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Il poeta prigioniero del suo libro ...


Non so se manterrò il titolo che ho dato a questo articolo che mi accingo a scrivere. Scrivere di poesia e di poeti è sempre tanto difficile quanto rischioso. Primo, perchè non è mai possibile riuscire a penetrare, se non nell’anima, almeno nelle parole di chi sceglie la poesia per comunicare con se stesso e con gli altri; poi anche perchè si corre il rischio di dover innanzitutto comprendere e svelare i grandi misteri del proprio animo e poi quelli del poeta stesso.
 
La poesia e il poeta di cui mi propongo qui di scrivere non sono temi del tutto nuovi. Chi mi legge potrà bene accertarsi di quanto dico. Basta fare una ricerca su questo blog e il lettore ritroverà diverse occasioni che mi legano a questo poeta che conosco ormai da oltre mezzo secolo. Sentite, anzi leggete, quello che scriveva nel lontano 1967, in una sua prima raccolta di poesie, pubblicate l’anno successivo in un libretto intitolato, guarda caso!, “Il Prigioniero”:

 Andai lontano per tagliare l’orizzonte e fare del dolore il mio esilio,per mangiare bacche di stelle e albe di nebbia; ma mi ritrovai ingannato dalla rotondità accanto a te, a raccogliere briciole di sogni.

Oggi, questo stesso uomo, amico e poeta, vicino ai suoi novanta anni, mi consegna un foglietto sul quale ha vergato di suo pugno questi versi:


Ridatemi
Ridatemi quel libro, quello della mia vita. Voglio rileggere, tra quelle pagine,i giorni, i mesi e gli anni.Voglio rileggere i giorni vissuti nella nebbia; i mesi vissuti nella luce confusa;voglio rileggere gli anni del dopo,quelli vissuti nel buio totale, lungo il cammino privo di stelle.Ridatemelo quel libro, voglio rileggerlo, cercare di capire i tanti perchè!
Ridatemelo quel libro, voglio cercare in quelle paginei ricordi delle gioie seminate; ritrovare almeno uno di quei frutti … quelli che ora giacciono appassiti nel silenzio
dell’amara solitudine.

La poesia è preceduta da questa avvertenza: “Dal 26mo quadernone dal titolo “Ve lo dirò dopo”. pag. 23 del giorno 28/05/2017.

Mai come in questo caso, quando si parla di poesia e di scrittura, ha valore l’espressione “testo e contesto”. Se le parole hanno un senso. Se chi legge sa andare oltre le lettere che quelle parole formano, quella “rotondità” espressa nella prima poesia ha un valore non solo metaforico e metafisico, ma anche predittivo. Con ciò che lui scriveva allora, mezzo secolo fa, prevedeva quello che sarebbe poi accaduto.
 
Non ho ancora fatto il nome di chi scrive questi versi. Ma non ha importanza. Sono pensieri e parole che coinvolgono il lettore e possono interessare ogni uomo, poeta e non poeta. Ci sono tutti gli interrogativi che di solito chi legge poesie si pone leggendo versi che parlano all’animo del lettore. Un animo che è come un soffio, un vento che viene da lontano, non si sa da dove, che porta con sè volontà di sentimenti e di passioni, e si dirige verso la mente, il pensiero e l’anima di chi legge.
 
Un vento che ha fatto sfogliare le pagine di quel libro a chi si rende conto che quelle stesse pagine stanno per finire e il libro sta per chiudersi. Ogni uomo è un libro, ogni libro è un uomo. Lo si sa, le pagine scritte non potranno mai essere cancellate. Lui, almeno, le vorrebbe rileggere, prima che quel libro gli verrà tolto dalle sue mani. Vorrebbe rileggere quello che sta scritto, quello che lui stesso ha scritto, insieme agli altri. Vorrebbe comprendere il perchè delle cose accadute e soprattutto, forse, non accadute.
 
La chiave per comprendere il senso della poesia non va ricercato, però, nelle parole con le quali la stessa è stata scritta. La chiave della lettura sta nel titolo che il poeta ha dato al quadernone di questa sua ennesima raccolta di memorie: “Ve lo dirò dopo”, questa frase spiega il tutto. Lui punta tutto sul “dopo”, quando il libro si chiuderà definitivamente e passerà nelle mani di qualcuno che comincerà a leggerlo. Lo leggerà per valutarlo.
 
Questa operazione non riguarderà solamente l’amico e poeta Gino De Filippo, ma ognuno di noi. Potremo avere scritto o letto dieci, cento, mille libri. Conterà soltanto quello che avremo saputo scrivere ogni giorno noi, con la nostra vita e con le nostre azioni. Sono certo che non basteranno racconti, storie, romanzi o poesie a fare farci liberi. Siamo stati prigionieri della vita, rinchiusi in quella stessa “rotondità” di cui scrisse Gino quando non sapeva ancora che sarebbe stato “prigioniero” di se stesso per tutta la sua vita. Lui come noi, prigionieri del nostro futuro.

 

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Published on May 04, 2017 13:49 Tags: gino-de-filippo, poesia

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Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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