Rachele Riccetto's Blog, page 4
March 22, 2025
UNA STORIA CHE CONSOLA – SUSANNA TRIPPA

Edito: LFA Publisher
Un enorme ringraziamento a Susanna per avermi inviato una copia del suo libro!
Durante il lockdown imposto dalla diffusione del covid, Trippa ha ritrovato, un po’ per caso e un po’ per destino, un pacchettino di lettere e cartoline, fogli e fotografie, tenuti insieme da un nastro, consumati dal tempo, ma ancora carichi di un’energia vitale.
Ed è così che si è ritrovata a fare un tuffo nel passato, sfogliando lo scambio epistolare dei suoi genitori, Fedora e Dino, durato per i sei anni del loro fidanzamento, in uno dei momenti più bui della storia italiana, gli anni ’30 del secolo scorso.
Ci sembra un po’ di sbirciare dal buco della serratura e un po’ di vestire i panni di confidente, mentre leggiamo le lettere che i due giovani innamorati si sono scambiati per così tanti anni e, attraverso i loro occhi e le riflessioni a posteriori di Trippa, possiamo osservare un’Italia ormai così lontana da noi, ma che sotto molti aspetti non è poi cambiata tanto.
Conosciamo Fedora, il suo attaccamento alla famiglia, la vita difficile che ha dovuto affrontare con la madre e le sorelle dopo la prematura scomparsa del padre, il porto sicuro che sentiva di aver trovato in Dino e l’amore che aveva capito presto di provare per quel ragazzo; conosciamo Dino, ancora giovane e già con un buon occhio per gli affari, anche lui affezionato alla propria famiglia, e completamente innamorato.
Seguendo le loro vicende, ascoltando le loro voci e, in alcuni casi, grazie alla possibilità che Trippa ci regala di vedere le lettere stesse che si scambiavano o alcune fotografie dell’epoca, riusciamo ad avvicinarci nello spazio e nel tempo a quella coppia, e ai loro sogni che sbocciavano nonostante tutte le avversità personali o mondiali.
Nelle brevi pause tra una lettera ed un’altra, tra una parola dolce e un piccolo litigio, tipico di tutti i rapporti umani, Trippa ricostruisce per noi anche la situazione politica e sociale di Bologna e dell’Italia in quegli anni, con una guerra all’inizio lontana da casa ma che poi, come ben sappiamo, non ha risparmiato anche il suolo della nazione.
Con uno stile ricercato e al tempo stesso mai troppo pesante, Trippa instaura un dialogo col lettore, approfondendo i propri pensieri e sentimenti con una serie di domande ed affermazioni, che si leggono quasi come un diario personale, ma che ci ritroviamo a porre a noi stessi.
Non posso dire di essere d’accordo con tutte le affermazioni che l’autrice si ritrova a fare fra le sue pagine, ma questo credo possa essere affermato per quasi qualunque libro (o scambio di idee fra due persone), quindi non mi soffermerò troppo su quei punti, anche perché il punto centrale della storia erano e restano Fedora e Dino, i due giovani innamorati che hanno lottato per restare insieme, si sono scelti e si sono aiutati, protetti a vicenda, e la cui storia, dopo quasi un secolo, riesce ancora a trasmettere amore e consolazione.
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March 15, 2025
NIENTE – JANNE TELLER

Voto: 9/10
Edito: Feltrinelli
Qual è il senso della vita?
C’è un senso nelle azioni che compiamo?
Verso cosa ci muoviamo?
Cosa ci spinge?
Cosa ci attira?
Pierre Anthon ha tredici anni ma ha deciso: la vita non ha senso.
Nasciamo per morire, tutte le cose che facciamo servono solo a raggiungere il momento in cui non faremo più niente, quindi tanto vale non fare niente sin da subito.
Così ha lasciato la scuola, è salito su un albero di susine e da lì ha iniziato a gridare la sua verità.
I suoi compagni di classe, però, non sono d’accordo, e non riuscendo a convincerlo dell’erroneità della sua teoria, o per paura di ammetterne la veridicità, decidono di ammucchiare una “catasta del significato”, partendo da una serie di piccoli oggetti importanti per il proprietario, ma sfociando ben presto in qualcosa di molto più oscuro.
Che cos’è l’innocenza?
Che cos’è l’età dell’innocenza?
Quando smettiamo di essere innocenti per trasformarci in esseri brutali e perversi?
Un libro che si legge in un paio d’ore, ma che ti squarcia dall’interno e si annida nel punto più nascosto di te.
Un libro terrificante, oscuro, senza pietà.
Qual è il senso della vita?
Già da adulti non è facile rispondere a questa domanda, ma se a porsela sono un gruppo di tredicenni, le cose non possono che prendere una piega amara.
La storia ci viene raccontata da Agnes, e capiamo subito che il problema con la teoria di Pierre Anthon non è il fatto che sia falsa, ma la paura che possa essere vera.
Il puro terrore di muoversi e precipitare in un nulla senza fine.
E quando l’uomo è mosso dalla paura, le cose tendono a diventare presto nere come la pece.
Con la “catasta del significato”, però, i ragazzini sono certi che riusciranno a dimostrare al loro compagno di classe che esiste qualcosa al mondo che abbia senso.
I sandali preferiti, una bicicletta nuova, una canna da pesca.
Non è abbastanza?
Delle trecce colorate, un piccolo criceto, un certificato d’adozione, un tappeto da preghiera, una croce.
Non è abbastanza?
Una bara, una testa, l’innocenza, un indice.
Non è abbastanza?
Dove si nasconde il significato della vita?
Come può una catasta simile non contenere il significato dell’esistenza?
Come può il significato dell’esistenza essere contenuto in una catasta simile?
Una storia che parte fortissima, e continua in un crescendo ininterrotto, in un percorso a spirale che ci fa precipitare nell’angoscia di chi già sa come andranno a finire le cose.
Perché se è vero che l’uomo, di fronte alla possibilità di compiere del male, tenderà sempre alla malvagità, questa storia ce lo dimostra in maniera chiara e lampante.
Che cos’è l’età dell’innocenza?
In quale momento smettiamo di essere innocenti?
Perché il seme della violenza germoglia dentro di noi, pronto a dirompere e distruggere tutto ciò che ci circonda?
Ma questa non è una storia di semplice angoscia esistenziale, anche se di sicuro va letta nel momento adatto, e non la consiglio assolutamente ad un pubblico giovane.
Questa è anche una storia di speranza.
Per quanto la vita possa sembrare senza significato, non possiamo semplicemente arrenderci e sederci sul ramo di un albero, ma dobbiamo continuare a cercare, a lottare, ad andare avanti, alla ricerca di qualcosa.
Tutti commettiamo degli errori, tutti possiamo vedere il terrore che ci circonda, ma l’importante è andare avanti.
Teller ha scritto una favola per adulti, terrificante ed oscura, e scegliendo di dare la parola direttamente ad una delle ragazzine coinvolte, l’ha resa ancora più incisiva e brutale, soprattutto perché i pensieri e i sentimenti degli adolescenti coinvolti non sono mai troppo distanti da quelli che noi stessi, da adolescenti, abbiamo sperimentato in prima persona.
Scritto in maniera semplice e diretta, dietro ogni frase si nasconde un’ombra che si fa sempre più larga, ad ogni pagina.
Non c’è modo di scappare alla verità contenuta fra queste pagine, alle esagerazioni che assomigliano troppo alla realtà, alla crudeltà che assomiglia troppo alla vita vera.
Un libro da leggere, sicuramente, ma nel momento e con lo spirito giusto, perché è in grado di sfondare anche la corazza più resistente.
Qual è il senso?
Qual è la fine?
Verso cosa mi sto muovendo?
Che cosa mi spinge?
Che cosa cerco?
Perché sono qui?
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March 11, 2025
LE SCHEGGE – BRET EASTON ELLIS

Voto: 7/10
Edito: Einaudi
1981, Los Angeles.
L’estate sta per finire, il momento di tornare a scuola è alle porte.
La vita di Bret avanza senza grandi scossoni: da qualche mese frequenta ufficialmente Debbie Schaffer, è segretamente innamorato dei suoi migliori amici (Thom e Susan) ed ha una relazione segreta con Matt Kellner.
Tra droga, erba, alcol, macchine lussuose e feste in piscina, i giovani vivono la vita agiata dell’upper class losangelina, storditi e beati.
Improvvisamente, però, delle ragazze iniziamo a scomparire, dei dettagli sembrano accomunare le loro ultime settimane, e quando vengono rinvenuti i primi cadaveri si inizia a parlare di un serial killer: il Pescatore a strascico.
Nello stesso periodo, all’inizio dell’anno scolastico, un nuovo studente fa la sua comparsa: il bellissimo Robert Mallory, che si è trasferito da Chicago e sembra nascondere un passato oscuro.
Bret inizia a dubitare di lui sin dall’inizio, non si fida delle sue intenzioni, e la sua ossessione per il nuovo serial killer si mescola facilmente con l’interesse che prova per il nuovo arrivato.
Allora, che dire di questo libro?
Come mi ritrovo a dire spesso ultimamente, se Ellis avesse scritto 300 pagine in meno non avrebbe fatto del male a nessuno.
Però devo ammettere, un po’ a malincuore, che questo libro mi è piaciuto.
Nonostante la mole, è riuscito a trattenermi per tutta la durata della storia, sia per lo stile di scrittura che per i temi trattati.
E iniziamo allora con i lati positivi del romanzo: la scrittura di Ellis è estremamente accattivante e coinvolgente, riesce in poche parole a descrivere situazioni e sensazioni reali ed immaginate, creando un vortice che finisce per ottundere la sensibilità del lettore e del narratore (un Bret Ellis immaginario).
Il genere che ha deciso di utilizzare per narrare questa sua storia è un miscuglio di vari generi: un po’ un finto memoir, con Ellis stesso al volante che ci racconta un’estate della sua adolescenza; un po’ un romanzo true crime, inseguendo le tracce lasciate dal terribile Pescatore; un po’ un horror dalle tinte sataniche (che forse punta, più che altro, a colpire il lettore); un po’ un romanzo di formazione, che ci mostra in realtà la deformazione e la corruzione dei protagonisti; una critica alla società dell’epoca (e dei giorni nostri), con le sue fissazioni superficiali e il vuoto intorno al quale si tenta di costruire una vita che abbia un senso.
Mi è piaciuto quasi tutto della storia, dall’inattendibilità del narratore (oltre ad un consumo sfrenato di droghe e medicinali ed alcol, Bret ha i suoi bias nei confronti di praticamente chiunque, quindi osservare la storia attraverso il suo sguardo vuol dire guardare le cose attraverso una lente estremamente distorta) alla “caccia al serial killer” (utilizzato soprattutto per mantenere per un periodo uno stato costante di tensione superficiale che poi cresce e si sfoga su tutto ciò che incontra, e anche per parlare del male che esiste nella società, fra le persone, dentro noi stessi).
Ottime le descrizioni di Ellis di questa classe elitaria completamente distaccata dalla realtà, che riesce a vivere e percepire le cose solamente quando entrano forzatamente nella bolla che la racchiude e protegge, e forse pienamente neanche il quel caso.
Ma quali sono gli aspetti di questo romanzo che non sono riusciti a convincermi?
Andiamo in ordine.
Le prime settanta pagine, per quanto ben scritte, sono servite soltanto a ricordarmi una cosa: a me, di un gruppo di ragazzini bianchi (mostly) etero one percenter della California non potrebbe davvero importarmene di meno.
Anche i ricchi soffrono, certo, ma mai abbastanza.
Le descrizioni: non solo mi devo sorbire tutti i nomi di tutti i vestiti che indossano i protagonisti e delle marche delle loro automobili (di nuovo, certo, come rappresentazione di una società basata soltanto sui soldi e l’aspetto esteriore va bene, ma se leggo un’altra volta le parole “Wayfarer” o “Topsider” giuro che bestemmio), ma anche l’elenco continuo di tutte le strade che Bret percorrere (quando bastava dire “svolta a sinistra e poi a destra”, e invece no, ogni poche pagine sei o sette righe di nomi di strade e incroci e vicoli e quartieri).
Le ripetizioni: ottime per sottolineare l’ossessione che si sviluppa nella mente di Bret, pessime per la noia che si sviluppa all’interno della mia.
Il sesso: sono adolescenti, che si divertano come meglio preferiscono, ma non ho davvero bisogno di sapere che tutte le mattine Bret pensa “mi sono docciato e s*gato” o che ogni volta che vede il c*lo di qualcuno (vivo o MORTO) ha una reazione fisica.
I dialoghi: dio ce ne scampi e liberi.
I dialoghi non sono semplicemente superficiali e ripetitivi, ma inconcludenti in una maniera esagerata, da far digrignare i denti.
Conversazione tipo:
A- cos’hai fatto?
B- cosa pensi che abbia fatto?
A- perché dovrei pensare che tu abbia fatto qualcosa?
B- sono solo distratto.
A- devi darti una svegliata, bello.
B- se vuoi dirmi qualcosa, dilla e basta.
A – perché pensi che io abbia qualcosa da dirti? Tu hai qualcosa da dirmi?
B- cosa dovrei dirti?
…e via così per 700 pagine.
Ultimo punto: ottima analisi e critica di Ellis della società moderna, certo.
Parlando di giovani rampolli degli anni ’80 ci mostra la vacuità che si è trasmessa e ingigantita fino a noi, inghiottendo quasi tutte le parti più profonde e sensibili, certo.
Peccato che Ellis l’abbia scritto adesso, quindi tutto questo “occhio lungo che prevede e critica il futuro” non ci sia.
Ma in sintesi, mi è piaciuto?
Come dicevo all’inizio, un po’ a malincuore, devo ammettere che sì, mi è piaciuto.
Nonostante i parecchi difetti che hanno reso alcuni passaggi davvero tediosi, nel complesso funziona molto bene, ci permette di ragionare sulla società in cui viviamo e sul vuoto che si espande dentro di noi, e intorno.
Anche il finale, per quanto un po’ troppo allungato e prolisso, è abbastanza interessante; si muove lungo un percorso un po’ telefonato, ma riesce comunque a creare una specie di bivio, a lasciare un margine di dubbio, ad intrigarci.
Non so se leggerò altro di Ellis, non prediligo un tipo di scrittura a tratti così “volgare” (certe cose vanno immaginate, non descritte) né la sua predilezione per le vite di ricchi giovani e annoiati dal cuore nero, ma nella vita non si può mai sapere.
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March 8, 2025
VIVERE! – YU HUA

Voto: 8/10
Edito: Feltrinelli
Un giovane sta viaggiando, in cerca di qualcosa.
Per anni egli ha percorso la Cina in lungo e in largo, parlando con tutte le persone che incontrava, ascoltando le loro storie, piccoli aneddoti o grandi avvenimenti, assorbendo in sé una serie infinita di vite e morti e gioie e dolori.
E proprio così, durante uno di quei giorni, ha incontrato un contadino che arava un campo con un vecchio bufalo.
L’anziano si chiamava Fugui e aveva una lunga storia da raccontare.
Figlio di un ricco proprietario terriero, era cresciuto con troppa arroganza e poca lungimiranza, e in poco tempo, giocando d’azzardo, era riuscito a perdere tutti i possedimenti della sua famiglia, dai soldi ai terreni alla casa stessa in cui era cresciuto.
La vita di Fugui, da quel momento, inizia a seguire un percorso pericolosamente in discesa, costellata da una serie di sfortune e di lutti terribili, stravolta dalla Rivoluzione Nazionale e dalla seguente Rivoluzione Culturale Comunista, in una serie di curve e svolte che lo porteranno, alla fine, in mezzo a quel campo, con la sola compagnia di un bufalo.
Un romanzo che è uno spettacolare dipinto a colori brillanti.
La Cina del secolo scorso si apre di fronte ai nostri occhi, mostrandoci la vita in un piccolo paese di campagna, in grado di contenere tutta la vibrante forza esplosiva dell’esistenza stessa.
Fugui, un personaggio inizialmente negativo, “corrotto”, che non torna a casa per giorni per continuare a giocare d’azzardo e frequentare la casa di piacere, che picchia la moglie incinta che cerca di farlo ragionare, che si fa beffe del suocero di fronte a tutta la città, è un uomo colpito duramente dagli avvenimenti, e che impara presto la sua lezione: se vuole sopravvivere e restare insieme alla sua famiglia, deve abbandonare il modo in cui viveva prima ed impegnarsi duramente nel lavoro.
Durante gli anni lo osserviamo, mentre cresce e invecchia e commette errori, ma prova sempre a fare del suo meglio.
Purtroppo il destino (o meglio, Yu Hua) gli ha riservato una mano particolarmente terribile, una vita costellata di dolori e perdite, di tante lacrime e poco riposo, ma la lezione che ha imparato e che insegna anche a noi è particolarmente dolce: bisogna continuare a vivere, trovare una piccola gioia in ogni piccola cosa, un giorno alla volta, un passo alla volta, un sorriso alla volta.
Particolarmente interessanti sono sia la rappresentazione della vita dei contadini di un piccolo paese di campagna, che gli stravolgimenti politici e sociali causati dalla rivoluzione, con l’avvento del comunismo e i conseguenti cambiamenti nel lavoro, nei possedimenti, e in tutto ciò che fino a quel momento aveva definito un certo tipo di vita.
La scrittura di Yu è semplice, ariosa, diretta, chiara, e carica di un sentimento vibrante e concreto.
Senza giri di parole o figure particolarmente poetiche, Yu riesce a descrivere ambienti e situazioni, caratteri e sentimenti, cuori ed animi.
A tratti sorprendentemente divertente, è un romanzo che ha molto da dire, e sa come farlo nel migliore dei modi: la fame, la fatica, la guerra, i lutti, la povertà estrema, e tutto quello che un uomo può riuscire ad affrontare per capire cosa conta davvero nella vita. La storia di Fugui si svolge di fronte ai nostri occhi, disegnata a tratti leggeri sulla carta di un piccolo zootropio, illuminata da un luce calda ed accompagnata da un canto dolce e toccante.
Raccontando la semplice e dolorosa vita di un umile contadino, Yu parla di un sentimento umano e profondo, con voce sensibile e mai troppo oscura, anche nei momenti più sofferti.
Devo ammettere di conoscere davvero poco la letteratura cinese, e dovrò recuperare al più presto.
Ho trovato in questo romanzo, e in Yu, qualcosa di completamente inaspettato: una voce come una brezza fresca che corre dolce e leggera su un campo di riso, una storia dolorosa ma senza la pesantezza dell’autocommiserazione, un modo di vivere ed affrontare le cose così distante eppure così vicino.
Bisogna apprezzare le piccole cose, concentrarsi su ciò che conta davvero, prendersi cura di chi si ha intorno, senza mai dare nulla per scontato, perché la gioia di vivere può essere trovata in qualunque cosa, basta saper osservare con sufficiente attenzione.
E, ovviamente, alla fine, ho pianto.
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March 3, 2025
NUOVO TITOLO PER RADICI EDIZIONI
Salve a tutti!
Oggi ho il piacere di presentarvi un nuovo titolo edito Radici, che mi è stato inviato dall’editore, che ringrazio enormemente: si tratta del primo romanzo di Giovanni Paolone, pubblicato a novembre 2024.

Prima guerra mondiale. In trincea vivono e sopravvivono, ognuno alle prese con gli stessi tormenti, i fanti Giuseppe, Tanino e Ciaramella. La loro compagnia, guidata dal Tenente che qui si fa voce narrante, affronta con il volto scavato dalla paura e dalla fame le difficoltà quotidiane, tra fango, azioni d’attacco e noiose attese, rancio spesso malsano e il pericoloso nemico oltre le linee. Sofferenza, speranza, istinto di sopravvivenza, nostalgia.
Racconto crudo e poetico insieme, Il silenzio della neve che cade mostra l’assurdità della guerra sublimandola in una dimensione quasi onirica, sospesa nel tempo e nello spazio, dove l’unica realtà è data dai sentimenti.
Un romanzo dal messaggio pacifista, oggi più che mai attuale e necessario, espresso con uno stile di scrittura che riesce ad armonizzare i toni struggenti della malinconia con le espressioni più crude, le descrizioni liriche con i resoconti brutali, restituendo il vero volto di ogni conflitto: la perdita di anime innocenti.

BIO: Giovanni Paolone è un fotografo professionista.
Vive e lavora a Teramo, in Abruzzo.
Il silenzio della neve che cade è il suo primo romanzo.
Non vedo l’ora di leggerlo e parlarne con voi.
Presto la recensione.
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February 28, 2025
BEIRUT – VERONA, SOLA ANDATA – ROBERT EL ASMAR

Edito: Rossini editore
Un caloroso ringraziamento a Robert per avermi inviato una copia del suo libro!
Marwan è ancora adolescente quando è costretto ad abbandonare la sua casa, la sua città, il suo paese, e mettersi in salvo in una terra lontana e straniera.
Beirut è stata conquistata dai siriani e i genitori di Marwan, dopo aver perso il figlio minore e tutto ciò che possedevano, riescono ad allontanare l’unico figlio che gli è rimasto, a metterlo in salvo, in Italia.
Accolto con una borsa di studio a Verona, viene ospitato nel convento dei Betlemmisti, e all’inizio tutto sembra andare per il meglio: Marwan si sente accettato e ben voluto, piano piano gli orrori della guerra iniziano a defluire dalla sua mente, soprattutto grazie alla vicinanza del giovane padre superiore della casa in cui vive, padre Nicola.
I due diventano presto amici, ma le cose iniziano a precipitare quando padre Nicola confessa i propri sentimenti a Marwan.
Una storia carica di avvenimenti, nonostante la brevità del testo, che tenta sin dall’inizio di colpire il lettore nel profondo.
L’autore ha tentato di trasmettere molti messaggi importanti, primo fra tutti un messaggio di speranza e di rinascita, di forza e desiderio di vivere, di coraggio e lotta continua.
Marwan è un personaggio estremamente positivo, che si muove nella storia alla ricerca di pace, di un luogo in cui poter crescere e vivere, senza orrori e dolore.
La sua non è una vita facile, eppure Marwan sembra osservare la vita con uno sguardo ingenuo e positivo, sognando un futuro migliore per sé e per la propria famiglia.
Padre Nicola rappresenta una faccia della chiesa cattolica che ormai conosciamo tutti fin troppo bene, che fra abusi e soprusi vive la propria vita senza mai pagare davvero.
Oltre a questo tema, El Asmar ci parla anche della condizione da migrante di Marwan, in fuga dal proprio paese, mai completamente accettato, e costantemente mantenuto in una posizione di impotenza e incertezza, in balia dei propri “benefattori”.
Il colpo di scena finale funziona abbastanza bene, e ci spinge a ragionare sulla storia che si svolge di fronte ai nostri occhi fino all’ultima riga.
Un libro interessante che forse tenta di toccare troppi punti contemporaneamente, e finisce per perdersi nelle vite burrascose dei suoi personaggi; la scrittura è abbastanza scorrevole e mai troppo pesante, anche se le descrizioni dei luoghi si impongono in maniera un po’ troppo netta all’interno dei paragrafi, bloccando il flusso del testo.
Un buon inizio, per El Asmar, che sicuramente saprà regalare altre emozioni ai propri lettori.
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February 22, 2025
THE UNBROKEN – C. L. CLARK

Voto: 6/10
Edito: Mondadori
Touraine è una soldatessa, una Figlia di Sabbia, come vengono chiamati quelli come lei, rapiti da bambini ed addestrati per entrare a far parte dell’esercito dell’Impero.
Ha lasciato casa sua che aveva appena cinque anni, e non ricorda più nulla delle sue origini, neanche la sua lingua madre.
Quando, però, viene inviata insieme ai suoi soldati ad El-Wast, la sua città natale, per sedare una ribellione, tutto cambia: Touraine toccherà con mano il suo passato, tutto ciò che le è stato tolto ed avrebbe potuto essere, e dovrà fare delle scelte importanti.
Luca, principessa dell’Impero di Balladaire ed erede al trono, si trova ad El-Wast per dimostrare a suo zio, il reggente, di essere pronta ad indossare la corona.
Ha passato tutta la sua vita a prepararsi per questo momento, ha studiato e si sente pronta, ha letto libri e stretto mani che avrebbe preferito evitare, ed ora il trono si trova ad un passo, appena oltre quest’ultima prova.
Quando Luca ha la possibilità di salvare la vita di Touraine e ricambiare così il favore alla soldatessa che aveva sventato l’attentato alla sua persona, i loro destini si incroceranno definitivamente, indissolubilmente, e si ritroveranno a combattere fianco a fianco, o forse l’una contro l’altra.
Questo romanzo aveva tutte le carte in regola per essere perfetto per me: colonialismo e imperi, politica e sotterfugi, combattimenti e patti segreti, magia di sangue e sacrifici.
Una soldatessa condizionata a dimostrarsi leale e fedele nei confronti dell’Impero che l’ha resa schiava, e una principessa pronta a mettere in gioco tutto ciò che ha sempre creduto di sapere.
E allora, perché non ha funzionato?
Il problema principale, per me, è stato la lentezza del testo.
Questo è un romanzo relativamente lungo (intorno alle 500 pagine) e molto denso, fitto di pensieri e discorsi e ragionamenti ed elucubrazioni varie…con poca azione e poca forza.
I personaggi passano la maggior parte del tempo a ripetersi sempre le stesse cose, sempre gli stessi concetti, in un girotondo infinito di odio-per-il-conquistatore e rivalsa-per-i-conquistati.
Sì, certo, sentimenti giusti e condivisibili, però bastava dirlo nel modo giusto un paio di volte, non 600.
La maggior parte delle azioni importanti per l’avanzamento della storia ha pochissimo senso: la principessa invia la propria consigliera a contrattare con i ribelli e il grande piano che ne scaturisce è “l’impero vi dona 100 fucili per poter combattere contro di noi e voi in cambio ci insegnate la magia”?
Ma che senso ha?
La magia stessa, quella curativa che posseggono i Qazāli, si riduce a “mangia della carne e prega il dio Shāl che ti dia il potere di curare le ferite”. Come prego?
Le parti che più avrei voluto approfondire (come la Biblioteca nella Città Maledetta in cui è proibito andare o la magia di sangue dei taargen che si trasformano in animali) vengono menzionate qualche volta e poi abbandonate, mai spiegate davvero.
Il rapporto stesso tra Touraine e Luca, questa grande storia d’amore impossibile che proprio “non s’ha da fare”, risulta molto piatto, senza alcuna chimica ad unire i due personaggi.
Davvero un peccato, perché l’idea generale mi intrigava parecchio, sia per gli ovvi richiami al colonialismo in Africa sia per l’idea di un Impero che ha bandito la religione e dei ribelli in grado di utilizzare oscuri poteri magici proprio grazie a queste divinità.
L’aspetto migliore è sicuramente quello che riguarda lo sviluppo di Touraine, da semplice ingranaggio in una macchina da guerra a fiera donna qazāli pronta a morire per la propria gente, con particolare enfasi al modo in cui imparerà ad osservare con occhio critico le persone che aveva sempre preso ad esempio, delle vere proprie ispirazioni, e a come dovrà decostruire la persona che era stata per più di vent’anni per poter abbracciare con forza le proprie radici e il suo vero io.
In generale non posso definirlo un brutto libro, ma la lettura si è rivelata troppo lenta e a tratti pesante, quindi non credo proprio che continuerò la serie.
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The unbroken (ita)
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THE UNBROKEN – C- L. CLARK

Voto: 6/10
Edito: Mondadori
Touraine è una soldatessa, una Figlia di Sabbia, come vengono chiamati quelli come lei, rapiti da bambini ed addestrati per entrare a far parte dell’esercito dell’Impero.
Ha lasciato casa sua che aveva appena cinque anni, e non ricorda più nulla delle sue origini, neanche la sua lingua madre.
Quando, però, viene inviata insieme ai suoi soldati ad El-Wast, la sua città natale, per sedare una ribellione, tutto cambia: Touraine toccherà con mano il suo passato, tutto ciò che le è stato tolto ed avrebbe potuto essere, e dovrà fare delle scelte importanti.
Luca, principessa dell’Impero di Balladaire ed erede al trono, si trova ad El-Wast per dimostrare a suo zio, il reggente, di essere pronta ad indossare la corona.
Ha passato tutta la sua vita a prepararsi per questo momento, ha studiato e si sente pronta, ha letto libri e stretto mani che avrebbe preferito evitare, ed ora il trono si trova ad un passo, appena oltre quest’ultima prova.
Quando Luca ha la possibilità di salvare la vita di Touraine e ricambiare così il favore alla soldatessa che aveva sventato l’attentato alla sua persona, i loro destini si incroceranno definitivamente, indissolubilmente, e si ritroveranno a combattere fianco a fianco, o forse l’una contro l’altra.
Questo romanzo aveva tutte le carte in regola per essere perfetto per me: colonialismo e imperi, politica e sotterfugi, combattimenti e patti segreti, magia di sangue e sacrifici.
Una soldatessa condizionata a dimostrarsi leale e fedele nei confronti dell’Impero che l’ha resa schiava, e una principessa pronta a mettere in gioco tutto ciò che ha sempre creduto di sapere.
E allora, perché non ha funzionato?
Il problema principale, per me, è stato la lentezza del testo.
Questo è un romanzo relativamente lungo (intorno alle 500 pagine) e molto denso, fitto di pensieri e discorsi e ragionamenti ed elucubrazioni varie…con poca azione e poca forza.
I personaggi passano la maggior parte del tempo a ripetersi sempre le stesse cose, sempre gli stessi concetti, in un girotondo infinito di odio-per-il-conquistatore e rivalsa-per-i-conquistati.
Sì, certo, sentimenti giusti e condivisibili, però bastava dirlo nel modo giusto un paio di volte, non 600.
La maggior parte delle azioni importanti per l’avanzamento della storia ha pochissimo senso: la principessa invia la propria consigliera a contrattare con i ribelli e il grande piano che ne scaturisce è “l’impero vi dona 100 fucili per poter combattere contro di noi e voi in cambio ci insegnate la magia”?
Ma che senso ha?
La magia stessa, quella curativa che posseggono i Qazāli, si riduce a “mangia della carne e prega il dio Shāl che ti dia il potere di curare le ferite”. Come prego?
Le parti che più avrei voluto approfondire (come la Biblioteca nella Città Maledetta in cui è proibito andare o la magia di sangue dei taargen che si trasformano in animali) vengono menzionate qualche volta e poi abbandonate, mai spiegate davvero.
Il rapporto stesso tra Touraine e Luca, questa grande storia d’amore impossibile che proprio “non s’ha da fare”, risulta molto piatto, senza alcuna chimica ad unire i due personaggi.
Davvero un peccato, perché l’idea generale mi intrigava parecchio, sia per gli ovvi richiami al colonialismo in Africa sia per l’idea di un Impero che ha bandito la religione e dei ribelli in grado di utilizzare oscuri poteri magici proprio grazie a queste divinità.
L’aspetto migliore è sicuramente quello che riguarda lo sviluppo di Touraine, da semplice ingranaggio in una macchina da guerra a fiera donna qazāli pronta a morire per la propria gente, con particolare enfasi al modo in cui imparerà ad osservare con occhio critico le persone che aveva sempre preso ad esempio, delle vere proprie ispirazioni, e a come dovrà decostruire la persona che era stata per più di vent’anni per poter abbracciare con forza le proprie radici e il suo vero io.
In generale non posso definirlo un brutto libro, ma la lettura si è rivelata troppo lenta e a tratti pesante, quindi non credo proprio che continuerò la serie.
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The unbroken (ita)
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February 15, 2025
LA CITTÀ E LE SUE MURA INCERTE – MURAKAMI HARUKI

Voto: 8/10
Edito: Einaudi
Un ragazzo incontra una ragazza.
Si innamorano, ma lei improvvisamente scompare.
Lui passa il resto della sua vita a pensare a lei, impantanato in un amore che non ha avuto il tempo e il modo di crescere, finché non accetta la realtà e riesce a liberarsi del passato.
È di questo che parla questo libro?
Non lo so, forse.
Quest’ultima fatica di Murakami si è rivelata più murakamiana che mai.
Il nostro protagonista ha appena sedici anni quando incontra una ragazza di quindici, con la quale inizia un rapporto epistolare attraverso il quale conoscersi meglio e, soprattutto, costruire insieme una città immaginaria, racchiusa fra mura altissime ed impenetrabili.
I due si frequentano per un anno, si incontrano più volte e continuano a scambiarsi lettere.
Lei gli rivela di non essere una persona vera, ma soltanto un’ombra della vera sé, che vive all’interno di quella città.
E quando improvvisamente scompare, lui ne resta sconvolto.
Senza sapere bene come, anche lui un giorno si ritrova all’interno della città, dove rincontra la ragazza.
Ma quando tenta di far evadere la propria ombra morente dalla città, anche lui si ritrova all’esterno, come risvegliato improvvisamente da un sogno.
Per i successivi trent’anni, l’uomo continua immancabilmente ed instancabilmente a pensare alla ragazza e alla città, senza riuscire a liberarsi del ricordo di entrambi.
Finché un giorno un sogno (o il destino) lo conduce in una piccola cittadina di montagna, in una vecchia biblioteca senza direttore, dove incontrerà un giovane che cerca di sfuggire dalla propria realtà, e riuscirà a comprendere la propria strada.
Una parola per descrivere questo romanzo: liminale.
Più che mai Murakami mette in mostra la sua passione per quella sottile zona di confine che si estende fra la realtà e la fantasia, fra il sogno e la veglia, fra ciò che è e ciò che non c’è più, ciò che potrebbe essere e ciò che non sarà mai.
Un’altra parola per descrivere questo romanzo: ripetitivo.
Haruki, tesoro mio, io ti voglio tanto bene, e in genere accetto tutte le tue assurdità senza battere ciglio, ma non credo ci sia bisogno di ripetere lo stesso concetto 375 volte, no?
Cioè, due o tre volte vanno anche bene, se è un punto estremamente importante, però diamoci una regolata. Senza ripetizioni questo libro sarebbe stato più corto di duecento pagine.
Devo ammettere che tutta la lettura si è svolta in maniera un po’ stentata, rallentata, mai davvero fluida; oltre alle ripetizioni, anche le spiegazioni eccessivamente didascaliche mi hanno fatto storcere un po’ il naso, e non credo di poter concordare pienamente con la maggioranza dei lettori, che lo ha definito “il suo capolavoro”.
Mi sono piaciuti moltissimo alcuni dei punti toccati, come la fissazione con il passato e l’importanza di imparare a lasciar andare, la malinconia per ciò che è stato ed i rimpianti che inevitabilmente ci accompagnano per tutta la vita, la crescita personale e lo scorrere del tempo, il senso della vita e la sua sempre mutevole forma.
Ci ho anche letto una riflessione sull’ispirazione artistica e l’importanza dell’elaborazione delle idee (concetto estremamente pertinente allo sviluppo dell’opera).
Una lettura sicuramente intensa, così intrisa del classico realismo magico di Murakami da lasciare il lettore disorientato e un po’ confuso, con una bussola che non punta mai nella direzione che ci aspetteremmo.
Costruendo mura altissime tra ciò che è verità e ciò che è finzione, e poi abbattendole con un soffio, Murakami ci mostra l’instabilità di ogni aspetto della vita, l’incredibilità di ogni avvenimento, l’impossibilità di fare completamente affidamento su qualcosa, perché l’esistenza è soltanto un soffio.
Un libro particolare, e particolarmente strano, che sto apprezzando di più come ragionamento a posteriori che come effettiva lettura; ma in fondo questo è Murakami, e in questa realtà noi siamo ombre in cerca di un senso.
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La città e le sue mura incerte
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February 8, 2025
APPARTAMENTO 401 – YOSHIDA SHŪICHI

Voto: 8/10
Edito: Feltrinelli
Quattro ragazzi come tanti, ventenni, condividono un piccolo appartamento in un palazzo di Tokyo.
Ryosuke è uno studente universitario, innamorato della ragazza di un suo amico; Kotomi vive grazie all’assegno che le mandano i genitori e passa le giornate aspettando una telefonata di un ragazzo; Mirai fa la commessa e l’artista, e sperpera tutti i propri soldi bevendo nei bar; Naoki è impiegato in una casa di distribuzione cinematografica e l’abitante originale dell’appartamento, che condivideva con la sua ex fidanzata, con la quale è ancora in ottimi rapporti.
La vita scorre tranquilla, nell’Appartamento 401.
Gli andirivieni sospetti nell’Appartamento 402 insospettiscono i ragazzi e, un giorno, si risvegliano con un nuovo coinquilino.
Chi è il diciottenne Satoru? Che lavoro fa? Perché si intrufola di nascosto nelle case delle persone? E chi è la persona che ha iniziato ad aggredire delle donne nel loro quartiere?
La calma prima della tempesta.
Il fulcro di questo romanzo non è sicuramente la serie di aggressioni, che per la maggior parte ha luogo lontano dal nostro sguardo.
Il romanzo si concentra sui cinque protagonisti, ed è un eccellente specchio della società moderna in una grande città.
I quattro (e quindi cinque) ragazzi sono costretti a vivere sempre a stretto contatto, in un appartamento pensato per ospitare una coppia, e raramente vi passano dei momenti da soli.
Eppure, nonostante la vicinanza forzata, la bolla dei propri pensieri che racchiude e isola ognuno dal resto del mondo, li allontana, impedendo così una vera e propria comunione.
Non conosciamo mai davvero le persone che abbiamo intorno.
Non conosciamo mai davvero nessuno.
Concentrandosi sui piccoli dettagli della vita quotidiana, sugli aspetti più insoliti e quelli più mondani delle vite dei giovani, Yoshida ci racconta la facilità con cui possiamo perderci in noi stessi, specialmente quando non abbiamo un punto fermo a cui aggrapparci.
La storia ci viene raccontata attraverso le voci dei ragazzi, in cinque macro capitoli riportante ognuno il punto di vista di uno degli inquilini; abbiamo così modo di osservare le cose da diversi punti di vista, dall’interno e dall’esterno, scoprendo menzogne e segreti, osservando i cinque quando sono da soli (perlomeno all’interno delle loro menti) e quando sono in compagnia, le maschere che indossano e le luci sotto le quali decidono di denudarsi e mostrare la loro vera natura.
Per la maggior parte del romanzo, quindi, le cose si svolgono in maniera pacata, senza grandi scossoni.
Veniamo presto a sapere della serie di aggressioni avvenuta nel quartiere, ma non in maniera approfondita, e ciononostante sentiamo sin dalle prime pagine un’elettricità che si diffonde nell’aria e ci tiene in sospeso.
Ci sembra quasi di ascoltare dei rumori provenienti da una stanza chiusa, suoni attutiti ed ovattati che non preannunciano niente di buono, ma che non siamo in grado di distinguere con precisione.
Pur appoggiando un orecchio alla porta, pur tentando di origliare, non possiamo far altro che sentire sussurri e sospiri, alcuni suoni che un po’ ci fanno rabbrividire e un po’ ci incuriosiscono, e ci spingono a leggere il romanzo fino all’ultima pagina.
Nonostante la rivelazione finale possa essere intuita, è proprio in quelle ultime pagine, dalle scene crude e dure, rese ancora più truculente da piccoli dettagli spietati ed indolenti, che brilla con rinnovata forza la solitudine e la distanza che separa ed accomuna i protagonisti, pronti a chiudere gli occhi per non alterare lo stato delle cose.
Con una scrittura molto scorrevole e molto semplice, Yoshida racconta perfettamente la sua storia, senza mai incagliarsi in ragionamenti fuorvianti o in flashback senza forza.
Ogni immagine, ogni dialogo, ogni parte gioca perfettamente il proprio ruolo, creando un’atmosfera domestica e tesa, familiare e carica d’inquietudine.
Come il mare che si ritira lentamente dalla costa, prima dello schianto.
Anche le interazioni fra i vari personaggi funzionano benissimo, con alcuni dialoghi brillanti ed altri quasi al limite dell’assurdo, ma che non sfociano mai nel ridicolo, e rappresentano rapporti umani ordinari, e anche per questo più inquietanti.
Un buon romanzo, in grado di farci innervosire con poche parole e farci riflettere sul mondo che ci circonda, di coinvolgerci e tenerci stretti fino alle ultime pagine.
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