Rachele Riccetto's Blog, page 14

May 18, 2024

IL CANTO DEL PROFETA – PAUL LYNCH

Voto: 8/10

Edito: 66thand2nd

Tecnicamente descritto come “romanzo distopico”, non credo che questa categorizzazione rappresenti alla perfezione quest’opera.

Lynch ha, sapientemente, compiuto un’azione più intelligente: ha riscritto per il mondo occidentale precisamente ciò che sta succedendo in altre parti del mondo, in questo momento.
Non si è inventato niente.
Ma visto che molte persone non riescono a comprendere la gravità di certe situazioni perché “troppo lontane”, “qui non succederebbe mai”, “ma come possono comportarsi in questa maniera?”, allora Lynch ha detto: e se succedesse proprio qui? Visto che altri Paesi ci sembrano tanto lontani, diciamo in Irlanda. Ora è più difficile voltarsi dall’altra parte, no?

In un’Irlanda appena accennata (che potrebbe essere qualunque parte del mondo), in un momento non ben specificato (che potrebbe essere il nostro presente), la rapida ascesa di un partito di estrema destra costringe il Paese in un totalitarismo dai toni ben noti, mentre il mondo resta a guardare.
I protagonisti della storia sono i membri della famiglia Stack, con particolare attenzione su Eilish.
Quando suo marito viene convocato dalla polizia segreta per essere interrogato e non fa più ritorno, la donna si ritrova da sola con i quattro figli, un padre malato e la realtà che ha sempre conosciuto che inizia a sbriciolarsi intorno a lei.
E così Eilish resta a casa, in attesa che lo Stato rilasci suo marito, tentando di trattenere un figlio quasi adulto che vuole unirsi alla ribellione e di proteggere gli altri tre, di controllare un padre malato che sta perdendo dei pezzi di sé, aspettando che tutto ritorni alla normalità.

E mentre tutta la nazione intorno a lei è scossa e sconvolta da questa nuova realtà che si trasforma presto in una vera e propria guerra civile, Eilish resta immobile al centro della scena, in attesa.

La storia principale segue un percorso molto classico, senza colpi di scena, senza niente di innovativo.

Eilish stessa, per la maggior parte del romanzo, resta in casa, in attesa che le cose migliorino, che tornino alla normalità, che qualcuno li salvi.
E questo perché è precisamente la reazione che avrebbe la maggior parte delle persone.

Leggendo libri distopici ci piace sempre immedesimarci in quel personaggio che da uomo comune si trasforma in grande eroe, ma purtroppo, nella realtà, le cose non andrebbero così per la maggior parte di noi.
Leggendo altre recensioni, ho notato che questa è una delle critiche principali che ha ricevuto questo libro, questa immobilità che si estende per la maggior parte del romanzo, questa “inazione”.
Eppure credo sia una descrizione assolutamente realistica di come si svolgerebbero le cose per moltissime persone.

Le atmosfere oscure e agghiaccianti sembrano scivolare silenziosamente nella nostra testa, infiltrarsi dalla finestra aperta su una notte senza stelle come una nebbia che, lentamente, occupa tutto lo spazio che trova, ci entra nelle ossa e ci pesa sulle spalle, ci fa venire i brividi come un soffio di vento freddo sulla pelle umida.

Il punto forte del romanzo, secondo me, è lo stile di Lynch, e anche qui ho trovato l’opinione generale divisa in due: o lo ami o lo odi.
Ho avuto la possibilità di leggere qualche stralcio qua e là dell’opera in lingua originale, e devo ammettere che sì, è uno stile particolare, che tenta di donare un tocco di liricità alla sua prosa, rischiando quasi di strafare, e in certi momenti i toni forzatamente poetici ed emo ci fanno quasi storcere il naso, ma secondo me funziona benissimo (anche grazie alla sapienza del traduttore italiano, Riccardo Duranti, che ha fatto un ottimo lavoro).

Lynch ingabbia il lettore in frasi lunghe venti righe, con un utilizzo del discorso indiretto libero che sembra tenere il lettore con il fiato sospeso, in un’apnea emotiva che ci schiaccia e ci lascia addosso un senso crescente di claustrofobia.

E così, alla fine, seguendo una storia che abbiamo già sentito, un destino a cui abbiamo già assistito troppe volte da lontano, Eilish e la sua famiglia prendono l’unica decisione possibile, ripercorrendo i passi già percorsi da altri, con lo stesso cuore infranto, la stessa stanchezza sulle spalle, la stessa paura negli occhi, e la stessa luce di speranza a guidarli.

“In mare, dobbiamo andare in mare, in mare è la vita.”

Questo romanzo mi è piaciuto davvero molto perché, con una storia semplice e già nota, ci ricorda la realtà che molte persone stanno già vivendo in questo momento, ci intrappola sotto il cielo nero delle sue atmosfere oscure e cariche di tensione crescente, non ci accompagna in un viaggio che ci permetta di comprendere la situazione ma ci abbandona al centro della scena insieme alla protagonista, lasciando che la situazione ci precipiti addosso.

Il messaggio è chiaro e potente, e non perde la sua forza nonostante sia già stato pronunciato milioni di volte, ma rinasce come una profezia dai toni oscuri e i bordi taglienti, si avvolge su sé stessa e ritorna con più forza, finché non avremo imparato la lezione, finché l’amore non sarà più forte della paura e dell’odio.

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Il canto del profeta

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Published on May 18, 2024 01:26

May 17, 2024

NUOVO TITOLO PER CORBACCIO

Salve a tutti!

Oggi ho il piacere di presentarvi un nuovo titolo edito Corbaccio, che mi è stato gentilmente inviato dall’editore, che ringrazio tantissimo.

BASTA UN PEZZO DI MARE – LUDOVICA DELLA BOSCA

Agata e Sara sono due giovani donne, due personalità irrisolte. Agata ha perso la madre da pochi anni; apparentemente ha superato il trauma, ma all’università, lei, bravissima a scuola, si è bloccata e ha finito per fare la commessa. Sara, sua amica inseparabile, ha rivelato in famiglia la propria omosessualità che però non è stata accettata, e ha deciso di tagliare i ponti con tutti e di vivere viaggiando all’estero. Per caso si incontrano al rientro di Sara a Monza, dove entrambe abitano, proprio quando Agata ha appena deciso di liberare in mare un astice ancora vivo acquistato al supermercato. Un progetto bislacco – Agata è la prima a esserne consapevole –, una situazione paradossale, che però rappresenta per entrambe la possibilità di dare una svolta alla loro vita e riprendere un’amicizia che si era bruscamente interrotta ma mai dimenticata.
Basta un pezzo di mare è un romanzo d’esordio intimo e commovente che affronta con toni delicati e spiritosi la difficoltà di diventare adulti e di trovare il proprio posto nel mondo, il rapporto viscerale tra madri e figlie, il distacco, l’accoglienza, l’amore incondizionato. È la storia di un’amicizia profonda, capace di ricucire le fratture e superare le distanze. È il racconto di un viaggio reale e metaforico di scoperta e accettazione della propria identità.

BIO: Ludovica Della Bosca nasce a Monza nel gennaio del 1992. In seconda elementare scrive il suo primo romanzo su un foglio protocollo e alla fine della terza media decide di intraprendere un percorso di studi classici. Nel 2011 si diploma presso il liceo ginnasio Bartolomeo Zucchi di Monza e inizia a studiare Lettere Moderne all’Università degli Studi di Milano, mentre collabora con il Giornale di Monza. A novembre del 2017 frequenta un corso annuale presso la scuola di scrittura Belleville, dove capisce finalmente che quello di diventare scrittrice è il suo sogno più grande. Basta un pezzo di mare, segnalato dalla giuria del Premio Calvino 2022, è il suo primo vero romanzo.

Se vi interessa, dal 14/05 è disponibile in libreria e online.

Non vedo l’ora di leggerlo e parlarne con voi.

Presto la recensione.

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Published on May 17, 2024 01:25

May 13, 2024

LA SINDROME DI RÆBENSON – GIUSEPPE QUARANTA

Voto: 8/10

Edito: Blu Atlantide

Quando sono comparsi i primi sintomi, tutti sono rimasti sorpresi, ma nessuno aveva la minima idea di come si sarebbero svolte le cose.
A raccontarci la storia è uno psichiatra senza nome, un io narrante che cerca di tramandare gli avvenimenti nel modo più preciso possibile: i primi sintomi mostrati dal suo amico e collega Antonio Deltito sono una serie di amnesie, quindi alterazione nella visione dei colori, sbalzi d’umore, e un declino che sembra semplicemente inarrestabile.
Durante uno dei molteplici ricoveri, Deltito si decide a confidarsi con l’amico, rivelandogli il nome della malattia da cui è affetto, che gli impedisce addirittura di morire di una morte naturale: la sindrome di Ræbenson.
E mentre gli altri medici liquidano subito questa dichiarazione senza fondamenta, il narratore decide di assecondare l’amico ed inizia ad indagare su questo disturbo che non solo nessuno ha mai sentito nominare, ma che viene tenuto volutamente nascosto dai suoi studiosi, i ræbensonologi, portando alla luce una serie di eventi e coincidenze e sintomi che cambieranno per sempre la sua vita ed avranno un’influenza significativa su tutto il mondo.

Non so precisamente che cosa mi aspettassi da questo romanzo, ma di sicuro non era quello che vi ho effettivamente trovato all’interno.
Ovviamente non posso dire che le cose andranno in questa maniera per tutti quelli che decideranno di leggerlo, ma sicuramente ci troverete dentro molto di più di ciò che vi aspettereste.

Ed anche per questo bisogna fare i complimenti a Quaranta, che ha scritto un’opera prima complessa ed articolata, ricca e densa e ben studiata, ben congegnata.

Quaranta ha creato un romanzo ricchissimo, di personaggi e di storie, di idee e medicina e filosofia e metafisica, di riferimenti ad altre opere ed altri pensatori, in cui ha inserito sapientemente anche l’utilizzo di altri media (fotografie, radiografie, dipinti), per creare un amalgama di colori e parole che donano ancora più spessore alla lettura.

Nonostante la voce distaccata, praticamente analitica, che ci accompagna in questo viaggio, è un romanzo estremamente coinvolgente.
Con uno stile ed un tono ricercati e algidi, ci sembra quasi di leggere un romanzo austriaco dell’800, che scava nella realtà e nei concetti così poco realistici da essere assolutamente credibili.
E questo è uno degli aspetti più coinvolgenti del romanzo: più il protagonista continua le sue ricerche e i suoi studi sulla sindrome, diventandone uno dei maggiori esperti al mondo, più la realtà inizia a perdere i suoi contorni definiti, mescolandosi con l’immaginazione, il subconscio, la paranoia.
Tutto viene costantemente rimesso in gioco, nulla è chiaro e certo.
La verità si nasconde sempre un passo più in là, e sta al lettore rimettere insieme i pezzi, questi sintomi di una malattia sconosciuta, per interpretare questa nuova sindrome che si diffonde a macchia d’olio.

Ragionando sull’identità dei tanti personaggi che incontriamo nella storia, ci ritroviamo a ragionare sulla nostra stessa identità, inserendoci anche nella narrazione stessa, con la nostra coscienza e la nostra conoscenza.

I concetti di identità e memoria (e le loro instabilità) si mescolano fra loro, e la loro connessione si fa al tempo stesso più forte e più labile, in un vortice vertiginoso e perturbante.

Non vorrei rivelare troppi aspetti della trama (e della malattia), perché lo studio che Quaranta ci permette di farne insieme al protagonista è davvero uno degli aspetti più importanti ed intriganti, e possiamo così scavare sia nella mente di chi è afflitto dalla sindrome, che nell’idea stessa di persona, di coscienza, di ciò che rende una vita degna di essere vissuta e ciò che la rende insostenibile, della reazione dell’uomo di fronte alla vita eterna e della consapevolezza che abbiamo di noi, dell’importanza della morte per dare valore e senso alla vita, dei nostri ricordi, del nostro passato.

Se prima di iniziare un libro cerco sempre di evitare la maggior parte delle informazioni (ormai non leggo più neanche le trame, mi affido completamente ad occhi chiusi ad ogni romanzo che attira la mia attenzione), alla fine della lettura adoro leggere quante più recensioni possibili, interpretazioni, idee, per tentare di riconoscere le strade prese dalla mente di ogni lettore. E per questo romanzo vi invito a fare la stessa cosa: prima di tutto a leggerlo, a lasciarvi avvinghiare dalla prosa arguta e ricercata di Quaranta e dalla sua storia intricata e intelligente; quindi di osservare come, da queste pagine, siano partite tante altre strade, tante interpretazioni e idee, fino a creare un’unica grande entità interpretativa, della sindrome del lettore appassionato.

Se siete interessati, potete acquistare il libro direttamente al link qui sotto:

La sindrome di Ræbenson

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Published on May 13, 2024 02:21

May 7, 2024

I RINTOCCHI DELL’APRUTINA – DAVIDE FALSINO

Edito: La Valle del Tempo

Un grande ringraziamento a La Valle del Tempo per avermi inviato una copia di questo romanzo!

Una domenica di maggio, 1847.
Al Molo Angioino c’è un nuovo Rinaldo intento a declamare una nuova versione della storia di Carlo Rainone.
Questa versione è stata scritta da Tonno Grieco, fratello del celebre brigante Titta Grieco, entrambi salvati da bambini dallo stesso Carlo, e quasi tutta la verità verrà svelata al pubblico che si presta all’ascolto, mentre una parte rimarrà nota solo a pochi.

Tonno è sopravvissuto al celebre e famigerato fratello, e dopo così tanti anni è pronto a rivelare tutta la verità sul loro passato ad Antonio, il nipote con cui stringe un rapporto epistolare che sembra averli quasi allontanati l’uno dall’altro.

L’infanzia difficile, la fuga di Titta dal Conservatorio di Sant’Onofrio a Porta Capuana, le vite dei due fratelli che intraprendono due strade diverse, fino alla fine, con la rivelazione di un dolore antico e profondo, mai dimenticato e mai perdonato.

Sullo sfondo l’Abruzzo e Napoli e re Ferdinando II, i francesi e i moti di ribellione e i giacobini, per creare un quadro vivido e vibrante, carico di pathos e coscienza civica, che spicca senza mai soverchiare la storia principale, ma diventandone parte essenziale e comprimaria.

Un racconto in un racconto in un racconto, mille voci che si inseguono e si sovrappongono e si mescolano, per creare una polifonia dal cuore struggente.

Falsino ha creato un’opera davvero molto intrigante: le parole dei personaggi si riconcorrono e ci svelano, un poco alla volta, una storia nascosta in una storia, un passato celato e quasi dimenticato, in un coro di voci che crea un’armonia profonda e dolcissima.

Falsino è un compositore, e si sente benissimo nella sua prosa: non solo per l’evidente conoscenza della musica che emerge con forza dalle pagine, ma anche per il modo in cui è riuscito ad organizzare con sapienza i vari strati di narrazione, coinvolgendo il lettore ad ogni livello.

Lo stile dell’autore è sicuramente l’aspetto che più contraddistingue questo romanzo: con un lessico forbito e ricercato (con qualche inserzione in dialetto napoletano o in francese, a creare una piacevole intermittenza), la lettura parte in maniera quasi stentata; una volta che ci abituiamo al suo stile affettato e ben costruito, però, ed iniziamo a conoscere un po’ meglio i personaggi che si muovono sulla scena di fronte ai nostri occhi, il testo diventa un vero piacere, così diverso dal linguaggio semplice e “comune” a cui siamo abituati, più articolato e stratificato.

Un libro davvero interessante, che richiede particolare attenzione da parte del lettore, ma che ne ripaga completamente l’applicazione, coinvolgendoci in lotte e politica, pensieri filosofici e ragionamenti storici, lezioni di musica e vita da briganti, in un miscuglio eterogeneo ed affascinante, pieno di grandi sentimenti e grandi ideali, in un crescendo continuo che ci conduce ad una conclusione dai toni amari e malinconici.

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I rintocchi dell’Aprutina

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Published on May 07, 2024 02:09

May 4, 2024

CHE COSA FA LA GENTE TUTTO IL GIORNO? – PETER CAMERON

Voto: 7/10

Edito: Adelphi

Che cosa fa la gente tutto il giorno?

Bè, se si volesse un po’ di bene, leggerebbe Cameron.

Una raccolta di 12 racconti, che Adelphi ha pubblicato l’anno scorso, ma che originariamente sono stati pubblicati da metà degli anni ’80 fino ad una decina di anni fa.

In alcuni la voce dell’autore sembra non aver trovato ancora del tutto la propria forza, altri brillano pur nella loro brevità.

Come sempre, Cameron ci parla con dolcezza e malinconia di vite che sembrano comuni, ma che nascondono disarmanti sprazzi di bellezza.
Ci sono segreti e menzogne, ci sono paura e cambiamenti, c’è amore, c’è nostalgia, ci sono persone che vivono vite tranquille, che si sentono sole o inadeguate, che vorrebbero di più.

Un uomo che nasconde una cagnolina e la voglia di amare dopo una perdita; una ragazza che cerca sé stessa in un parco a tema; una coppia che si ama, si perde e poi si ritrova in un tentativo di amicizia; un uomo malato che sta lasciando la vita che conosceva per tornare nel calore del nido famigliare.

Sembra quasi di osservare i personaggi delle storie che si muovono da un buco della serratura, trattenendo il fiato, per non rischiare di spezzare l’incantesimo.
Osserviamo le loro vite e le loro scelte, li vediamo mutare di fronte ai nostri occhi, prendere forma in modo nitido e chiaramente umano, perché Cameron sa scavare nelle menti e nei cuori dei suoi personaggi e portare a galla tutto ciò che si nasconde sotto la superficie, senza mai perdere di vista il quadro d’insieme.

L’aria fumosa e dal sentore dolciastro trasmette tutta la forza evocativa delle sue parole, che già sapevano creare suggestioni nei lettori quaranta anni fa.

Alcuni hanno uno stile più anni ’80/’90, lo stesso che caratterizza alcuni dei suoi romanzi, e altri sembrano elevarsi in maniera più eterea.

Non mi piace particolarmente quando gli stessi personaggi si ripetono in diversi racconti, perché allora, Peter, un romanzo non sarebbe stato meglio?

Ma alla fine questa raccolta funziona bene, è molto scorrevole e ci lascia quel tipico sapore dolce-amaro in bocca a cui Peter ci ha ben abituati.

Se dovessi scegliere, forse “Il cane segreto” è quello che più è riuscito a toccarmi nel profondo. Sicuramente non la raccolta più bella che abbia mai letto, ma che può sicuramente essere apprezzata dai fan di Cameron.

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Che cosa fa la gente tutto il giorno?

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Published on May 04, 2024 02:14

April 27, 2024

SELVAGGIO OVEST – DANIELE PASQUINI

Voto: 8/10

Edito: NN Editore

Siamo nella Maremma, alle fine dell’800.
Nell’aria c’è odore di fieno, di sudore, di fumo, di animali.
Si sentono i fischi dei mandriani che richiamo i cavalli e le vacche, i cinguettii degli uccelli, le voci degli uomini e delle donne si spandono fra i campi, come i canti dei lavoratori.
Giuseppe “Penna” è un buttero silenzioso, nato e cresciuto in quei campi, in quella vita. Lui e sua moglie Leda, non riuscendo a concepire un figlio, si sono ritrovati ad adottare il piccolo Donato, rimasto orfano appena nato, e ormai anche il ragazzo è cresciuto, è quasi un uomo.
E saranno proprio padre e figlio ad aiutare, un po’ per caso e praticamente senza volerlo, i carabinieri ad arrestare il famoso brigante Occhionero.
Ma le loro strade incroceranno quelle di tanti altri personaggi: c’è Gilda, figlia di un carbonaio, che fugge per salvarsi la vita e per vendicarsi degli uomini che hanno abusato di lei; c’è il carabiniere Orsolini, che si ritrova suo malgrado ad inseguire briganti e ad essere braccato lui stesso dalla legge; il famoso generale Cody, noto come Buffalo Bill, che proprio in quegli anni portava il suo spettacolo sul Wild West in tournée per l’Italia; il giornalista Sigaretta; Alce Nero, guida spirituale degli Oglala.
Tanti personaggi si rincorrono attraverso campi e colline, nei boschi e oltre i fiumi di una terra, sì, toscana, ma che non è mai sembrata tanto americana.

Un buon romanzo sicuramente, questo di Pasquini.
Nonostante le ambientazioni siano più piccole e ristrette delle sconfinate praterie del Wild West (come si lamentano gli stessi nativi americani che si ritrovano ad attraversarle in groppa ai loro cavalli), ci sembra proprio di respirare l’aria tipica di un romanzo di McMurtry, chiara ispirazione dell’autore.

Oltre al soggetto dell’opera, però, è proprio lo stile di Pasquini a rendere questo romanzo così americano: con una prosa chiara e ariosa, scorrevole e mai pesante, ci permette di attraversare al galoppo le terre che descrive per noi.
Ok, forse non proprio al galoppo, forse alcuni passaggi si impuntano un po’, ci fanno rallentare e quasi inciampare (come nelle liste infinite di nomi di colli e poggi e paesini che incontrano i personaggi nelle loro peregrinazioni) ma, insomma, anche noi abbiamo bisogno di prendere un attimo fiato fra un colpo di fucile e uno di rivoltella, un lancio del laccio e qualche osso rotto, quindi nel complesso funziona più che bene.

I personaggi sono al centro della storia, insieme alle loro scelte e al destino che, ogni tanto, ci mette lo zampino.
Mi è piaciuto molto Beppe, così taciturno e ruvido, come un Clint Eastwood senza sigaro, ma col cuore d’oro. Donato è un giovane John Wayne, che cerca di mostrare al padre di essere un uomo, ormai, ed è pronto per occupare il proprio spazio nel mondo. Mi è piaciuto abbastanza anche Occhionero, così sicuro di essere dalla parte del giusto, unica speranza per le povere genti, nelle sue scorribande e nella sua lotta contro la legge.

In tutti i libri di cowboy che si rispettino le donne si dividono in due categorie (sempre sottorappresentate): le mogli pie e grandi lavoratrici, e le puttane. E anche qui le cose non sono differenti. Ci sono due donne e, bè, una è Leda, moglie pia di Beppe e grande lavoratrice, e l’altra è Gilda, grande lavoratrice e, suo malgrado, puttana. Certe cose non cambiano mai.

La cosa che ho apprezzato meno, probabilmente, è il modo in cui molti episodi “accadono” e si “risolvono” grazie al destino, o al caso: Gilda fugge e, per destino, finisce a casa di Giuseppe e Leda; il destino vuole che Alce Nero rubi otto cavalli di Giuseppe; vagando senza meta, Orsolini si imbatte, per destino, nel nascondiglio di Occhionero; il brigante e il suo aiutante arrivano a casa di Giuseppe proprio nel momento in cui anche lui fa ritorno. Se un cerchio lo dobbiamo chiudere, insomma, un modo si trova sempre, per destino o per caso.

In generale, comunque, il romanzo mi è piaciuto parecchio, perché è proprio ciò di cui avevo bisogno in questa strana primavera: lunghe cavalcate sotto al sole cocente e notti all’addiaccio intorno a un piccolo fuocherello, tante pallottole e qualche freccia, qualche sprazzo di dolcezza e parecchia violenza, agguati e furti e inseguimenti e regolamenti di conti.

Si nota anche l’enorme lavoro di studio e ricerca compiuto dall’autore, sia per il linguaggio utilizzato, che per delle lettere e articoli di giornale che intramezzano l’azione, e sono delle vere e proprie piccole perle: inventati ma basati su nomi e fatti reali, questi paragrafi parlano principalmente di Buffalo Bill, del suo spettacolo, e della sua “ingloriosa” fine, e aggiungono quell’accento completamente americano che tanto si fa notare nel resto dell’opera.

C’è un po’ di tutto in questa storia, che Pasquini ha magistralmente ritratto con pennellate italiane e americane, permettendoci di compiere un lungo viaggio per le terre della nostra nazione e, al tempo stesso, visitare il Lontano Ovest, senza mai attraversare l’Acqua Grande.

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Selvaggio Ovest

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Published on April 27, 2024 01:53

April 20, 2024

LA RAGAZZA DALLE LABBRA COLOR ARANCIA – FRANCE HUSER

Edito: La Valle del Tempo

Un ringraziamento speciale a La Valle del Tempo per avermi inviato una copia di questo romanzo!

Il diario di una passione che brucia, e consuma tutto ciò che ha intorno.
Dal 3 ottobre 1919, la voce di Jeanne Hébuterne ci racconta gli ultimi tragici mesi della vita dell’artista italiano Amedeo Modigliani.
Jeanne non è soltanto una delle modelle di Modi (come lo chiamano gli amici), ma uno dei suoi soggetti preferiti e la sua musa, la sua compagna e la madre della sua bambina, Giovanna.
I due vivono insieme a Parigi, in un atelier dove Modigliani dipinge come un forsennato, beve come se avesse un fuoco dentro da spegnere, ed è alla costante ricerca di qualcosa che non riesce a trovare, o a raggiungere.
Un diario che è un’opera di fantasia, ma che si basa su alcuni fatti veri della vita della coppia, e tenta di ricostruire gli ultimi mesi di passione e distruzione che li hanno condotti a quel 24 gennaio e, inevitabilmente, a quell’ultimo cielo stellato.

Un libro breve, ma intensissimo, questo di Huser.
Devo ammettere che i miei ricordi delle lezioni di storia dell’arte del liceo sono molto vaghi, tanto che non ricordo neanche di aver studiato le opere (e tantomeno la vita) di Modigliani.
Attraverso questo libro ho “scoperto” molte cose interessanti: il fatto che Amedeo fosse principalmente uno scultore ma, per motivi di salute, dovette abbandonare quest’arte e dedicarsi completamente alla pittura; il fatto che dipingesse molto velocemente, terminando quasi tutti i quadri in una seduta; il modo in cui morì, e la conseguente fine della compagna.

Il focus del libro, il punto di fuga verso cui convergono tutte le linee della vita di Jeanne è Amedeo, con il suo talento e la sua sregolatezza, con i suoi scatti d’ira e i momenti di dolcezza, con il suo dolore e il senso di incompiutezza. L’amore che univa i due non può essere certamente definito “sano”, ma era come un fuoco che si fa terra bruciata intorno.

Purtroppo non posso dire di aver apprezzato particolarmente il personaggio di Jeanne: dalla sua voce risulta una donna debole, che si comporta anche in modi insensati e sciocchi.
Non solo la coppia, incapace di prendersene cura, aveva lasciato la piccola Giovanna con una balia (e forse questa è la decisione più sensata che abbiano mai preso insieme) e non andava quasi mai a trovarla, ma Jeanne era nuovamente incinta durante i suoi ultimi mesi di vita e, nonostante continuasse a dichiarare un grande amore per questo “bambino che sarà uguale a Modi”, non fece nulla per prendersi cura di sé e di lui.

La sua ossessione per Amedeo era ottundente, ottenebrante, le impediva di pensare a qualsiasi altra cosa.
Quando lo stesso Amedeo si ammalò, e passò giorni interi a letto, nella casa gelata perché non avevano soldi per il carbone, invece di andare a chiamare il dottore Jeanne preferì stendersi vicino a lui. Lo stesso tipo di ossessione che Amedeo aveva per l’arte, Jeanne lo riversava su di lui, in una maniera quasi ridicola.
Lei stessa era una pittrice, ma abbandonò completamente la sua carriera per devozione nei confronti di Modigliani e della sua arte.
Forse un ritratto realistico, ma dal quale emerge una donna debole, che si annienta completamente per un uomo.

Certo, questo tipo di personaggio rende la lettura più coinvolgente, più emotiva, piena di pathos fino all’orlo (e non ha influenzato il mio giudizio sull’opera in generale), ma alla fine del libro le sue sofferenze erano diventate quasi delle lagne.

Lo stile di Huser, però, aiuta moltissimo nella “sopportazione” di questa voce lamentosa ed è il vero punto forte: la sua prosa è quasi poetica, è malinconica e amara, inquieta e delicata, e ci permette di sentire più vicina una storia così intensa.
Huser compone delle bellissime immagini, dei momenti di intimità così dolci e sofferenti, che riescono a toccare il lettore nel profondo.
Così come le domande che Jeanne si pone su Amedeo ci permettono di ragionare sull’arte e sulla creazione e su questo bisogno che alcuni hanno di espellere da dentro di sé un qualcosa di troppo grande per poterlo contenere, il suo modo di osservare sé stessa attraverso i suoi quadri ci fanno pensare a ciò che siamo, ciò che pensiamo di essere, ciò che gli altri vedono in noi, e a come spesso nessuna di queste facce coincidano fra loro.

L’ultima pagina di diario è molto delicata, così come tutte le altre, che non ritraggono mai scene crude e violente, ma dipingono un mondo dai colori tenui, anche nei momenti di maggior sofferenza.

Pur non conoscendo la storia di Jeanne e Modigliani, si riesce ad intuire quale sarà la fine che incontrerà la coppia, perché un amore come quello che li univa, più simile ad un tormento che ad una gioia, angustioso e opprimente, non avrebbe mai lasciato scampo alla giovane donna.

Quindi, per quanto la voce del personaggio di Jeanne si sia rivelata quasi “piagnucolosa” e il suo carattere troppo remissivo e fiacco, il libro mi è piaciuto parecchio, perché riesce a coinvolgere il lettore, a mostrare le dinamiche della relazione fra la protagonista e Modigliani (e l’artista ed altri personaggi, anche famosi, che frequentava all’epoca), a descrivere sufficientemente l’ambiente nei quale i due vivevano e si muovevano, donando punti di luce ad una storia altrimenti oscura e sofferta, che come un vortice nero ci attira verso la sua terribile fine.

Se vi interessa, potete acquistarlo direttamente dal sito della casa editrice:

La ragazza dalle labbra color arancia

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Published on April 20, 2024 02:16

April 16, 2024

DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO D’AMORE – RAYMOND CARVER

Voto: 8/10

Edito: Einaudi (Garzanti/ Minimum Fax)

Di cosa parliamo quando parliamo d’amore?
Domanda personale, soggettiva, senza una risposta chiara e precisa, diversa per ogni persona.

E fra le cose di cui parliamo quando parliamo d’amore, ci sono anche gli elementi contenuti in questa raccolta di racconti di Carver.

Come una collana di perle, un collier di brillanti, tanti piccoli racconti ci narrano, senza grandi parole e grandi pretese, che cosa sono l’amore, la vita, la perdita, la solitudine, la monotonia, la ribellione, l’odio, il dolore, la paura.
Diciassette racconti, brevi, brevissimi, alcuni di un paio di facciate appena, che come un sussurro trasportato da un soffio di vento ci mostrano un’America che potrebbe essere un angolo qualunque del mondo, uomini e donne che potrebbero essere chiunque di noi, nella docilità della vita domestica e nella banalità del male celato.

Come primo approccio a Carver direi che questa raccolta funziona alla perfezione, ed io ho anche deciso di leggere due versioni diverse del libro, la prima traduzione uscita in Italia nell’87 (per Garzanti) ed una più moderna del 2015 (per Einaudi).
Per il mio gusto personale, di vocaboli e suoni e fruibilità del testo, devo ammettere di aver preferito quella di Garzanti (a cura di Livia Manera), anche se non posso parlare della “correttezza della traduzione” perché non ho (ancora) letto l’opera nella lingua originale.

Avevo sempre sentito nominare Carver, e ho deciso di cominciare da questo libro per colmare le mie lacune. E che dire!

La prosa di Carver è semplicemente incredibile, così asciutta e scarna, parca e senza fronzoli, che ci sembra di osservare l’opera di uno scultore che, con martello e scalpello, rimuove ogni cosa superflua per estrarre la piccola pietra luminosa incastonata all’interno, lo scheletro di un racconto stesso: ma nelle sue parole c’è tutto il mondo.
La scrittura è chiara, pura, cristallina, non si nasconde dietro a figure retoriche ricercate ma nasconde al suo interno tutti i significati di uno sguardo segreto. Diciassette fotografie racchiuse in questo piccolo album, che parlano direttamente al nostro cuore.

Non i grandi eventi della vita, non azioni mirabolanti ed eventi incredibili, ma la semplicità e l’angoscia di una vita qualunque, e le stranezze e le coincidenze di vite come tante altre.

I miei preferiti sono stati sicuramente “Dì alle donne che usciamo”, “Tanta acqua così vicino a casa”, “Il bagno”, per l’atmosfera così cupa e angosciosa che accompagna ogni parola.
“Meccanica popolare” (“Piccole cose”) ci colpisce con una violenza così improvvisa e nera da lasciarci semplicemente senza fiato.
Il mio preferito è probabilmente “Perché non ballate?”, il racconto con cui si apre la raccolta, che ci invita a prendere parte a questa danza eterna che è la vita, a questa giostra assurda, malinconica e a tratti dolcissima.
Ho apprezzato molto anche il racconto che dà il titolo al libro, dove quattro amici parlano d’amore, di ciò che possa essere o non essere considerato amore, di come la morte e la violenza si mischino alla vita indissolubilmente, di come sia difficile sfuggire a certe situazioni, di come le opinioni siano soggettive.

Carver ci prende per mano e ci accompagna alla finestra illuminata di un salotto, ad osservare coppie che si aggirano nella propria domesticità, che parlano e bevono il caffè, che vivono intorno a quel tavolo sul quale mangiano e litigano e leggono il giornale.
Piccole vite che nascondono grandi pensieri o piccole riflessioni, grandi amori o terribili violenze.
L’importante non è l’evento in sé che ha smosso i personaggi, ma il loro modo di reagire, di comportarsi di fronte a ciò che ha disturbato la loro tranquillità, la loro ricerca di pace.

C’è un cadavere e ci sono uomini che pescano, c’è un incidente e un pasticcere che vuole ciò che gli spetta, c’è un divorzio e un uomo che non si dà pace.
La vita continua a scorrere, leggera o straziante, come un fiume che scavalca gli ostacoli che incontra sul suo cammino.

Diciassette piccoli racconti per parlarci di un mondo che conosciamo già, ma mostrarcelo come non l’abbiamo mai visto. E quindi, alla fine, io non lo so di preciso di cosa parliamo quando parliamo d’amore, ma sicuramente se ne parlassimo con la voce di Carver sarebbe qualcosa di meraviglioso.

Se siete interessati, potete acquistare il libro direttamente al link qui sotto:

Di cosa parliamo quando parliamo d’amore

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Published on April 16, 2024 01:32

April 12, 2024

NUOVI TITOLI PER LA VALLE DEL TEMPO

Salve a tutti!

Oggi ho il piacere di presentarvi tre titoli editi La Valle del Tempo, che mi sono stati gentilmente inviati dall’editore.

I RINTOCCHI DELL’APRUTINA – DAVIDE FALSINO

Non c’è estasi senza spogliazione interiore, né progresso spirituale che non passi attraverso morti e ri­surrezioni. Perché, senza che ci si accorga, accade che cuore e verità restino profondamente lontani. È il pomeriggio dell’ultima dome­nica di maggio 1847. Al Molo An­gioino un nuovo Rinaldo declama un’inedita versione della storia del noto Carlo Rainone, scritta da Ton­no Grieco, fratello del famigerato brigante Titta. Un racconto nel rac­conto. E racconti che vorrebbero continuare all’infinito, lasciando tra­sparire un mondo interiore lacerato, in cui il narratore respira oltre il tem­po, mosso dal bisogno di abbattere quella barriera impalpabile che si è interposta fra lui e il nipote, complice il rapporto epistolare, ma anche con­seguenza del silenzio del cuore celato da un affetto accomodante e pronto ai compromessi; soprattutto, mosso dalla necessità di confessargli un’an­tica, tremenda colpa. Gli eventi del maggio 1848 stanno rapidamente precipitando e sa che, suo malgrado, ne resterà coinvolto. Con l’incisività di cui è capace, si affretta a portare a termine il suo compito. La molteplicità dei temi e la natura polifonica dell’intreccio lasciano vi­brare le nostre corde più profonde, generando possibili e differenti in­terpretazioni.

L’ECO DEL SILENZIO – TIMOTHY MEGARIDE

Ma chi è davvero Timothy Megaride? Nessuno conosce la sua vera identità. Tutti, però, leggendo questo romanzo, dovranno riconoscergli di essere un autore in grado di scandagliare e di rappresentare la complessità e la meschinità del nostro tempo.

Robi, un giovane dirigente ministeriale, è il collettore di una serie di storie esemplari che lo vedono ora spettatore ora protagonista. Il singolare intreccio di vite e destini attinge a pregresse suggestioni letterarie, tra le quali si può intravedere Bagheria di Dacia Maraini. Per l’organizzazione della materia, ma anche e soprattutto per la contrapposizione di due universi distanti e contigui, civiltà e barbarie, urbanità e ferocia. La cittadina siciliana s’estende fino a coincidere con l’intero paese. Una commedia amara dai risvolti ora grotteschi ora drammatici.

E una potente riflessione sui temi più controversi del nostro presente. Identità di genere, omotransfobia, condizione femminile, fake news, campagne d’odio, aggressioni fisiche, scandali sessuali, ipocrisie. Il tutto in una prosa smagliante per malizia e humour, per eleganza e abile mimesi letteraria. L’eco del silenzio è altresì un romanzo post-apocalittico, se si riconosce l’Apocalisse nella Seconda guerra mondiale.

Tra le righe aleggia la dotta moralità dell’ormai classico The English Patient di Michael Ondaatje. Se è forse vero che l’aria della città rende liberi, è altrettanto vero che oggi Solunto è nuovamente assediata.

LA RAGAZZA DALLE LABBRA COLOR ARANCIA – FRANCE HUSER

Il romanzo si presenta come il dia­rio tenuto da Jeanne Hébuterne, la compagna di Amedeo Modigliani, nel quale la giovane donna, incinta del secondo figlio, annota gli ultimi mesi della vita del pittore, trascorsa tra grandi disagi e continui tormen­ti. Accanto alla vicenda umana di Modi (così lo chiamavano gli amici) e del­la sua compagna, appare anche la bohème delle avanguardie artistiche nella Parigi del secondo decennio del Novecento, con le loro sorprendenti creazioni ma anche con le loro fru­strazioni, in una società che continua a guardarle con diffidenza e perples­sità. La presentazione di questo ambiente e in particolare della vita quotidiana di Modigliani si attiene in massima parte alla realtà degli avvenimenti, ricostruiti dall’autrice del libro con grande precisione e nello stesso tem­po con uno stile agile e travolgente.

Le copertine di questi volumi sono riuscite subito a colpirmi per la loro bellezza, e le storie racchiuse all’interno si prospettano davvero interessanti.


Ancora un ringraziamento speciale alla squadra de La Valle del Tempo!
Non vedo l’ora di tuffarmi in queste storie incredibili e di parlarne con voi.

Presto le recensioni!

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Published on April 12, 2024 00:54

April 9, 2024

PAO PAO – PIER VITTORIO TONDELLI

Voto: 8/10

Edito: Feltrinelli

Tondelli torna a colpire, e a colpirmi.
Italia anni ’80, il nostro giovane protagonista deve lasciare casa per affrontare un anno di servizio militare di leva.
E come un fiume in piena, la sua vita travolge la nostra.

Nessuno, oggi, in Italia, ha la metà del talento che aveva Tondelli, e questa consapevolezza mi spezza il cuore, e lascia un vuoto enorme nel nostro panorama letterario.

Tondelli, giovanissimo, era una forza senza precedenti.

In questo anno di naja che ci racconta con tono acuto e crudo, ironico e a tratti volgare, c’è tutta l’Italia e l’Italietta, senza nascondere nulla.

La prosa di Pier Vittorio è qualcosa di meraviglioso: in “Altri libertini” (il primo libro che ha pubblicato e il primo che ho letto) era riuscito a sconvolgermi e a scuotermi come pochi altri italiani (forse nessuno?) e in questo secondo libro ritroviamo chiaramente la stessa voce ed uno stile molto simile.
Le parole sembrano innalzarsi come un’onda infinita, un muro di virgole e respiri, che ci piomba addosso e ci sotterra in una cascata di incisi, in un susseguirsi sempre più veloce e incalzante, ci coinvolge e ci fa precipitare nelle pagine.

Chi, al giorno d’oggi, sa maneggiare con tanto talento l’anacoluto e il suo ritmo spezzato (senza mai spezzarlo davvero)?

La storia racchiusa in questo piccolo romanzo è un quadro formato da tante piccole storie, tante piccole immagini di tante piccole vite, che si incontrano e si sfiorano e si uniscono e si separano, di amicizie e grandi amori, di osterie e ristoranti e qualche ora di ufficio, con la caserma che fa da sottofondo ad una sinfonia di voci e di vite, di avventure.
Un anno in cui i giovani ragazzi diventano uomini, tra sesso&droga&vino bianco, il tutto raccontato con tono a tratti scanzonato e a tratti quasi malinconico, sarcastico e carico di pietas.

Pieri Vittorio, nella sua irriverenza, lasciava sempre un angolo speciale a delle immagini di una dolcezza disarmante, gli sguardi di due ragazzi che si incrociano, due mani che si trovano, due piedi che si sfiorano, due corpi che si uniscono.

C’è una tale semplicità, una tale umanità nell’amore che descrive che, per un attimo, ci permette di sognare un’Italia diversa, un’Italia che almeno al giorno d’oggi non avrebbe nulla da ridire nell’osservare questi piccoli ritratti di un amore puro e semplice.

Pubblicato nell’82, è un romanzo così fresco e divertente e travolgente che sembra quasi impossibile che abbia già superato i quarant’anni di età.

Eppure Pier è morto da più di 30 anni, e ci ha lasciato purtroppo una quantità troppo ridotta di parole da cui attingere, in cui immergerci, a cui abbandonarci.

Tutti dovrebbero leggere Tondelli.

Se siete interessati, potete acquistare il libro direttamente al link qui sotto:

Pao Pao

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Published on April 09, 2024 00:28