LACCI – DOMENICO STARNONE

Voto: 9/10
Edito: Einaudi
Questa storia inizia dalla fine di un matrimonio.
Aldo e Vanda si sono sposati poco più che ventenni e, dodici anni dopo, genitori di due figli, entrambi si ritrovano ad affrontare qualcosa che non si sarebbero mai aspettati: Aldo si innamora di una ragazza appena diciannovenne e decide di lasciare moglie e prole per trasferirsi a Roma e vivere a pieno questa storia; Vanda si ritrova sola, abbandonata, tradita, di fronte ad un mondo che non conosce davvero.
E con un incipit che ci fa capire subito come sarà il tono del romanzo, carico di dolore e rabbia e rancore, ma anche rassegnazione, seguiamo la storia dei due per quasi quarant’anni, e le conseguenze che le loro azioni hanno avuto sui figli.
Ma è al ritorno da una settimana di vacanza che Aldo e Vanda trovano la casa completamente distrutta, e si ritroveranno ad affrontare tanti piccoli dolori e tanti piccoli segreti che credevano di aver dimenticato o, almeno, sotterrato abbastanza in profondità.
Un romanzo breve di una potenza inconcepibile.
Se l’avesse scritto in America, questo sarebbe stato un ottimo esempio di “grande romanzo americano”, e invece Starnone l’ha scritto in Italia, tra Napoli e Roma, e un po’ mi fa ben sperare per la nostra letteratura, e un po’ mi dispiace per la minor risonanza che questo possa avergli dato (nonostante, ovviamente, la bellezza del libro sia stata riconosciuta ampliamente anche internazionalmente).
Ma che cos’è “Lacci”?
Per descriverlo nella maniera più tecnica, è un romanzo diviso in tre parti, ognuna raccontata da una voce narrante diversa (tre dei quattro membri della famiglia), ognuna narra un momento diverso ma, attraverso ricordi e flashback e altri piccoli espedienti, le tre parti si intersecano e la storia emerge completamente soltanto alla fine.
E la storia di base è: Aldo lascia la moglie e i figli e tenta di vivere con la giovane Lidia, così bella e luminosa, che lo fa sentire un uomo migliore e con un futuro brillante; Vanda, abbandonata, implode e crolla, tenta strenuamente di convincere il marito a tornare e usa i figli come barriera e come ponte, come arma e come ramo d’ulivo, senza voler mai abbandonare l’idea di quel futuro che aveva immaginato durante i primi anni di matrimonio; Sandro e Anna, i figli della coppia, restano traumatizzati dall’abbandono del padre e dalla reazione della madre, e si porteranno per sempre addosso le cicatrici di quegli anni difficili (Anna rifiuta assolutamente il concetto di maternità e di famiglia, e sembra proprio allontanare chiunque cerchi di avvicinarsi a lei; Sandro ha quattro figli da tre donne diverse e una quantità innumerevole di altre storie, e non ha alcuna intenzione di sistemarsi e vivere una vita tranquilla).
Questo romanzo affronta moltissimi temi interessanti: il concetto di famiglia prima e dopo gli anni ’70, con la deistituzionalizzazione di quell’istituzione che è alla base della società; il matrimonio contratto da giovani e la ricerca di un’indipendenza abbandonata troppo presto; il concetto di identità delle persone all’interno di una famiglia, e come ci si muti e ci si smussi per il quieto vivere; e quello che più mi ha colpito, soprattutto per il modo crudo e profondo in cui viene affrontato, è il concetto che gli errori dei genitori ricadono sempre sui figli, e ogni percorso si lascia dietro una traccia.
I lacci, in questo caso, oltre ad essere un concetto preciso nel libro, un aneddoto che i personaggi condividono, questo modo particolare di allacciarsi le scarpe così assurdo che Sandro ha copiato da suo padre, sono i lacci stessi che legano le persone, ad indicare i legami nei rapporti; ma i lacci sono anche i legacci che schiacciano Aldo e lo spingono ad andarsene, e gli stessi che poi, anni dopo, lo spingono a tornare (anche se col cuore Aldo non farà più davvero ritorno al nido famigliare).
I lacci danno sicurezza a Vanda, che li utilizza per tenere legati intorno a sé i membri della sua famiglia (anche se, con coraggio e dolore arriverà a rivelare i suoi veri sentimenti verso gli altri tre).
I lacci hanno ingabbiato Anna e Sandro, fino a trasformarli in adulti insicuri e incompiuti.
Questi lacci che hanno tenuto insieme quattro persone che non imparano dal proprio passato, ma sono personaggi chiusi, che guardano dentro di sé, concentrati sui propri bisogni e sogni, e continuano a percorrere sempre le stesse strade e ricadere negli stessi errori.
Lo stile di Starnone è semplicemente meraviglioso, così chiaro e pulito, eppure carico di significati, denso, e in poco più di cento pagine riesce a trasmetterci tutto il dolore di una vita famigliare che potrebbe essere quella di chiunque, la sofferenza di una quotidianità senza niente di eccezionale, così triste e comune da essere ancora più terribile.
Il finale a sorpresa non è proprio una sorpresa, ma funziona comunque benissimo, come uno schiaffo in pieno volto: brillante nella sua crudezza, straziante nella sua verità, e i genitori che, persi in sé stessi e l’uno nell’altra, avevano finito per mettere in secondo piano il bisogno dei figli di un ambiente tranquillo in cui crescere, si ritrovano privati di ciò a cui tenevano di più.
La gioia che ho provato nello scoprire che in Italia esiste qualcuno in grado di scrivere un libro simile è direttamente proporzionale al dolore contenuto in queste pagine.
Un libro forse non per tutti, e non per qualunque momento. Un libro meraviglioso.
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