Rachele Riccetto's Blog, page 3

June 21, 2025

SIRENE – LAURA PUGNO

Voto: 7/10

Edito: Marsilio

In un futuro non troppo lontano, l’umanità è quasi completamente scomparsa dalla Terra, e i pochi sopravvissuti stanno morendo a causa del “cancro nero”, una malattia alla quale è quasi impossibile sfuggire, perché è il sole stesso ad esserne la causa.
Per tentare di salvarsi, gli uomini hanno costruito rifugi sotto l’oceano, scoprendo così una nuova specie: la sirena.
Samuel lavora per la yakuza, che governa indisturbata il mondo, commerciando e smerciando il corpo delle sirene, sotto ogni forma: come carne da macello o corpo per i piaceri carnali.
Ora che ha perso Sadako, niente ha più davvero importanza nella sua vita, e decide così di dare il via ad una serie di eventi che condurrà il suo percorso verso qualcosa di inaspettato.

Onestamente, questo non è affatto un libro che mi aspetterei da una scrittrice italiana.
Sia la storia che lo stile sono riusciti a colpirmi, anche se non completamente in senso positivo.

Ho trovato la storia estremamente interessante per i tanti punti che tocca nella sua brevità: la malattia causata dal sole (soffrendo di fotoallergia, è un argomento che mi tocca personalmente); l’essere umano che, alla comparsa di una nuova specie, decide di mangiarla o b0mbarsela (CLASSICO, e se non seguissi già una filosofia di vita vegana l’avrei trovata anche più sconvolgente); una società governata dalla mafia che regala bambine come premi; una critica allo sfruttamento sociale e ambientale molto attuale; una critica alla cultura del patriarcato, con l’uomo letteralmente padre e padrone che spadroneggia (non proprio impunemente) su tutte le specie.

Purtroppo, però, essendo questo un romanzo breve, queste idee non vengono approfondite nel migliore dei modi, né tantomeno bastano per riempire tutti i buchi (di trama e non): non solo ci sono tantissime domande che non trovano risposte, ma la storia ci viene raccontata seguendo Samuel, un personaggio vuoto e assolutamente senza forza, che non viene approfondito e finisce semplicemente per ricalcare lo stereotipo dell’uomo che soffre in silenzio “per amore” (questo grande amore che si era sviluppato fra lui e la ragazzina che gli era stata regalata, consegnata e legata al letto) e segue i propri più beceri istinti.
Pugno lo ha fatto di proposito, per dimostrare la quasi totale mancanza di differenze fra l’uomo e gli animali ai quali si crede superiore? Non lo so, nel dubbio lo conto come un punto negativo.
Capisco la critica al fatto che la donna venga vista e trattata come un animale, o in questo caso una sirena, e che la sirena stessa venga costantemente paragonata ad una vacca, però uffa, un protagonista con un po’ di carattere ce lo meritavamo.

E a proposito di beceri istinti, uno SPOILER: Samuel decide di accoppiarsi con una sirena.
E va bene, che vi devo dire, tutto rientra nella storia e nella critica.
La sirena partorisce una mezzaumana.
E Samuelito, invece di porsi un paio di domande su come sia possibile, decide di rapirla…per liberarla nell’oceano?
No, per tentare di insegnarle a pronunciare il suo nome (metticelo un po’ di ego, Sammy) e quindi accoppiarsi anche con lei.
Ma nel futuro l’incesto non avrà più alcun significato?
Non tanto per le conseguenze penali, ma almeno morali? Samuel, tutto ok?

Lo stile di Pugno è molto scorrevole e incisivo, asciutto e preciso, e con un linguaggio duro e tagliente riesce a far affondare il lettore nelle sue acque oscure.

Ho trovato le continue ripetizioni un po’ pesanti, anche se capisco che servono a sottolineare e rimarcare il distacco fra le nostre società e sensibilità, e quelle descritte nel libro.

Le atmosfere sono state definite sensuali, e non so bene cosa provare al riguardo: le ripetute descrizioni dei capezzoli delle sirene sono “sensuali”?
Un uomo che si accoppia con un pesce è sensuale?
Mi sfugge qualcosa?

Il termine più adatto a descrivere le sue atmosfere credo sia “cupe”, chiuse come il cielo sotto al quale non è più possibile vivere, costringenti come le pareti e le vasche dentro le quali ha luogo la vita, violente e nauseabonde come tutti gli atti di oppressione.

Nel complesso l’ho trovata una lettura molto interessante, una critica sociale ed ecologica molto tagliente, immersa in un oceano di antispecismo e veganismo che ci sommerge ad ogni pagina, senza scampo, come un’onda che torna a battere inesorabile.

Come sempre nella vita, spero soltanto che alla fine l’essere umano scompaia e la natura abbia il sopravvento.

Se siete interessati, potete acquistare il libro direttamente al link qui sotto:

Sirene

(In qualità di Affiliato Amazon io ricevo un guadagno dagli acquisti idonei)

L'articolo SIRENE – LAURA PUGNO proviene da Lego, Legimus.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on June 21, 2025 00:47

June 19, 2025

NUOVO TITOLO PER IL RAMO E LA FOGLIA EDIZIONI

Ciao a tutti!

Oggi ho il piacere di presentarvi un nuovo titolo edito Il Ramo e La Foglia, pubblicato a giugno 2025, che mi è stato gentilmente inviato dall’editore, che ringrazio tantissimo.

UNA PICCOLA GOCCIA D’INCHIOSTRO – VINCENZO PATANÈ

Il romanzo, ambientato nel rione Sanità a Napoli, è basato su una storia vera e prende l’avvio dal casuale ritrovamento di sessantasei lettere che il protagonista, Elvio, zio dell’autore, inviò a sua sorella dal 1953 al 1965. Nello svolgersi delle vicende emergono via via i turbamenti sessuali adolescenziali di Elvio, la consapevolezza di essere attratto dagli uomini, la scoperta di non essere il solo a provare pulsioni di quel tipo, l’esplorazione del sesso, il primo amore. Parallelamente c’è la consapevolezza dell’impossibilità di esprimere a voce alta ciò che provava, da un lato per un soffocante controllo familiare, improntato a un rigido rigore morale, dall’altro per una società che, con il fascismo prima e con la società perbenista del dopoguerra, condannò duramente l’omosessualità.
Nel romanzo vi sono molti stralci di quelle lettere, grondanti di umanità, focalizzate in particolare su due episodi: il viaggio che effettuò, ventiseienne, in Danimarca nel 1954, al fine di ottenere una riassegnazione di sesso sulla scia di quella di Christine Jorgensen del 1952, e la successiva relazione con un giovane napoletano, un amore sfortunato ma che pure mutò le sorti della sua vita.

BIO: Vincenzo Patanè nato ad Acireale ma napoletano per essenza e cultura, ha insegnato Storia dell’Arte presso il Liceo Artistico di Venezia. È autore della raccolta di versi Ebano Nudo (1982) e dei seguenti saggi: Cinema & Pittura (1992), A qualcuno piace gay (1995), Derek Jarman (1995), Shakespeare al cinema (1997), Arabi e noi (2002), L’altra metà dell’amore (2005), 100 classici del cinema gay (2009), Oasi gay (2010), L’estate di un ghiro. Il mito di Lord Byron (2013, seconda edizione 2018), I frutti acerbi. Lord Byron, gli amori & il sesso (2016, pubblicato negli Usa nel 2019 con il titolo The Sour Fruit. Lord Byron, Love & Sex), Intervista impossibile a Lord Byron & altri saggi (2022), Icone gay nell’arte. Marinai • Angeli • Dei (2022) e Il rovinismo di Lord Byron nell’opera di Marco Filiberti (2024).
Ha vinto numerosi premi letterari, tra cui il “Premio Speciale Montale Fuori di Casa” (2020), “Aci & Galatea” (2023) e “Lord Byron Porto Venere Golfo dei Poeti” (2019).
Giornalista, critico cinematografico e attivista gay, collabora con l’Ufficio Cinema del Comune di Venezia e con le riviste “Touring” e “FMR”, dopo aver curato per anni il settore cinema delle riviste gay “Babilonia” e “Pride”.

Non vedo l’ora di leggerlo e parlarne con voi.

Presto la recensione!

L'articolo NUOVO TITOLO PER IL RAMO E LA FOGLIA EDIZIONI proviene da Lego, Legimus.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on June 19, 2025 01:10

June 13, 2025

I GRANDI SOGNATORI – REBECCA MAKKAI

Voto: 8/10

Edito: Einaudi

Chicago, 1985.
L’epidemia di AIDS è iniziata, e Nico è stato il primo ad andarsene.
Tutti i suoi amici si riuniscono per la veglia, tra i quali sua sorella Fiona, il giovane Yale, il suo compagno Charlie, Terrence, Julian, Teddy, e mille voci e mille volti di una comunità unita e terrorizzata.
La vita va avanti, in maniera frammentata e dolorosa, tra diagnosi che cadono come sentenze di morte, indifferenza e odio da parte della società, di famigliari e conoscenti, sconosciuti e istituzioni.

Giovani uomini dai grandi sogni, improvvisamente schiacciati da una malattia che non lascia scampo.

Yale lavora alla galleria Brigg della Northwestern University ed è stato contattato da una parente di Nico per una donazione: una serie di dipinti che, in caso si rivelino originali, potrebbero cambiare per sempre il suo destino e quello della galleria.
Intorno a lui, però, la città trema, e anche la sua vita non può sfuggire a questi terremoti.

Nel 2015, a Parigi, Fiona sta cercando Claire, sua figlia, che non vede da anni.
Ultima superstite e custode dei segreti di una Chicago un tempo luminosa e vibrante, che si è sgretolata sotto il suo sguardo impotente, è alla ricerca di qualcosa di più grande della sua singolarità.

Un romanzo quasi corale, nonostante i punti di vista attraverso cui conosciamo la storia siano principalmente due: quello di Yale nell’85 e quello di Fiona nel ’15; ma ci sono così tante vite fra queste pagine che ci sembra di essere noi stessi parte di una comunità.
Così tante vite, così tanti corpi, sorrisi, mani, capelli, pelle che sfiora altra pelle, fluidi che si mescolano e sangue che si infetta.
Una comunità che è come un unico grande corpo, che si ammala, e si sgretola.

Con una prosa densissima e un tono che definirei quasi distaccato, Makkai ha descritto alla perfezione la corporalità di vite giovani e piene di sogni, riuscendo a trasmettere alla perfezione le speranze e le paure schiaccianti, soverchianti, opprimenti.

In maniera quasi distaccata che funziona benissimo nella prima metà del romanzo, che costruisce le basi di una storia che si ramifica in mille direzioni: Yale e i suoi amici non sono giovani uomini estraniati dal mondo che li circonda, ma parti attive della loro comunità e delle lotte che hanno luogo a Chicago, con voci che si innalzano come i pugni verso il cielo, schiacciati dagli stivali dei poliziotti ma mai abbattuti.

Ognuno dei personaggi si muove in un contesto proprio per poi ritornare sempre verso un punto centrale e comune, in una maniera estremamente realistica e credibile.

Nel 2015, invece, ritroviamo una Fiona cresciuta, una donna matura sopravvissuta ad indicibili sofferenze, unica testimone di tanta gioventù andata perduta.
Ha perso i contatti con sua figlia Claire dopo che questa ha deciso di unirsi ad una comunità religiosa, ma ora una pista labile l’ha condotta a Parigi, dal suo vecchio amico Richard, unico ad essere sfuggito a quei terribili anni di Chicago.

E fra le strade di una Parigi in tumulto (è il periodo degli attentanti del 2015), Fiona dovrà fare i conti con tutti i suoi fantasmi, e con le persone ancora in vita che ha rischiato di perdere per sempre.

Un libro che non punta dritto al cuore, che prende strade secondarie, che costruisce una trama fitta (e a tratti dispersiva) di amore e sogni, di bugie e tradimenti, di paure e insicurezze, di vite vissute al massimo e non abbastanza a lungo.

Ci sembra quasi di sentire le risate di tutti quei giovani condannati ad una morte precoce, che Makkai stessa paragona ai caduti in guerra, giovani letteralmente strappati alla vita.
Non punta dritto al cuore, ma quando ci arriva è terribile e magnifico, doloroso come solo le ingiustizie sanno essere.
Per la maggior parte del romanzo non ho versato neanche una lacrima, ma per fortuna alla fine i pianti matti e disperatissimi sono arrivati, con l’intensità che mi aspettavo.

Makkai ritrae in maniera meravigliosa gli anni ’80 di un’America in mutamento, di vite che affrontano il tumulto della malattia e della paura con la speranza di poter vedere ancora un altro giorno, con la certezza che sarebbe potuta e sarebbe dovuta andare in maniera diversa, e noi chiudiamo l’ultima pagina con l’anima a pezzi, con la foto di ragazzi in attesa di un domani più luminoso, di una vita che porti calore, e con il cuore pieno di un amore immenso.

Se siete interessati, potete acquistare il libro direttamente al link qui sotto:

I grandi sognatori

(In qualità di Affiliato Amazon io ricevo un guadagno dagli acquisti idonei)

L'articolo I GRANDI SOGNATORI – REBECCA MAKKAI proviene da Lego, Legimus.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on June 13, 2025 00:52

June 7, 2025

DOVE LE RAGIONI FINISCONO – LI YIYUN

Voto: 8/10

Edito: NN Editore

Una madre e un figlio, una scrittrice e un adolescente.
Lui è morto da pochi mesi, lei sta cercando un modo per dare un senso e una forma al proprio dolore, a quel vuoto che si è improvvisamente aperto nella sua vita.

E così comincia a parlare con il giovane Nikolai (nome fittizio), ad immaginare i dialoghi che avrebbero potuto far parte delle loro giornate, a ritornare a vecchi ricordi e a dare forma ad un futuro informe.

Questo non è un romanzo, ma non è neanche un memoir.
Questo è un dialogo carico d’amore tra una madre e un figlio, senza tempo e senza spazio.

Nel 2017, a soli sedici anni, il figlio maggiore di Li è morto suicida, ed è a lui che ha dedicato questo libro, ed è con lui che parla.

Attraverso le parole, Li tenta di restare collegata al figlio, a tutto ciò che amava della vita, alle sue poesie e la sua musica e la sua passione per la panificazione.

Con un tono pacato, leggero, estremamente delicato e quasi distaccato, i due intraprendono una conversazione simile ad una delle migliaia che avevano già avuto nei sedici anni precedenti, ma completamente diversa.

Riflettendo e razionalizzando ogni parola, le sue radici e le sue metamorfosi, Li osserva la vita e il dolore nel modo che più le compete, come una serie di vocaboli che si inseguono sul foglio e nell’aria, nell’eterea mancanza che solo un vuoto simile può creare.

Non è un libro carico di grandi emozioni, di pianti dirompenti e pelle strappata, ma un dialogo quasi sussurrato, come se alzando appena il volume si rischiasse di infrangere quell’illusione così evanescente.

Il dolore può essere intravisto quasi in ogni singola parola pronunciata dalla protagonista, così come tutto l’amore che non è svanito alla morte del figlio.

Il lutto, il cordoglio, lo spaesamento: Li riempie ogni pagina di ricordi condivisi e piccoli dettagli, senza chiedere mai al figlio una spiegazione per il suo gesto, ma determinata a conservare ogni più piccolo aspetto di lui.

Non è stato assolutamente un libro facile, nonostante non abbia versato neanche una lacrima (cosa incredibile per me).

Nei dialoghi, prevalentemente leggeri e a tratti giocosi, brillantemente costruiti e mescolati ai pensieri che si uniscono alle parole senza interruzione, Li riesce a trasmettere al lettore tutto il suo dolore, senza bisogno di strepitare e ricercare immagini cariche di pietas.

Una riflessione quieta ed inquieta, toccante ed intelligente, dove le parole prendono corpo, occupano tutto lo spazio che è stato lasciato vuoto.

Li esplora la propria scrittura attraverso una tragedia, e la sua tragedia attraverso la scrittura, in maniera completamente diversa da altri libri di questo genere.

Ho anche appena scoperto che nel 2024 anche il suo secondo figlio è morto suicida, a diciannove anni, e che Li ha dedicato un libro anche a lui. Mi aspetta un’altra lettura intensa.

Se siete interessati, potete acquistare il libro direttamente al link qui sotto:

Dove le ragioni finiscono

(In qualità di Affiliato Amazon io ricevo un guadagno dagli acquisti idonei)

L'articolo DOVE LE RAGIONI FINISCONO – LI YIYUN proviene da Lego, Legimus.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on June 07, 2025 00:26

June 3, 2025

PASSAVAMO SULLA TERRA LEGGERI – SERGIO ATZENI

Voto: 8/10

Edito: Sellerio editore

Il popolo dei “danzatori delle stelle”, proveniente dall’oriente, approdò un giorno in un’isola bella e disabitata, senza nome, e decise di farne la propria casa.

Un viaggio epico tramandato di generazione in generazione, da un custode della memoria all’altro, fino al 12 agosto 1960 quando Antonio Setzu, in una notte, raccontò tutta la storia del suo popolo ad un giovane Atzeni, che la trascrisse nella versione che ora noi possiamo leggere.

Siamo in Sardegna, camminiamo al fianco di un popolo che vive con la natura, che subisce una sequenza infinita di tentativi di invasioni straniere, e che resiste con una ferocia tenace e poetica.

Tra guerre intestine e rituali millenari, faide e danze, morte e tradizioni: in un’isola di montagne e boschi e paludi, coste e avvallamenti, villaggi sperduti e nuove città, la Sardegna muta faccia sotto ai piedi dei suoi abitanti, davanti ai nostri occhi, pur continuando sempre a resistere.

Un’epopea incredibile, tramandata oralmente per millenni, come un coro di voci trasportato dal vento, sussurrato da labbra a orecchio, modificato e ricostruito, rimodellato e trasmesso attraverso un’oralità carica di orgoglio, fino al futuro che è il nostro presente, dove Atzeni decide di consegnare ai posteri la storia ormai fissata su carta.

Dai fenici agli etruschi, dai punici ai romani, con una guerra lunga mille anni: il popolo sardo combatte per rimanere sé stesso.

Ci sembra di poter prendere parte ai riti e di sentire quel mescolarsi di lingue e tradizioni, con un’intensità incredibile.

Lo stile di Atzeni è parco e asciutto, mai una parola sprecata ad appesantire una storia tanto carica di avvenimenti ed insegnamenti, eppure la sua scrittura è estremamente poetica e densa, degna di un racconto tanto ricco e una tradizione tanto florida.

Un affresco dai colori scuri e vibranti, colmi di vitalità e morte, dolore e felicità, vita vera e piena.

Una lettura che è come un viaggio lunghissimo che vorremmo non finisse mai, una ricostruzione storica abbellita e addobbata per renderla più fantasiosa e più vera.

Non comprendo nazionalismo o campanilismo o patriottismo, però: i sardi sono un po’ più belli di tutti gli altri.

Se siete interessati, potete acquistare il libro direttamente al link qui sotto:

Passavamo sulla terra leggeri

(In qualità di Affiliato Amazon io ricevo un guadagno dagli acquisti idonei)

L'articolo PASSAVAMO SULLA TERRA LEGGERI – SERGIO ATZENI proviene da Lego, Legimus.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on June 03, 2025 01:22

May 31, 2025

SUKEGAWA DURIAN – IL SOGNO DI RYÕSUKE

Voto: 7/10

Edito: Einaudi

Ryōsuke è alla ricerca di risposte a vecchie domande, a nuovi dubbi, a un dolore antico e profondo che risuona come un’eco nelle sue stesse vene.
Quando si imbarca per l’isola di Aburi, con la scusa di un lavoro temporaneo in un acquedotto, il suo obiettivo principale è quello di trovare un uomo il cui nome è riportato tante volte su un pacco di lettere che ha trovato fra le cose della sua defunta madre.
Ryōsuke si sente perso e senza niente di solido a cui aggrapparsi, ma non sa ancora che dopo la tempesta esce sempre il sole.

Una storia leggera ma mai scontata, toccante ma mai pesante.

Ryōsuke non ha ancora trent’anni ma ha già perso suo padre (morto suicida quando era solo un bambino) e sua madre (venuta a mancare da poco).
La sua vita, fino a quel momento, è scorsa quasi come un film muto, al quale non è riuscito a prendere parte attivamente.
Almeno fino al momento in cui si è infilato un coltello nel petto e ha percepito un cambiamento.

Ora Ryōsuke è alla ricerca di risposte a quesiti mai dimenticati: perché suo padre si è ucciso?
Perché non ha voluto vivere per lui e sua madre?
Il loro amore non era abbastanza?
Perché ha abbandonato il suo sogno?

Sull’isola, oltre allo scontro con gli abitanti locali restii ad accettare di buon grado stranieri e cambiamenti, incontrerà altri due giovani che si muovo alla ricerca della propria strada nel mondo, Tachikawa e Kaoru; incontrerà la maestra Yoshikado; conoscerà Hashida, il vecchio amico di suo padre e partner nel progetto della produzione di formaggio di capra; imparerà a conoscere le capre che crescono sull’isola, e che gli insegneranno a non arrendersi.

Una storia dolce e amara, su quanto sia importante rialzarsi dopo ogni caduta, su quanto sia splendente il cielo dopo una tempesta, di quanto sia dolce il sapore di un formaggio grazie alla sua muffa.

Sukegawa ha saputo raccontare una storia quasi come se fosse un viaggio onirico all’interno della coscienza del suo protagonista, riuscendo comunque a farci percepire i colori vibranti della natura selvaggia, il calore del sole sulla pelle, gli spruzzi del mare sul volto, la calda sofficità del pelo delle capre, l’intensità sulla lingua dei formaggi stagionati con pazienza.

La storia è un po’ altalenante, con momenti più carichi di pathos e sentimento, di dolore e anche di scene crude, e altri più stagnanti e ripetitivi che fanno incagliare la nave fra gli scogli che punteggiano la costa.

Ma in fondo la vita è così, è un viaggio di alti e bassi, che non segue un’andatura costante.

Un libro che narra una storia di speranza, che nasce dalle situazioni più buie e dagli animi più sofferenti; di sogni che illuminano i cammini più tortuosi e all’apparenza senza via d’uscita; di sacrifici e determinazione, di dolore e coraggio.

Una sconfitta non è mai la fine, c’è sempre una luce verso cui camminare.

Se siete interessati, potete acquistare il libro direttamente al link qui sotto:

Il sogno di Ryōsuke

(In qualità di Affiliato Amazon io ricevo un guadagno dagli acquisti idonei)

L'articolo SUKEGAWA DURIAN – IL SOGNO DI RYÕSUKE proviene da Lego, Legimus.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on May 31, 2025 00:40

May 24, 2025

I WHO HAVE NEVER KNOWN MEN (IO CHE NON HO CONOSCIUTO GLI UOMINI) – JACQUELINE HARPMAN

Voto: 5/10

Edito: Vintage publishing / Blackie Edizioni

Trentanove donne e una ragazza adolescente sono state rapite e rinchiuse in una gabbia.
Non ci sono finestre, e per questo le donne credono di trovarsi sottoterra.
Delle guardie controllano ogni loro movimento, forniscono loro cibo appena sufficiente alla sopravvivenza, e impediscono loro qualsiasi tipo di contatto fisico, così come qualsiasi tentativo di ferirsi, con la costante minaccia della frusta.
I giorni scorrono tutti uguali, senza risposte, senza più domande.
Ma un giorno risuona una sirena, le guardie si allontanano di corsa, e una si dimentica le chiavi della cella nella serratura.

Che cosa c’è all’esterno?

Per fortuna piove da giorni, si sono abbassate le temperature e ho trovato le forze per scrivere la recensione di un libro che mi ha fatto inc*zzare così tanto da lasciarmi quasi senza parole. Quasi.

L’idea di base di questo romanzo è davvero ottima: quaranta donne rinchiuse in una gabbia sotterranea e costantemente controllate.
Perché? Chi sono? Che cosa hanno fatto? Chi le ha portate lì e come, visto che nessuna di loro ha alcun ricordo dell’accaduto?

Ad un certo punto riescono a fuggire e si ritrovano in un mondo brullo e desolato, completamente privo di umani, tranne che per altri bunker come quello in cui loro stesse hanno passato più di dieci anni.
Dove si trovano? Perché sono state portate qui? Si trovano ancora sulla Terra?

Idee e domande di base davvero interessanti, non fosse per il fatto che nessuna di queste domande riceve una risposta.
NESSUNA. NEANCHE UNA.
Va bene, ok, non è quello il punto del romanzo, però se vuoi scrivere un romanzo “distopico” non basta ambientarlo in un luogo inospitale e vuoto, dove le protagoniste non devono neanche sbattersi troppo per sopravvivere perché, non si sa come, la corrente elettrica continua ad infinitum a mantenere attive le celle frigorifere all’interno dei bunker che, guarda caso, sono piene di carne, oltre a contenere una quantità illimitata di cibo in scatola (senza scadenza, tra l’altro, visto che oltre ai dieci anni di prigionia, la protagonista continua a consumarli più di vent’anni dopo la fuga).
Inoltre, se il lettore non deve concentrarsi sugli aspetti “tecnici” di questo mondo, magari smetti di porti cento domande a riguardo senza trovare neanche una risposta, aumentando semplicemente il mio astio. Non attirare la mia attenzione sulle tue mancanze, mi sembra una regola molto basilare alla quale attenersi.

Ma va bene, non è questo il punto del romanzo.

Quindi non ci importa neanche del fatto che tutte le guardie sono semplicemente scomparse dopo che è suonata la sirena (o che, quando la protagonista trova una strada e la segue, scopre che dopo un po’ semplicemente questa strada si ferma, scompare, finisce, così, in mezzo al nulla, quasi come se fosse un punto narrativo senza alcun senso che la scrittrice abbia semplicemente deciso di abbandonare).

Ma va bene, non è questo il punto del romanzo. Questa volta davvero. Lasciamo da parte tutte le lamentele, tutto lo scetticismo, tutta la logica.

E quindi, qual è il punto di questo romanzo? No, non lo so, io non l’ho trovato, qualcuno me lo spieghi.

Vogliamo dire che il punto sia “lo studio” di una persona che non ha mai sperimentato personalmente la società e l’oppressione del patriarcato (non ha mai conosciuto gli uomini) e il suo sviluppo?
Vogliamo dire che sia lo studio di una persona sola e isolata, e di cosa la rende umana e donna quando intorno non ha niente con cui confrontarsi e interrogarsi?
Vogliamo dire che è un libro femminista sul potere dell’amicizia e della solidarietà, sui legami che nascono dai traumi e la solidità delle unioni?
Non lo so, lo vogliamo dire?

Io non lo direi, assolutamente.

Scritto nel 1995, per qualche motivo credevo di aver letto che fosse stato inizialmente pubblicato negli anni ’60, e per questo motivo avrei potuto giustificare molte delle pessime scelte compiute dall’autrice.
Ma no, questo libro è più giovane di me, e allora no.

La scrittura di Harpman (o almeno la traduzione inglese) è densa e immersiva, carica di troppe ripetizioni, e uno stile a mio parere troppo alto, considerando di chi sono i pensieri che stiamo ascoltando.

La protagonista non ha mai sperimentato di persona il patriarcato, è vero, ma questo non impedisce alle altre di riempirle la testa di frasi tipo “nel mondo reale le donne tentano di rendersi belle per gli uomini e visto che qui non ci sono uomini non ha importanza” o di pietà nei suoi confronti perché lei non ha mai conosciuto gli uomini (sia come rapporti interpersonali che in senso fisico) e quindi poveretta ma morirà vergine, guardiamola tutte come se fosse un cucciolo di cane a cui manca una zampa.

Sola e isolata la protagonista lo è, anche questo è vero, ma per sua scelta.
Dopo aver passato una decina di anni nel bunker col cervello spento, un giorno si sveglia e decide di ribellarsi: fissa la guardia più giovane che fa la ronda intorno alla loro gabbia.
Wow, tu sì che sei una ribelle.
Non paga, si offende perché le altre (con grandi sguardi di pietà) non vogliono spiegarle che cosa sia il sesso (ovviamente l’unico sesso, quello tra un uomo e una donna) e allora lei decide di non parlare più con loro, e di inventare delle scenette nella propria mente.
Wow, sto tremando.
Non paga, inizia a contare i battiti del proprio cuore per misurare lo scorrere del tempo e dopo un po’ non c’è neanche più bisogno che continui coscientemente a contare, lei semplicemente sa che ora è, in qualunque momento. Ok, watchgirl, dacci un taglio.

E in tutto questo, oltre ad un leggero attaccamento nei confronti di Anthea, l’unica che tenta di insegnarle e spiegarle qualcosa, rinchiude tutte le altre donne in un’unica scatola che etichetta come “le altre” e non fa alcun tentativo di comunicare con loro, di tentare di comprenderle, di stabilire un qualche tipo di rapporto umano significativo. Niente. Zero. Una massa informe in gonnella, che si lamenta per la stanchezza e per il mondo perduto.
Come si chiamava? Ah sì, femminismo e comunione.

La nostra protagonista, oltre ad essere un metronomo umano, non è in grado di provare empatia per chi la circonda, rifugge il contatto fisico e, dopo un tentativo fallito di masturbazione, capisce che non fa per lei (PERCHÉ TANTO NON CONOSCERÀ MAI GLI UOMINI E QUINDI CHE SENSO HA?! Chiedo pietà).
Ho pensato: “interessante, a metà degli anni ’90 vogliamo parlare di asessualità e aromanticismo? Il trauma della frusta come fonte di un distaccamento dal proprio corpo e da quello degli altri?”
Ma no, certo che no, che domande.
La protagonista non ha mai sperimentato le gioie dell’ovulazione, perché il suo corpo sapeva che non avrebbe mai conosciuto un uomo e quindi non aveva senso sprecare energie in quella maniera (voi pensate che io stia scherzando, ma qui non c’è niente da ridere).
Per questo motivo il suo corpo è “spezzato” e non riesce a provare piacere. E non prova nulla per le trentanove donne con cui ha vissuto per trent’anni, ma piange alla vista di un uomo mummificato seduto in posizione eretta, che le trasmette un gran senso di orgoglio e disobbedienza. (Per favore, fatela smettere.)

Inoltre l’autrice ha deciso di introdurre la presenza di alcune coppie formate da alcune delle donne del bunker. Voglio dire, mi sembra più che normale, stiamo pur sempre parlando di persone in cerca di compagnia e calore umano e amore.
No no, vi sbagliate, praticamente parliamo di “darsi una mano a vicenda” (IYKWIM) e poco altro, cioè se non si era ancora capito, non ci sono uomini qui.

Ultimo spoiler finale, che riguarda letteralmente l’ultima frase del libro: mille recensioni ad esaltare questa frase.
Frase in cui lei riflette su come sia strano che stia morendo a causa del suo utero malato, proprio lei che non hai mai avuto le mestruazioni e non ha mai conosciuto gli uomini. E ADESSO BASTA, PERÒ!

Possibile che in sessant’anni di vita a questa decerebrata non è mai venuto in mente che FORSE non sono gli uomini a definire che cos’è una donna? Che non è un utero a trasformare un ammasso di carne in donna? Per fortuna alla fine muore.

Footnote: dopo aver letto un paio di righe di trama, credevo che la protagonista non avesse conosciuto gli uomini nel senso che non li avesse mai visti, che non comprendesse l’esistenza di esseri uguali a lei e alle altre detenute ma diversi, e mi era sembrata un’idea molto più radicale ed interessante.
Quando ho scoperto che “conosciuto” era in senso biblico ho desiderato tanto lanciare il libro dalla finestra.

Se siete interessati, potete acquistare il libro direttamente al link qui sotto:

I who have never known men (eng)

Io che non ho conosciuto gli uomini (ita)

(In qualità di Affiliato Amazon io ricevo un guadagno dagli acquisti idonei)

– / 5Grazie per aver votato!document.cookie.match(/(^| )post_vote_2189=av_\d+(;|$)/)&&document.getElementById("av-rating-box-2189").classList.add("av-review-submitted")

L'articolo I WHO HAVE NEVER KNOWN MEN (IO CHE NON HO CONOSCIUTO GLI UOMINI) – JACQUELINE HARPMAN proviene da Lego, Legimus.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on May 24, 2025 01:01

May 10, 2025

OHIO – STEPHEN MARKLEY

Voto: 7/10

Edito: Einaudi

Una notte d’estate, la piccola città di New Canaan, quattro giovani quasi trentenni, la nostalgia e il dolore di un passato condiviso.
Bill è appena tornato in città per consegnare un misterioso pacco; Stacey sta andando a trovare i genitori ma si costringe a fare una breve tappa nella città in cui è cresciuta per incontrare una delle persone che più l’hanno fatto soffrire da adolescente e riuscire, forse, a scoprire dov’è finita una delle persone che ha amato di più; Dan, dopo tre turni in Iraq, è tornato a trovare la sua famiglia e l’ex fidanzata che aveva lasciato indietro arruolandosi; Tina, dopo anni di rapporti tossici e sofferenze, ha finalmente incontrato un bravo ragazzo, ma c’è una macchia nera nel suo passato di cui vuole liberarsi.

Quattro ragazzi, le cui vite hanno intrapreso strade completamente diverse, si ritrovano per caso, nella stessa sera, nella piccola città dove tutto ha avuto inizio, dov’è successo tutto.

Un filo di segreti e bugie e morte li lega stretti, e il cappio ha iniziato a stringersi sempre di più.

L’innocenza non è andata perduta, è stata strappata via con violenza, con una serie di scelte terribili sbagliate, di errori e di coincidenze, ma mai davvero dimenticata.

Tutti i personaggi, infatti, vivono guardandosi alle spalle, con lo sguardo puntato costantemente al passato, a tutto ciò che è stato e non è più.
Molti dei loro compagni sono morti, chi per droga e chi in guerra, alcuni sono scomparsi, lasciando dei vuoti incolmabili.
Ed è quasi impossibile andare avanti senza riuscire a chiudere definitivamente un capitolo tanto doloroso.

Questo è stato il romanzo d’esordio di Markley e, che dire? Ha fatto davvero un buon lavoro.

La sua scrittura è molto densa e molto scorrevole e, nonostante anche lui pecchi del classico “qualche-pagina-in-meno-non-avrebbe-fatto-del-male-a-nessuno”, è comunque un romanzo che riesce mediamente bene a coinvolgere il lettore (con qualche momento un po’ meno pregnante, almeno per me, per esempio tutte le digressioni di Dan e l’Iraq).

Non avendo letto prima la trama, non sapevo che questo libro contenesse un “mistero da risolvere” e, onestamente, anche durante la lettura, l’ho capito molto tardi, e forse è uno degli aspetti che mi sono piaciuti di meno, perché mi è sembrata un po’ una virata senza un vero senso, verso un “dettaglio” cruento di cui non c’era davvero bisogno.

Il resto del romanzo funziona molto bene, pur non essendo niente di eccezionalmente originale: tutti gli adolescenti sono bellissimi (un classico americano), il patriottismo dilagante fortificato dagli eventi dell’11 settembre, il giovane alternativo e sinistroide, le piccole comunità che sembrano quasi delle città fantasma a cui la chiusura delle fabbriche ha tolto completamente l’anima, il problema delle droghe e del razzismo e della misoginia e il sessismo e, insomma, tutto abbastanza già sentito.

Eppure, come lettura generale, secondo me funziona, sia per lo stile di Markley che, altalenando momenti di pathos e cuore ad altri più arzigogolati e dispersivi, ha trovato un ritmo proprio, che avanza inesorabile, sia per dei dettagli (più o meno piccoli) che ho gustato con piacere, come i discorsi sull’ecologia e la politica ambientale o lo svolgimento di un dato evento che, raccontato da più punti di vista, cambia completamente.

Questo non è il grande romanzo americano, ma è sicuramente un buon romanzo sulla provincia americana, su tanti tipi diversi di dipendenze, su chi sceglie la violenza e chi la subisce, su chi risponde con la violenza e chi tenta di cambiare strada, sulla quasi impossibilità di sfuggire agli errori e agli orrori del passato, sulla lingua che batte dove il dente duole, senza possibilità di scampo.

Una storia di nostalgia canaglia e futuro incerto, di terre promesse che si rimangiano la parola data e abbandonano i propri figli nella desolazione di un’America disorientata e sconvolta, ma attraversata dall’inizio alla fine da una carica elettrica che rimescola le carte in tavola, cercando di tenere il passo con la vita che va, ma da un’altra parte.

Se siete interessati, potete acquistare il libro direttamente al link qui sotto:

Ohio

(In qualità di Affiliato Amazon io ricevo un guadagno dagli acquisti idonei)

– / 5Grazie per aver votato!document.cookie.match(/(^| )post_vote_2184=av_\d+(;|$)/)&&document.getElementById("av-rating-box-2184").classList.add("av-review-submitted")

L'articolo OHIO – STEPHEN MARKLEY proviene da Lego, Legimus.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on May 10, 2025 01:53

May 3, 2025

LA MULA E GLI ALTRI, FACCENDE SEMISERIE DI PROVINCIA – ALESSANDRO CONFORTI

Edito: Il Ramo e la Foglia

Un sentito ringraziamento a Il Ramo e La Foglia (e a Giuliano) per avermi inviato una copia di questo libro!

Dodici racconti tra il breve e il brevissimo, che ci narrano le vicende della mula e gli altri, tra rivoluzioni nel pollaio e musiche malinconiche che fanno piangere il cuore.

C’è Zebù il conciatore, figlio del diavolo ma soprattutto figlio dell’uomo, costretto a sfuggire gli sguardi altrui per colpe non sue; c’è un vecchio tronco impossibile da datare, o quasi; ci sono Elsa e Damiano, afflitti dalle difficoltà materiali della vita, ma che ritrovano tutto il senso e la luce del mondo in un neonato tanto amato; Artemio non c’è, e Renza è pronta a vendicarsi; c’è la moglie matta del barone, che forse è una che s’è persa o forse è una strega.

Dodici racconti e tanta vita, in questa raccolta breve ed intensa, leggera e pungente di Conforti.

I racconti hanno sempre quella magia tutta loro, alla quale è difficile restare indifferenti (almeno per me).
E anche Conforti, che di racconti ne ha già masticati altri in passato, ha saputo creare un universo ristretto ed infinito nel quale far perdere il proprio lettore.

Con voce ferma e sicura, ironica e scanzonata, l’autore ci mostra i lati più assurdi e magici di vite normali e speciali.

Con una scrittura lineare e ricercata, profonda e sciolta, ci accompagna a conoscere una frotta di personaggi tutti diversi fra loro, tutti impegnati a vivere la propria vita.

L’amore e la famiglia, i ricordi e la libertà, la natura e la società, gli uomini e le bestie, tutto si mescola in un coro mai dissonante, composto da molteplici strati che si intrecciano e si incastrano senza mai scontrarsi.

Il punto forte è sicuramente lo stile di Conforti, scorrevole eppure mai troppo semplice, sempre curato al punto giusto.

“Il castagnino” è riuscito, più degli altri, a toccare un punto dolente del mio cuore, ed è stato un vero piacere.

I miei complimenti ad un autore giovane, ma che ha già trovato la propria strada.

Se siete interessati, potete acquistare il libro direttamente al link qui sotto:

La mula e gli altri

(In qualità di Affiliato Amazon io ricevo un guadagno dagli acquisti idonei)

– / 5Grazie per aver votato!document.cookie.match(/(^| )post_vote_2180=av_\d+(;|$)/)&&document.getElementById("av-rating-box-2180").classList.add("av-review-submitted")

L'articolo LA MULA E GLI ALTRI, FACCENDE SEMISERIE DI PROVINCIA – ALESSANDRO CONFORTI proviene da Lego, Legimus.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on May 03, 2025 00:45

April 29, 2025

SOLARIS – STANISŁAW LEM

Voto: 8/10

Edito: Sellerio editore Palermo

Il pianeta Solaris, il suo misterioso oceano vivente, gli scienziati che inabitano la stazione spaziale.
Un nuovo astronauta, dalla Terra, si è appena aggiunto alla squadra, e sin da subito percepisce qualcosa di strano.
Gibarian, uno degli scienziati, è morto da poco, ma gli altri sono riluttanti a parlarne, così come giocano in maniera misteriosa con le parole per evitare di menzionare direttamente degli oscuri “visitatori”.

L’uomo è alla ricerca di qualcosa, ma forse di qualcosa che non è assolutamente in grado di comprendere, né tantomeno di concepire.
Gli enigmi da risolvere sono infiniti, così come le teorie e le ipotesi, le paure e le meraviglie, le scoperte e i terrori.
L’uomo e la sua ricerca antropocentrica, anche e soprattutto messo a confronto con qualcosa che non ha nulla in comune con l’umanità: c’è questo al centro di questo romanzo filosofico fantascientifico, pubblicato nel 1961 e ancora oggi annoverato fra i migliori titoli del genere.

Le sue atmosfere cupe, grigie e aliene, ci ingabbiano, ci imprigionano in una scatola fatta di quesiti, di dubbi esistenziali, dove l’uomo resta sempre al centro, incapace per sua natura di osservare qualcosa con un vero e proprio distacco, mentre fuori dalla finestra l’oceano resta a guardare (e secondo me, se la ride sotto le onde).

Ma l’uomo della storia (sia nel senso di Kelvin, lo psicologo giunto dalla Terra, o i suoi colleghi già presenti nella stazione, che l’essere umano in generale) sembra muoversi in maniera inesorabile verso una resa (dei conti, o semplice resa), verso qualcosa di più grande e insondabile, un mare ignoto che è la più alta delle montagne insormontabili.

Un romanzo fantascientifico che fa un po’ il verso ai romanzi di fantascienza, perché gli studiosi non riescono assolutamente a comprendere ciò che li circonda, non scoprono la verità, né sono davvero interessati a condividere le proprie idee e completare la ricerca (come ripete più volte Kelvin, che compie azioni senza capirne egli stesso il motivo, non è interessato agli studi dei suoi colleghi, e nel profondo vuole solo quella pace che ha ritrovato, anche se in maniera distorta, dopo dieci anni di sofferenza).

Il senso di sconfinata ignoranza e di moto perenne permea ogni pagina di inquietudine, di attesa, di una paura primordiale e insuperabile.
L’oceano che occupa quasi interamente la superficie di Solaris è un’entità che l’uomo non riesce a comprendere, con il quale non è possibile entrare in contatto, che letteralmente si ritrae e sfugge, che si comporta in modo imprevedibile con i suoi longoidi / fungoidi / mimoidi / simmetriadi / asimmetriadi / vertebroidi / agiloidi.

E allora che cosa resta all’uomo, se non il vuoto di una mancanza?

Parlando di religione, bene e male, realtà e scienza e filosofia, Lem ci mostra un universo immenso, che l’uomo tenta di classificare e comprendere catalogandolo con i suoi criteri finiti e antropocentrici, non all’altezza del compito.

Non so se si tratti di una scelta di traduzione, o se l’opera originale richiedesse perentoriamente un linguaggio simile, ma l’opera non è sicuramente una lettura facile e leggera; grandi ragionamenti filosofici, sì; frasi un po’ ingarbugliate, a tratti macchinose e a tratti davvero di alto livello, sì; termini desueti, sicuramente non scelti a caso per un’opera di sessant’anni fa e soprattutto per l’argomento trattato, ma che oggi possono contribuire allo spaesamento già causato dalla storia, sì.

Una lettura in cui immergersi completamente, a cui votarsi in maniera totale, per prendere atto, sempre di più, della quasi completa insignificanza dell’uomo di fronte all’universo intero.

L’uomo alla ricerca di qualcosa, che forse non troverà mai, che forse potrebbe trovare dentro sé stesso, che forse non vuole davvero trovare.
L’uomo alla ricerca di un dio, di un io, di una verità ultima e incrollabile, in cui specchiarsi senza distorsioni.
L’uomo e il confronto con l’ignoto, con i limiti, con la propria tracotanza e le proprie mancanze, con ciò che lo rende, semplicemente, umano.

Se siete interessati, potete acquistare il libro direttamente al link qui sotto:

Solaris

(In qualità di Affiliato Amazon io ricevo un guadagno dagli acquisti idonei)

– / 5Grazie per aver votato!document.cookie.match(/(^| )post_vote_2176=av_\d+(;|$)/)&&document.getElementById("av-rating-box-2176").classList.add("av-review-submitted")

L'articolo SOLARIS – STANISŁAW LEM proviene da Lego, Legimus.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on April 29, 2025 00:30