Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 139
March 18, 2017
Review: Il legno storto dell'umanità: Capitoli della storia delle idee

My rating: 5 of 5 stars
Ho avuto più problemi a scegliere le giuste etichette/tag a questo libro che a leggerlo. Scorrendo il lungo thread di commenti e recensioni, in tutte le lingue, mi sono reso conto di quanto variegato sia l'orizzonte umano nei suoi punti di vista. L'uomo quando pensa su se stesso rende sempre le cose più complicate di quanto esse non siano. Basta rileggersi alcuni passi della letteratura sapienziale biblica, Siracide, Qoehelet, Proverbi ... per rendersi conto di quanto non possa essere raddrizzabile quel "legno storto" a cui si riferisce Kant. Badate bene, non intendo dire che la chiave della soluzione sia in quelle letture. Dico soltanto che se l'inizio fu un "mistero" (Qoehlet lo chiama "hebel"- "nebbia") cercare di risolverlo è come falciare la nebbia. Ma, allora, direte voi Kant è un fesso a porsi una domanda del genere e Berlin uno stupido a discuterne? Dico soltanto che queste "cose", che stanno tra il cielo e la terra, ma più in cielo che in terra, è bene leggerle, conoscerle e studiarle, ma non è bene non caderci dentro, perchè si scopre che quel benedetto/maledetto legno più lo si guarda, lo si tiene tra le mani, più si intorciglia. Bisogna tenerselo così com'è e come sempre sarà: storto ...
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Published on March 18, 2017 14:49
Review: La dieta della longevità: Dallo scienziato che ha rivoluzionato la ricerca su staminali e invecchiamento, la Dieta mima-digiuno per vivere sani fino a 110 anni

My rating: 3 of 5 stars
"Campa cavallo che l'erba cresce" - questo modo di dire mi è venuto in mente mentre leggevo il libro. Avevo letto una recensione sul giornale e mi ero convinto che, dinosauro come sono, avevo diritto anche io a raggiungere gli obiettivi che l'autore si prefigge per chi legge il suo volume. Senza mettere in dubbio il suo lavoro, non ne avrei le capacità e il tempo, penso che tra tutte queste ricette e contro ricette, elenchi e sotto elenchi, schemi e contro schemi, mi sono sentito quel cavallo che non mangia e aspetta che l'erba cresce ... Gli dò tre stelle per l'impegno profuso nel suo lavoro e prometto di mangiare come ho sempre fatto senza mai smettere di guardare l'erba che cresce ...
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Published on March 18, 2017 14:48
Review: Nel guscio

My rating: 5 of 5 stars
Una donna, Trudy, suo marito John Cairncross, editore e poeta, e l'amante di lei, Claude, agente immobiliare senza troppi scrupoli. Un triangolo destinato a concludersi nel sangue quando Trudy e Claude decidono di uccidere John, per impadronirsi della sua prestigiosa e decadente casa di famiglia. L'unico testimone del loro crimine è il narratore della storia, il bambino che Trudy sta per mettere al mondo; che non può vedere eppure è in grado di sentire ogni cosa. Attraverso le sue sensazioni, le sue ipotesi e i suoi dubbi scopriamo che Claude è il fratello di John; comprendiamo i dettagli del delitto e soprattutto i passi falsi dei due complici. Perché anche il crimine che sembra perfetto rivela qualche crepa. E sarà proprio quel testimone improbabile che, come un detective o un novello Amleto, si farà giustizia facendo emergere il dettaglio che incastra gli assassini.
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Un libro che si legge come un giallo, un "thriller", un genere amato dall'autore. Una giusta collocazione narrativa in quanto, tensione, mistero e natura mi sembrano essere le etichette che caratterizzano questo libro. Io ne ho assegnate diverse a conferma della grande arte narrativa dello scrittore, un autore che continua a tenere alta l'attenzione dei lettori di tutto il mondo. La sua è sopratutto l'abilità a trattare argomenti quanto mai attuali ed importanti che affliggono la società umana.
Si cimenta infatti con il più grande mistero: l'origine della vita. Al centro del racconto, che poi è riduttivo chiamare "racconto", troviamo niente di meno che un feto. E' inutile qui ricordare quali sono i problemi che coinvolgono lo sviluppo di qualcosa che viene di solito chiamato embrione-feto, un grappolo di cellule che McEwan colloca al centro della sua narrazione con i tutti i suoi problemi.
E' un feto informatissimo, la comunicazione sembra essere il principale alimento. Ma lui oltre a prestare ascolto a quello che accade nella società in cui vive sua madre che lo porta in grembo, è al corrente anche di come pensano gli uomini in generale. Tutto il libro è una celebrazione dell'amore tra la madre e lui, ma anche con il padre. Sua madre Trudy, suo padre John, e il fratello di lui Claude, sono i personaggi.
Come in un dramma shakespiriano, la madre Trudy e Claudio, suo amante, progettano di uccidere John. Il piano prevede anche l'eliminazione del non-nato, il feto, non appena vedrà la luce. Facile immaginare i suoi pensieri, che risultano poi essere quelli del suo autore su tutte le problematiche che emergono da questa situazione. Ovviamente non vi dirò come finisce la storia, o l'incubo, sia di chi legge che dell'embrione. La dovete leggere, per capire che questo libro è una grande e profonda riflessione sul senso di venire al mondo, sulla maternità, sull legame tra genitori e figli.
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Published on March 18, 2017 14:47
Review: L'oggetto libro. Arte della stampa, mercato e collezionismo

My rating: 5 of 5 stars
Arte della stampa, mercato e collezionismo
Per bibliofili e bibliomani.
Chi-cosa-dove-quando-perchè. Ho lanciato un sondaggio su queste cinque costanti-variabili, o variabili-costanti, fa lo stesso, su quale sia la più importante, sia che la si riferisca ad un libro che alla vita di un uomo. Mi spiego: io penso che ogni uomo sia riportabile ad un libro o, quanto meno, la sua vita sia simile a quella di un libro. Non a caso ho scelto come sottotitolo di un blog sulla bibliomania il motto “ogni uomo è un libro”. Se, quindi, ogni uomo è un libro, è necessario che di un libro abbia i dovuti riferimenti di lettura: chi-cosa-dove-quando-perché, per l’appunto. E’ ovvio che la sequenza delle costanti-variabili, o variabili-costanti, può essere diversa da quella che ho scelto io. C’è chi preferisce dare la precedenza al “cosa”, chi preferisce partire direttamente dal “perché” e via discorrendo. A mio avviso il sistema così diventa più difficile da gestire, e poiché credo che sia meglio iniziare da ciò che è più facile, eccomi a spiegare il percorso che ogni bibliomane, o quanto meno, uno che ama, legge, colleziona e vive di libri, si accinge a fare con i suoi libri e con la sua vita. Se vi accingete a leggere, sappiate che questo testo non è stato riletto e quindi lo dovete accettare così com’è senza chiedere “chicosadovequandoperchè”.
CHI.
Chi sono, chi siamo, chi sono gli altri, chi mi ama, chi mi teme, chi mi segue, chi davvero sono io, quando sono sveglio, quando dormo, parlo, mangio, penso, scrivo, lavoro, viaggio, studio. Una ricerca continua della propria identità, della propria ragion d’essere. Chi se lo chiede, se se lo chiede, cosa si risponde, o cosa gli altri cosa gli rispondono? E cosa fa chi non si pone proprio la domanda? Vive o sopravvive? Vive meglio o peggio? Che cosa sarebbe poi il peggio o il meglio? Chi sono davvero io che penso? Posso dire che se penso, io sono davvero? Non è che “penso, dunque sono” va detto all’incontrario, vale a dire “sono, dunque penso”. Lo so, forse comincerete a pensare che io sia impazzito, oppure che questi sono pensieri oziosi di un uomo ozioso, che dovrebbe andare a lavorare invece che porsi domande dl genere. Avete ragione. E’ che ad un certo punto della propria vita, ognuno, domande del genere, dovrebbe pur porsele, per cercare di capire con chi ha a che fare. Voglio dire, prima con se stessi e poi con gli altri, non vi pare? Ma voi pensate che una cosa del genere sia davvero possibile, voglio dire che sia possibile comprendere davvero io che sto scrivendo a questa tastiera, io davvero sappia rispondere alla domanda su chi sono? E a chi lo sto chiedendo, poi, tutto sommato? A chi ne sa meno di me, non vi pare? Sì, perché voi, che nemmeno sapete chi siete, chi è vostro padre, vostra madre, vostro figlio, il vostro capo ufficio, il vostro direttore, il vostro vicino inquilino, il vostro portiere, il vostro parroco, il giornalaio all’angolo, la vostra amante, cosa potete sapere di me? Come vedete, sono pure illazioni quelle che avete nella vostra testa, perché poi amaramente scoprite che quella persona che voi pensavate di conoscere a fondo era un’altra persona, era diversa e come! Da quella che pensavate, tanto che ha fatto fuori la moglie, il padre e il figlio in una sola botta. E che dire poi di quell’inappuntabile ragioniere che per decenni credevate un modello di gentiluomo è improvvisamente scappato in Sud America con tutti quei soldi sottratti a tanta gente che gli aveva affidato i propri risparmi? E allora, ecco perché chi davvero siete dovete scoprirlo voi, come chi autore del libro, il personaggio principale, l’autore sia del libro che della vostra vita, l’artefice, l’editore, lo scrittore, il distributore, l’agente, il bibliotecario che si prenderà cura del vostro libro, coma anche dello stampatore, del correttore di bozze. Eh sì! Perché ci saranno molti errori, possibili da correggere, ma saranno molti di più quelli impossibile da correggere, rivedere, riscrivere, riproporre all’attenzione di chi ha la bontà di leggere quelle pagine. Pagine che non potranno mai essere scritte o corrette né tanto meno rivissute. Tante pagine fitte dense di caratteri, disegni, immagini, graffi, chiari e oscuri, a colori, in bianco e nero, visibili o invisibili. Fino all’ultima pagina, bianca, sulla quale qualcuno stenderà l’indice del libro, un indice inappellabile perché non sarà possibile cambiarlo. Non lo scriverà l’autore del libro, qualcun altro lo farà. E poi, dopo, apporrà la parola “fine” consegnando il volume al tempo per essere poi sistemato nella biblioteca spaziale.
COSA.
Le cose, la cosa, tante cose, tutte le cose, belle, brutte, chiare, semplici, complicate, futili, utili ed inutili, credibili, stupide, fattibili, incomprensibili, immediate, dirette, personali, collettive, importanti, cose indegne ed indecenti, cose intelligenti e geniali. Tutti le fanno, le scelgono, le incontrano, le pensano e le conservano. Chi lo fa per mestiere, chi ad arte, chi per burla, tutte le cose di questa terra, del nostro mondo ci sembrano cose importanti, decisive, esclusive, personali, determinanti. Ma chi ci crede? Tutti, almeno così appare, per tutti: per il presidente, il papa, il direttore, il preside, il postino, il meccanico, il sindacalista, il ladro e l’assassino, tutti sanno cosa fanno, perché e dove e come e quando. Al mattino, appena svegli, sanno già che la cosa va fatta, così è stato deciso, almeno il giorno prima, la notte è stata pensata. E poi, è un ordine, non è una cosa da nulla, c’è il codice penale, quello civile, il codice deontologico, quello morale a dire che la cosa, quelle cose, vanno comunque fatte, senza ombra di dubbio. Avrebbero già dovuto farle e mi meraviglia che non siano state fatte prima, se non da me, da noi, almeno da altri, altrove, per il bene di tutti, non solo suo e mio, del governo o della scuola, ma almeno per la gestione del condominio che ha bisogno di ordine. Quelle cose non possono rimanere nelle scale perché danno un segno negativo a tutto l’immobile a chi ci abita e ci vive. E poi, quelle cose vanno deliberate al più presto, il governo non può continuare a fare finta di non sentire e di non vedere i problemi della gente. Le cose sia all’interno che all’esterno stanno certamente peggiorando, cose che non si capisce perché non siano state fatte prima. Ma chi le deve fare queste cose? Che ci stanno a fare allora? Siamo onesti, il tempo delle chiacchiere deve cedere io passo alla politica delle cose che non sono state fatte e che con questo governo devono essere assolutamente fatte. Perché questo ci distinguerà dal governo precedente. Loro, le cose dicevano di volerle risolvere, noi invece le risolviamo. La cosa, le cose, tutte le cose, tante cose. Le cose degli uomini, delle donne, dei bambini, dei gay, dei trans, dei preti, delle suore, dei sindaci, degli assessori, le cose delle destra e quelle della sinistra destinate a non incontrarsi mai, come quelle del centro e della periferia, cose antiche e moderne, cose di dentro e cose di fuori, quelle dette e quelle non dette, scritte, trascritte e registrate con tanto di atto notarile perché tutto venga tramandato e sia secondo le regole. Perché qui le cose sono serie, sono cosa da magistrati, le cose dei togati che guai a chi li tocca. Gli intoccabili. Cose da pazzi…
DOVE.
Qui i luoghi del dove abbondano, c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Non si sa da dove cominciare. Da nord, da sud, da est o da ovest. Per non dimenticare il centro, il baricentro, l’ipercentro, la centrifuga e tutto il resto del dove. Mi ero già perso, infatti, nei labirinti del dove. Non so se cominciare da fuori o da dentro. Ma vi rendete conto che se comincio da dentro mi perdo, e se inizio da fuori me ne scappo dentro? Queste costanti-variabili possono avere il valore sia di interrogativi che di esplicativi. In altre parole, se dici “dove?” chiaramente fai una domanda. Se invece collochi un “dove” vuoi indicare una relazione spaziale che ti serve per collocare un ragionamento. Quando poi “dove” diventa “laddove” allora le cose assumono una latitudine di significato davvero esilarante, perché non sai mai dove ti verrai a trovare. Avete mai fatto in proposito l’esperienza di cercare di collocarvi da nessuna parte, in un “nessun dove” sia spaziale che temporale? Che bello sospendersi e fottersene di se stessi e degli altri sempre pronti in ogni dove a chiedere, domandare, interrogare. Una volta tanto, io non sono io, non sono da nessuna parte, non esisto e mi metto in un mio particolare “dove” di osservazione per rompere gli attributi agli altri. Sempre tenendo presente che non so dove esattamente sono. Per non parlare poi di quando dormo. Che c’entra? Direte voi. C’entra, c’entra. Ma vi siete mai chiesti dove siete quando dormite? Lo so che avrei dovuto anche chiedere “chi” siete quando si è in sonno. Ma qui non è pertinente. Qui parliamo solo del “dove”. In realtà non siamo né sopra né sotto, né dentro, né fuori, né appesi, né distesi, né sazi né digiuni, né tanto meno brilli. Ma sappiamo che ci siamo, ma non sappiamo dove siamo. Ma sappiamo che ci siamo, e quando ci svegliamo saremmo anche in grado di dire dove siamo stati, ma è che non ne siamo sicuri, o forse abbiamo paura di dirlo. Paura non solo, forse anche vergogna, perché i luoghi del dove sono luoghi che non si possono narrare, inesplorati ed inesplorabili. Luoghi virtuali, che non hanno nessuna virtù se non quella dell’inganno, della menzogna, dell’impossibile. Ma noi sappiamo tutti, indistintamente, che ci siamo stati, il dove dell’inganno, del tradimento, il fake che ci insegue e ci indica agli altri in senso di vergogna e di derisione. Se questi sono i luoghi del dove surreali, quelli della realtà vissuta, sono ancora più intangibili degli altri. Vi è mai capitato di sentirvi di essere là dove non siete mai stati come se già ci foste stati? Sì, alcuni lo chiamano il “deja vu”, luoghi del prima e luoghi del dopo. E tu non sai dove sei stato, se ci sei mai stato e se ci ritornerai. Un parco affollato di New York, un vetta in Svizzera, un “block” di un manicomio in inglese, volti tutt’intorno a guardarti, come un intruso. Tu che una volta eri un “nurse” ed eri là ad accudirli. Ora quel dove non c’è più, scomparso, annientato dal tempo che si ritrova nella variabile-costante “quando” e non sa come.
QUANDO.
Mamma mia. Non so se questo è un interrogativo oppure una supposizione, dentro o fuori del tempo. Dal dove sono caduto nel quando. La navigazione continua senza soste e senza ritorni. Già, perchè una volta che ci sei stato in quel tempo, non potrai più ritornarci. In effetti, ci entri, ci cammini, ci vivi per un po’, ne esci e non potrai mai più rientrarci nonostante tutti gli sforzi che farai. Quel quando non potrai più acchiapparlo, sentirlo dentro di te, viverlo. Quando comincia credi di saperlo, ma in effetti nessuno lo sa. Sei registrato all’anagrafe, con l’ora, il giorno e l’anno, ma è tutta una finzione, un modo come un altro per cercare di incapsulare il tempo del quando sei venuto fuori a vedere la luce, se mai ne avevi bisogno. Nessuno te l’ha chiesto, nessuno ti ha avvisato che saresti venuto, proprio in quel preciso quando, per non dire poi del dove, del chi, del perché. E tu ci credi che sei nel tempo del quando, ci navighi, contento di sapere dove andare, cosa fare, delle tue scelte, del tuo essere, delle cose che fai, e ti scegli il tuo dove, in termini di spazio. A scuola, in ufficio, in fabbrica, in riva al mare in montagna, nel sottoscala, nell’attico, in città, nel bosco, in mezzo al traffico, in solitudine o nella moltitudine. Sta a te scegliere, se ti sta bene o se ti sta male, agli altri frega ben poco. E qui casca il senso del quando, che non sai quando viene né quando va, quando ti prende e se ti prende. E tu credi di dominarlo, di avere deciso cosa fare, perché e come. Ti illudi e ti freghi allo stesso tempo. E sull’onda dei trascorsi giorni in forma di quando, come quando costruisci quelli futuri che trasportano lontano senza che tu te ne rendi conto. Personaggio e interprete come sei della tua esistenza passi dal dove trascorso a quello presente immaginando quello futuro. E ti sospendi, come sospendi chi ti sta vicino, chi condivide, a almeno crede di condividere le tue variabili-costanti che scorrono senza ragione e senza un perché. E te le ritrovi tutte, una ad una, o tutte insieme, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, addizioni di quando e sottrazioni di dove e di cosa, senza ragione di futuri perché.
PERCHE’.
Le ragioni stanno tutte qui. A chiedercele in cerca di una risposta che si sa non arriverà, perché le risposte sono altrove, se mai sono esistite e se mai potranno essere trovate. Legittimo chiedersi perché, chi domanda e risponde allo stesso tempo, interrogativo ed esplicativo che non spiega e non interroga su nulla. E poi, dopo tutto, perché dovresti/vorresti saperlo? Ti piacerebbe che qualcuno ti desse la risposta eh? Comodo, troppo comodo. E che direbbero tutti quelli venuti prima di te che si sono posta la stessa domanda del perché, come in un gioco che ritorna come un ritornello nella piastra del tempo che non dà risposte. A dire il vero, le risposte ci sono, tutti credono di saperle dare a quei perché: filosofi, scienziati, papi, presidenti, poeti, illuminati ed oscuri, arroganti e sapienti, tutti pronti a darti una risposta, ai tuoi perché che aumentano man mano che passano i chi, i cosa, i dove, i quando. Sfilano tutti uno dietro l’altro, e chiedono spiegazione, appunto domandano il loro perché. E tu dovresti saper dare una risposta visto che sei l’inizio del tutto, sei il chi dell’inizio, ma sarai anche il chi della fine. La tua fine, la fine dei tuoi cosa, anzi delle tue cose, che sono ritrovabili in qualche dove della mente o della fantasia, ma ormai diventata irrealtà pura ed astratta, inganno perpetuo, finzione assoluta. E tu cosa puoi saperne, vittima della tua individualità, del tuo essere chi inconsapevole ed incolpevole, una cosa frammentata nel dove della tua nullità, senza un ragionevole quando ed un comprensibile perché. Ma il libro delle variabili-costanti deve pur avere un senso, altrimenti chi lo leggerà, e se leggere significa capire, ci sarà pure qualcuno che vorrà capire, trovando delle risposte. Si dice che queste risposte debbano essere ragionevoli, cioè secondo ragione, che non si sa bene cosa sia, ma che molti ritengono sia la sintesi delle stesse variabili che sono costanti, nella misura in cui se sono sempre costanti diventeranno incostanti e invariabili se il processo continua all’infinito. Non so se mi spiego. Forse sono arrivato davvero alla sintesi, alla sintesi della ragione. Oppure forse no, ed è meglio, perché se no ci sarà qualcuno che dirà che sono fuori di senno. Ecco un’altra bella parola. Ragione, senso, senno, ma che bello essere liberi di dire ciò che non fa senso credendo di averlo il senso, il senso che dà una risposta al perché. E voi credete che io l’abbia data una risposta? E chi vi dice che avevo questa intenzione? Avrei potuto farlo, ma non ne avevo l’intenzione. Era solamente un gioco costante e variabile. Anzi variabile e costante. Come il gioco della vita e quello dei libri.
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Published on March 18, 2017 14:46
Il libro ideale

Si può pensare, però, che un buon lettore possa riuscire a leggere nella sua vita circa seimila libri. Molti saranno presto dimenticati. Altri, ma pochi, di sicuro, resteranno nella nella sua mente. Forse una trentina, non di più. Tutti diversi per ognuno di noi che leggiamo. Come diversa è la maniera con la quale essi ci condizionano e ci accompagnano.
L’influenza più forte che i libri esercitano su chi legge è quella che meno ci si aspetta. Con un libro noi cerchiamo di semplificare le cose della nostra vita. Sembra strano ma è proprio così, anche se siamo portati a che credere che la letteratura sia qualcosa di sofisticato. In effetti, con essa, con la comunicazione scritta, quindi con i libri, cerchiamo il modo migliore per organizzarci. Ecco il senso di semplificare.
Il libro, quando lo leggiamo, è come se ci narrasse una storia molto più semplice di quanto potrebbe accadere, se quegli stessi fatti accadessero davvero nella vita. La narrazione è più semplice, la trama più snella, si passa da un fatto all’altro con meno complicazioni. Nella vita reale queste sono maggiori.
Un matrimonio, ad esempio, raccontato in un libro occupa meno pagine di quanto possano essere stati gli anni veri vissuti da una coppia, una famiglia, un nucleo familiare. La logica narrativa mette ordine nel caos esistenziale. Possiamo facilmente seguire la linea del racconto, degli eventi, dei fatti. Lo scrittore nella sua narrazione lascia molte informazioni sui personaggi e sulle situazioni, rivela pensieri e progetti.
Insomma, le cose sono molto più chiare che nella vita reale. Sulla pagina i personaggi positivi e negativi ci coinvolgono in maniera diversa da come ci possono colpire nella vita reale. Vizi e virtù ci appaiono molto più chiari ed evidenti di come possiamo farlo in realtà. Li possiamo amare o odiare in maniera più netta ed evidente di quanto possiamo fare con amici e conoscenti.
Abbiamo necessità di vedere le cose semplificate in quanto la nostra mente è già tanto piena di problemi che ogni giorno siamo costretti ad affrontare. Lo scrittore, il più delle volte, ci propone la lettura di fatti e personaggi che in un certo qual modo abbiamo avuto modo di affrontare nella nostra quotidianità. In fondo, possiamo dire che gran parte delle cose che ci accade di leggere nei libri le conosciamo già.
Possiamo ora soltanto metterle a fuoco meglio. La letteratura corregge la nostra innata confusione mentale. Spesso ci sentiamo perduti nelle parole. Per questa ragione non siamo in grado di descrivere quello che proviamo quando cerchiamo di descrivere il magico volo di un uccello, lo splendore di un’alba, la malinconia di un tramonto. Ci limitiamo a dire “che bello!”
Il fatto è che i nostri sentimenti sono molto complessi, sottili, sfuggenti, indescrivibili a parole. Il vero scrittore riesce a dare voce a questi sentimenti trasformandoli in parole. Non si tratta di mera esemplificare, ma di operare una reinterpretazione della realtà. I grandi scrittori costruiscono ponti per situazioni, persone ed eventi verso i quali non da soli non avremmo mai saputo accostarci da soli. La loro “esperienza” artistica ci fa “vedere” le cose in maniera artistica. Ci aiutano a sentire, capire e interpretare le nostre emozioni.
Nelle pagine di un libro, incontriamo qualcuno con cui possiamo gioire, amare, odiare, pensare le ingiustizie e le bellezze del mondo. Da esperienze del genere ne usciamo non solo e non sempre devastati, ma rinnovati, rigenerati. Non sempre questo accade, naturalmente. Non tutti i libri semplificano, perchè non tutti i libri hanno gli stessi lettori. L’idea del giusto libro per il giusto lettore non è stata ancora realizzata, nè forse potrà esserlo.
E’ vero, i consigli sui libri abbondano sui giornali e in rete, come a scuola e nelle università. Ma poche volte possiamo dire di avere incontrato o letto il libro ideale. Ma potrà poi mai esistere “il libro ideale”? Chi potrà mai scriverlo, leggerlo, consigliarlo e vendere? Forse, non esiste. Forse il solo, l’unico, l’inedito libro ideale sarà quello che ognuno di noi saprà scrivere sulle pagine della sua vita ...
Published on March 18, 2017 07:53
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libro-ideale
March 17, 2017
Il punto di vista dell'embrione

My rating: 5 of 5 stars
Una donna, Trudy, suo marito John Cairncross, editore e poeta, e l'amante di lei, Claude, agente immobiliare senza troppi scrupoli. Un triangolo destinato a concludersi nel sangue quando Trudy e Claude decidono di uccidere John, per impadronirsi della sua prestigiosa e decadente casa di famiglia. L'unico testimone del loro crimine è il narratore della storia, il bambino che Trudy sta per mettere al mondo; che non può vedere eppure è in grado di sentire ogni cosa. Attraverso le sue sensazioni, le sue ipotesi e i suoi dubbi scopriamo che Claude è il fratello di John; comprendiamo i dettagli del delitto e soprattutto i passi falsi dei due complici. Perché anche il crimine che sembra perfetto rivela qualche crepa. E sarà proprio quel testimone improbabile che, come un detective o un novello Amleto, si farà giustizia facendo emergere il dettaglio che incastra gli assassini.
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Un libro che si legge come un giallo, un "thriller", un genere amato dall'autore. Una giusta collocazione narrativa in quanto, tensione, mistero e natura mi sembrano essere le etichette che caratterizzano questo libro. Io ne ho assegnate diverse a conferma della grande arte narrativa dello scrittore, un autore che continua a tenere alta l'attenzione dei lettori di tutto il mondo. La sua è sopratutto l'abilità a trattare argomenti quanto mai attuali ed importanti che affliggono la società umana.
Si cimenta infatti con il più grande mistero: l'origine della vita. Al centro del racconto, che poi è riduttivo chiamare "racconto", troviamo niente di meno che un feto. E' inutile qui ricordare quali sono i problemi che coinvolgono lo sviluppo di qualcosa che viene di solito chiamato embrione-feto, un grappolo di cellule che McEwan colloca al centro della sua narrazione con i tutti i suoi problemi.
E' un feto informatissimo, la comunicazione sembra essere il principale alimento. Ma lui oltre a prestare ascolto a quello che accade nella società in cui vive sua madre che lo porta in grembo, è al corrente anche di come pensano gli uomini in generale. Tutto il libro è una celebrazione dell'amore tra la madre e lui, ma anche con il padre. Sua madre Trudy, suo padre John, e il fratello di lui Claude, sono i personaggi.
Come in un dramma shakespiriano, la madre Trudy e Claudio, suo amante, progettano di uccidere John. Il piano prevede anche l'eliminazione del non-nato, il feto, non appena vedrà la luce. Facile immaginare i suoi pensieri, che risultano poi essere quelli del suo autore su tutte le problematiche che emergono da questa situazione. Ovviamente non vi dirò come finisce la storia, o l'incubo, sia di chi legge che dell'embrione. La dovete leggere, per capire che questo libro è una grande e profonda riflessione sul senso di venire al mondo, sulla maternità, sull legame tra genitori e figli.
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Nel guscio
March 14, 2017
Il libro delle domande di Pablo Neruda

My rating: 5 of 5 stars
Ho tra le mani questo libretto di poche pagine. Contiene domande articolate in 74 brevi poesie. L’autore non è un poeta o uno scrittore qualunque, bensì un grande artista che nella sua vita assorbì molte filosofie, diverse dottrine politiche e religiose. Egli sviluppò la sua creatività, attraversando tutta una vasta gamma di esperienze in forma di voci e stili diversi, nel tentativo di dare una risposta alle innumerevoli domande che il suo istinto artistico gli suggeriva. Queste sono contenute in un numero di 320, ma in effetti queste stesse domande possono essere infinite in quanto chi legge queste poesie ne genera a sua volta, altre.
Poco prima di passare a miglior vita, nel mese di settembre del 1973, Pablo Neruda ultimò la stesura di questo libro. Intese “visitare”, per così dire, quel profondo “pozzo dell’eternità interiore” che ogni essere umano porta con sè. Ma, mentre il comune mortale vive prigioniero della quotidianità, il vero artista, il vero poeta aspira a cogliere il significato di quei pensieri il cui senso va oltre se stesso. Pablo Neruda volle completare la sua esperienza di vita formulando queste domande rivolte non tanto a chi avrebbe letto i suoi versi, ma soprattutto a se stesso.
Andò alla scoperta del suo “mistero”, seppe guardare alle cose con occhi non suoi, quelli con i quali aveva vissuto le proprie esperienze. Andò alla ricerca non solo delle ragioni, ma soprattutto del perchè di quelle “radici” sulle quali poggia tutta l’esistenza umana. Egli legge la realtà con gli occhi di un bambino, ma anche con la mente razionale di un adulto. Passa in rassegna i momenti della sua vita, che è anche la vita di ognuno di noi. Leggendo queste domande, il lettore si accorge che non ci sono risposte, perchè di queste ce ne possono essere tante e diverse.
Le poesie con le domande si susseguono in questa edizione sia in spagnolo che in inglese. Il lettore ha così la possibilità di filtrare i suoi sentimenti e leggere gli interrogativi proposti con due sistemi linguistici sotto molti aspetti opposti e diversi. Vi ho aggiunto la mia traduzione dall’inglese.
Tell me, is the rose naked
or is that her only dress?
Why do trees conceal
the splendor of their roots?
Who hears the regrets
of the thieving automobile?
Is there anything in the world sadder
than a train standing in the rain?
---
Dime, Ia rosa està desnuda
0 solo tiene ese vestido?
Por que los àrboles esconden
el esplendor de sus raices?
Quien oye los remordimientos
del automovil criminal?
Hay ago mas triste en el mundo
que un tren inmovil en Ia lluvia?
---
Dimmi, la rosa è nuda
o quello è il suo abito?
Perchè gli alberi nascondono
lo splendore delle loro radici?
Chi sente i lamenti
dell’auto rubata?
C’è qualcosa al mondo più triste
di un treno fermo sotto la pioggia?
-----
How many churches are there in heaven?
Why doesn't the shark attack
the brazen sirens?
Does smoke talk with the clouds?
Is it true our desires
must be watered with dew?
---
Cuántas iglesias tiene el cielo?
Por qué no ataca el tiburón
a las impavidas sirenas?
Conversa el humo con las nubes?
Es verdad que las esperanzas
deben regarse con rocìo?
---
Quante chiese ci sono in cielo?
Perchè lo squalo no attacca
le coraggiose sirene?
Il fumo parla con le nuvole?
E’ vero che i nostri desideri
devono essere bagnati di rugiada?
---
What is the distance in round meters
between the sun and the oranges?
Who wakes up the sun when it falls asleep
on its burning bed?
Does the earth sing like a cricket
in the music of the heavens?
Is it true that sadness is thick
and melancholy thin?
---
Qué distancia en metros redondos
hay entre el sol y las naranjas?
Quién despierta al sol cuando duerme
sobre su cama abrasadora?
Canta Ia tierra como un grillo
entre Ia música celeste?
Verdad que es ancha Ia tristeza,
de/gada Ia melancolìa?
---
Qual è la distanza in metri tondi
tra il sole e le arance?
Chi sveglia il sole quando si addormenta
sul letto ardente?
La terra canta come un grillo
nella musica dei cieli?
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Si alternano immagini di fiumi e di mari, di sale e di nuvole, di limoni e violette, amici e nemici, tutte sostanze della nostra esistenza, in cerca di ragionevoli risposte. Sono sommerse nell’ignoto, tra sogni e incubi, paradossi e certezze, queste poesie adempiono in modo quanto mai brillante la funzione della poesia: quella di aiutarci a entrare nella vera essenza delle cose e di noi stessi. Questo libro è davvero unico, il vero testamento di un artista che sfida la natura, i sentimenti, la sua identità: “Chi sono io, nè quanti sono o sarò?”
“And why is the sun such a bad companion to the traveler in the desert?
And why is the sun so congenial in the hospital garden?
Are they birds or fish in these nets of moonlight?
Was it where they lost me that I finally found myself?
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Y por qué el sol es tan mal amigo del caminante en el desierto?
Y par qué el sol es tan simpatico en el jardin del hospital?
Son pàjaros o son peces en estas redes de la luna?
Fue adonde a mi me perdieron
que logré por fin encontrarme?
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E perchè il sole è un così tremendo compagno
per il viaggiatore nel deserto?
E perchè il sole sta così bene a suo agio
nel giardino ospitale?
Sono uccelli o pesci
in queste reti del chiaro di luna?
Fu dove mi persero
che poi io mi ritrovai?
Neruda si rivela alla vigilia della sua fine che sente prossima un artista complicato, contraddittorio, in lotta prima con se stesso e poi con la realtà. Solo la poesia abbatte i confini che lo affliggono con la sua ideologia e i suoi egoismi. Più di tutte le altre sue opere, queste poesie ci fanno capire che soltanto in forma fortemente visionaria ed evocativa si possono dare risposte alle domande che il poeta si pone, ben sapendo che soltanto un forte atto di disperazione può essere usato come atto di fede. Lo aveva anticipato in una sua opera precedente “Extravagaria” con una poesia nella quale così si esprimeva:
“I figli dei figli del figlio -
che ne faranno del mondo?
Il bene o il male?
Mosche o grano?
Non chiedetelo a me.
Ma le domande rimangono”.
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March 13, 2017
Paper reading vs Screen reading
How reading on screens differs from reading on paper is relevant to just about everyone who reads, to anyone who day by day switches between working long hours in front of a computer at the office and leisurely reading paper magazines and books at home; to people who have embraced e-readers for their convenience and portability, but admit that for some reason they still prefer reading on paper. As digital texts and technologies become more prevalent, we gain new and more mobile ways of reading, but are we still reading as attentively and thoroughly? How do our brains respond differently to onscreen text than to words on paper? Should we be worried about dividing our attention between pixels and ink or is the validity of such concerns paper-thin? One last question: how much does the new technology we use make us change the view of the world?
Published on March 13, 2017 06:20
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Tags:
reading
March 10, 2017
Is book ownership still a sign of public cultural distinction in the digital age?
I own many books. Three, four thousands perhaps, even more, I don’t know. But this is not an important point. Few belonged to my father, others to my brother, some to my son, many to my wife, a large family library in any case. Three generations’ readings. Different books, different times, different interests. My father was a post Gutenberg printer, he was used to think that books were just tools to read the world. He used to say that even over two thousand years ago Qohelet said that there were too many books. Today I have about two hundred ebooks in my cloud waiting to be read besides the thousands in paper on the bookshelves. And you talk of ownership? I wonder what it does this mean …
Published on March 10, 2017 10:33
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Tags:
books-ownership, digital-age
March 9, 2017
A proposito di "vacuità" ...

My rating: 4 of 5 stars
"Il significato principale della vacuità" (Dainin Katagiri)
"La vacuità è ciò che ci permette di aprire gli occhi per vedere direttamente che cos'è l'essere. [...] Dobbiamo assumerci la responsabilità dei risultati di ciò che abbiamo fatto, ma l'obbiettivo finale è quello di non farci ossessionare dal risultato, che sia buono, cattivo o neutro. È questo che chiamiamo vacuità. Questo è il significato principale della vacuità.
[...] La cosa importante è non farci prendere dall'ossessione o dalla fissazione per i risultati che vediamo, sentiamo e sperimentiamo. Tutti i risultati, buoni, cattivi o neutri, vanno accettati fino in fondo. Non dobbiamo fare altro che seminare buoni semi giorno dopo giorno, senza lasciarne traccia, senza creare alcun attaccamento.
[...] Accade sempre qualcosa. Questo è lo zazen. Ecco perché lo zazen è identico alla vita. L'importante è accettare fino in fondo le cose che accadono. Se vedete qualcosa che va corretta, correggetela. Se non c'è nulla da fare, limitatevi a non fare nulla. Qualunque cosa accada, dal principio alla fine, continuate semplicemente a fare del vostro meglio nello zazen. Non dovete fare altro. Nello zazen la mente viene regolata; avere una mente regolata significa non avere alcun presagio di diventare un buddha. Questa è la vacuità.
[...]
Il Buddha è sempre presente in 'ciò che semplicemente è'; buddha semplicemente è. Se crediamo di comprendere noi stessi, già questo non è precisamente 'ciò che semplicemente è', o quiddità, ossia un essere come si è. Questo qualcosa che semplicemente è, o quiddità, non è una condizione che possiamo conoscere attraverso la coscienza. Nel Buddhismo zen si dice che è "quel sé che era prima che i nostri genitori nascessero", o prima del prodursi di un qualunque pensiero. Questo è il sé prima che qualcosa attraversi la coscienza. Il problema è che la nostra coscienza è sempre al lavoro, e va di qua, di là, in tutte le direzioni, attimo per attimo. Perciò, come possiamo conoscere lo stato del 'sé che era prima che i nostri genitori nascessero', ossia la quiddità, ciò che di una cosa semplicemente è? [...] Il modo migliore per compiere questa indagine è mettersi semplicemente seduti a fare zazen, lasciando che il fiore della forza vitale sbocci nella quiddità.
[...] Il principio originario dell'esistenza si può cogliere nella vita di un albero, di un sassolino, della neve, delle stagioni e di ogni altra forma naturale. Prima di entrare nel campo della nostra coscienza, questo principio è ciò che semplicemente è. Il principio originario, in quanto manifestazione del buddha, non è distinto dalla forma degli alberi, dalla forma del sassolino, dalla forma delle stagioni o dalla forma della routine quotidiana. È sempre manifesto, e completo. [...] È là, eloquente. [...] È questo che chiamiamo Dharma, l'insegnamento. Ogni cosa diventa un insegnamento per noi. [...]
Questo buddha, ossia la pura natura dell'esistenza, non è una cosa astratta; si manifesta nella sua completezza in ogni singola forma di esistenza. E dunque, noi possiamo praticarlo, possiamo manifestarlo. Anche se non pratichiamo, siamo tutti buddha. Ma se non pratichiamo la vita del Buddha, non possiamo manifestarlo. [...] Dobbiamo praticare ciò che è semplicemente com'è. Che lo capiamo o no, dimentichiamocene! Dimentichiamolo, perché ciò che è semplicemente com'è si manifesta direttamente nella sua completezza al di là della nostra speculazione o della nostra comprensione. È sempre con noi. È una qualità della nostra esistenza, della nostra presenza. Perciò non dobbiamo fare altro che vivere all'ombra di questa qualità della nostra presenza. Se ci viviamo dentro, possiamo manifestarla" (pp. 55-61).
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Ritorno al silenzio. La pratica dello Zen nella vita quotidiana
MEDIUM
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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