Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 137
April 5, 2017
Il tempo, la storia, il senso, il viaggio

My rating: 5 of 5 stars
Questo è uno di quei libri che non si "bruciano" sull'altare dell'attualità, non è per i gusti ed i piaceri di chi fa della lettura un "mordi e fuggi", un "chit-chat", una aforisma da social su Facebook. Leggere quello che scrive una persona di novanta anni è sempre una scoperta, un'avventura, un viaggio nel tempo da lui vissuto. Quando poi chi scrive non è uno che usa la penna o la tastiera per far sapere agli altri quello che pensa, ma uno studioso che possiede già di per sè il senso delle cose e della storia, un teologo, un filosofo e per giunta anche un germanico. Se a tutto questo aggiungete che questa persona è anche una figura religiosa mai esistita prima nella storia delle religioni e della religione cristiana in particolare, un "Papa Emerito", che si affianca da vivo ad un altro Papa in carica, allora avrete la certezza di leggere qualcosa che arde sull'altare dell'intelligenza della storia e del tempo degli uomini. Le parole chiave stanno tutte nel titolo del libro: tempo, storia, senso, viaggio. Io penso che non sia il caso di dire altro in questa recensione. Chi crede, come anche chi non crede, deve leggere questo libro.
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Il tempo e la storia. Il senso del nostro viaggio
Published on April 05, 2017 08:14
•
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benedetto-xvi
April 4, 2017
"Brucerò i miei libri ..."
Cristopher Marlowe
Non impressioni il lettore il titolo di questo post. L'ho avuto in bozza per diverso tempo, non sapendo bene come affrontare un tema per me molto importante. Avevo bisogno della giusta ispirazione per scriverci su quello che penso. Adesso che ho avuto la possibilità di mettere ordine nella mia biblioteca, trasferendo i miei libri dagli scaffali cartacei a quelli digitali su GoodReads, credo di poter riprendere il tema di questo discorso.
Sono molti i miei libri, quasi cinquemila, forse troppi, forse pochi, dipende da chi li ama, li colleziona, li conta e magari trova anche il tempo, la forza e l'intelletto per leggerli. Lecito chiedersi a che serve collezionare tanti libri, per i molti anni vissuti, tramandati da padre in figlio, da nonno a nipote. Poi, per uno scherzo del destino o magari del diavolo, è proprio il caso di dirlo, ti capita tra le mani un libro che hai letto tanto tempo fa, facendolo studiare anche a chi forse non era ancora pronto a a leggerlo e comprenderlo.
Mi riferisco alla "Tragica Storia della Vita e Morte del Dottor Faust" scritta in forma tragica e poetica da quel poeta bandito e straordinario avventuriero che fu Christopher Marlowe. Il dramma narra la storia di Faust, uno studioso così avido di sapere da non accontentarsi del sapere accademico, della medicina e della teologia, avventurandosi nel campo della magia nera. E siccome la ricerca autonoma e libera della verità (la filosofia o la scienza) era stata da sempre in contraddizione con la teologia dogmatica, che invece reclama obbedienza (si pensi ad Adamo, ad Icaro o a Prometeo), Faust assume le sembianze di un negromante, perché poco più che stregoni venivano visti gli scienziati ed i filosofi della natura nell'epoca dei conflitti religiosi in Europa.
Dopo aver compiuto un'invocazione nel suo studio, gli appare il diavolo Mefistofele con il quale stipula un patto: Faust avrà la conoscenza ed i servizi del servo di Lucifero per 24 anni, dopo i quali il diavolo avrà la sua anima. A questo punto, Faust prova un momento di liberazione che assomiglia ad un desiderio sconfinato d'onnipotenza. Tuttavia, sebbene egli faccia grandi progetti per il proprio immediato futuro, e sebbene sogni di utilizzare le abilità acquisite per ottenere potere e gloria, riesce solo a compiere piccoli atti di bassa levatura.
Durante tutta l'opera, Faust viene continuamente consigliato da due angeli, uno buono e uno malvagio, simboleggianti i due lati della natura umana. Nell'ultima ora della sua esistenza, Faust dà vita al famoso soliloquio, nel quale l'opera raggiunge un altissimo livello di poesia. Questo brano l'ho proposto per anni a tanti miei giovani studenti illudendomi di trasmettere loro non solo l'importanza della conoscenza della lingua inglese, mio obiettivo primario al tempo, ma anche la passione per la lettura e la conoscenza.
Ecco, "leggere" significa "conoscere", l'ho imparato a spese mie col tempo. Oggi, che scopro di avere accumulato una notevole quantità sia di letture che di tempo, avverto, come Faust, questo grave peso che diventa sempre più un fardello. I libri sono tanti, almeno i miei. Infiniti sono quelli scritti dagli altri, nel corso dei secoli. Chissà quanti ne dovrei ancora leggere, che non ho letto e che non potrei mai farlo.
E allora, rileggo questo brano della "dannazione" e mi chiedo se non arriverò anche io a imprecare come il dottor Faust: "brucerò i miei libri!". Intendiamoci, non ho fatto nessun patto con nessuno, e non intendo farne. Potrei liquidare il tutto consolandomi con Qohelet il quale, oltre tremila anni fa chiudeva il suo canto lamentandosi che si scrivevano troppi libri e che tutto era "nebbia", ma non risolverei il problema.
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Proprio stamattina ho letto che Benedetto XVI, il Papa emerito, che sta per compiere 90 anni, ha pubblicato un suo ultimo libro nel quale si occupa proprio del tempo e della storia di cui sto parlando e, guarda caso del senso del nostro "viaggio" umano. I libri ci aiutano in questo percorso terreno che, a mio parere, comincia da lontano, troppo lontano per conoscerne la origine, un viaggio che poi si conclude in un altrettanto misterioso e sconosciuto territorio.
Scrive Benedetto: "L'uomo di oggi ha lo sguardo rivolto al futuro. La sua parola d'ordine è "progresso", non "tradizione", "speranza" o "fede". Egli conosce anche un certo romanticismo per il passato. Ama circondarsi di oggetti preziosi della storia, ma tutto questo conferma soltanto che quei tempi sono passati e che il regno dell'uomo di oggi è proprio il domani, il mondo che lui stesso costruisce".
Le parole che sceglie il Papa Emerito, sulla soglia dei suoi 90 anni, sono le stesse alle quali, quasi certamente, pensava Marlowe per bocca di Faust. Le stesse alle quali penso io oggi: "progresso", "tradizione", "speranza", "fede". Quanti libri dovrei, anzi dovremmo leggere per capire il senso dei pensieri che si nascondono dietro queste parole?
E quanti se ne dovrebbero ancora scrivere senza trovare una risposta, quella per la quale Faust tentò di giocarsi la partita con Mefistofele? La perse ovviamente, come la perderanno sempre tutti quegli uomini i quali credono di poter abbracciare l'idea di "progresso", inteso come "conoscenza", senza porre limiti, senza essere ossessionati come Faust dall'idea della vita eterna, magari ottenuta tramite la tecnologia?
Se dietro questa parola, "tecnologia", si nasconde il "progresso", e se dietro di questo ritroviamo "Mefistofele" con le sue illusioni ed i suoi inganni, il pensiero di bruciare i libri, di sicuro ci prenderebbe subito. La conoscenza resterebbe una illusione, un inganno, una "nebbia", per dirla ancora una volta con Qohelet. La tentazione di bruciare tutti i libri sarebbe quanto mai forte, ma questo segnerebbe la vittoria proprio di Mefistofele.
Lui vorrebbe proprio questo, che il grido-imprecazione di Faust, "brucerò i libri", sarebbe nostro, perchè tanto questa misteriosa conoscenza non ci fa conoscere un bel nulla. Dobbiamo invece convincerci, seguendo il pensiero di Benedetto XVI che gli uomini "sono testimoni dell'incompiutezza di ogni essere esistente, testimoni di una realtà che non è uno stato ma un divenire".
Il Qohelet, o l'Ecclesiaste, con quella parola "nebbia" intendeva anche quello che, a mio parere, caratterizza tutta la condizione umana, l'essenza della nostra esistenza, le ragioni del nostro vivere, l'idea che dovremmo avere della nostra vita. Il rischio della "nebbia" si nasconde nella parola "vanità". Quella stessa, identica, eterna vanità che illuse i nostri progenitori, ingannò Mefistofele e continua ancora oggi a cercare di ingannare anche me, voi tutti, con la nostra sete di conoscenza.
Si leva a volo l'Aquila alla sommità del Cielo;Il Cacciatore coi cani segue il suo percorso.O rivoluzione perpetua di stelle configurate,O ricorrenza perpetua di stagioni determinate,O mondo di primavera e d'autunno, di nascita e di morte!Il ciclo senza fine dell'idea e dell'azione,L'invenzione infinita, l'esperimento infinito,Portano conoscenza del moto, non dell'immobilità;Conoscenza del linguaggio, ma non del silenzio;Conoscenza delle parole, e ignoranza del Verbo.Tutta la nostra conoscenza ci porta più vicini alla nostra ignoranza,Tutta la nostra ignoranza ci porta più vicino alla morte.Ma più vicino alla morte non più vicini a Dio.Dov'è la Vita che abbiamo perduto vivendo?Dov'è la saggezza che abbiamo perduto sapendo?Dov'è la sapienza che abbiamo perduto nell'informazione?I cicli del Cielo in venti secoliCi portano più lontani da Dio e più vicini alla Polvere.
(Thomas Stearns Eliot- Cori da La Rocca)

Non impressioni il lettore il titolo di questo post. L'ho avuto in bozza per diverso tempo, non sapendo bene come affrontare un tema per me molto importante. Avevo bisogno della giusta ispirazione per scriverci su quello che penso. Adesso che ho avuto la possibilità di mettere ordine nella mia biblioteca, trasferendo i miei libri dagli scaffali cartacei a quelli digitali su GoodReads, credo di poter riprendere il tema di questo discorso.
Sono molti i miei libri, quasi cinquemila, forse troppi, forse pochi, dipende da chi li ama, li colleziona, li conta e magari trova anche il tempo, la forza e l'intelletto per leggerli. Lecito chiedersi a che serve collezionare tanti libri, per i molti anni vissuti, tramandati da padre in figlio, da nonno a nipote. Poi, per uno scherzo del destino o magari del diavolo, è proprio il caso di dirlo, ti capita tra le mani un libro che hai letto tanto tempo fa, facendolo studiare anche a chi forse non era ancora pronto a a leggerlo e comprenderlo.
Mi riferisco alla "Tragica Storia della Vita e Morte del Dottor Faust" scritta in forma tragica e poetica da quel poeta bandito e straordinario avventuriero che fu Christopher Marlowe. Il dramma narra la storia di Faust, uno studioso così avido di sapere da non accontentarsi del sapere accademico, della medicina e della teologia, avventurandosi nel campo della magia nera. E siccome la ricerca autonoma e libera della verità (la filosofia o la scienza) era stata da sempre in contraddizione con la teologia dogmatica, che invece reclama obbedienza (si pensi ad Adamo, ad Icaro o a Prometeo), Faust assume le sembianze di un negromante, perché poco più che stregoni venivano visti gli scienziati ed i filosofi della natura nell'epoca dei conflitti religiosi in Europa.
Dopo aver compiuto un'invocazione nel suo studio, gli appare il diavolo Mefistofele con il quale stipula un patto: Faust avrà la conoscenza ed i servizi del servo di Lucifero per 24 anni, dopo i quali il diavolo avrà la sua anima. A questo punto, Faust prova un momento di liberazione che assomiglia ad un desiderio sconfinato d'onnipotenza. Tuttavia, sebbene egli faccia grandi progetti per il proprio immediato futuro, e sebbene sogni di utilizzare le abilità acquisite per ottenere potere e gloria, riesce solo a compiere piccoli atti di bassa levatura.
Durante tutta l'opera, Faust viene continuamente consigliato da due angeli, uno buono e uno malvagio, simboleggianti i due lati della natura umana. Nell'ultima ora della sua esistenza, Faust dà vita al famoso soliloquio, nel quale l'opera raggiunge un altissimo livello di poesia. Questo brano l'ho proposto per anni a tanti miei giovani studenti illudendomi di trasmettere loro non solo l'importanza della conoscenza della lingua inglese, mio obiettivo primario al tempo, ma anche la passione per la lettura e la conoscenza.
Ecco, "leggere" significa "conoscere", l'ho imparato a spese mie col tempo. Oggi, che scopro di avere accumulato una notevole quantità sia di letture che di tempo, avverto, come Faust, questo grave peso che diventa sempre più un fardello. I libri sono tanti, almeno i miei. Infiniti sono quelli scritti dagli altri, nel corso dei secoli. Chissà quanti ne dovrei ancora leggere, che non ho letto e che non potrei mai farlo.
E allora, rileggo questo brano della "dannazione" e mi chiedo se non arriverò anche io a imprecare come il dottor Faust: "brucerò i miei libri!". Intendiamoci, non ho fatto nessun patto con nessuno, e non intendo farne. Potrei liquidare il tutto consolandomi con Qohelet il quale, oltre tremila anni fa chiudeva il suo canto lamentandosi che si scrivevano troppi libri e che tutto era "nebbia", ma non risolverei il problema.
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Proprio stamattina ho letto che Benedetto XVI, il Papa emerito, che sta per compiere 90 anni, ha pubblicato un suo ultimo libro nel quale si occupa proprio del tempo e della storia di cui sto parlando e, guarda caso del senso del nostro "viaggio" umano. I libri ci aiutano in questo percorso terreno che, a mio parere, comincia da lontano, troppo lontano per conoscerne la origine, un viaggio che poi si conclude in un altrettanto misterioso e sconosciuto territorio.
Scrive Benedetto: "L'uomo di oggi ha lo sguardo rivolto al futuro. La sua parola d'ordine è "progresso", non "tradizione", "speranza" o "fede". Egli conosce anche un certo romanticismo per il passato. Ama circondarsi di oggetti preziosi della storia, ma tutto questo conferma soltanto che quei tempi sono passati e che il regno dell'uomo di oggi è proprio il domani, il mondo che lui stesso costruisce".
Le parole che sceglie il Papa Emerito, sulla soglia dei suoi 90 anni, sono le stesse alle quali, quasi certamente, pensava Marlowe per bocca di Faust. Le stesse alle quali penso io oggi: "progresso", "tradizione", "speranza", "fede". Quanti libri dovrei, anzi dovremmo leggere per capire il senso dei pensieri che si nascondono dietro queste parole?
E quanti se ne dovrebbero ancora scrivere senza trovare una risposta, quella per la quale Faust tentò di giocarsi la partita con Mefistofele? La perse ovviamente, come la perderanno sempre tutti quegli uomini i quali credono di poter abbracciare l'idea di "progresso", inteso come "conoscenza", senza porre limiti, senza essere ossessionati come Faust dall'idea della vita eterna, magari ottenuta tramite la tecnologia?
Se dietro questa parola, "tecnologia", si nasconde il "progresso", e se dietro di questo ritroviamo "Mefistofele" con le sue illusioni ed i suoi inganni, il pensiero di bruciare i libri, di sicuro ci prenderebbe subito. La conoscenza resterebbe una illusione, un inganno, una "nebbia", per dirla ancora una volta con Qohelet. La tentazione di bruciare tutti i libri sarebbe quanto mai forte, ma questo segnerebbe la vittoria proprio di Mefistofele.
Lui vorrebbe proprio questo, che il grido-imprecazione di Faust, "brucerò i libri", sarebbe nostro, perchè tanto questa misteriosa conoscenza non ci fa conoscere un bel nulla. Dobbiamo invece convincerci, seguendo il pensiero di Benedetto XVI che gli uomini "sono testimoni dell'incompiutezza di ogni essere esistente, testimoni di una realtà che non è uno stato ma un divenire".
Il Qohelet, o l'Ecclesiaste, con quella parola "nebbia" intendeva anche quello che, a mio parere, caratterizza tutta la condizione umana, l'essenza della nostra esistenza, le ragioni del nostro vivere, l'idea che dovremmo avere della nostra vita. Il rischio della "nebbia" si nasconde nella parola "vanità". Quella stessa, identica, eterna vanità che illuse i nostri progenitori, ingannò Mefistofele e continua ancora oggi a cercare di ingannare anche me, voi tutti, con la nostra sete di conoscenza.
Si leva a volo l'Aquila alla sommità del Cielo;Il Cacciatore coi cani segue il suo percorso.O rivoluzione perpetua di stelle configurate,O ricorrenza perpetua di stagioni determinate,O mondo di primavera e d'autunno, di nascita e di morte!Il ciclo senza fine dell'idea e dell'azione,L'invenzione infinita, l'esperimento infinito,Portano conoscenza del moto, non dell'immobilità;Conoscenza del linguaggio, ma non del silenzio;Conoscenza delle parole, e ignoranza del Verbo.Tutta la nostra conoscenza ci porta più vicini alla nostra ignoranza,Tutta la nostra ignoranza ci porta più vicino alla morte.Ma più vicino alla morte non più vicini a Dio.Dov'è la Vita che abbiamo perduto vivendo?Dov'è la saggezza che abbiamo perduto sapendo?Dov'è la sapienza che abbiamo perduto nell'informazione?I cicli del Cielo in venti secoliCi portano più lontani da Dio e più vicini alla Polvere.
(Thomas Stearns Eliot- Cori da La Rocca)

April 3, 2017
La saggezza e la ruota del tempo

La saggezza e la ruota del tempo
Sotto rigida sferza, or nell'algenterigor del verno or nell'arsure estive,su le carte latine e su l'argives'affanna un uom per coltivar la mente.E dal sol che tramonta al sol nascente,or filosofa e legge, or detta e scrive;abbandona talor le patrie riveper veder nove cose e nova gente.Ma, fatto saggio, ove di coglier sperail frutto alfin de' suoi sudati affanni,vede del giorno suo subita sera.O natura infedel, come m'inganni!Più dell'ingegno uman vola leggierala ruota irrevocabile degli anni.
Tommaso Gaudiosi

Published on April 03, 2017 11:01
Belve umane - Human wildcats

« Invece di prendere coscienza del ruolo immenso che devono svolgere nella creazione, invece di partecipare all'opera del Creatore, gli esseri umani, come gli animali, si scontrano e si sbranano. Sì, perché in realtà la natura animale esiste sempre in loro sotto forma di istinti incontrollati: l'aggressività, la possessività, la sensualità ecc. Il fatto che gli esseri umani abbiano imparato a presentarsi sotto apparenze più civili non significa che si siano sbarazzati delle loro pulsioni animali. A volte, dietro l'apparenza cordiale di qualcuno che vi sorride dicendo: «Buongiorno, come sta? Che piacere incontrarla!» c'è una belva che chiede soltanto di saltarvi addosso per divorarvi. E voi stessi non vi trovate a volte in uno stato d'animo simile a questo?... Ai nostri pensieri, ai nostri sentimenti e ai nostri desideri si mescolano presenze animali, e il nostro lavoro consiste nell'addomesticarle fino a portarle a lavorare con noi in seno all'armonia cosmica. »
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« Instead of realizing the huge role they have to play in creation and participating in the work of the Creator, humans behave like animals, confronting one another and tearing one another apart. Yes, because in fact their animal nature still exists, in the form of uncontrolled instincts, such as aggression, possessiveness and sensuality. Just because humans have learned to appear more civilized does not mean they have rid themselves of their animalistic impulses. Sometimes, when someone smiles at you and says, ‘Good morning. How are you? How nice to meet you!’, lurking behind their friendly demeanour is a wildcat, just wanting to pounce on you and devour you. And don’t you sometimes find you have similar feelings yourself?... There are animal presences mingled with our thoughts, feelings and desires, and it is our job to tame them, until we can get them to work with us in harmony with the cosmos. »
Omraam Mikhael Aivanhov

Published on April 03, 2017 10:56
Connessi - Sconnessi

In un mondo in cui tutti sono connessi, è facile sentirsi sconnessi. Mentre Facebook ci collega con tutti e con nessuno, io penso che i social siano diventati ormai uno strumento di connessione di piuttosto basso livello in quanto ogni qualvolta ci troviamo di fronte ad un evento, una immagine, un pensiero da commentare, la risposta più immediata è una di tipo reattiva, nel senso che facciamo appello alle emozioni piuttosto che al cervello.
Il guaio è che le prime emozioni ad emergere sono quelle negative, basse, rozze, violente, quelle che nascono dall'invidia, dalla gelosia, dell'arroganza, dal pregiudizio, dalla supponenza. Tutte sensazioni/reazioni che non possono generare positività costruttive, pensieri condivisi, creativi, in grado di cambiare la vita, i comportamenti, le abitudini di chi li riceve. Nel migliore dei casi ci si limita a mettere un "like", oppure a condividere, tanto per esserci. Raramente si apre una discussione, un chiarimento.
Qualcuno ha calcolato che in Rete ci sono oltre un miliardo di siti e tre e più miliardi di "contenuti". Ci sarebbero tutte le buone ragioni per essere felici di avere cose che mai gli uomini hanno avuto a loro disposizione. Eppure, ci sono anche altri buoni motivi per sentirsi "sconnessi". Ragioni politiche, economiche, sociali, concorrono a fare della Rete un labirinto nelle cui stanze soffiano venti contrastanti e pericolosi. Nascono imperi economici e ideologie reazionarie, crollano miti e speranze, giochi d'azzardo e fiumi di finta ricchezza inondano spazi e riempiono vuoti, in un gioco da inferno dantesco che arde in un magma di parole.
Crediamo di essere connessi, ma siamo sempre più sconnessi, scomposti, scollegati, scollati, tutti prigionieri e vittime di algoritmi che ci illudono, ci spingono ad unirci a qualcuno o a qualcosa di importante, ma in effetti abbiamo soltanto una illusione di quella che è la vera realtà di ciò che ci viene chiesto. Quelle notizie che vediamo e leggiamo, non sappiamo se sono soltanto propaganda o verità, se sono le migliori o le peggiori, se ci sono utili o inutili.
Messaggi vuoti di significato, ma che danno un senso al nostro presente che rimane senza senso proprio perchè è ci vogliono far credere popolare, condiviso da tutti, virale. Appunto, come un virus. Ci illudiamo di essere appagati, felici, sovraccarichi e sazi di un vuoto sempre più pesante ed indigeribile. Non ci rendiamo conto che siamo disconnessi da tutto ciò che è positivo, utile, creativo, vero. Siamo coinvolti in discorsi negativi legati al dubbio, a falsi desideri, materialismo, presunzione, arroganza.
Pensate ad esempio a quante merci sono proposte online, riguardanti la salute del corpo, in nome dell'apparenza, al posto della sostanza. L'essere si trova ad avere davvero una sua insostenibile leggerezza di valori e di idee. Per non parlare poi dei cibi e di tutto quanto appartiene al ventre molle della vita. E' necessario trovare il modo di disconnettersi dalle connessioni inconsce o inconsapevoli, vere e proprie trappole nelle quali è facile cadere. Bisogna sapere scegliere e condividere.
Se volete una prova audio e visiva di questa condizione con pochi euri potete guardarvi questo film che qui vi propongo al link del trailer. Si chiama, appunto Disconnect e può riguardare ognuno di noi. Un avvocato infaticabile vive incollato al cellulare tanto da non riuscire a trovare tempo da dedicare alla moglie e ai due figli adolescenti. Una coppia in crisi usa internet come via di fuga da un matrimonio ormai finito.
Un ex-poliziotto vedovo si scontra ogni giorno con il figlio che pratica bullismo in rete ai danni di un compagno di classe. Una ambiziosa giornalista crede di potere fare carriera usando la storia di un ragazzino che si esibisce su siti per soli adulti. Sono sconosciuti, vicini di casa, colleghi, e le loro storie si incrociano in questo avvincente film che racconta la vita di persone comuni alla disperata ricerca di un contatto umano.

Published on April 03, 2017 08:46
April 2, 2017
Review: Sono un ottimista globale

My rating: 3 of 5 stars
Anche io tendo ad essere un ottimista, pur se mi rendo conto che una cosa è essere ottimista quando si è uno come me, uno qualunque che legge e scrive per capire chi sono, altra cosa è essere ottimista nelle vesti di uno come Bill Gates.
In questo libretto intervista che si legge tutto di un fiato Bill ha modo di confermare le sue idee che in diverse occasioni ha già provveduto a diffondere. Non gli mancano i mezzi, come si sa. Non per niente risulta essere l'uomo più ricco al mondo. Mi pare naturale che ogni volta che dice o fa qualcosa appare sulle pagine di tutti i giornali cartacei o digitali che siano.
Tutti speriamo di vivere meglio, anche io che sono un dinosauro e che potrei avere tutte le ragioni per chiudere questa esperienza terrena, in attesa di una migliore in quella che verrà. Il fatto è che mi piace pensare più all'avvenire che guardare al passato. Per questa ragione ho abbracciato l'idea globale, non proprio quella della globalizzazione.
Siamo tutti figli di un solo "dio", comunque possiamo figurarcelo e siamo destinati a fare questo viaggio in maniera simile, pur se in maniera diversa. Ma sia la stazione o il punto di partenza, che quello di arrivo, sono gli stessi. Quindi, mi conviene esssre ottimista anche con il futuro che mi/ci aspetta.
Bill Gates, dall'alto della sua visione del mondo, pensa che si debba essere ottimisti se limitiamo la crescita demografica dell'Africa. Con la sua fondazione egli, infatti, si batte per realizzare questo sogno. Se si impedisce agli africani di fare figli, otterremo molti benefici, primo fra tutti la riduzione delle migrazioni. Meno africani significa, meno problemi per noi.
Egli sostiene poi che l'innovazione tecnologica porterà vantaggi per l'umanità creando nuovi posti di lavoro. Questo lo si sa benissimo, ma avrebbe dovuto dire anche che molti altri tipi di lavori sono destinati a scomparire. Ma se accade questo, sembra di capire che è tutta colpa della gente che non afferra il cambiamento e non impara a comportarsi di conseguenza. Quello che ci salverà sarà il "capitalismo filantropico". Lui parla proprio di "filantropia catalitica".
"Abbiamo usato i fondi della Fondazione per creare un sistema che renda le forze di mercato del lavoro a favore dei poveri: garantendo gli acquisti dalle case farmaceutiche, abbiamo incentivato un circolo virtuoso, con lo stato che introduce nuovo denaro, le aziende che hanno introdotto modelli di business sulle malattie rare o dei paesi poveri nei loro board. Grazie ad investimenti ben mirati, dal 2000 questa partnership ha immunizzato più di 250 milioni di bambini e ha impedito più di 5 milioni di morti. Presto avremo un vaccino contro la malaria, nel 2015."
Ecco il signiticato di quel “catalitica”: una funzione simile a quella di un enzima, che migliora e accellera un processo biochimico. I soldi della fondazione di Gates abbassano la soglia di plausibilità di un investimento pubblico/privato, permettendo ad altre realtà di contribuire. Il problema viene risolto e nessuno, a parte Gates, ci ha perso denaro. È il piacere di averne molto, e di poterlo usare per lasciare un segno nella storia. Restituendo quel che si è avuto.
Tra venti, trenta anni anche i popoli "inferiori", tipo africani e asiatici, capiranno che non è più il caso di farsi guerre, ci sarà un mondo senza conflitti, insomma una fine della violenza. Non gli passa per la testa che il problema sarà proprio questo, quello di trovare il modo con il quale la nuova tecnologia potrà/saprà affrontare questa violenza che continuerà a manifestersi anche se in maniera e forme diverse.
Basta, infatti, farsi un giro, se non per il mondo, almeno in Internet per rendersene conto. Ottimista sì, anche io lo sono, lo voglio essere, nonostante la mia naturale diffidenza nei confronti degli uomini, come di me stesso. Sperare che la tecnologia possa migliorare la qualità della nostra vita, va bene. Ma sperare di poter cambiare l'uomo, continuo ad avere le mie riserve.
Checchè ne pensi e ne dica Bill Gates ed anche il buon gesuita Francesco che abita nel Vaticano. Meglio stare sempre in guardia. Quello che abbiamo sempre chiamato il "diavolo" ha sempre sette code ...
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Published on April 02, 2017 10:33
Ottimisti globali o parziali?

My rating: 3 of 5 stars
Anche io tendo ad essere un ottimista, pur se mi rendo conto che una cosa è essere ottimista quando si è uno come me, uno qualunque che legge e scrive per capire chi sono, altra cosa è essere ottimista nelle vesti di uno come Bill Gates.
In questo libretto intervista che si legge tutto di un fiato Bill ha modo di confermare le sue idee che in diverse occasioni ha già provveduto a diffondere. Non gli mancano i mezzi, come si sa. Non per niente risulta essere l'uomo più ricco al mondo. Mi pare naturale che ogni volta che dice o fa qualcosa appare sulle pagine di tutti i giornali cartacei o digitali che siano.
Tutti speriamo di vivere meglio, anche io che sono un dinosauro e che potrei avere tutte le ragioni per chiudere questa esperienza terrena, in attesa di una migliore in quella che verrà. Il fatto è che mi piace pensare più all'avvenire che guardare al passato. Per questa ragione ho abbracciato l'idea globale, non proprio quella della globalizzazione.
Siamo tutti figli di un solo "dio", comunque possiamo figurarcelo. Siamo destinati a fare questo viaggio in maniera simile, pur se in maniera diversa. Ma sia la stazione o il punto di partenza, che quello di arrivo, sono gli stessi. Quindi, mi conviene essere ottimista anche con il futuro che mi/ci aspetta.
Bill Gates, dall'alto della sua visione del mondo, pensa che si debba essere ottimisti se limitiamo la crescita demografica dell'Africa. Con la sua fondazione egli, infatti, si batte per realizzare questo sogno. Se si impedisce agli africani di fare figli, otterremo molti benefici, primo fra tutti la riduzione delle migrazioni. Meno africani significa, meno problemi per noi. Noi italiani, intanto, ne dovremmo fare di più.
Egli sostiene poi che l'innovazione tecnologica porterà vantaggi per l'umanità creando nuovi posti di lavoro. Questo lo si sa benissimo, ma avrebbe dovuto dire anche che molti altri tipi di lavori sono destinati a scomparire. Ma se accade questo, sembra di capire che è tutta colpa della gente che non afferra il cambiamento e non impara a comportarsi di conseguenza. Quello che ci salverà sarà il "capitalismo filantropico". Lui parla proprio di "filantropia catalitica".
"Abbiamo usato i fondi della Fondazione per creare un sistema che renda le forze di mercato del lavoro a favore dei poveri: garantendo gli acquisti dalle case farmaceutiche, abbiamo incentivato un circolo virtuoso, con lo stato che introduce nuovo denaro, le aziende che hanno introdotto modelli di business sulle malattie rare o dei paesi poveri nei loro board. Grazie ad investimenti ben mirati, dal 2000 questa partnership ha immunizzato più di 250 milioni di bambini e ha impedito più di 5 milioni di morti. Presto avremo un vaccino contro la malaria, nel 2015."
Ecco il signiticato di quel “catalitica”: una funzione simile a quella di un enzima, che migliora e accellera un processo biochimico. I soldi della Fondazione di Gates abbassano la soglia di plausibilità di un investimento pubblico/privato, permettendo ad altre realtà di contribuire. Il problema viene risolto e nessuno, a parte Gates, ci ha perso denaro. È il piacere di averne molto, e di poterlo usare per lasciare un segno nella storia. Restituendo quel che si è avuto.
Tra venti, trenta anni anche i popoli "inferiori", tipo africani e asiatici, capiranno che non è più il caso di farsi guerre, ci sarà un mondo senza conflitti, insomma una fine della violenza. Non gli passa per la testa che il problema sarà proprio questo, quello di trovare il modo con il quale la nuova tecnologia potrà/saprà affrontare questa violenza che continuerà a manifestarsi anche se in maniera e forme diverse.
Basta, infatti, farsi un giro, se non per il mondo, almeno in Internet per rendersene conto. Ottimista sì, anche io lo sono, lo voglio essere, nonostante la mia naturale diffidenza nei confronti degli uomini, come di me stesso. Sperare che la tecnologia possa migliorare la qualità della nostra vita, va bene. Ma sperare di poter cambiare l'uomo, continuo ad avere le mie riserve.
Checchè ne pensi e ne dica Bill Gates ed anche il buon gesuita Francesco che abita nel Vaticano. Meglio stare sempre in guardia. Quello che hanno chiamato il "diavolo" ha sempre sette code ...
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Sono un ottimista globale
Published on April 02, 2017 09:06
•
Tags:
bill-gates, futuro, ottimismo
March 31, 2017
Review: Humanitas ac Scientia

My rating: 5 of 5 stars
Quando si parla di libri bisogna saper distinguere tra il libro come "oggetto" e il libro come "testo". Questo libro, al quale ho dato ben cinque stelle, il massimo della valutazione qui su GoodReads, merita una spiegazione. Direi che è un fatto personale, per varie ragioni, che spero di chiarire in questa recensione che non è soltanto un fatto tecnico bibliografico, ma anche un ricordo. Ai ricordi, chi legge ne converrà, vanno tutti gli onori ed i riconoscimenti possibili, specialmente quando questi non riguardano soltanto un soggetto, una persona, bensì una intera comunità.
Questo libro non può essere soltanto un "oggetto". E' un "testo", anzi una sorta di "ipertesto", la testimonianza culturale di una comunità culturale del meridione d'Italia in quel particolare momento storico del nostro Paese. Se si dà uno sguardo all'indice del libro, si ha la prova di quello che dico. Il sottotitolo del libro recita: "Celebrazioni per il Cinquantennale e Venticinquennale della fondazione del Liceo Classico "T. L. Caro" e Liceo Scientifico "G. Galilei" di Sarno, in provincia di Salerno".
Sono trascorsi 23 anni da quella data. Un tempo abbastanza congruo per maturare pensieri inespressi che gli anni hanno fatto sedimentare nella mente di chi scrive. L'occasione per fare questa operazione è la messa in rete della mia biblioteca. Ogni libro che inserisco e commento, genera pensieri, facendo sorgere quelli che ho chiamato "pensieri inespressi". Questo libro nacque occasionato da quelle celebrazioni importanti che caratterizzarono un momento di grande fervore culturale in atto in quel periodo nella Città di Sarno, nella Valle dei Sarrasti, alle spalle del Vesuvio, nell'hinterland napoletano.
Un lavoro editoriale che veniva ad affiancarsi alla pubblicazione della rivista di istituto, LYCEUM, che chi scrive fondò e della quale ci sarà modo di parlare al momento opportuno anche in questa sede. Si tratta sempre di informazione culturale cartacea che merita di essere ricordata e di passare alla storia, entrando nella "nuvola digitale". Non so quanto di questa grande mole di lavoro presentata in questo volume sia rintracciabile in Rete. Forse nulla. All'epoca ogni forma di comunicazione non aveva nulla di dinamico. Questo libro prova anche questo: quanto siano stati forti e consistenti i cambiamenti nella realtà della comunicazione quotidiana nel corso di questa manciata di pochi anni.
Questo libro fu il risultato di un grande lavoro redazionale curato da me e da una indimenticabile giovane collega Carla Romano, ancora molto attiva oggi, non solo nel campo dell'istruzione, ma anche in quello della scrittura e pubblicazione di libri. Ben 27 relazioni corredano l'opera, suddivise nelle due distinte aree che danno il titolo al volume, ideato e prodotto sotto l'indimenticabile guida di un Preside di grande valore sia umano che intellettuale, un vero e proprio "manager" che risponde al nome di Francesco D'Avino.
Il sottoscritto elaborò le sintesi introduttive in italiano e in inglese, il prof. Egidio Mazza, i grafici. Impossibile qui citare tutti i nomi che formarono il comitato d'onore, le comunicazioni ricevute da tutte le autorità locali e nazionali, i "documenta" originali che diedero vita alle due istituzioni, i membri del collegio dei docenti, il consiglio di istituto, il personale amministrativo.
I testi prodotti vanno da documenti e mentalità collettive, quali quelle ad esempio ricordate da Pietro Caiazza, Salvatore D'Angelo e Antonio Milone. Nella sezione italianistica si leggono gli interventi di Agnello Baldi, Carla Petruzziello, Franco Salerno, Aldo Trione. Nella sezione dedicata alle lingue classiche e al mondo antico troviamo: Antonietta Amato, Maria Rosaria Iannelli, Antonio Caiazza, Maria Olmina D'Arienzo, Michele Fasolino, Antonio Gallo, Angelina Imbroda, Michele Raiola, Andrea Ricupito. Nell'area "Scientia", sezione biologica naturalistica, Angelo Di Matteo, Michele Langella, Amalia Virzo De Santo. Per la metodologia e didattica scrissero: Pina Cavallo Boggi, Fulvio Montuoro, Antonio Portolano. Il pensiero filosofico matematico fu testimoniato da scritti di Eduardo Ascolese, Ilaria De Colibus, Carla Romano, Giovanni Vitale. Tanti nomi, tanti eventi, tanti "pensieri inespressi" che spiegano le ragioni della vita.
Scrisse Il Preside Francesco D'Avino nella sua presentazione: "Le ragioni della vita sono pur sempre nei motivi della storia, così come nei ritmi del presente che si fa passato ma non si cancella, se chi lo ha vissuto non lo dimentica, se chi oggi lo vive lo rispetta e - in quanto parte della propria esistenza umana, morale, civile e culturale - lo onora e lo sottrae al lento ma inesorabile tarlo del tempo".
Ecco, stilando questa recensione ho voluto proprio fare un'azione di questo genere: cercare di fermare "l'inesorabile tarlo del tempo" che colpisce sopratutto la memoria cartacea. I ricordi ed i pensieri inespressi forse si possono conservare nella memoria digitale della "nuvola".
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Published on March 31, 2017 02:50
Review: Gli anni cinquanta a San Marzano sul Sarno. Politica - Fede - Cultura

My rating: 4 of 5 stars
Pasquale Califano conferma in pieno la necessaria differenza che bisogna fare quando ci si accinge a scrivere di un libro, qualsiasi libro. Il libro come “oggetto”, il libro come “testo”. Questo suo libro, infatti, nasce da un altro “libro”, non propriamente tale, bensì un documento scritto in forma di diario, di memoria personale che qualcuno ha scritto, per testimoniare a se stesso e poi agli altri, il proprio percorso di vita, in un determinato spazio, per un certo lasso di tempo.
Non uno scrittore nel senso pieno e tradizionale della parola, ma soltanto “uno che scrive”, non importa se bene o male. Una persona semplice che riflette cercando di registrare i suoi pensieri, quello che vede e quello che sente, nell’ambiente che lo circonda. Ogni cosa diventa così occasione di memoria umana, sociale, politica, religiosa, tutto trascritto con grande cura e precisione, in quella tradizionale scrittura a mano, con un pennino antico, intingendo inchiostro da un calamaio di vecchi tempi.
Una persona che scrive di umili origini sociali, ma con grandi qualità umane, in grado di fermare su occasionali fogli di carta gli accadimenti della piccola comunità in cui si trova a vivere. Dalle fotocopie che Pasquale Califano offre al lettore del libro, per provare la veridicità di quanto egli scrive su questo, si può chiaramente dedurre che il “memorialista” Aniello Cutolo, alias “Mastaniello”, umile muratore per sua stessa ammissione, scrive su fogli di probabile origine anglo-americana.
Sono chiaramente visibili, infatti, alcune scritture in lingua inglese, i fogli di un registro del periodo post bellico recuperato dallo scrivente per trascrivere le sue memorie. Pasquale Califano recupera queste carte, si rende conto di avere tra le mani un documento certamente importante e decide di trasformarlo in un libro. Il manoscritto oggetto, documento mentale di “Mastaniello”, un uomo comune che vede, osserva e scrive la realtà del piccolo paese di provincia meridionale poco dopo la seconda guerra mondiale, diventa così un testo documento degno della migliore tradizione di scrittura in microstoria.
Devo ammettere che ho faticato non poco per comprendere il modo con il quale il prof. Pasquale Califano ha deciso di proporre ai suoi lettori e compaesani di San Marzano sul Sarno questa sua esperienza di scrittura. Pasquale non è nuovo in questa sua abilità a leggere tra le pieghe delle pagine tempo. Ha scritto altri libri su argomenti che trattano della sua vita prima che diventasse docente.
Uno spaccato di vita di un piccolo paese al centro della Valle dei Sarrastri, oggi famoso in tutto il mondo per il suo “pomodoro marzanese”. Allora piccolo centro agricolo, come tanti in questa antica valle che un tempo fu parte di quella “Campania Felix” e di cui parla Virgilio nel VII libro dell'Eneide: "Sarrastes populos et quae rigat aequora Sarnus" ("i Sarrasti e delle genti che Sarno irriga").
Acqua passata, davvero, sotto i ponti della piccola memoria degli uomini che il libro di Pasquale vuole riportare a riva, nel “mare magnum” della grande storia. Egli pazientemente trascrive quello che scrisse “Mastaniello” sul decennio degli anni cinquanta, ed anche prima e dopo, e lo propone ai suoi tanti immaginari alunni di oggi. Tanti testi da meditare e sui quali riflettere, cercando sempre di rispondere sui tanti “perchè” che emergono da questi avvenimenti i quali, come ho detto, si occupano di politica, di fede e di folklore.
Microstorie che confluiscono nella grande Storia del nostro Paese, il comune “humus” sul quale abbiamo costruito la nostra identità. Grazie anche a figure umane come “Mastaniello” di San Marzano sul Sarno, nella Valle dei Sarrasti.
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Published on March 31, 2017 02:49
March 29, 2017
Gli anni cinquanta a San Marzano sul Sarno

My rating: 4 of 5 stars
Pasquale Califano conferma in pieno la necessaria differenza che bisogna fare quando ci si accinge a scrivere di un libro, qualsiasi libro. Il libro come “oggetto”, il libro come “testo”. Questo suo libro, infatti, nasce da un altro “libro”, non propriamente tale, bensì un documento scritto in forma di diario, di memoria personale che qualcuno ha scritto, per testimoniare a se stesso e poi agli altri, il proprio percorso di vita, in un determinato spazio, per un certo lasso di tempo.
Non uno scrittore nel senso pieno e tradizionale della parola, ma soltanto “uno che scrive”, non importa se bene o male. Una persona semplice che riflette cercando di registrare i suoi pensieri, quello che vede e quello che sente, nell’ambiente che lo circonda. Ogni cosa diventa così occasione di memoria umana, sociale, politica, religiosa, tutto trascritto con grande cura e precisione, in quella tradizionale scrittura a mano, con un pennino antico, intingendo inchiostro da un calamaio di vecchi tempi.
Una persona che scrive di umili origini sociali, ma con grandi qualità umane, in grado di fermare su occasionali fogli di carta gli accadimenti della piccola comunità in cui si trova a vivere. Dalle fotocopie che Pasquale Califano offre al lettore del libro, per provare la veridicità di quanto egli scrive su questo, si può chiaramente dedurre che il “memorialista” Aniello Cutolo, alias “Mastaniello”, umile muratore per sua stessa ammissione, scrive su fogli di probabile origine anglo-americana.
Sono chiaramente visibili, infatti, alcune scritture in lingua inglese, i fogli di un registro del periodo post bellico recuperato dallo scrivente per trascrivere le sue memorie. Pasquale Califano recupera queste carte, si rende conto di avere tra le mani un documento certamente importante e decide di trasformarlo in un libro. Il manoscritto oggetto, documento mentale di “Mastaniello”, un uomo comune che vede, osserva e scrive la realtà del piccolo paese di provincia meridionale poco dopo la seconda guerra mondiale, diventa così un testo documento degno della migliore tradizione di scrittura in microstoria.
Devo ammettere che ho faticato non poco per comprendere il modo con il quale il prof. Pasquale Califano ha deciso di proporre ai suoi lettori e compaesani di San Marzano sul Sarno questa sua esperienza di scrittura. Pasquale non è nuovo in questa sua abilità a leggere tra le pieghe delle pagine tempo. Ha scritto altri libri su argomenti che trattano della sua vita prima che diventasse docente.
Uno spaccato di vita di un piccolo paese al centro della Valle dei Sarrasti, oggi famoso in tutto il mondo per il suo “pomodoro marzanese”. Allora piccolo centro agricolo, come tanti in questa antica valle che un tempo fu parte di quella “Campania Felix” e di cui parla Virgilio nel VII libro dell'Eneide: "Sarrastes populos et quae rigat aequora Sarnus" ("i Sarrasti e delle genti che Sarno irriga").
Acqua passata, davvero, sotto i ponti della piccola memoria degli uomini che il libro di Pasquale vuole riportare a riva, nel “mare magnum” della grande storia. Egli pazientemente trascrive quello che scrisse “Mastaniello” sul decennio degli anni cinquanta, ed anche prima e dopo, e lo propone ai suoi tanti immaginari alunni di oggi. Tanti testi da meditare e sui quali riflettere, cercando sempre di rispondere sui tanti “perchè” che emergono da questi avvenimenti i quali, come ho detto, si occupano di politica, di fede e di folklore.
Microstorie che confluiscono nella grande Storia del nostro Paese, il comune “humus” sul quale abbiamo costruito la nostra identità. Grazie anche a figure umane come “Mastaniello” di San Marzano sul Sarno, nella Valle dei Sarrasti.
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Gli anni cinquanta a San Marzano sul Sarno. Politica - Fede - Cultura
Published on March 29, 2017 03:07
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Tags:
microstoria, pasquale-califano, san-marzano-sul-sarno
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