Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 134
May 6, 2017
La disuguaglianza fa bene

My rating: 4 of 5 stars
Un libro-sintesi per chi si sente libero e liberale. Mi ha colpito una frase che può sembrare un paradosso, ma che fotografa la realtà che non tutti vedono e accettano. Una frase-provocazione, un pensiero contro-corrente, l'ignorante e l'ideologicamente condizionato la disprezza con una parolaccia, sia sul libro che su chi l'ha scritto.
Come scrive l'autore Nicola Porro quando riferisce l'episodio di quel lettore al quale la commessa delle libreria dice che soltanto uno "stronzo di destra" poteva scrivere un libro con un titolo del genere. Insomma, si scade immediatamente nella rissa tra destra e sinistra e ogni pensiero diventa straccio.
Il primo capitolo di questo libro, che aspira ad essere anche un manuale, porta in testa questa frase: "Senza un padre ricco san Francesco non sarebbe mai diventato povero". Di qui inizia il viaggio di Porro nel snetiero della disuguaglianza umana. Per me niente di nuovo. L'ho sempre pensato, non solo nella mia pochezza intellettuale, ma anche nella mia pochezza economica.
Oddio, qualcuno tempo fa mi accusò di "vacuità" del mio impegno culturale e politico. L'ho sempre saputo che siamo tutti "diversamente eguali". Chi è "vacuo" e chi è "fatuo", chi è bianco e chi è nero, chi è ricco e chi è povero. Non è colpa di nessuno.
Ma sono certo che ci potrà essere sempre qualcuno che è più "stupido" di uno "stupido" se si considera questa condizione umana in rapporto all'infinito. Per questa ragione non consiglio la lettura di questo libro a chi pensa che la disuguaglianza possa essere eliminata con l'ideologia o la religione.
---
L’economia è come il calcio: tutti ne parlano, molti ripetono meccanicamente le idee di altri, pochi sanno descriverne davvero i meccanismi. Nicola Porro ci mette in guardia dai rischi di un pensiero unico che non accetta voci fuori dal coro riscoprendo gli insegnamenti dei più importanti pensatori liberali, molti dei quali oggi ingiustamente trascurati.
Parliamo di economisti, filosofi, statisti, persino romanzieri best seller, che nelle loro opere hanno spiegato, e in certi casi previsto, fenomeni con cui abbiamo a che fare quotidianamente. Le tasse e l’istruzione, il falso mito dell’uguaglianza e le profezie apocalittiche degli ambientalisti: in questo libro l’economia torna una disciplina che ci riguarda molto da vicino grazie ai grandi uomini che l’hanno raccontata.
Da Thomas Jefferson a Vilfredo Pareto, dalla scuola austriaca di Mises e Hayek agli eroi nazionali Ricossa e Martino, da Houellebecq a Piketty, Nicola Porro ci conduce con linguaggio semplice, tono ironico e una punta di veleno politico, in un viaggio dentro l’attualità, che è anche un viaggio parallelo alla riscoperta dei nomi dimenticati di quella cultura liberale che ha contribuito in modo decisivo a creare l’impalcatura del nostro paese, e dell’Europa che oggi mettiamo maldestramente in discussione.
View all my reviews

Published on May 06, 2017 03:02
May 4, 2017
Il poeta prigioniero del suo libro ...

Non so se manterrò il titolo che ho dato a questo articolo che mi accingo a scrivere. Scrivere di poesia e di poeti è sempre tanto difficile quanto rischioso. Primo, perchè non è mai possibile riuscire a penetrare, se non nell’anima, almeno nelle parole di chi sceglie la poesia per comunicare con se stesso e con gli altri; poi anche perchè si corre il rischio di dover innanzitutto comprendere e svelare i grandi misteri del proprio animo e poi quelli del poeta stesso.
La poesia e il poeta di cui mi propongo qui di scrivere non sono temi del tutto nuovi. Chi mi legge potrà bene accertarsi di quanto dico. Basta fare una ricerca su questo blog e il lettore ritroverà diverse occasioni che mi legano a questo poeta che conosco ormai da oltre mezzo secolo. Sentite, anzi leggete, quello che scriveva nel lontano 1967, in una sua prima raccolta di poesie, pubblicate l’anno successivo in un libretto intitolato, guarda caso!, “Il Prigioniero”:
Andai lontano per tagliare l’orizzonte e fare del dolore il mio esilio,per mangiare bacche di stelle e albe di nebbia; ma mi ritrovai ingannato dalla rotondità accanto a te, a raccogliere briciole di sogni.
Oggi, questo stesso uomo, amico e poeta, vicino ai suoi novanta anni, mi consegna un foglietto sul quale ha vergato di suo pugno questi versi:
Ridatemi
Ridatemi quel libro, quello della mia vita. Voglio rileggere, tra quelle pagine,i giorni, i mesi e gli anni.Voglio rileggere i giorni vissuti nella nebbia; i mesi vissuti nella luce confusa;voglio rileggere gli anni del dopo,quelli vissuti nel buio totale, lungo il cammino privo di stelle.Ridatemelo quel libro, voglio rileggerlo, cercare di capire i tanti perchè!
Ridatemelo quel libro, voglio cercare in quelle paginei ricordi delle gioie seminate; ritrovare almeno uno di quei frutti … quelli che ora giacciono appassiti nel silenzio
dell’amara solitudine.
La poesia è preceduta da questa avvertenza: “Dal 26mo quadernone dal titolo “Ve lo dirò dopo”. pag. 23 del giorno 28/05/2017.
Mai come in questo caso, quando si parla di poesia e di scrittura, ha valore l’espressione “testo e contesto”. Se le parole hanno un senso. Se chi legge sa andare oltre le lettere che quelle parole formano, quella “rotondità” espressa nella prima poesia ha un valore non solo metaforico e metafisico, ma anche predittivo. Con ciò che lui scriveva allora, mezzo secolo fa, prevedeva quello che sarebbe poi accaduto.
Non ho ancora fatto il nome di chi scrive questi versi. Ma non ha importanza. Sono pensieri e parole che coinvolgono il lettore e possono interessare ogni uomo, poeta e non poeta. Ci sono tutti gli interrogativi che di solito chi legge poesie si pone leggendo versi che parlano all’animo del lettore. Un animo che è come un soffio, un vento che viene da lontano, non si sa da dove, che porta con sè volontà di sentimenti e di passioni, e si dirige verso la mente, il pensiero e l’anima di chi legge.
Un vento che ha fatto sfogliare le pagine di quel libro a chi si rende conto che quelle stesse pagine stanno per finire e il libro sta per chiudersi. Ogni uomo è un libro, ogni libro è un uomo. Lo si sa, le pagine scritte non potranno mai essere cancellate. Lui, almeno, le vorrebbe rileggere, prima che quel libro gli verrà tolto dalle sue mani. Vorrebbe rileggere quello che sta scritto, quello che lui stesso ha scritto, insieme agli altri. Vorrebbe comprendere il perchè delle cose accadute e soprattutto, forse, non accadute.
La chiave per comprendere il senso della poesia non va ricercato, però, nelle parole con le quali la stessa è stata scritta. La chiave della lettura sta nel titolo che il poeta ha dato al quadernone di questa sua ennesima raccolta di memorie: “Ve lo dirò dopo”, questa frase spiega il tutto. Lui punta tutto sul “dopo”, quando il libro si chiuderà definitivamente e passerà nelle mani di qualcuno che comincerà a leggerlo. Lo leggerà per valutarlo.
Questa operazione non riguarderà solamente l’amico e poeta Gino De Filippo, ma ognuno di noi. Potremo avere scritto o letto dieci, cento, mille libri. Conterà soltanto quello che avremo saputo scrivere ogni giorno noi, con la nostra vita e con le nostre azioni. Sono certo che non basteranno racconti, storie, romanzi o poesie a fare farci liberi. Siamo stati prigionieri della vita, rinchiusi in quella stessa “rotondità” di cui scrisse Gino quando non sapeva ancora che sarebbe stato “prigioniero” di se stesso per tutta la sua vita. Lui come noi, prigionieri del nostro futuro.

Published on May 04, 2017 13:49
•
Tags:
gino-de-filippo, poesia
May 3, 2017
Il Dizionario del Diavolo ...

My rating: 4 of 5 stars
Ambrose Bierce fu un giornalista e scrittore dell'Ohio nato nel 1842, autore di un famoso "Dizionario del diavolo". Lo posseggo in lingua inglese da diversi anni, per le splendide edizioni della "Folio Society". Ambrose scomparve sui campi di battaglia della guerra civile americana dopo di avere vissuto in maniera avventurosa la sua esistenza terrena. In maniera altrettanto misteriosa, scomparve dalla scena della vita.
Il suo "Dizionario" è tutto intessuto di battute fulminanti, spesso provocatorie, sempre pronte a cogliere quella zizzania che avvelena l'anima degli uomini. In realtà il suo essere diavolo è più ironia che perversione, impregnata di una robusta dose di pessimismo. Come quando alla voce "aiutare" dice: "Crearsi un ingrato" oppure alla definizione di "cultura" così si esprime: "Tipo di ignoranza che caratterizza lo studioso".
Bierce ha ragione a smorzare la retorica delle illusioni, specialmente quelle che fioriscono con le intenzioni di ogni anno e ogni giorno. Ci si fanno gli auguri di rito che sono il condimento della politica, della pubblicità, della religione, sperando di consolarci e di illuderci, ma anche di ingannarci in maniera inconsapevole, più spesso consapevole.
Del resto già Demostene, oltre duemila anni orsono, disse “Nulla è più facile che illudersi. Perchè l’uomo crede vero ciò che desidera”. Anche l’inglese Alexandre Pope del resto ha avuto modo di dire in merito: “Beato colui che non si aspetta nulla perchè non sarà mai deluso”.
Ma non dovremmo però mai estinguere i desideri del cuore e spegnere il piacere dell’attesa: perderemmo la voglia di vivere e con essa il seme della felicità se lo facessimo. Un libro del genere serve per difenderci dalle ipocrisie che ogni giorno siamo costretti ad affrontare.
Qualcuno dirà che questo atteggiamento va sotto il nome di cinismo, ed io sono pronto a dire che nessuno è mai morto di questa "malattia". Malattia non è, infatti. E' soltanto una delle tante facce della "condizione umana.
Quando, giorni fa, qualcuno in "cattedra" ha detto che "è meglio essere non credenti che ipocriti", credo abbia in un certo qual modo bene interpretato la definizione di ipocrita che lo stesso Ambrose Bierce dà di questa personalità nel suo "Dizionario del Diavolo": "One who, professing virtues that he does not respect, secures the advantage of seeming to be what he despises". "Colui che professa virtù che non rispetta e si assicura i vantaggi che dovrebbe respingere".
View all my reviews

Published on May 03, 2017 05:40
May 2, 2017
Soltanto tre stelle ... tra tante stelle ...

My rating: 3 of 5 stars
Solo tre stelle a questo libro perchè non mi ha dato nessuma risposta ... Contrariamente a quanto mi aspettavo, dei diciannove saggi più una introduzione, nessuno dei relatori di questo interessante lavoro ha saputo darmi una risposta. Anzi, Mattew Cobb, uno di questi, ha chiaramente scritto che siamo soli nello spazio perchè le civiltà aliene sono estremammente improbabili. Capite? dopo tutti i libri che sono stati scritti, quello che si scrive ogni giorno sulle riviste e sui siti di astronomia e ancora, suppongo, continueranno a scrivere, questa è la bella conclusione:
"Il fatto che noi siamo riusciti ad arrivare dove siamo non presuppone che ci siano anche degli alieni in grado di viaggiare nello spazio, nè che noi siamo destinati a raggiungere le stelle. L'apparente inevitabilità della civilizzazione umana è un inganno prospettico, una tautologia cosmica: possiamo interrogarci su tali questioni soltanto perchè siamo qui. La nostra esistenza non è stata guidata da qualche forza soprannaturale, nè sta scritta nei nostri geni. Siamo solamente stati molto fortunati ... La nostra priorità dovrebbe essere quella di comprendere il fragile prodigio che che è la vita sulla Terra e fare del nostro meglio per danneggiarne ulteriormente l'ecosistema. Siamo resèponsabili dei miliardi di organismi che vivono sul nostro pianeta, la cui esistenza abbiamo già gravemente dissestato e messo a rischio. Rislvere gli immani problemi che abbiamo carusato dovrebbe essere il nostr obiettivo primario. Nessuno sarebbe più felice di me se dovessimo scoprire una vita non terrestre su Marte, o se captassimo un messaggio dalle stelle. Sarei più che felice di sbagliarmi, però non sto qui a trattenere il fiato."
Terribile la "cosa": siamo addirittura "un inganno prospettico, una tautologia cosmica" ... Meno male, avremmo potuto essere anche soltanto "comica", se non fosse stata per quella benedetta "esse" che ci salva dopo millenni di vita e di speranze. Non voglio prendermela con chi ha scritto e partorito il libro. Desidero soltanto esprimere il mio disappunto, dopo tanta passione per lo spazio, il cosmo, l'infinito e tutto quello che segue. Vuol dire che dobbiamo sperare nel passaggio nell'aldilà ...
View all my reviews

Published on May 02, 2017 07:41
April 30, 2017
Il libro dei filosofi morti

My rating: 4 of 5 stars
Questo è uno dei libri più curiosi, ma anche più divertenti, che mi sia mai capitato di leggere. Ho scoperto che nella vita, chi più chi meno, tutti facciamo della "filosofia". Filosofeggiare sarebbe il verbo esatto. In effetti la vita ci insegna a come sopravvivere, quindi a trovarci un sistema prima di passare dall'altra parte. E' una cosa questa che tocca tutti, filosofi veri e non. Un libro che si legge con piacere, dopo avere fatto ovviamente i dovuti scongiuri scaramantici che valgono ben poco, in quanto nessuno scappa alla sorte finale.
Eraclito pensava che ogni cosa fosse in una condizione di continuo divenire. Morì, secondo quanto si dice, annegato in un vortice di liquido di vacca. Francesco Bacone, il padre della filosofia empirica inglese finì per mano della sua stessa filosofia. Morì mentre stava tentando di osservare gli effetti del congelamento di un pollo, in una fredda giornata di inverno. Aveva riempito il pennuto di ghiaccio e si beccò una polomonite mortale. Secondo l’autore di questo libro ogni filosofo muore così come è vissuto e così abbiamo modo di comprendere anche la sua filosofia.
Simon Critchley nello scrivere questo libro, da buon filosofo quale lui stesso è, basa il suo ragionamento sull’affermazione di Cicerone secondo il quale “filosofare significa imparare a morire”. Non a caso Critchley è professore di Filosofia alla New School for Social Research a New York. Autore di diversi studi ha scritto questo suo libro su di una collina che guarda su Los Angeles, pensiamo in attenta concentrazione filosofica. Per comprendere il significato della vita il filosofo deve cercare di capire la morte ed il suo significato. Il che non significa che lo debba per forza trovare. Può anche scoprire che di significati, secondo il filosofo che la pensa così, non ce ne siano affatto. Critchley ritiene che non è possibile separare lo spirito della filosofia dal corpo del filosofo. Egli afferma che “la storia della filosofia la si può intendere come la storia dei filosofi che procedono per esempi da ricordare, spesso nobili e virtuosi, ma qualche volta umili e addirittura comici”. La maniera in cui un filosofo muore umanizza sia l’una che l’altro e ci fa capire che tutto sommato poi i filosofi non sono affatto tanto lontani da noi gente comune. Che “filosofi” non siamo affatto.
Il libro contiene poco meno di duecento riferimenti a pensatori passati a miglior vita ognuno di essi esposti in altrettanti aneddoti. Il pregio principale del libro è che non lo si deve leggere dalla prima all’ultima pagina e tutto insieme. Lo si può aprire a caso e leggere di qualche filosofo spesso in non più di due pagine di testo. Gli esempi da riportare sarebbero tanti. Basta ricordarne qualcuno. Diogene, uno che disdegnava i piaceri della carne, si dice che abbia commesso suicidio trattenendo il respiro, autosoffocandosi, quindi. Julien Offray de la Mettrie, ateista ed edonista, morì dopo di avere festeggiato mangiando una grande quantità di patate tartufate. Ludwig Wittgenstein considerò la vita e la morte come realtà senza tempo. Morì il giorno dopo il suo compleanno. Un amico gli aveva regalato una coperta elettrica. “Tanti auguri” gli disse. In inglese “many happy returns” - “tanti felici ritorni” - letteralmente. Al che lui rispose “Non ci saranno ritorni”.
Critchley racconta poi di Voltaire il quale, dopo di avere denunciato per decenni la Chiesa Cattolica di Roma, annunciò sul letto di morte che voleva morire da cattolico. Il parroco che lo assisteva stupito dalla richiesta gli chiese ripetutamente “credi nella divinità di Cristo?”. Voltaire rispose: “In nome di Dio non mi parli più di quell’uomo e mi lasci morire in pace”.
Questo libro all’apparenza sembra un libro leggero. Non lo è affatto. L’autore viene segnalato oltre come essere professore di filosofia anche a capo di una organizzazione internazionale denominata “International Necronautical Society”, un gruppo di avanguardia nella cui pagina web si afferma che il suo intento fondamentale è la “inautenticità”. Il suo scopo è lo studio della morte. Il sito vuole essere uno spazio che “intendiamo definire, colonizzare ed eventualmente abitare”. Sembrerebbe un’autentica follia se non fosse un fatto che il prof. Critchley è anche autore di numerosi altri libri e può esibire in questo suo volume sui filosofi una bibliografia di una decina di pagine.
Secondo quanto dice poi Critchley la filosofia occidentale è stata vista sempre come derivata principalmente da quella greca, il che, secondo lui è sbagliato. Egli afferma che le sue origini sono anche arabe, persiane, indiane, cinesi e molte altre ancora. La filosofia, egli sostiene, ha abbandonato la sua ragione originaria quella cioè di trasmettere saggezza e aiutarci ad essere felici. La filosofia ha cercato inoltre di imitare la scienza nella sua costante ricerca delle idee perfette e della verità assoluta. A poco a poco è venuta ad astrarsi dalla vita di tutti i giorni lasciandoci in preda alla paura di ciò che egli chiama “terror of annihilation”. Per calmarci, egli dice, ci sono infinite sofisterie in giro come la New Age e tutta una letteratura del “fai da te” oltre alla fiflosofia dell’accumulo sconsiderato di danaro e proprietà.
Fin qui tutto bene. Ma a questo punto possiamo domandare a Critchley qual’è il principio organizzatore di tutta la saggezza che abbiamo perduto nelle morti dei filosofi? Kant morì di malattia di stomaco. Come si giustifica allora la sua “Critica della ragion pura”? Le sue ultime parole non furono molte. Una sola. Quella che sussurrò al suo discepolo quando gli diede un pò d’acqua mescolata con vino. “Sufficit” sussurrò. Ma ciò che Kant voleva dire era che egli aveva vissuto a sufficienza per definire le sue teorie sulla metafisica o sulla epistemologia oppure semplicemente che egli non voleva più acqua?
Alcuni filosofi di cui Critchley parla possono addirittura non essere mai vissuti. Lui stesso dice che ci sono filosofi nel suo libro della cui morte non si sa nulla e non si conoscono le loro ultime parole. D’altra parte egli molto spesso non riesce a dare nessuna connessione tra le opere dei filosofi che ha preso in considerazione, la loro morte e le loro idee. Ma non importa. Non tutto ciò che egli scrive in molti casi è apocrifo oppure è stato detto dai loro discepoli. Dalle loro opere vengono fuori soltanto le metafore. Il libro, comunque, è piacevole a leggersi, c’è molto da apprendere inclusa la previsione che egli avanza sulla sua morte. “Fuga”, anzi egli dice letteralmente: “exit” inseguito da un orso. Un libro questo, tutto sommato utile a pensare come sarà l’exit di ognuno di noi quando sarà il momento. Il più tardi possibile, s’intende ...
View all my reviews

Published on April 30, 2017 11:41
April 29, 2017
Tutto scorre, ma non si vede nulla

In uno degli ultimi numeri della rivista dei libri edita dal Corriere "La Lettura" è apparsa, nella sezione dedicata al dibattito delle idee, una lista delle frasi minime diventate di uso comune e che hanno segnato mode e tendenze nel mondo della comunicazione. Frasi come "tutto scorre", "legibus solutus", "secoli bui", "lunga durata", "fine della storia", "società liquida".
Che tutto scorra, lo si sa da tempo, da secoli e millenni. Eppure i giorni continuano a passare senza che nessuno riesca a cogliere l'attimo. Un'altra frase che non appare nella lista ma che è sempre attiva. Il fatto è che la parola che tutto include ed avvolge è un semplice verbo: "divenire".
Da Roma a da Atene ogni cosa è sempre stata basata sul potere, di singoli o di gruppi, individuale o parlamentare. L'assoggettamento alla legge, qualunque essa sia, è stato sempre all'ordine del giorno.
La regina Elisabetta lo gestisce da sempre, è il caso di dire, anche alla sua bella età. Non si sa bene cosa sia nelle sue mani, ma senza dubbio ce l'ha e non intende passarlo nemmeno a suo figlio.
A dire il vero, un potere assoluto non esiste, esiste piuttosto un gruppo di potere che fa capo a qualcuno che sa usare i rapporti di forza che ne determinano l'ambito e i limiti. E il popolo che fa? E' solo spettatore oppure è il sovrano "legibus solutus"?
Roba da medio evo, quando il potere veniva gestito senza vincoli di legge. Furono "secoli bui" quelli? E allora, che dire della "Brexit" dell'era moderna. E' stato il popolo a decidere, non la legge, non vi pare?
Del resto, le cose vanno così. Il tempo ha una sua "lunga durata", non scorre sempre uguale. La storia profonda e quasi immobile dell'uomo e dell'ambiente in cui vive. Una storia fatta di secoli che si susseguono con avvenimenti sempre più veloci nel loro svolgimento.
Gli uomini si trovano a muoversi secondo forze di cui non si rendono conto: il clima, il territorio, le fedi e le ideologie. Oggi ritorna l'idea che la storia debba essere vista e vissuta a brevi periodi a causa della grande accellerazione tecnologica che costringe a rincorrerci con in una intermonabile sequenza di "loop".
Eppure, abbiamo bisogno di pensare in termini di "lunga durata" per trovare radici e legami con un mondo globale che vuole essere sempre più condiviso. Con la sconfitta e la successiva scomparsa delle ideologie qualcuno ha descritto la fine della storia anche se i conflitti continuano.
Ma la storia è diventata una lotta di singoli e di gruppi più che di popoli per il riconoscimento del proprio valore e della propria dignità. Tutti vogliono il giusto riconoscimento finora negato.
Nel frattempo, però, la società è diventata "liquida" perchè caratterizzata da flessibilità e da individualismo. Gli schemi di comportamenti ordinati e solidi del passato, come lavoro regolare, matrimoni indissolubile, costumi morigerati, si sono disciolti anche se la vita individuale procede con maggiore autonomia.
Già nel "Manifesto" di Marx e Engels del 1848 si leggeva che "tutto ciò che è solido si scioglie nell'aria". Non avrebbero, però, mai immaginato che la liquidità non avrebbe sconfitto il loro principale nemico, il capitalismo.
Questa liquidità l'avrebbe invece ulteriormente rafforzato facendolo diventare addirittura globale. Bisogna perciò scegliere la flessibilità ed accettare il continuo alternarsi di delusioni e soddisfazioni.

Published on April 29, 2017 11:44
•
Tags:
panta-rei, tutto-scorre
April 26, 2017
Petrarca sul monte Ventoux

My rating: 4 of 5 stars
Dear Reader, I’m proposing you to face the reading of a pretty long passage translated from Italian, written more than seven hundred years ago. I can assure you that it is worthwhile. It seems to me the perfect context for an extended look into the psychology of a conversion, the dynamics of a particular religious experience, leading to reflections on the relationship of conversion to humanist thought in general as a modus for the management of consciousness.
Francesco Petrarca, the Italian poet (1304-1374), accompanied by his brother Gherardo, made an ascent of 6,263-foot (1,912-meters) Mont Ventoux on April 26 in 1336, a towering rounded mountain that overlooks the Provence region of southern France. Mont Ventoux translated "Windy Peak" for the ferocious Mistral winds which rake its summit with gales exceeding 180 miles per hour, is not a difficult mountain to surmount by modern standards, but it was indeed in those days.
With the idea of this ascent many historians, in conceptualising Renaissance, tried a game of perspectives. In defining this world and its natural man, the prose of the poet could be cited for the purpose of supporting the general thesis to perceive some of its essential concepts, such as humanism, search for truth, morality, scepticism, secularism, happiness, individualism, human all-roundness.
The Ascent of Mount Ventoux gives various novel ideas of human being and the world unknown to the medieval times. In writing this the Poet is just writing for the joy of writing, as his background and his upbringing very much testify. On the other hand, it tells that Petrarch as a man of letters, can not be pigeonholed as most of his writings have been. His works do not just concern only with philosophical thoughts and history, but also with practical life.
“To-day I made the ascent of the highest mountain in this region, which is not improperly called Ventosum. My only motive was the wish to see what so great an elevation had to offer. I have had the expedition in mind for many years; for, as you know, I have lived in this region from infancy, having been cast here by that fate which determines the affairs of men. Consequently the mountain, which is visible from a great distance, was ever before my eyes, and I conceived the plan of some time doing what I have at last accomplished to-day. The idea took hold upon me with especial force when, in re-reading Livy's History of Rome, yesterday, I happened upon the place where Philip of Macedon, the same who waged war against the Romans, ascended Mount Haemus in Thessaly, from whose summit he was able, it is said, to see two seas, the Adriatic and the Euxine …
When I came to look about for a companion I found, strangely enough, that hardly one among my friends seemed suitable, so rarely do we meet with just the right combination of personal tastes and characteristics, even among those who are dearest to us … I finally turned homeward for aid, and proposed the ascent to my only brother, who is younger than I, and with whom you are well acquainted. He was delighted and gratified beyond measure by the thought of holding the place of a friend as well as of a brother …
At the time fixed we left the house, and by evening reached Malaucene, which lies at the foot of the mountain, to the north. Having rested there a day, we finally made the ascent this morning, with no companions except two servants; and a most difficult task it was. The mountain is a very steep and almost inaccessible mass of stony soil. But, as the poet has well said, "Remorseless toil conquers all." It was a long day, the air fine. We enjoyed the advantages of vigour of mind and strength and agility of body, and everything else essential to those engaged in such an undertaking and so had no other difficulties to face than those of the region itself.
We found an old shepherd in one of the mountain dales, who tried, at great length, to dissuade us from the ascent, saying that some fifty years before he had, in the same ardour of youth, reached the summit, but had gotten for his pains nothing except fatigue and regret, and clothes and body torn by the rocks and briars. No one, so far as he or his companions knew, had ever tried the ascent before or after him. But his counsels increased rather than diminished our desire to proceed, since youth is suspicious of warnings. So the old man, finding that his efforts were in vain, went a little way with us, and pointed out a rough path among the rocks, uttering many admonitions, which he continued to send after us even after we had left him behind.
Surrendering to him all such garments or other possessions as might prove burdensome to us, we made ready for the ascent and started off at a good pace. But, as usually happens, fatigue quickly followed upon our excessive exertion, and we soon came to a halt at the top of a certain cliff. Upon starting on again we went more slowly, and I especially advanced along the rocky way with a more deliberate step. While my brother chose a direct path straight up the ridge, I weakly took an easier one which really descended. When I was called back, and the right road was shown me, I replied that I hoped to find a better way round on the other side and that I did not mind going farther if the path were only less steep.
This was just an excuse for my laziness, and when the others had already reached a considerable height I was still wandering in the valleys. I had failed to find an easier path and had only increased the distance and difficulty of the ascent. At last, I became disgusted with the intricate way I had chosen and resolved to ascend without more ado. When I reached my brother, who, while waiting for me, had had ample opportunity for rest, I was tired and irritated.
We walked along together for a time, but hardly had we passed the first spur when I forgot about the circuitous route which I had just tried, and took a lower one again. Once more I followed an easy, roundabout path through winding valleys, only to find myself soon in my old difficulty. I was simply trying to avoid the exertion of the ascent, but no human ingenuity can alter the nature of things, or cause anything to reach a height by going down. Suffice it to say that, much to my vexation and my brother's amusement, I made this same mistake three times or more during a few hours.
After being frequently misled in this way, I finally sat down in a valley and transferred my winged thoughts from things corporeal to the immaterial, addressing myself as follows: - "What thou hast repeatedly experienced to-day in the ascent of this mountain, happens to thee, as to many, in the journey toward the blessed life. But this is not so readily perceived by men, since the motions of the body are obvious and external while those of the soul are invisible and hidden. Yes, the life which we call blessed is to be sought for on a high eminence, and strait is the way that leads to it. Many, also, are the hills that lie between, and we must ascend, by a glorious stairway, from strength to strength. At the top is at once the end of our struggles and the goal for which we are bound.
All wish to reach this goal, but, as Ovid says, 'To wish is little; we must long with the utmost eagerness to gain our end.' Thou certainly dost ardently desire, as well as simply wish, unless thou deceivest thyself in this matter, as in so many others. What, then, doth hold thee back? Nothing, assuredly, except that thou wouldst take a path which seems, at first thought, more easy, leading through low and worldly pleasures. But nevertheless in the end, after long wanderings, thou must perforce either climb the steeper path, under the burden of tasks foolishly deferred, to its blessed culmination, or lie down in the valley of thy sins, and (I shudder to think of it!), if the shadow of death overtake thee, spend an eternal night amid constant torments."
These thoughts stimulated both body and mind in a wonderful degree for facing the difficulties which yet remained. Oh, that I might traverse in spirit that other road for which I long day and night, even as to-day I overcame material obstacles by my bodily exertions! And I know not why it should not be far easier, since the swift immortal soul can reach its goal in the twinkling of an eye, without passing through space, while my progress to-day was necessarily shown, dependent as I was upon a failing body weighed down by heavy members.
One peak of the mountain, the highest of all, the country people call "Sonny," why, I do not know, unless by antiphrasis, as I have sometimes suspected in other instances; for the peak in question would seem to be the father of all the surrounding ones. On its top is a little level place, and here we could at last rest our tired bodies. Now, my father, since you have followed the thoughts that spurred me on in my ascent, listen to the rest of the story, and devote one hour, I pray you, to reviewing the experiences of my entire day. At first, owing to the unaccustomed quality of the air and the effect of the great sweep of view spread out before me, I stood like one dazed.
I beheld the clouds under our feet, and what I had read of Athos and Olympus seemed less incredible as I myself witnessed the same things from a mountain of less fame. I turned my eyes toward Italy, whither my heart most inclined. The Alps, rugged and snow-capped, seemed to rise close by, although they were really at a great distance; the very same Alps through which that fierce enemy of the Roman name once made his way, bursting the rocks, if we may believe the report, by the application of vinegar. I sighed, I must confess, for the skies of Italy, which I beheld rather with my mind than with my eyes. An inexpressible longing came over me to see once more my friend and my country. At the same time, I reproached myself for this double weakness, springing, as it did, from a soul not yet steeled to manly resistance. And yet there were excuses for both of these cravings, and a number of distinguished writers might be summoned to support me.
Then a new idea took possession of me, and I shifted my thoughts to a consideration of time rather than the place. "To-day it is ten years since, having completed thy youthful studies, thou didst leave Bologna. Eternal God! In the name of immutable wisdom, think what alterations in thy character this intervening period has beheld! I pass over a thousand instances. I am not yet in a safe harbour where I can calmly recall past storms. The time may come when I can review in due order all the experiences of the past, saying with St. Augustine, 'I desire to recall my foul actions and the carnal corruption of my soul, not because I love them, but that I may the more love thee, 0 my God.' Much that is doubtful and evil still clings to me, but what I once loved, that I love no longer.
And yet what am I saying? I still love it, but with shame, but with heaviness of heart. Now, at last, I have confessed the truth. So it is. I love but love what I would not love, what I would that I might hate. Though loath to do so, though constrained, though sad and sorrowing, still I do love, and I feel in my miserable self the truth of the well-known words, 'I will hate if I can; if not, I will love against my will.' Three years have not yet passed since that perverse and wicked passion which had a firm grasp upon me and held undisputed sway in my heart began to discover a rebellious opponent, who was unwilling longer to yield obedience ..."
Petrarch's Ascent Of Mount Ventoux The Familiaris Iv, I by Francesco Petrarca Petrarch's Ascent Of Mount Ventoux: The Familiaris Iv, I
View all my reviews

Published on April 26, 2017 12:55
Hubble: Spazio e Tempo

My rating: 5 of 5 stars
Launched today on April 24, 1990, NASA's Hubble Space Telescope has made more than 1.3 million observations of more than 42,000 celestial objects. In its 27-year lifetime, the telescope has made nearly 148,000 trips around our planet. Hubble has racked up plenty of frequent-flier miles, about 3.8 billion. An average of approximately 2 terabytes of Hubble data is added to the archive every month. Hubble observations have produced more than 141 terabytes of data, which will be available for present and future generations of researchers. Astronomers using Hubble data have published more than 14,600 scientific papers.
Hubble's powerful ability to detect galaxies that are much farther away than those ever seen before is allowing astronomers to trace the history of the universe. The deeper Hubble peers into space, the farther back in time it looks. The farthest galaxies detected by Hubble were forming just a few hundred million years after the big bang. Hubble's visible "core sample" of the universe shows galaxies during their youth, providing evidence that galaxies grew over time through mergers with other galaxies to become the giant galaxies we see today.
Young galaxies have close encounters that sometimes ended in grand mergers that yield overflowing sites of new star birth as the colliding galaxies morph into wondrous new shapes. The early galaxies spied by Hubble are smaller and more irregularly shaped than today's grand spiral and elliptical galaxies. By studying galaxies at different epochs, astronomers can see how galaxies change over time. The process is analogous to a very large scrapbook of pictures documenting the lives of children from infancy to adulthood.
And the evolution continues. Hubble observations of our neighbouring galaxy, M31, has allowed astronomers to predict with certainty that titanic collision between our Milky Way galaxy Andromeda will inevitably take place beginning 4 billion years from now. The galaxy is now 2.5 million light-years away, but it is inexorably falling toward the Milky Way under the mutual pull of gravity between the two galaxies and the invisible dark matter that surrounds them both. The merger will result in the creation of a giant elliptical galaxy.
http://hubblesite.org/(adapted)
HUBBLE
Above our Earth so high
The Hubble telescope now hangs
Beyond our vault-like sky:
An all embracing eye;
Now showing us the universe
In all her glory.
Those swirling galaxies give way to seemingly endless
Tracts of quasars, dust and gas.
Through Hubble we look back through time,
At remnants of the Big Bang:
The Birth, they tell us, of Creation,
That might be repeated,
Over and over again.
Yet, before this satellite was launched,
Or telescopes invented,
Just what did humans know?
What did the Aztecs know of England,
Or fourteenth century English folk know of America?
As technological advances have
Been swift, so our state of ignorance
Has been revealed for all to see.
For no-one knows The Purpose of Life.
Why?
Oh Why!
Do We Live
To Die
Why?
For we will Die
Not Knowing Why.
Ask Christ they say,
He’ll show The Way.
Ask God and He will too.
Ask Allah, Buddha,
Anyone you like;
And Me, I’ll tell you just to Hope,
For Love will see us through.
Paul Butters
View all my reviews

Published on April 26, 2017 12:53
Review: Hubble: Imaging Space and Time

My rating: 5 of 5 stars
Launched today on April 24, 1990, NASA's Hubble Space Telescope has made more than 1.3 million observations of more than 42,000 celestial objects. In its 27-year lifetime, the telescope has made nearly 148,000 trips around our planet. Hubble has racked up plenty of frequent-flier miles, about 3.8 billion. An average of approximately 2 terabytes of Hubble data is added to the archive every month. Hubble observations have produced more than 141 terabytes of data, which will be available for present and future generations of researchers. Astronomers using Hubble data have published more than 14,600 scientific papers.
Hubble's powerful ability to detect galaxies that are much farther away than those ever seen before is allowing astronomers to trace the history of the universe. The deeper Hubble peers into space, the farther back in time it looks. The farthest galaxies detected by Hubble were forming just a few hundred million years after the big bang. Hubble's visible "core sample" of the universe shows galaxies during their youth, providing evidence that galaxies grew over time through mergers with other galaxies to become the giant galaxies we see today.
Young galaxies have close encounters that sometimes ended in grand mergers that yield overflowing sites of new star birth as the colliding galaxies morph into wondrous new shapes. The early galaxies spied by Hubble are smaller and more irregularly shaped than today's grand spiral and elliptical galaxies. By studying galaxies at different epochs, astronomers can see how galaxies change over time. The process is analogous to a very large scrapbook of pictures documenting the lives of children from infancy to adulthood.
And the evolution continues. Hubble observations of our neighbouring galaxy, M31, has allowed astronomers to predict with certainty that titanic collision between our Milky Way galaxy Andromeda will inevitably take place beginning 4 billion years from now. The galaxy is now 2.5 million light-years away, but it is inexorably falling toward the Milky Way under the mutual pull of gravity between the two galaxies and the invisible dark matter that surrounds them both. The merger will result in the creation of a giant elliptical galaxy.
http://hubblesite.org/(adapted)
HUBBLE
Above our Earth so high
The Hubble telescope now hangs
Beyond our vault-like sky:
An all embracing eye;
Now showing us the universe
In all her glory.
Those swirling galaxies give way to seemingly endless
Tracts of quasars, dust and gas.
Through Hubble we look back through time,
At remnants of the Big Bang:
The Birth, they tell us, of Creation,
That might be repeated,
Over and over again.
Yet, before this satellite was launched,
Or telescopes invented,
Just what did humans know?
What did the Aztecs know of England,
Or fourteenth century English folk know of America?
As technological advances have
Been swift, so our state of ignorance
Has been revealed for all to see.
For no-one knows The Purpose of Life.
Why?
Oh Why!
Do We Live
To Die
Why?
For we will Die
Not Knowing Why.
Ask Christ they say,
He’ll show The Way.
Ask God and He will too.
Ask Allah, Buddha,
Anyone you like;
And Me, I’ll tell you just to Hope,
For Love will see us through.
Paul Butters
View all my reviews

Published on April 26, 2017 12:53
Review: Con i Frati della Corda in Terra Santa. Diario del mio Pellegrinaggio

My rating: 4 of 5 stars
“Chi scrive un diario deve necessariamente aprire il cuore e la mente”, così ha scritto l’autore di questo libro nella dedica a me indirizzata. Un libro che ritengo di non facile lettura, per chi non conosce l’autore. “Lettura” intesa come “comprensione” del percorso umano che ognuno di noi nella vita è destinato a fare. E’ pur sempre vero che ogni uomo è un libro ed ogni libro è un uomo. Se si scrive un diario e lo si tiene per sè, non ci sono problemi. I problemi nascono se si decide di farlo diventare un libro e diffonderlo.
Questo “diario di un pellegrinaggio”, che l’autore ha fatto diversi anni orsono in Terra Santa, è un’occasione per lui di “aprirsi”, sia con il cuore che con la mente. Non solo con se stesso, ma soprattutto aprirsi con gli altri. Operazione sempre ad alto rischio, quando la propria mente e il proprio cuore sono in tumulto. C’è una poesia di un poeta che mi aiuta a scrivere questa nota che non vuole essere una recensione, ma solamente la stesura di alcuni pensieri non so quanto corretti. Ma di sicuro, sono sinceri. Leggerete la poesia di questo poeta russo alla fine perchè, contrariamente a quanto Fëdor Tjutčev (1803-1873) consiglia, cioè di stare attenti a non aprire il proprio cuore e la propria mente, Mario Manzo ha fatto proprio l’operazione opposta. Ed aveva le sue buone ragioni per farlo. Ma andiamo per ordine.
Ogni essere umano porta con sè idee, sogni e sentimenti che sorgono, fermentano e tramontano in ogni istante. Li coltiviamo, portandoli con noi, li difendiamo, li abbandoniamo, tradendoli spesso, mettendoli in discussione e confrontandoli con quelli degli altri. Pretendiamo di averli capiti, soltanto perchè sono nati nella nostra mente e nel nostro cuore. Diamo per scontato che sono quelli giusti, i migliori. Ci aspettiamo, se non pretendiamo addirittura, che gli altri li capiscano e li facciano propri. Speriamo, invano, di essere accettatii, senza accorgerci, come spesso accade, che nel momento in cui li esterniamo, siamo noi i primi a tradirli.
Non ci rendiamo conto che possono essere menzogna per gli altri. Forse sarebbe meglio tenerli chiusi dentro di noi. Essi appartengono a quel mondo che è tutto nostro, nel quale mai nessuno potrà entrare. Non perchè non lo vogliamo, anzi tu lo vorresti, lasceresti entrare chiunque e tutti: amici e nemici, parenti e sconosciuti, perchè credi che tutti siamo figli di un solo Padre, sotto un unico Cielo. Li accoglieresti volentieri nel tuo magico mondo fatto di semplici e lievi pensieri, che tu difendi gelosamente dal frastuono esteriore di un mondo che disperde i suoi raggi piuttosto che distribuirli nella maniera migliore.
L’autore di questo libro, nonostante quanto ho scritto finora, ha deciso invece di dire tutto, di aprire il suo cuore e la sua mente, convinto, come dice nella sua introduzione al libro, che “la vita si sa è un banco di prova, nulla ci appartiene”. L’occasione per intraprendere questo viaggio gliela offre il pellegrinaggio che lui fece quasi venti anni orsono in Terra Santa, insieme ai “Frati della Corda”, alcuni padri francescani che, come si sa, sono i custodi dei luoghi nei quali il Figlio di Dio compì i suoi giorni. Un viaggio che attraversò il Libano, la Siria, la Giordania e la Galilea e poi si concluse a Betlemme e Gerusalemme. L’autore rilegge gli appunti scritti a quel tempo, li riprende poi per registrare le ragioni spirituali di un cammino di fede imprevisto nella mente e nel pensiero. Egli scrive:
“Da quando è sorta in me la sana convinzione di poter mettere per iscritto le ragioni spirituali di un cammino di fede, mai e poi mai mi era balenato nella mente il pensiero che un giorno sarei potuto ritornare in Terra Santa per ricalcare le Orme del Signore nostro Gesù Cristo e della sua Beatissima Madre. Ed invece la Provvidenza, contrariamente alle mie superficiali convinzioni o fragilità di “uomo di poca fede”, a distanza di dieci anni ha provveduto differentemente. Sull’esperienza di quanto avevo vissuto nel 1999, l’essere di nuovo pellegrino in Terra Santa non poteva e non doveva significare una semplice partecipazione emotiva ad un evento dal quale, per una continua tensione dello spirito, non puoi uscire senza sacrificare qualcosa.”
Ha inizio così per Mario un secondo pellegrinaggio interiore attraverso le carte, la memoria, gli appunti, i ricordi, il travaglio che solamente chi cerca la verità, chi cerca se stesso e in ultima analisi cerca Dio, può comprendere. Un “rischio”, il grosso “rischio”, come scrisse Giuseppe Prezzolini in un suo libro intitolato appunto “Dio è un rischio” pubblicato mezzo secolo fa. Anche Prezzolini fece in un certo modo lo stesso tipo di percorso. Alla pubblicazione del suo libro che porta questo titolo, fece seguito un altro a seguito degli incontri che lo scrittore ebbe poi con il Cardinale G. B. Montini, quando era divenuto Papa Paolo VI. La ricerca aveva una sola sintesi nella parola chiave: la Fede.
La fede non la si può insegnare. C’è o non c’è. E’ dentro di noi come parte del nostro destino, forse addirittura iscritta nel nostro DNA, dove la nostra storia futura è segnata in maniera fisiologica. Mario, nel voler rifare quel suo viaggio in Terra Santa, questa volta tra le carte dei ricordi e le nebbie della memoria, ha voluto stabilire per se stesso e per la sua esistenza il confine che intercorre tra mondo razionale e mondo della fede. Il primo gli offriva una concatenazione logica poco soddisfacente. Il secondo, quello della Fede, una “presenza” reale che aveva sentito, avvertito, durante la visita del 1999.
Soltanto a distanza di tempo, con la riflessione, la ricerca e anche con l’aiuto dei “frati della corda” era riuscito a trovare. Doveva trovare soltanto il modo di mettere ordine nel caos delle parole degli appunti del suo diario e il tormento dei sentimenti della sua mente e del suo spirito. Il grosso “rischio” di rendersi conto che al di là di ogni viaggio, luogo ed esplorazione, Dio non è in nessun luogo, nemmeno in quei luoghi come quelli della Terra Santa che lui aveva tanto desiderato di visitare. Era soltanto in se stesso. Un Dio impossibile nella logica umana, ma possibile nella preghiera.
Di qui nasce , si comprende e si giustifica il suo impegno di scrittura, di “rischiare” una esperienza creativa imprevista ed imprevedibile, difficile forse da comprendere per molti, ma “ragionevolissima” per lui. Aveva bisogno di aprire il suo cuore e la sua mente, prima a se stesso e poi agli altri. Era lo scotto, il “rischio” da pagare. Lo ha fatto senza curarsi di quanto aveva scritto il poeta russo nella sua poesia che leggerete qui di seguito. Mario Manzo non ha avuto timore di aprirsi a se stesso e poi agli altri in nome della Fede. Il suo secondo appuntamento con i Luoghi Santi gli è servito per “verificare, rafforzare e cementificare i fondamenti in cui crede e professa nella pienezza della Fede, la sola che introduce nell’amore di Dio Padre e che fa gustare nell’intimo il fascino della reale presenza di Cristo”.
Ci si potrebbe chiedere cos’è che spinge un uomo maturo, con famiglia e con i tanti problemi da affrontare e risolvere quotidianamente a fare un’operazione del genere. La risposta ce la dà lo stesso Mario quando scrive: “Spero che questo rapido “excursus” a ritroso nel tempo possa portare conforto a chi legge, ma, soprattutto , in un contesto sociale che non ha più legami con il sacro, che sia di augurio e di sostegno ai giovani affinchè, riscoprendo le radici del proprio essere cristiani mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, i loro occhi si aprano definitivamente a quella speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce (1Pt 1,3-4)”.
Silentium
Taci, nasconditi ed occulta
i propri sogni e sentimenti;
che nel profondo dell’anima tua
sorgano e volgano a tramonto
silenti, come nella notte
gli astri; contemplali tu e taci.
Può palesarsi il cuore mai?
Un altro potrà mai capirti?
Intenderà di che tu vivi?
Pensiero espresso è già menzogna.
Torba diviene la sommossa
Fonte: tu ad essa bevi e taci.
Sappi in te stesso vivere soltanto.
Dentro te celi tutto un mondo
d’arcani, magici pensieri,
quali il fragore esterno introna,
quali il diurno raggio sperde:
ascolta il loro canto e taci!
Fëdor Tjutčev (1803-1873)
(Tr. Tommaso Landolfi)
View all my reviews

Published on April 26, 2017 12:52
MEDIUM
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
- Antonio Gallo's profile
- 52 followers
