi di dolore e alienazione, di vite troppo diverse da ciò che ci si aspetterebbe, di solitudini imprigionanti.

Kang è sempre Kang, con il suo occhio attento in grado di portare alla luce tutti i dettagli più taglienti e dolorosi, e la sua sensibilità piena di umanità e compassione.


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Published on July 11, 2025 00:24