Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 144

February 19, 2017

Review: La versione di Barney

La versione di Barney La versione di Barney by Mordecai Richler
My rating: 5 of 5 stars

Quando lo scrittore di origini ebraiche Mordecai Richler muore a settanta anni nel suo grande paese, il Canada, ha alle spalle una lunga carriera di giornalista, opinionista, scrittore. Ha scritto romanzi, saggi, articoli, libri per bambini, insomma è diventato un intellettuale, uno di quelli più scomodi nel panorama culturale del Canada.

Questo suo libro esce nel 1997 ed ha un grande successo sopratutto a causa delle moltissime polemiche che suscita il suo protagonista, per il suo atteggiamento controcorrente ed irriverente nei confronti di diversi argomenti. Donne, omosessuali, ebrei, intellettuali, televisione, cinema, letteratura, miti e mitologie, sesso, usi e costumi, abbigliamento. Insomma, non gli sfugge alcun argomento sul quale esprime il proprio pensiero sempre secondo la sua versione.

Insomma si comporta come un vero e proprio orso. Da questa situazione nasce il titolo del libro diventato poi un proverbiale modo di dire controcorrente: la sua versione. Il libro ha uno scopo ben preciso. Il protagonista del libro, Barney Panofsky, alla sua età, dopo aver avuto tre mogli, girato per due continenti, dopo mezzo secolo di vita vissuta ai limiti, dopo litri di whisky bevuti e migliaia di sigari cubani fumati, in preda di una galoppante senilità, ci fornisce una spiegazione della sua vita, su come sono andate realmente le cose che gli sono accadute.

Su di lui aleggiano sospetti gravi e senza nulla nasconderci ci racconta la sua vita. La sua versione. Follie e entusiamsi giovanili, amori altrui, figuracce esilaranti, comiche e tragiche, errori madornali. Man mano che il racconto va avanti, in chi legge sorgono, però, dei dubbi. Ci si accorge di molte esattezze, di una vaga reticenza, insomma Panofsky ci prende in giro, ci descrive la realtà del suo vissuto da diversi punti di vista sempre più incredibili.

Sembra proprio che ci voglia dire questo: che la realtà supera la fantasia a condizione che la fantasia la sappia raccontare ...

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Published on February 19, 2017 13:47

Review: L'esperienza industriale sarnese tra due secoli

L'esperienza industriale sarnese tra due secoli L'esperienza industriale sarnese tra due secoli by Gaetano Ferrentino
My rating: 5 of 5 stars

Gaetano Ferrentino ha pubblicato un prezioso libretto di microstoria sulla esperienza industriale sarnese tra due secoli. Un altro “frammento” che si aggiunge ad un altro suo precedente sull’Ottocento Sarnese di cui mi occupai sul mio blog. Questa volta lo scrittore passa in rassegna l’esperienza industriale della città di Sarno tra i due ultimi secoli. In meno di cento pagine, con una prefazione di Elsa Franco, l’avv. Ferrentino, giovane esponente politico dell’attuale amministrazione comunale, presieduta da Giuseppe Canfora, e suo stretto collaboratore nelle vesti di apprezzato Vice, passa in rapida rassegna quella che fu la realtà di questa antica città dei Sarrasti.

Ho scritto “fu”, perchè se la confrontiamo con quella attuale, sentiamo tutti una stretta al cuore. Non intendo qui fare polemica, sono le leggi che regolano la ruota del tempo, oppure come direbbero gli studiosi di storia, sono i “cicli storici” che determinano e condizionano la vita degli uomini. Anche se a volte sembra che la ruota giri all’incontrario, ma forse è solo un’impressione. Le condizioni della moderna Sarno sono sotto gli occhi di tutti, come del resto quelle di tutta la Valle che, a mio modesto parere è ormai soltanto una parte di quel grande “hinterland” che gravita intorno alla realtà napoletana.

In una decina di brevi capitoli e con una elegante e stilizzata serie di grafici e disegni, Ferrentino documenta quella che fu la realtà della “Sarno, Manchester del sud Italia”. Ci invita a fare un viaggio nel passato che lui giustamente dice “molti non hanno mai visto”. I “molti”, ovviamente, sono i giovani di oggi che sciamano, guarda caso, proprio verso quegli edifici nei quali i loro antenati ebbero la possibilità di “assaporare” sulla loro pelle quanto “sa di sale lo pane altrui e come è duro calle lo scendere e salire per l’altrui scale”.

Mamma mia! quanta acqua è uscita da quelle sorgenti dell’antico, un tempo magico fiume che dà il nome alla Città, passando sotto i ponti della Valle dallo stesso nome. Qualcuno sarebbe tentato di dire, chiosando il titolo di un pessimistico libro di Giorgio Manganelli, “La palude definitiva”. Ma non voglio essere così drastico. A me, che rispetto al giovane Gaetano sono un “dinosauro”, la buonanima di mio padre raccontava che quando aveva 15 anni scendeva in una specie di grotta, proprio sotto l’edificio di una di quelle fabbriche dove anni fa c’era l’ASL ed oggi credo ci sia un bar o un supermercato, alle cinque del mattino, ad accendere un grosso motore. Lui la chiamava “turbina”. Aiutava da giovane apprendista qualcuno di cui non ricordo il nome. Questa turbina metteva in moto tutto l’apparato della fabbrica. La forza della caduta dell’acqua generava la necessaria energia. Non so se ho descritto bene quello che faceva. Ricordo il posto per esserci un giorno andato lì sotto, dove la caduta dell’acqua genera un fracasso che somiglia a quello dell’inferno.

La ruota del tempo ha girato in una maniera imprevista ed imprevedibile da queste parti. Non si sente più la “tufa” delle varie fabbriche, quelle sirene che di primo mattino davano la sveglia all’intera città e chiamavano al lavoro migliaia di uomini e donne provenienti anche da tutti i paesi vicini. Ieri arrivavano a piedi da San Valentino, San Marzano e oltre per affrontare massacranti turni di lavoro e guadagnarsi da vivere. Oggi scendono comodamente dai treni della Circumvesuviana, oppure sono portati in comodi autobus pagati da tutti i contribuenti, oppure dalla comoda auto di papà. Sono i giovani studenti che in quelle aule di oggi, dove un tempo si distendevano i fragorosi telai, si preparano ad affrontare i giorni della vita. Oggi tra quelle mura risuonano i campanelli che scandiscono il tempo della modernità, segnando il passaggio delle ore di studio. Ben altre difficoltà esistenziali rispetto a quelle che toccavano di affrontare i loro nonni e bisnonni.

A questi giovani, questo più che prezioso libretto dovrebbe essere dato da leggere, conoscere, studiare ed approfondire, in una realtà completamente diversa. Dal suono della “tufa”, allo schermo del cellulare, del pc o del tablet, il passaggio non è stato affatto lieve. C’è il grosso rischio che questo enorme “gap”, questa grande distanza sociale, culturale e mentale, provochi un trauma sociale dal quale questo nostro paese non sarà mai più in grado di sollevarsi.

Mi ha colpito la scelta di una citazione che Gaetano Ferrentino ha voluto apporre all’inizio del suo libro. E’ tratta da un libro intitolato “Il colonialismo felpato” di Lorenzo Zichichi nel quale l’autore parla di come gli svizzeri scesero alla conquista del Regno delle due Sicilie (1800-1848). Mi ha portato facilmente a riflettere su questa parola: “colonialismo”, sul fatto cioè che in quegli stessi edifici che un tempo non lontano “colonialisti felpati” fecero girare “comunque” la ruota del progresso, oggi si allevano e si preparano giovani menti che, alla fine saranno costretti a finire nelle mani di altri “colonialisti”, emigrando altrove e “comunque”, lontano sia da questa Valle che dal loro Paese, in cerca di un lavoro. Se la parola di tutta questa “esperienza” che dà il titolo al libro di Ferrentino deve avere un senso, io davvero questo senso non lo capisco. Grazie, comunque, a lui che ce l’ha confermato.



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Published on February 19, 2017 05:00

February 17, 2017

Uomini di chiesa ...

Oggi, venerdì 17, molti in rete hanno ricordato Giordano Bruno. Lo faccio anche io con questo suo pensiero: "Dio è in ogni luogo e in nessuno, fondamento di tutto, di tutto governatore, non incluso nel tutto, dal tutto non escluso, di eccellenza e comprensione egli il tutto, di defilato nulla, principio generatore del tutto, fine terminante il tutto. Mezzo di congiunzione e di distinzione a tutto, centro ogni dove, fondo delle intime cose. Estremo assoluto, che misura e conchiude il tutto, egli non misurabile né pareggiabile, in cui è il tutto, e che non è in nessuno neanche in se stesso, perché individuo e la semplicità medesima, ma è sé." ( Da De trìplici minimo et mensura, Francia, 1591, p. 17; citato in Domenico Berti, Vita di Giordano Bruno da Nola, Paravia, Torino, 1868, pp. 122-123.) Scrivo e penso sempre come "uomini di chiesa" abbiano potuto fare una cosa del genere ...
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Published on February 17, 2017 13:26 Tags: giordano-bruno

February 13, 2017

"Literature in the digital age"

La letteratura nell'epoca digitale. Mi sono iscritto ad un corso online dell'Università di Balilea https://goo.gl/ddHOmf su questo argomento. Comincerà il mese prossimo e tutto avrà inizio dalla discussione creata con le risposte alla domanda "Leggete ancora libri stampati?". Domanda provocatoria, ovviamente, ma un ottimo punto di partenza per iniziare questo corso gratuito, uno dei tanti tenuti dalle varie istituzioni che fanno parte della "Open University". Questo è della Università di Basilea, come sempre in lingua inglese. A questa domanda io ho così risposto:

"I was born into a family of traditional post-gutenberg printers, in a small but ancient town of south Italy, not far from Pompeii. Citizens of this ancient place before being buried by the Volcano used to write their thoughts on the city's walls: any sort of messages, political, marketing, love scripts can still be seen on those walls. They also used to write in marble and on papyruses. But that was over 2000 years ago. Nowadays things works in a different manner. I've undergone and am still undergoing a great change, a perfect evolution of my species. I read and write both on paper and screen, but I believe I think in a very different manner. I think "digital", this means that I'm always connected not just to the piece of reading I have in my hands in a papery version, but also in a digital connection. This means that I can get out of the text any time, I can clic on an outside link, watch a video clip, listen to an audio reference, can also upload or download, copy and glue, operate changes, open alive contacts ... This makes quite a difference, doesn't it?".
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"Sono nato in una famiglia di stampatori tradizionali in una antica cittadina del sud Italia, non lontano da Pompei. I suoi abitanti erano soliti scrivere messaggi sui muri della città. Ogni tipo di messaggio, politico, commerciale, sessuale, e sono ancora visibili oggi. Scrivevano anche sul papiro e nel marmo. Ma tutto questo avveniva duemila anni fa. Oggi le cose vanno in maniera diversa. Anche io ho affrontato e subìto dei cambiamenti, una trasformazione ancora in atto, l'evoluzione della specie. Leggo e scrivo sia alla maniera tradizionale che in digitale, il che vuol dire che sono sempre "connesso" non solo a ciò che penso e scrivo, ma anche a quello che pensano e scrivono gli altri. Vuol dire che posso "uscire" dal testo, cambiarlo, condividerlo, correggerlo, trasformarlo, scaricarlo, copiarlo. Una grande differenza, non vi pare?".

Non so per quanto tempo le cose continueranno in questo modo, se scomparirà la carta, se sarà tutto digitale, in una nuvola invisibile, cosa resterà della traccia della memoria cartacea, e se gli uomini adotteranno un pensiero diverso da quello che abbiamo usato per millenni. Cosa significherà davvero "essere digitali". Non credo ci sarà tempo e modo per me vivere quel tempo. Credo, comunque, che da qualche altra parte avrò modo di vedere e riflettere su come cambia il mondo ...
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Published on February 13, 2017 09:09 Tags: cartaceo, digitale

February 10, 2017

Si fa presto a dire Sinistra ...

Si fa presto a dire Sinistra: Storia di Ciriaco De Mita. Dalla Magna Grecia a Palazzo Chigi
Non so come mi ritrovo questo libro nella mia biblioteca. Risale al secolo e al millennio trascorsi. Tratta di "politica pura", quella che si faceva a quei tempi. Confesso di non essere mai stato in grado di praticarla, avevo ben altro da fare, occupato a "vivere" com'ero, vale a dire a risolvere problemi legati a quella realtà che, in varie occasioni, ed anche in questa sede, ho chiamato "terragna concretezza" esistenziale. 
Leggo dalla pattina del libro che l'autore Salvatore Rea è uno scrittore giornalista nato a Nola, collaboratore del famoso giornale "Il Mondo" di Mario Pannunzio. Forse la vicinanza di Nola mi porta a pensare che, con alcuni amici mi sono avventurato da quelle parti per la presentazione del libro. Oppure, qui, a Sarno, in una possibile visita, una delle tante, che il protagonista del libro ha avuto modo di fare nella sua lunghissima vita politica. 
Sono felice che Ciriaco De Mita sia ancora in vita, un vero "dinosauro", come del resto mi ritrovo ad essere io stesso. Lui ancora più per anni e per avventure in un mondo, quello della "politica pura", che io mi vanto di non avere mai percorso, ovviamente per mia incapacità. 
"Ciriaco De Mita sa studiare le mosse da compiere in tutti i particolari. Pianifica l'avanzata come se giocasse al tressette; mette giù la carta solo quando è sicuro che incamererà un punto. Purtroppo per lui, vincerà molte partite e perderà l'ultima, la più importante". Così si legge sulla quarta di copertina del libro, una chiosa editoriale che cerca di coinvolgere il lettore nella lettura del libro. Io, a dire la verità, mi sono limitato a scorrere i titoli dell'indice. Credo mi basti per capire cosa ho inteso dire quando ho scritto "politica pura". 
Il Rea inizia a scrivere parlando del "Moralista, del Morto e dell'Incomprensibile", tutti termini rigorosamente con la lettera maiuscola. Poi passa a parlare di "Nusco per sempre", per poi "Da Nusco a Milano", passando per "Sullo gli trova il posto". A questo punto il Rea scrive qualcosa sull'amicizia e scrive che "L'amicizia è sacra", seguito da un capitolo sulla "Spartizione della Campania". Un capitolo su "De Mita ministro" non poteva mancare come anche una descrizione di quando "Ciriaco ascese all'empireo DC". Arriva poi "Il tempo di rigore" quando appaiono "Gava e il clan irpino", e qui succede che il nostro protagonista diventa "Il De Mita bellicoso". Subentra, poi, un misterioso "Intermezzo sulliano", seguito da "L'Irpiniagate e il mal di banca"" in cui emerge "Lo Spirito del capotribù", che porta però alla "Caduta del "principe" a causa, forse, di un "Ultimo inganno". 
Ho voluto citare tutti i titoli dei vari capitoli perchè mi permettono di non annoiarmi nella lettura di vicende che sono ancora "in progress". Mi riferisco ai travagli della sinistra italiana i quali ormai sono diventati secolari e a quanto pare irrisolvibili. Del resto il "grande" Ciriaco è ancorà qui, vivo e vegeto nel suo anche se piccolo regno di Nusco, a dire la sua. 
E la dice senza peli sulla lingua e con tutta quella grande intelligenza politica che gli spetta in quanto discendente dalla "Magna Grecia". Chi lo chiamò con questa espressione voleva chiaramente offenderlo, invece ne mise in evidenza la sua "immortale" intelligenza. Non lo apprezzai nemmeno io, a dire la verità, quando era sulla cresta dell'onda. Mi sono dovuto ricredere quando ha affrontato in TV il "bullo" toscano, impropriamente definito "Royal Baby". 
Forse a leggere bene quella chiosa editoriale che ho citato, Ciriaco De Mita non ha perso la sua ultima battaglia. Continua, infatti, a fare la sua "politica pura" nelle piccole vesti di Sindaco" di Nusco, ma è entrato in quella galleria dei "grandi" politici italiani che vanno sotto il nome di "immortali". Il capostipite sta da quelle parti ad aspettarlo, il "divo Giulio". Lui sapeva bene che "si fa presto a dire sinistra", una parola che ancora continua ad avere quel senso "sinistro" che il vocabolario continua ad assegnarle. 
Non è che poi, tutto sommato, la parola che la fronteggia, la sua dirimpettaia goda di una salute migliore. La "destra" continua, infatti, a fare cose che non dice alla "sinistra", allo stesso modo di come la "sinistra" continua a pensare che ci sia solo lei a fare il gioco. Il fatto è che sia l'una che l'altra rappresentano pensieri che appartengono davvero alla "Magna Grecia", vecchi di oltre duemila anni.


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Published on February 10, 2017 13:16

L'Italia dei privilegi

L'Italia dei privilegi - Dalla a alla z dizionario delle persone e delle categorie trattate meglio dei comuni cittadini
Un libro che non si finisce mai di leggere, sul quale riflettere. Da quando è uscito, questa è l'edizione del 2002, i privilegi stanno ancora tutti qui, in questo libro. Fin quando la politica verrà concepita come un "mestiere a vita", il nostro Bel Paese non cambierà mai. Due, massimo tre mandati bastano per fare qualcosa che abbia una funzione ed un valore sociale. Non importa a quale ideologia si appartenga, quale fede o religione si professi, se una qualsiasi persona, manovale o filosofo, analfabeta o scienziato, cameriere o cybernauta, chiunque ritiene di saper risolvere problemi, è libero per non più di tre mandati, (quindici anni!), di dimostrare quello che sa fare, quanti e quali problemi saprà risolvere. Dopo, deve ritornare a fare il suo mestiere. Tutto il resto è "fuffa", imbroglio. Questo libro lo dimostra. 


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Published on February 10, 2017 13:11

February 9, 2017

GoodReads

Grazie a GoodReads ho avuto la possibilità di mettere ordine nei miei libri. Tanti libri, si sa, formano una biblioteca, una biblioteca raccoglie tante idee. Tante idee espresse in tanti libri possono generare confusione se non ci si mette ordine. Non ho ancora finito e credo che non finirò mai di andare in cerca di questo "ordine" che poi non è altro che un invisibile "filo" al quale, chi comincia a tesserlo, cerca di unirsi, in una rete che certamente è infinita. Il pensiero, infatti, si tende e si distende, prendendo direzioni sempre nuove ed inaspettate. Quando cominci a scrivere, non fai altro che "dare spago", per così dire, a quel "filo" che il pensiero continuamente tesse .....
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Published on February 09, 2017 00:15 Tags: filo, goodreads, pensiero

February 7, 2017

Un libro per il Poeta ...

Sistemando la mia biblioteca online su GoodReads, tra le tante carte, mi sono imbattuto in un manoscritto che avevo dimenticato nei cassetti del tempo. Risale a oltre venti anni fa. Una raccolta di sonetti ed altre cose di Gino De Filippo, amico di vecchia data. 
Qualche mese fa, alla Pro-Loco di Sarno, anche per l'appassionato interessamento dell'avv. Leandro Sodano, lo hanno festeggiato, onorandolo in una serata in cui il prof. Salvatore D'Angelo ha avuto l'opportunità di mettere in evidenza, ancora una volta, la sua grande creatività aritistica. 
Desidero rivolgere un invito alle istituzioni locali e a singoli cittadini affinchè si adoperino a far si che questo manoscritto, o anche qualche altro della sua vasta raccolta, possa vedere la luce a stampa. Una iniziativa questa che, senza dubbio, onorerebbe un cittadino sarnese meritevole di essere sempre di più conosciuto e valorizzato e che ha ancora tante cose da dire. Le sue condizioni economiche non gli permettono di affrontare i costi di una pubblicazione.
Gino, nonostante il carico dei suoi tanti anni, continua a scrivere a mano in tanti quadernoni i suoi pensieri. In lingua o in vernacolo, in versi o in prosa, annota o disegna la realtà di un mondo che cambia e gira come uno "strummele". Nella introduzione in dialetto alla sua raccolta di trenta sonetti, così scrive: " 
" 'U munno è na palla ca gire comm 'a nu strummele, però 'u strummele gire appoggiate 'nderra e 'u munno, invece, gira all'aria". Siccome ca 'o sole sta sembe o stesso posto, 'a terra, giranne, se trova na vota nd' 'a luce e na vota nd' 'u scure, perciò fa notte e fa iuorne. Po', quase comme fa l'arbere quanne vott' 'u viende, se cocca na vota 'a cca e na vota 'a llà, accussì succere ca 'e sole nge ne sta na vota cchiù ppoco e na vota cchiù assaie, perciò vene na vota 'a stagione e na vota 'a vernata. 'A no poch' 'i tiembe 'i 'scinziate stanne ricenne ca 'sta palla, vonne rice 'a retta, s'abboccate 'a no lato, perciò s'hanno spostate pure 'e vernate e 'e stagione. E se capisce! Pè forza aeva succere'. Pecchè? ricite vuie, e nge vò assaie p' 'o ccapì? si mittite nu pise ngoppa a una spalla cchi vi succere? Succere ca v'abboccate 'no lato ... e cheste è succieso c' 'a terra: 'a no lato a stanne sfrattanne a piglià 'u sciste, 'a n'ato lato fravecanne palazze e palazze 'e gemende, ca pèsene comm' u fierre, no' ssaie: ralle e dalle 'u cucuzzielle 'rrevenne calle ... sfratte 'a cca, rigne 'a llà e a terra s'abboccate! ..."
Si scrive per essere condivisi, letti, conosciuti, apprezzati, magari anche osteggiati e criticati. Ma non è giusto che gli scritti di Gino De Filippo, "masta Gino", restino per sempre chiusi, nascosti e sconosciuti, fogli anonimi che lui consegna a suo figlio "a futura memoria".  Per questa ragione ho deciso di  pubblicare parte dell'inedita presentazione che scrisse in dialetto, facendola seguire da alcune composizioni poetiche, anch'esse inedite e in lingua, intitolate: "Panorami". 

A distanza di venti anni, sia la prosa che i versi di Gino De Filippo mantengono la loro attualità, il vigore poetico e la visione esistenziale di un Uomo che, non dimentichiamolo, rimane un uomo del Sud che si è fatto da sè. Un autodidatta nel senso pieno della parola, erede dell'antica tradizione etrusca osco-sarraste della Valle del Sarno. 

Manovale, muratore, imbianchino, carpentiere, disegnatore, progettista, ma anche poeta, scrittore, pittore e sopratutto "maestro" della parola e del pensiero. Un "artista" di quelli veri, senza scuole, accademie o salotti, estraneo alle cronache ed ai circoli chiusi. Solo la quarta elementare, ha frequentato la scuola della vita senza mai mancare all'appello. E'andato alla ricerca del "segno" vero dell'esistenza. 

Così ebbi modo di scrivere anni fa quando pubblicai una piccola antologia di suoi scritti sotto il titolo di "Alle Falde del Monte Saro. Il libro di Gino". Oggi, che in questa antica e "nobile" città di Sarno, che vede pubblicare libri su libri, scritti da chi se li scrive e se li legge perchè se lo può permettere, i "quadernoni" scritti a mano di un vecchio e malinconico poeta, quasi centenario, rimangono chiusi e segreti agli uomini e al tempo. Un invito a chi può, a raccogliere questi fogli e far vivere questi pensieri regalandoli al futuro.

Panorami
I Un minuto, un'ora, un giorno, un anno ... No! Un'eternità l'ala ferita della farfalla; un'eternità l'esilio, il freddo e il silenzio mio, tuo ... Altri cantano glorie di bandiere gialle. Torneranno, ripartiranno, torneranno ancora e non sarò io, nè tu, ma sempre altri a sedere nel centro del sole e fare loro il mondo.
II  Papa padre, Papa figlio; ministri e sacerdoti ... ma soltanto il sacrestano suona campane a morto. Pellicce benedette, gioielli ... oro di sangue puro! Altri parlano di guerre, già combattute e perdute; da combattere e perdere.
III Un bosco di silenzio la quercia. Salici e pioppi di lune fra nevrasteniche sere senza fine. Frammenti di pensieri,  pazze meteore, i giorni, e si muore col sasso in bocca a mezza voce fra le rive! Le finestre eccellenti dominano piazze e fontane.
IV Il sole sta lontano. Il vento apre cieli di nuvole: tempo di grandine per me, per te e non altri. Veli di nebbia le antiche spose e sogni lacerati ... Sono flauti di piombo e fuoco a vestire di festa il morto; a spogliare il mare e le sirene.
V Sono falco e formica. Sono fiume silenzioso che scava sotto la culla; nel segreto d'altra luce o di stagioni a venire. Tu metà uomo metà bestia nell'agguato di sempre; nel tempo che consuma le ore non vissute ...
VI Il cielo è ferito. Il mare giace senza giorni di festa nè gabbiani. Mormora la risacca dove antichi sorrisi piantarono stelle d'incenso, d'oro e mirra. Altri varcano i deserti senza trovare il cammino; vanno nel grande lago, quasi sperduti, a seminare promesse già svanite.
VII Sarò soltanto un numero; un'ombra sospesa nel buio: nel buio che uccide prima del sogno, come altri, ancora altri e altri ancora ... Nel presente vuoto fantasmi stranieri vestiti a festa suonano musiche pazze di fredde luci.
VIII Nere e affamate le navi e le roulotte bruciano i santi; da Levante a Oriente altari imbanditi ... morti acerbe per me, per te e non altri nel ricambio. Magia di secoli rifatti, di vecchie strofe dorate  e sermoni di naftalina.
IX Nel cerchio quadrato sta il cubo, il triangolo e il rombo.  Tutto è Babele! E va sperduto nella nebbia la genesi e il dopo. Una fede sospesa vacilla  meridiani e paralleli: un rincorrere di padri nell'impura, lunga notte.
X Rifatela la storia senza magia di cabala! La madre degli eroi ha occhi profondi; nella chioma bianca le ferite e la sconfitta. Abbattete simulacri e sciamani: falsi figli del tempo, costruttori di sogni infami.
XI Vorrei esser tutto e niente: sole, pioggia, amore, odio, gioia, dolore, guerra e pace. Ma i giorni sono corti e traditi; sono piaga del cielo, ferita della terra ... come il mare di pietra che non risacca. Vorrei essre altro giorno nel tetto della sera, ma per voler di Dio sono soltanto io .
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Published on February 07, 2017 11:32

February 5, 2017

La "versione" di Enzo Cutolo ...



"Come ti leggo, caro libro. Innumerevoli sono i modi nei quali si può parlare e scrivere di un libro. Non uso la parola impiegata di solito, recensire, perchè mi sa di intellettualismo, una categoria alla quale non mi sento di appartenere. 
Per me il libro è come un essere vivente per il quale si possono usare le famose cinque domande usate in linguistica per insegnare una lingua: "chi-cosa-quando-dove-perché". 
Basta adottarle anche per un libro e il gioco è fatto. Ma prima vorrei fare alcune considerazioni che non sono secondarie per chi decide di leggere e scrivere di un libro, di stendere una canonica "recensione ..."


Così ho scritto, tra il serio e il faceto, in un post qualche giorno fa, a proposito di quella particolare attività tipicamente umana: scrivere. Solo noi uomini, infatti, siamo in grado di "materializzare" quello che pensiamo, trasformando ciò che ci passa per la mente o ci accade in qualcosa di reale e concreto, visibile e permanente: la scrittura. Con essa possiamo illuderci di fermare il tempo, registrare il passato, descrivere il presente, ipotecare il futuro. 
Sono secoli, millenni che la memoria degli uomini costruisce il suo futuro lasciando tracce ovunque si manifesta la sua attività di pensiero. Queste pagine della sua vita che il prof. Vincenzo Cutolo ha voluto sottrarre all'usura del tempo segnano la sua traccia. Ho proceduto ad inserire il suo libro in quel "paradiso" di cui è fatta quella "immensa biblioteca" immaginata da Borges su "GoodReads" ed ora mi accingo a parlarne più a lungo.
La voglia di scrivere, di comunicare, di esternare è diventata sempre di più una esigenza, un bisogno, una necessità. Di volta in volta essa può assumere la forma di un’avventura, una scoperta, un’illusione. Un tempo non lontano, avere pubblicata una lettera su di un quotidiano, nella pagina delle “Lettere al Direttore”, era un’occasione per far sapere agli altri della propria esistenza, per affermare la propria cultura, per confermare il proprio io e le proprie opinioni. Le pagine dei quotidiani, dei settimanali e dei periodici erano pieni di lettere e di contributi da parte dei lettori in varie forme. 
Questa esigenza comunicativa, che una volta si esprimeva attraverso l’uso della scrittura, fatta per mezzo di una semplice penna, oggi è appagata e sostituita dalla tastiera che può essere tanto quella del pc quanto quella del telefonino e di qualsiasi altro "gadget" oggi in uso. Molto spesso questa "voglia" ha un significato più profondo, più meditato, spesso anche più sofferto, specialmente se, chi decide di fermare i suoi pensieri sente il bisogno di essere il "testimone" di se stesso, della sua vita, delle sue azioni. In breve, la testimonianza del suo tempo che irrimediabilmente si accorge essere trascorso. 
Le memorie del prof. Vincenzo Cutolo abbracciano un arco di tempo molto ampio, dagli anni '70 ad oggi, quasi mezzo secolo. Le parole "chiave" intorno alle quali costruisce il suo percorso di vita sono "teatro, scuola, politica, cultura". A dire il vero, credo che la "chiave" di lettura di partenza sia la terza, la politica. Enzo Cutolo, con il quale ho sempre avuto un rispettoso amichevole rapporto, a mio parere, in queste sue "memorie" si manifesta un "animale politico" mancato, prestato anche alla cultura. Lo dico da semplice osservatore che pensa che la vita sia essenzialmente un risolvere problemi. Se si risolvono si vince, se no, si perde.
Per cultura ovviamente includo le altre due etichette che lui stesso ha voluto assegnarsi: scuola e teatro. A scorrere il corposo, minuzioso indice che ha dato al suo libro si legge chiaramente la "traccia politica" del suo percorso, le sue scelte, il suo impegno. Tutta la sua azione esistenziale ha avuto una evidente impostazione "politica". Su questa politica fatta di scelte, di idee e di comportamenti si basa il suo impegno, senza dubbio "civile", una sintesi che, in un provvisorio commento su FB, mi sono limitato a definire un momento di "sintesi ricca e preziosa".
Devo dire, però, che se ci si immerge nella lettura di tutti quei momenti da lui vissuti ed espressi in quell'interminabile elenco di documenti pubblicati su gazzette, giornali, riviste e periodici del territorio e non, intercalati anche da apparizioni digitali su FB, chi non conosce uomini e cose di sui parla e scrive l'autore, rischia di annegare in un mare di interventi, proponimenti, pronunciamenti, idee, ideologie ed ideologismi, vissuti nel quotidiano, che forse avevano una loro ragion d'essere quando emersero, ma che poi a distanza di tempo hanno perso tutta la loro efficacia, il loro valore, come si suol dire il senso della storia. 
La cronaca non diventa mai storia. E' la Storia, quella con la lettera maiuscola, che decide quale cronaca possa/debba lasciare una "traccia". Se le cose stanno cosi, restano allora senza risposta gli interrogativi che sembra porsi il prefatore prof. Gennaro Carillo: se questi comportamenti, idee, ideologie, scelte politiche, chiamatele come volete, abbiano effettivamente concorso a "sprovincializzare i "consumi" di una società meridionale la quale, a distanza d tanto tempo, a me sembra ancora privilegiare.
Un'altra osservazione mi sento di fare sui contenuti di questo libro e su quanto Cutolo ha voluto personalmente mettere in evidenza  in questa sua fatica politica pluridecennale. I documenti che lui ci fa leggere dimostrano che il suo rimane sempre un punto di vista personale, parziale, soggettivo, ideologicamente condizionato. La sua mi pare una proustiana "ricerca del tempo perduto", nella convinzione che la politica possa essere la chiave di tutto, dell'esistenza non solo degli uomini ma anche di una società, quella sarnese e meridionale, come di tutta la società. 
Scorrendo le pagine del suo libro mi è venuto in mente un altro libro, oltre quello della ricerca di Proust cui ho fatto riferimento prima. Quello di Mordecai Richler, autore del famoso "La versione di Barney". Squarci caotici e confusi di un passato altrettanto confuso ed anche turbolento, si alternano con altri eccitanti e vitali, ma che chi legge può anche non conoscere, oppure li ha vissuti in maniera opposta a quella che l'autore ci presenta. 
Questo libro rimane comunque un importante documento di sintesi autobiografica di una personalità sempre ideologicamente impegnata verso il sociale, con una buona, comprensibile dose di narcisismo intellettuale tipico di tanta cultura meridionale che non riesce ad uscire dal suo guscio di uno stantio e deleterio provincialismo.  Ne ha scritto ottimamente ed in profondità il buon prof. Gennaro Carillo. Il prefatore conosce bene il suo autore e di questo bisogna dargliene atto. 
Prima di concludere, desidero toccare un aspetto particolare di un documento che Enzo ha voluto rendere pubblico e che mette forse in evidenza un aspetto non secondario del suo carattere. Mi ha colpito non poco la lettura della lettera inedita che lui ha scritto da Milano alla Madre in data 25 novembre 2005. Un documento molto umano, intimo e anche in un certo qual modo rivelatore della "persona" che scrive questa lettera. 
Enzo usa una parola con la quale mi sento di "giudicare", se mi è permesso, il suo libro. La parola è: "energia", usata per giustificarsi di un suo comportamento nei confronti di sua madre e, credo, della famiglia. Lui pensa che tutto quello che ha fatto, sia nel personale che nel sociale, sia "energia". Egli mi sembra di sostenere che dopo la morte non resta null'altro che non sia "energia". 
Il suo libro potrà anche essere tale, una grande, forte, continua "energia" che lui ha profuso in tanti anni di impegno politico e culturale. Io non posso non rispettarla, anche se continuo a muovermi in quella che il Qoelet chiamò "hebel", (nebbia) che nessuna "energia" potrà mai penetrare, tanto meno la "politica".






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Published on February 05, 2017 12:38

January 30, 2017

Come ti "cucino" il libro ...



Come ti leggo, caro libro. Innumerevoli sono i modi nei quali si può parlare e scrivere di un libro. Non uso la parola impiegata di solito, recensire, perchè mi sa di intellettualismo, una categoria alla quale non mi sento di appartenere. Per me il libro è come un essere vivente per il quale si possono usare le famose cinque domande usate in linguistica per insegnare una lingua: "chi-cosa-quando-dove-perché". Basta adottarle anche per un libro e il gioco è fatto. Ma prima vorrei fare alcune considerazioni che non sono secondarie per chi decide di leggere e scrivere di un libro, di stendere una canonica "recensione".
Questa decisione non nasce da sola, di per sè. Trova la sua ragione in un contesto sia interno che esterno al soggetto che prende in mano quel libro. Già in questa decisione si può capire la direzione che prenderà la scrittura. Me l'ha consigliato un amico, ho letto l'articolo di un giornale, ho sentito l'intervista dell'autore, ho visto il libro in libreria, c'era in una una bibliografia, faccio una ricerca, ho bisogno di un approfondimento. Oppure è l'ideologia, la politica, la gelosia, l'invidia, il rancore che porto per chi ha scritto quel libro. Tutti motivi e ragioni di un libro. Possono essere tanti gli stimoli a leggere, spesso controllati, altre volte senza una ragione precisa, istintivi ed irrazionali. Comunque sia, una volta che il libro si trova nelle nostre mani dobbiamo pur leggerlo. 
A questo punto ognuno procede secondo i suoi impulsi. Io qui intendo parlare di come mi comporto io in questa situazione. In questi giorni sto lavorando alla sistemazione della mia biblioteca cartacea, la sto trasferendo in quella digitale su GoodReads. Un lavoro ambizioso, ed anche faticoso, perchè ci vogliono tutte le qualità che dovrebbe avere chi conosce i criteri sui quali si basa la biblioteconomia
"Le idee sono tali in quanto tu le puoi comunicarle agli altri, se le tieni per te non servono a nulla, anzi, non sono nemmeno idee". 
In questa dichiarazione ritrovo tutte le ragioni per mettere online una biblioteca personale. Infatti, dove si possono trovare tante idee se non nei libri? E chi più e meglio di un bibliotecario dovrebbe essere in grado di gestire, conoscere e sistemare queste idee? Online i tuoi libri, le tue idee le puoi condividere con il mondo.
Io sono nato in una famiglia di tipografi tradizionali nel secolo e nel millennio passati, attraversando tutte quelle trasformazioni che si sono succedute nel corso degli ultimi anni. Una cinquantina di anni paragonabili ai cinquecento, tanti quanti sono quelli che divisero l'invenzione dei caratteri a stampa di Gutenberg con quelli che stiamo vivendo oggi. 
Dalla manualità della composizione a caratteri mobili, alla scrittura che in questo momento sto facendo al mio Toshiba Chromebook. Questo significa che una pagina scritta in maniera tradizionale non potrà mai essere come quella digitale. Il confronto con la tecnologia informatica, applicata alla biblioteconomia, ha trasformato radicalmente le attività di selezione e controllo dell’informazione. 
L’ambito di lavoro non è più solo lo spazio fisico della biblioteca, ma la Rete. Da questa l’operatore reperisce la cosiddetta documentazione remota, che richiede l’apprendimento di nuove tecniche per selezionare, raccogliere, descrivere e indicizzare i nuovi documenti. Ciò si riflette principalmente sulla strutturazione dei servizi e sull’organizzazione delle attività dirette al pubblico che, in funzione delle nuove possibilità offerte da internet, acquistano un’importanza fondamentale, a cominciare dal cosidetto "reference", vale a dire i riferimenti del contesto. Scrivere in maniera tradizionale, a penna o macchina da scrivere, non è la stessa cosa di scrivere al pc. Allo stesso modo leggere in cartaceo non è la stessa cosa di leggere al tablet, al pc oppure al cellulare.
La recensione di un libro cartaceo sarà necessariamente diversa da quella di un volume digitale. Nella versione cartacea potrò avere un relativo supporto referenziale, note, disegno o immagini. Nella versione digitale potrò avere accesso alla rete mediante i link attivi e quindi sarò in grado di "uscire" dallo spazio del libro, spazio che non è fisico, ma una vera e propria "nuvola" mobile. Mi rendo conto che mi sto allontanando dal tema che rimane la recensione del libro. Ma era importante a questo punto mettere in evidenza la diversità del modo di procere nella lettura. Detto questo, vediamo come affrontare la lettura. Quella del libro tradizionale.
Non leggere il libro che hai tra le mani, non ancora almeno. Devi guardarlo come oggetto, la sua altezza, lunghezza, peso, colore, spessore, rilegatura, stampa, carattere, formato, confezione. La sua esteriorità, il look, sono importanti. Il libro parla, esprime delle intenzioni, se non proprio quelle del suo autore almeno quelle dell'editore. Quindi entra in gioco il prezzo, il tipo di carattere, la stampa. A chi è diretto, chi lo leggerà, perchè quel titolo. Cosa mi comunica, chiede una risposta, pone un problema? Perchè quella copertina, quei colori? Prima e quarta di copertina, dorso. Pattine? Non l'ho ancora aperto.
Ma ancora non lo leggo, pur avendolo aperto. Sfoglio le pagine, guardo le linee dei caratteri, le righe, i margini, l'interlinea, i numeri delle pagine in alto o in basso, i paragrafi, i capitoli, i punti, le virgole, i due punti, le parentesi, le virgolette che segnano i dialoghi, i nomi, i luoghi, ma non ancora mi interesso al senso. Cerco di capire la sua leggibilità, la sua struttura grafica mi aiuta a intuire il pensiero dell'autore, il suo modo di comunicare.
Non lo leggo ancora. Cerco l'indice, all'inizio o alla fine, le note, se ci sono, a piede di pagina o in fondo al libro. Il numero dei capitoli, le immagini, se ci sono. Ma è un classico o un moderno? Un saggio o un romanzo, un racconto, una novella, un'opera teatrale, per adulti o per bambini, italiano o straniero, antico o moderno? Ma io cosa mi aspetto da questo libro? 
Le risposte a questo punto variano a secondo del tipo di libro che ho tra le mani. Poesia, racconto, romanzo, commedia, tragedia, biografia, libro di storia, di fantascienza, di studio, un classico o un moderno. Diversità che richiedono un approccio diverso. Sono tutte scritture diverse che devono essere valutate in maniera diversa.
In un romanzo è necessario che io riesca a immaginare subito la situazione, il contesto, l'ambiente. Mai come in questo caso le canoniche domande "chi-cosa-quando-dove-perchè" sono davvero essenziali. Importante prendere appunti, ricordare ambienti e situazioni, nomi dei luoghi e dei personaggi. Cercare di afferrare il filo logico della narrazione, dove vuole andare a parare chi scrive, cosa fa dire ai suoi personaggi. Annotare cosa colpisce, cosa è ridicolo, stabilire se forma e contenuto si relazionano e come. 
Ah! i romanzi, la loro lettura non è stata mai il mio forte. Mi ci perdo dentro. Trama, intreccio, plot, sub-plot, conflitti, interni ed esterni, personaggi, io, contro-io, svolgimento e capovolgimento, anticipazione o "foreshadowing", isocronia, anisocronia, mimesi, punti di vista e finale. Se ci arrivo sono felice di averlo letto. Ma poche volte ci riesco.  Eppure "Ulisse", "Tristan Shandy" e "Moby Dick" li ho incontrati e conosciuti, anche se "Ulisse" mi ha perso lui e mi sono disperso io. 
Diverso il caso della poesia, dei saggi e delle opere teatrali. In ogni caso leggere un libro significa fare una escursione, ed anche una invasione, in territori sconosciuti che sono fermi sulla pagina di un oggetto chiamato libro. Lo tieni tra le mani, o ne sfogli le pagine, oppure lo lanci dalla finestra. Tenendo presente che se scegli quest'ultima soluzione, lanci dalla finestra anche il suo autore. Tu che mi leggi su questo blog non puoi farlo. A meno che tu non decida di lanciare dalla finestra il tuo pc, il tuo tablet o il tuo cellulare ...



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Published on January 30, 2017 09:05 Tags: leggere, recensione

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Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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