Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 132

July 11, 2017

L'uomo e il suo destino


A un uomo di scienza è difficile far digerire parole come quelle che Dio disse a Giobbe, secondo uno dei più lunghi, complessi e misteriosi passi dell’Antico Testamento. La risposta, di solito, è che trattasi di favole, di storielle buone per fare sogni d’oro. Una sorta di camomilla per l’anima in tumulto che si domanda – sempre meno, a dire il vero – se c’è qualcosa (e se sì, cosa) dopo la fine naturale della vita.
Questioni che dall’antichità angosciarono generazioni di uomini, tra i quali molti sul tema composero pagine tra le più belle che siano mai state scritte. Allegorie, insomma, dice chi non ci crede e ripone la propria fede sulla tavola periodica degli elementi: Giobbe sì, ma anche Cristo, la moltiplicazione dei pani e dei pesci, Lazzaro che si alza e cammina, la Resurrezione. Lasciando stare Immanuel Kant, la sua Critica della ragion pura e l’epitaffio fatto da lui scolpire sulla sua lapide – “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me” – si potrebbe menzionare san Tommaso d’Aquino, secondo cui “pensiero e ragione si possono conciliare, anzi, la ragione serve a pianificare alcuni enigmi della fede, anche se l’intelletto umano è limitato”.
Lo scopo della fede e della ragione – aggiungeva “è lo stesso, se poi la ragione si trova in contrasto con la fede deve cedere a questa”. Ma forse più utile è prendere in mano quanto scriveva in pieno Novecento Pierre Lecomte du Noüy, il grande fisico francese a giudizio del quale proprio nei quanti e nella razionalità più pura si trova la prova dell’esistenza di Dio. Attraverso la storia dell’evoluzione dell’essere umano, scriveva Du Noüy, si giunge a una constatazione inevitabile: Dio esiste, e a dirlo è proprio la scienza”.
In un secolo, non ci si può aspettare di vedere più di una o due volte un libro di una tale profondità e intelligenza”, commentava sbalordito il premio Nobel per la Fisica del 1923, Robert A. Millikan. Du Noüy non fa affidamento su sensazioni o cieca fede nel trascendente. Si basa sull’esperienza, sulla constatazione razionale. E’ la stessa visione logica della natura a condurre a Dio, scrive: “Lo scopo di questo libro è di esaminare criticamente il capitale scientifico accumulato dall’uomo e di trarne conseguenze logiche e razionali. Vedremo che queste conseguenze conducono inevitabilmente all’idea di Dio”.
Rileva che le spiegazioni esclusivamente materialistiche dell’Universo – per le quali prova una sana repulsione – non riescono a dare ragione di tutta la complessa ricchezza dell’essere umano. Ma il fisico non è uno sciocco, sa che non basta passare dall’Homo herectus all’uomo di oggi per dire che sì, non deriva tutto dallo scontro di molecole e dal Big Bang, e che c’è qualcosa di ultimo e indescrivibile che neppure Dante riuscì nella sua immaginazione sconfinata a rappresentare. “Non possiamo aspettarci, oggi, di distruggere l’ateismo usando gli argomenti sentimentali e tradizionali che potevano commuovere le masse ignoranti del passato. Non possiamo combattere i carri armati con la cavalleria o gli aerei con gli archi e le frecce. La scienza – dice lo scienziato – è stata usata per demolire le basi della religione: la scienza deve essere usata per consolidarle”.
Premessa: Lecomte du Noüy non si rivolge ai credenti convinti, bensì a quanti hanno sentito “sorgere un dubbio” nella loro anima. Frase autobiografica, verrebbe da dire. Lui che, morendo nel 1947, confessò che la sua gioia più grande sarebbe stata quella di veder emancipati dall’ateismo gli scienziati, per “menarli a Dio”. La conclusione cui perviene lo scienziato è di illuminante chiarezza: “L’agnostico e l’ateo non sembrano minimamente disturbati dal fatto che tutto il nostro Universo, vivente, organizzato, diventa incomprensibile senza l’ipotesi di Dio”.
L’UOMO E IL SUO DESTINOPierre Lecomte du NoüyCastelvecchi, 204 pp., 18,50 euro
IL FOGLIO
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Published on July 11, 2017 08:13

Review: La fine del sesso

La fine del sesso La fine del sesso by Henry T. Greely
My rating: 4 of 5 stars

Ogni giorno che passa sembra che il futuro si realizzi più come "fiction" che come realtà. Non si sa più se la letteratura insegue la vita o è la vita che si fa letteratura. Quello che un tempo si pensava fosse fantascienza, diventa non attuale, bensì addirittura obsoleto.

Da un minimo di 20 ad un massimo di 40 anni, la maggior parte delle persone non ricorrerà più al rapporto sessuale per concepire i propri figli. Ovuli e spermatozoi saranno uniti tramite la fecondazione in vitro. Il DNA degli embrioni così generati sarà poi sequenziato e scrupolosamente analizzato.

Pensiamo subito alla distopia di Aldous Huxley, Il Mondo Nuovo, quel libro che io, dinosauro digitale contemporaneo, leggevo e non capivo nella biblioteca di mio padre. Lui lo comprò negli trenta, quando era giovane, in quel piccolo paese di provincia merdionale italiana. Non so cosa abbia capito a quel tempo. Cercai di leggerlo anche io, ero poco più che un decenne. Non capii assolutamente nulla.

Me lo ritrovai tra gli studi di quella lingua inglese che poi mi ha introdotto nella realtà del mondo contemporaneo. Il Mondo Nuovo di Huxley inizia proprio all'interno di quel laboratorio di cui parla l'autore di questo libro. Ma non è un romanziere. E' uno degli scienziati e studiosi più importante del pianeta: Henry T. Greely, professore non solo di legge ma anche di genetica a Standford dove dirige il Center for Law and the Biosciences.

Un luminare che non scrive di avventure fantascientifiche, bensì di fatti. Nel suo libro egli sostiene che oggi già molti milioni di bambini sono nati senza essere stati concepiti con rapporti sessuali, ma grazie a fecondazioni in vitro o inseminazione.

Gli uomini stanno per mettere le loro mani sul segreto della vita. Non è un argomento semplice, nè tanto meno nuovo, ma sempre pericoloso. C'è il rischio di far saltare tutti i principi di un mondo, anzi di tanti mondi, sui quali si sono succedute le civiltà su questo pianeta.

Niente di nuovo sotto il sole. Potrei consolarmi dicendo, ancora una volta che lo ha detto Qoelet oltre duemila anni orsono. Ma questa volta credo che si tratti di una sfida mai fatta prima nella storia dell'umanità. Una lunga serie di questioni morali vengono messe sul piatto della vita in termini di sicurezza, correttezza, di coercizione e di struttura non solo della società e della famiglia, come della naturalità e della volonta di Dio, un dio comunque ce lo configuriamo.

Saranno inevitabili le divisioni, le discussioni di immoralità, violenza, libertà e quant'altro fa parte della nostra storia di uomini. Ci sono molte somiglianze con il mondo immaginato dallo scrittore inglese Huxley, come anche molte differemze. Lo scrittore e scienziato Greely non ne fa una questione morale. Nel suo libro fa semplicemente delle previsioni. Egli fornisce idee e informazioni per affrontare il futuro.

Come del resto aveva già fatto Huxley, non come scienziato ma come romanziere. Qui non si tratta di parlare di un futuro immagianario come quello che possono creare i romanzieri che scrivono con l'aiuto della loro fantasia ed intelligenza. Qui si tratta di pensare a come vorremo che sarà la nostra società imminente. Insomma il futuro che ci aspetta. E questo ce lo dovremo costruire noi. Questo libro ci offre un percorso ed una riflessione.

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Published on July 11, 2017 08:12

July 3, 2017

Review: Il libro digitale dei morti: Memoria, lutto, eternità e oblio nell'era dei social network

Il libro digitale dei morti: Memoria, lutto, eternità e oblio nell'era dei social network Il libro digitale dei morti: Memoria, lutto, eternità e oblio nell'era dei social network by Giovanni Ziccardi
My rating: 3 of 5 stars

"Il libro di Ziccardi apre tante frontiere sull'aldilà, penetrando nell'oscurità del dopo vita con la lanterna dello studioso di informatica giuridica. Ma non è solo una questione di tecnicalità giuridica, perchè ci induce a ripensare financo uno dei più bei versi della poesia italiana: "Due cose belle ha il mondo, amore e morte". (Tommaso Edoardo Frosini: Il Sole24Ore) Mi fanno sorridere recensioni di questo tipo su di un argomento tanto "bello" come dice il poeta. Ci ostiniamo nell nostra ingenuità a pensare al viaggio finale come un percorso terreno. Sia l'autore di questo libro che il poeta che ha accostato l'amore alla morte, ragionano in termini "umani". Io sono convinto che le cose dell'aldilà saranno costruite su un'altra dimensione che avrà ben poco di scientifico e filosofico. Mi immagino una gigantesca memoria digitale nella quale ritroveremo tutto quanto abbiamo pensato, detto e scritto. Non chiedetemi ulteriori informazioni perchè non intendo darvele. Nel frattempo leggetevi questo libro e illudetevi di portarvi appresso le vostre password ...

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Published on July 03, 2017 06:11

July 1, 2017

L'insostenibile leggerezza del pellegrino ...



L’insostenibile leggerezza del pellegrino a Lourdes. “Guardare le cose del mondo da questo posto ridimensiona ogni cosa. Arriva il momento che devi fare i conti prima con te stesso. Al mondo puoi sempre mentire, non è possibile farlo con te stesso". - “Certamente il pellegrino non si riconosce dal bastone che porta in mano (molti potrebbero portare il bastone, senza essere dei pellegrini); mentre il chiamarsi credente indica evidentemente che si è in viaggio, poiché la fede significa propriamente che quel ch'io cerco non è qui, proprio per questo io lo credo." 
Queste sono due citazioni che ho postato su FB mentre ero a Lourdes per una visita di tre giorni. La prima è mia, la seconda di Søren Kierkegaard, in un suo libro “Discorsi edificanti” del 1843. In questo post desidero tentare di fare una sintesi della breve permanenza in questa famosa cittadina francese ai piedi dei Pirenei, diventato uno dei luoghi di fede più frequentati al mondo. Mia moglie ed io per la prima volta andammo in pellegrinaggio a Lourdes con uno dei famosi “treni bianchi” mezzo secolo fa. La seconda, una decina di anni fa in aereo, come anche questa terza volta, sempre in gruppi di pellegrini moderni.


Mi sono sempre sentito “pellegrino” nel senso in cui si è espresso Søren Kierkegaard, il grande filosofo e scrittore danese, considerato il fondatore dell’esistenzialismo. Cercare ciò che sappiamo non è facile trovare, e non sai neppure se esiste. La fede, una fede, un credo che possano aiutarti a comprendere il grande mistero dell’umanità. Non solo una questione meramente religiosa, bensì anche una ricerca del senso della vita. In fondo, soltanto in questo modo, si può capire perchè, circa sei milioni di persone, ogni anno, visitano questo posto in Francia, ai piedi dei Pirenei. 
A mio parere, non soltanto perchè si vuole visitare il luogo dove nel 1843 ebbe inizio una delle tante storie nelle quali si verificano eventi di manifestazioni ed apparizioni religiose dedicate ad un tema centrale, non solo della religione cristiana, ma dell’intera umanità: la figura della Vergine Maria, intesa, oltre che come Madre di Gesù, anche come figura di Madre universale. Anche in altri luoghi ci sono manifestazioni del genere. Non sto qui a ricordarli, non intendo creare classifiche di merito. 


Quello che caratterizza Lourdes è una diversità particolare: la ricerca della salute da parte di chi si fa pellegrino. Salute non solo fisica, ma anche mentale e spirituale. L’apparizione della Vergine Maria ha una sua centralità in questo scenario, con una sua ben documentata storicità. Ma ciò che, a mio parere, concorre a fare da contrappeso alla immaterialità ed alla presunta trascendenza dei fatti accaduti, le apparizioni e le relative guarigioni, è l’importante e decisiva presenza di uno dei quattro elementi da cui la natura è caratterizza: l’acqua. Questo elemento ben si inserisce in un ambiente come quello dei Pirenei.
 La scienza moderna sembra non attribuire più ai "quattro elementi" il ruolo di particelle elementari della natura, ma piuttosto li considera come materie che richiedono un adeguato approfondimento scientifico: "terra" è oggetto di studio delle scienze geologiche e minerarie; l'"acqua" dell'idrologia e della oceanografia; l'"aria" è studiata dalle scienze atmosferiche come la climatologia e la chimica atmosferica; il "fuoco", infine, è oggetto di studio della vulcanologia o, in un senso più ampio, della scienza e della tecnica dell'energia, anche nel contesto del riscaldamento globale del pianeta. 


Ovviamente, queste discipline costituiscono una parte fondamentale delle scienze ambientali, legate agli elementi che hanno sempre determinato il destino della nostra civiltà e la sopravvivenza degli esseri umani. Molti dei grandi problemi relativi a questi campi rimangono a tutt'oggi insoluti. In questo senso, la minacciosità dei "quattro elementi" è la stessa di dieci millenni fa. Bene, tutti e quattro questi elementi sono presenti a Lourdes: l’aria è quella dei Pirenei, l’acqua è quella che scorre e filtra dalla terra di quelle montagne, il fuoco è quello costituito dai milioni di ceri e candele che in ogni stagione i pellegrini non si stancano mai di accendere.
Solo in uno scenario di questo tipo, caratterizzato da questi quattro elementi primitivi ed originari, si poteva immaginare di curare mali sia della mente che del corpo e cercare di dare delle legittime, per quanto possibili spiegazioni. Da queste considerazioni nascono quei fenomeni che comunemente vengono definiti “miracoli”. Nella storia di Lourdes ne sono stati classificati solamente pochi come tali, intesi cioè come fenomeni inspiegabili di guarigione. Ma i cosiddetti miracoli costituiscono soltanto un aspetto secondario di ciò che accade a Lourdes. 

Bisogna ben capire la differenza che intercorre tra due parole chiave: curare e guarire. Si può guarire da una ferita della carne, nella sua dimensione fisica, come ad esempio la scomparsa di un tumore o di una paralisi. Una guarigione, invece, a mio parere, è qualcosa di più profondo che va oltre la materialità del corpo. Chi cerca una cura nel corpo può anche trovarla qui a Lourdes e allora si fa rumore tra chi ci crede e chi no. Ma le guarigioni più forti e anche più nascoste sono quelle silenziose, raccolte, intime. 
Quelle trasformazioni che avvengono “dentro” il pellegrino che cammina, marcia, prega, siede, osserva, guarda, non si mostra, si nasconde quasi prima a se stesso e poi agli altri. Lourdes sembra capace di dare un aiuto per la mente o per il corpo, con o senza fede, cristiano o pagano, non importa. Una volta venuti alle rive del Gave, ogni forma di lotta con gli altri o con se stessi sembra scomparire. Dietro di lui scorre quell’acqua silenziosa e verde di speranza del fiume. Chi è pellegrino non si cura di sapere da dove viene, nè dove scorre. Davanti non ha che una roccia nella quale il tempo ha scavato una grotta, quella delle apparizioni. Non vede che una “statua”.

Lui si ferma e avviene l’incontro. Scorrono parole di preghiere in tutte le lingue. Scivolano silenziose le carrozzelle dei malati. A distanza di quasi due secoli, il luogo è cambiato sotto gli occhi di decine di migliaia di pellegrini da ogni parte del mondo, che ogni giorno scorrono lungo questa roccia. Fotografie, candele, fiori, preghiere, pellegrini di tutti i colori, apparenze e lingua. Mi sono ricordato di altri pellegrini, quelli descritti da Geoffrey Chaucer nei suoi “Racconti di Canterbury”, mi sono ritrovato in quei versi che ho tante volte letto in classe ai miei studenti. 
Ci sono momenti nella giornata di Lourdes che difficilmente si dimenticano. Come quando, dall’alto della basilica, ho visto scorrere una fila interminabile di carrozzine con i malati che attraversano il ponte dal vicino ospedale, silenziosamente guidate da volontari in cammino verso la grotta. Un fiume umano che attraversa il ponte sul fiume vero. Se osservi la scena di notte, durante una delle giornaliere fiaccolate, ne ricevi una impressione davvero indescrivibile. L’incontro tra i due elementi, l’acqua e il fuoco, determina e definisce gli altri due, l’aria e la terra, dando completezza a quella che ho chiamato “l’insostenibile leggerezza” che gravita sulle spalle del pellegrino.

Ma di questi quattro elementi quello che personalmente mi ha maggiormente colpito, avvertendone la sua “leggerezza” davvero insostenibile, è l’acqua. L’invito che fece la Vergine Maria a purificarsi con l’acqua continua ad essere accolto. Innumerevoli fontane fanno scorrere acqua da quella montagna che ha segnato le vite e i destini di tanti pellegrini in cerca di certezze. Il rito del bagno nelle piscine che ho voluto provare per la prima volta, mi ha confermato quanto sia “insostenibile” la pesantezza di una purificazione non solo fisica ma anche spirituale. 
Quell’acqua nella quale decidi di immergerti ti ridimensiona, riportandoti a quella realtà alla quale ti sei dimenticato di appartenere: la natura. Una vera e propria sferzata alla tua arroganza, alle tue presunzioni, alle tue illusioni di uomo, fatto non solo di carne ma anche di spirito. Il  vero momento della verità del peso insostenibile e misterioso di una “fede” che tutti cerchiamo e di cui ognuno di noi ha bisogno. Grazie a quei tre volontari che mi hanno aiutato ad affrontare questa prova dell’elemento “acqua”, ho potuto solo in parte sostenere quell’insostenibile peso che sembra essere la fede. 
Ho saputo, poi, che uno di quei tre è un italiano che fa quel lavoro di volontariato ed assistenza da oltre mezzo secolo. Le parole per descrivere quello che ho provato non esistono nel mio lessico personale. Mi sento quanto mai inadeguato e descrivere quello che ho avvertito. Ricordo soltanto che c’è stato un breve attimo in cui ho creduto di varcare la soglia della vita. Mi sono ritratto da quell’acqua, come da una fuga, di fronte ad una sensazione di straziante dolore fisico che credo di fisico non avesse proprio niente. Ho abbracciato quel volontario che mi reggeva, e mi chiedeva come mi sentivo. Solo pochi attimi e poi l’ho rassicurato, abbracciandolo. Avevo recuperato la mia fisicità. Sono uscito dalla vasca, alleggerito del “peso” di pellegrino, mi sono rivestito e mi sono accorto che ero completamente asciutto. Ho ripreso il mio cammino di “leggerezza” terrena ...
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Published on July 01, 2017 10:50

June 24, 2017

Review: C'è un dopo?: La morte e la speranza

C'è un dopo?: La morte e la speranza C'è un dopo?: La morte e la speranza by Camillo Ruini
My rating: 4 of 5 stars

Questo è un libro che non va letto in versione digitale. Bisogna avere tra le mani il libro tradizionale fatto di carta per avvertire tutta la pesantezza del problema che l'autore tratta. Un impegno quanto mai difficile, complesso e, ahimè, credo irrisolvibile.

Messa così la cosa, viene facile dire perché scriverne? Il Cardinale Ruini lo fa perché questo fa parte del suo lavoro, un termine forse improprio. Meglio forse dire, missione. Lui è un religioso, ma anche uno studioso molto autorevole. Ma questo non basta. Lui, dopo tutto, è un "comune" essere umano, proprio come me e voi che mi state forse leggendo.

Siamo, infatti, tutti, nessuno escluso, nel problema. Forse sarebbe meglio dire i "problemi". Già, perché in effetti, sono due: il mistero della vita e quello della morte. Perché il primo comporta il secondo, il secondo è una conseguenza del primo. Un problema che in quanto tale si scinde in due: nascita e morte.

Quello che l'autore cerca di spiegare, accertare, è ciò che accade dopo. Nella sua conclusione, candidamente, ed onestamente, scrive che, nonostante tutti i suoi sforzi, non è riuscito a trovare e dare una risposta a ciò che accade dopo la morte. Mi sembra di aver capito che non ci resta che credere che esista qualcosa, non si sa cosa, ma sarebbe meglio crederci.

Potremmo cercare l'aiuto dello "spirito santo " per capirlo. Ma, a quanto pare, non a tutti capita di incontrarlo. Questo l'ho sempre immaginato e non me ne faccio un problema. Ma il fatto che mi resta sempre irrisolto è un altro che il Cardinale non si pone. Quello, cioè, non del "dopo", ma del "prima". Non so se mi spiego. Pensiamo tutti alla "fine"che faremo, al "dopo" che avverrà. Non approfondiamo mai le ragioni dell'essere.

Lo so, mi direte che tutto nasce dall'amore di un uomo ed una donna, da un incontro e da un progetto di vita. Ma nessuno, o quasi, ha mai approfondito il "perchè", le ragioni del "prima", "durante" e poi del "dopo". Il senso del "tutto". Ma forse, ancora una volta la risposta me la dà Qohelet ...

Un libro, comunque, importante. L'ho finito mentre fuori ci sono 35 gradi è più. Un caldo infernale. M'è scappato, scusate: l'inferno. Meglio non parlarne, anche se in questo libro l'autore ne scrive in modo elusivo. Qohelet la chiama "nebbia" e proprio di questo si tratta. Una vera e propria "nebbia" dalla quale proveniamo e spero di cuore non ritorneremo ...

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Published on June 24, 2017 11:12

Viaggiare non è partire


Non posso non copiare ed incollare, per ricordare a futura memoria, questo articolo di Luigi Mascheroni apparso sul giornale di oggi. Chi ama i libri sa cosa significa leggere per viaggiare. Ogni libro è un "viaggio". Hai comprato il biglietto, sai con chi ti accompagni e sai anche dove sei diretto. Non ti resta che sfogliare le pagine, scorrere le righe, sciogliere le parole e il gioco è fatto.  
Blaise Cendrars, penna svizzero-francese di eccellenza, prese il treno più famoso del mondo rimanendo fermo in stazione. Nel 1913 pubblicò con successo un poemetto in cui racconta il suo straordinario viaggio sulla Transiberiana: un'esperienza diceva che gli aveva cambiato la vita. Quel viaggio non lo fece mai. Scrisse a tavolino. E a un amico che gli manifestò i propri dubbi, rispose: «Che cosa vuoi che importi, visto che quel treno l'ho fatto prendere a tutti!».  
Ludovico Ariosto, che si inventò persino un viaggio sulla luna, pure confessò: «Chi vuole andare a torno, a torno vada:/ vegga Inghelterra, Ongheria, Francia e Spagna;/ a me piace abitar la mia contrada». E Immanuel Kant, pur insegnando Geografia fisica, non uscì mai dalla sua Königsberg Aveva capito il mondo. 
Chi l'ha detto che viaggiare vuol dire partire? Del resto, grandissimi scrittori e giornalisti di viaggio ci hanno lasciato pagine meravigliose su luoghi in non sono mai stati. Da Marco Polo fino a Jayson Blair. Ve lo ricordate? Era un eccellente inviato del New York Times che qualche anno fa rischiò di vincere il Pulitzer, prima che qualcuno si accorse che i suoi reportage in giro per il mondo fantastici, in entrambi i sensi - erano inventati.
Niente ci conferma che viaggiare sia il miglior modo per scoprire una città o un Paese sconosciuti. Lo ha detto Pierre Bayard, il quale nel 2012 ha pubblicato un documentatissimo saggio e insieme irresistibili rassegna di tutti i tipi di viaggiatori in pantofole: falsari, millantatori, acuti ascoltatori, fantasiosi inventori - su «Come parlare di luoghi senza esserci mai stati». Un bestseller stanziale. 
Il non-viaggio non significa rimanere immobili. Tutt'altro. Viaggiare con l'immaginazione significa esplorare noi stessi. Che è l'avventura più grande. Per farlo occorre riposo, silenzio, tranquillità. Va benissimo il proprio terrazzo. E detto fra noi, le Lonely Planet hanno una grafica orrenda. 
Don Orione diceva: chi sta fermo cammina. Santa Teresa di Lisieux - patrona delle missioni - non è mai uscita dal convento di clausura. Fior di neurologi e psicanalisti sostengono che l'immaginazione oltre il limite umano la si sviluppa di più nel proprio studio-abitazione con giardino che altrove. E uno dei reportage-letterari più belli del Settecento - si sa - è Viaggio intorno alla mia camera di Xavier de Maistre. 
Personalmente io che ho come massimo orizzonte geografico-culturale il Canton Ticino, e detesto viaggi, aerei, treni e alberghi ho battuto gli oceani, fino alla Micronesia, con il Moby Dick di Hermann Melville. E ho solcato il Mar cinese meridionale con Tifone di Joseph Conrad. Cosa serve essere stati in Patagonia, se si è letto Chatwin? 
E poi l'estate è caldissima, si ha sempre sete quando si va in giro e senza prenotazioni è un disastro. I luoghi a portata di turismo di massa sono invivibili. E quelli per viaggiatori d'élite rischiosi: il corpo umano è indifeso di fronte agli animali selvaggi, alle intemperie e le malattie. L'uomo non è fatto per abbandonare il proprio habitat. Homer Simpson, il massimo pensatore indipendente della post-modernità, l'ha detto chiaramente: «Mai allontanarsi dal divano. È pericoloso». 
I concetti di spazio e tempo si elaborano meglio da fermi. È una legge fisica. E la poesia, addirittura, va oltre. Ci dice che: «Il viaggiare sarebbe un gran diletto,/ ma costa troppo./ Per economia, prendo il biglietto/ allo sportello della fantasia./ Preparo le valigie, chiudo gli occhi,/ sento il fischio, e via./ Così, stando in poltrona e senza spese,/ viaggio innanzi e indietro il Belpaese». Buone vacanze.
Luigi Mascheroni

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Published on June 24, 2017 05:12

June 21, 2017

Il sogno del passato




Nella posta di oggi “L’Almanacco dello Scrittore” c’era questa poesia di un giovane poeta mai letto prima. Mi ha colpito il titolo e la maniera con la quale il curatore della lettera, Garrison Gailor, anche lui poeta e scrittore americano che seguo ormai da diversi anni, ha letto la poesia. Si chiama Scott Owens, parla di un sogno sul passato. Una poesia breve e semplice che ho tradotto liberamente. Mi ha colpito per la sua atmosfera onirica legata ai ricordi che sembrano avere la leggerezza del sogno e le scintille del passato. Da una rapida ricerca, ho scoperto che Scott Owens ha vissuto una fanciullezza difficile, con una madre sposata sei volte, un padre cinque ed un patrigno che gli usava violenza. Un passato molto difficile e pesante di cui si avverte soltanto, è il caso di dire, una insostenibile leggerezza in questa poesia. Quasi un incubo che in sogno acquista una inafferrabile appartenenza.The Arrival of the Pastby Scott Owens
You wake wanting the dreamyou left behind in sleep,water washing through everything,clearing away sedimentof years, uncovering the lostand forgotten. You hear the sunbreaking on cold grass,on eaves, on stone stepsoutside. You see lightigniting sparks of dustin the air. You feel for the firsttime in years the worldelectrified with morning.
Ti svegli che vuoi ritornare nel sogno,acqua che lava gli anni del passato,riporta in vita quanto perduto e dimenticato.Senti il sole che picchia sull’erba fredda,sulle grondaie, fuori, sui gradini di pietra.Vedi nell’aria scintille in polvere di luci.Avverti per la prima volta il mondoelettrizzato nel mattino. --You know something has changedin the night, something you thoughtgone from the world has come back:shooting stars in the pasture,sleeping beneath a fieldof daisies, wisteria climbingover fences, houses, trees.This is a place that smellslike childhood and old age.It is a limb you swung from,a field you go back to.It is a part of whatever you do.
Sai che qualcosa è cambiato stanotte,era scomparso dal mondo ed è ritornato:stelle cadenti al pascolo, tu a dormiresotto un campo di margherite, glicini alle siepi,case, alberi. Un profumo di fanciullezzae di vecchiaia. Una mano che saluta, un campo al quale ritorni. Una parte del tutto che ti appartiene.
“The Arrival of the Past” by Scott Owens from “Down to Sleep”. © Main Street Rag Publishing Company, 2016. Reprinted with permission.  

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Published on June 21, 2017 12:05

June 19, 2017

La morte del Poeta


Che il fatto sia vero, non si discute. Ma questo non basta per farne un valore. E’ il suo significato a dargli valore. Come si fa a dare il giusto valore, allora, sia alla vita che alla morte? La vita avrà valore soltanto se assumerà un certo significato. Allo stesso modo, quale sarà il significato e il valore di una morte?
Non conosco il contesto in cui Goethe ha collocato questo suo pensiero, non posso, quindi che usare il mio cervello per cercare di capire quello che scrivo. Lui sapeva quello che diceva. Un genio del pensiero che ha lasciato una traccia all’umanità. Io sono ben poca cosa di fronte ad un genio come lui. Adesso mi rendo conto di quanto sia significativa la frase che trovate in testa a questo mio blog: un luogo virtuale, ma anche reale, che ho scelto per cercare di capire quello che penso.
Mi rendo conto che non posso proseguire la scrittura di questo post, procedendo per metafore ed allusioni: devo cercare di capire se la morte di un uomo, che è stato un poeta, abbia anche un significato, sia come uomo che come poeta. Leggete la poesia che segue e poi mi direte se, con le metafore e le allusioni, si può spiegare non solo la vita, ma anche la morte:
"Poesia gratis"
Caro Nessuno,ho racimolato un'altra poesia - bugia di mestiere -per salutare il nostro ubbidiente perdere nubi
di sudore e di tempo, spesso in scorrerie d'ozioe talora su tastiera a spolverare dimora d'ostricacome intrattabili mendichi al centro di cose povereche dialogano con la sordità d'un eterno desiderio,fra increscioso fuoco di paglia e umore di sterpagliapoiché manco l'ombra di viaggio lirico c'è in cantiere.
Non preoccuparti di capirla, ma, se accadesse idealescempio del tuo istinto su tracce di perduranti pretese,prendila - piuttosto - come il più elementare soffiodi malinconia, che, di norma, non dovrebbe abbatterel'anima né corpo appesantire come fossero entrambiappartenenti a depressa tèrmite che, nelle sue camere,non riesce più a schizzare acido su intrusivi estranei;leggila come consonantico armonizzarsi del tuo doppiocol prezioso scorrimento di casualità, in simile negozio,quando vulcanizzanti abitudini impedirebbero transitodi prospettive a sviare l'approssimativo smarrimentoe tu, però, non vorresti dissimulare respiro d'orticané stendere velo pietoso su boccheggianti attese.
In quanto al resto, cioè se conservarla o gettarla,considera che pure questa è nata dal patto col nientee, dunque, qualsiasi scelta conterrebbe medesima penad'opera che mai avrebbe acquisito maggior valore.
Mario Raito
Qualche anno fa ebbi il piacere di conoscerlo di persona in un fugace incontro informale a casa sua. Solo pochi minuti di chiacchiere davanti ad un caffè, in compagnia di un altro poeta. Si era stabilito in Rete un rapporto continuo quando ci gratificava di periodiche poesie, “A gratis”, come amava dire. Conosco anche alcuni suoi testi poetici in formato cartaceo e confesso che la sua poesia ha una “sostanza” quanto mai difficile da digerire.
La parola "mistero" può, forse, aiutarci a comprendere sia l’uomo che il poeta. Poesia enigmatica e complessa, scrissi in un post sul mio blog. Mi sento di confermarlo oggi che Mario è scomparso in maniera per me, appunto, alquanto “misteriosa”. Avrei dovuto telefonargli dopo che lui aveva risposto su FB, in maniera tanto strana quanto poi premonitrice, ad un post che avevo pubblicato. Gli dissi che non mettevo un “like” a quanto aveva scritto, che la “cosa” non mi piaceva e che gli avrei telefonato. Non lo feci per varie ragioni e me ne pento, con rimorso. Forse le cose sarebbero potuto andare in maniera diversa. Resta ormai solo il ricordo della sua poesia, ma con grande dolore.
Ho avuto modo di vedere una clip video girata da un suo amico sui luoghi dove è prematuramente “scomparso”: una cosiddetta grotta di “Annibale” sui monti Lattari. L’avrebbe tradito la fatica e il caldo, secondo le notizie apparse anche sulla stampa locale. Luoghi che Mario conosceva, appassionato escursionista come si sentiva. Si sarebbe guardato bene dal sottovalutare i rischi che quella mattina stava correndo. Non era la prima volta che li frequentava, come non era la prima volta che esprimeva pensieri legati al “mistero” dell’essere e del vivere che lui ben conosceva sia come uomo che come poeta.
Mario era bravo a scolpire frasi minime, dense di “mistero” di cui era fatta la sua poesia. A cominciare dal primo verso "bocconi amari quotidiani inzuppati di spazio", per finire a "l'ego nella bottiglia". Sono tutte metafore, allegorie, epifànie, frasi minime che possono essere sviluppate, analizzate, riviste e rivissute per immagini e narrazioni, lasciate ad elaborare dalla libera fantasia di chi legge.
Come si fa ad "inzuppare" di spazio un boccone amaro, oppure inseguire in un immaginario deserto quei "predoni" superstiti di una misteriosa quanto indefinita avventura? Che dire poi di quel "brigantino dell'anima" che varca niente di meno che un "uscio del mare". Si può "decifrare un delirio" oppure "annusare furti di pensieri"? Mi chiedo come si possano "rapinare echi d'aria". Siete mai stati in montagna, e da valle a valle lanciare una parola alla quale segue un eco che si rifrange, come un'onda, di valle in valle, si allontana e poi ritorna e tu non puoi fare nulla per fermarla?
Mi immagino, invece, come possa essere un "nemico-sogno da scannare". Può essere una persona oppure un animale, un evento o un luogo che ti ossessiona e ti insegue per perseguirti senza una ragione. Quella, poi, della "insolita ignoranza da stimare" mi ha davvero sorpreso. Credevi di avere a che fare con uno stupido ignorante ed invece scopri che lui dimostra di saperne piu' di te e tu non puoi fare altro che stimare.
L'amore da calibrare, il vento da calcolare, il sogno da stuzzicare, le buche da colmare, i modelli di forca da progettare, la scoperta del sollievo segreto per evitare l'insocievole contagio verso un destino incolto sì, ma che ti lasci incolume nei virtuosi flutti teologali, per te che ti credi di poter sedere sul trono del tempo, tu che non ti accorgi, o caro lettore che leggi, che non hai piu' ideali da salvare perche' ormai il tuo ego e' chiuso in una bottiglia.
Ecco come il Poeta Mario Raito trattava chi legge le sue poesie. Il lettore si sente un sopravvissuto alla sua tempestosa poesia. Ah! questi beati poeti, tanto bravi a declinare le miserie degli uomini e del tempo e mai sicuri di dare un sorso di speranza, per una vita che resta difficile e vana. Vana sì, se vissuta soltanto per vivere di "bocconi" di materia … Leggete quest’altra poesia che pubblicai sempre su questo blog:   Poesia gratis
Bocconi amari inzuppati di spazio,come predoni a caccia di qualunque superstitesul brigantino dell’anima, sbucciano frutti d’avventuradavanti all’uscio del mare e, decifrandosi nel deliriodalle stoiche risonanze, annusano furto di pensieri,rapine di echi nell’aria e feroci monologhi arrotanoin veline d’impeto sanguigno dal gentilizio senza rilievo:dov’è il nemico-sogno da scannare, senza pietà?
Bocconi amari, buche subito da colmare,insolita ignoranza da stimare, vorace amore da calibraree pugni di vento da calcolare per immagini ora insabbiatecon la forza di chi dissipa qualcosa che mai più rivedrà:dov’è l'amico-sogno da stuzzicare, senza ridurlo in poltiglia?
Bocconi amari, tra modelli di forca e sollievo sempre ignoto,cui piace cedere al gioco dal così insocievole contagioper sentirsi sospesi a lottare e a innalzarsi fino all’impossibile,qui sussultare su corde di prua con tanto ritegno da investirenell’incolume e incolto destino e, pur peccando in elevazioneper brusco abbandono di ragioni, si sprecano inauditi anelitinei virtuosi flutti teologali, intorno al trono del tempo:dov'è l'ideale da salvare, senza chiudere l'ego in una bottiglia?
Caro Mario, mi dispiace molto che tu te ne sia voluto andare in questo modo. Nella “grotta di Annibale” poi, proprio non me l’aspettavo! Ci saremmo fatti una risata, se ci fossi stato anch’io. Invece, tu hai preferito farlo da solo quel rischioso sentiero. Tu, ai “misteri” ci credevi. Tu, in fondo, eri un “grande mistero”, sia come uomo che come poeta. La tua scomparsa resta un fatto di grande valore perché, per chi ti conosceva e ti voleva bene, sia come uomo che come poeta, come ha scritto Goethe, hai avuto un grande “significato”. “Farewell thee, dear Poet” ...
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Published on June 19, 2017 06:23

June 18, 2017

Review: Intervista su Dio

Intervista su Dio Intervista su Dio by Camillo Ruini
My rating: 4 of 5 stars

Fede & Ragione. L'eterno conflitto tra due identità, il tema di questo libro, scritto in una forma impropria: l'intervista. Mi rendo conto che nella mente sia dell'autore che dell'editore premeva l'intenzione di coinvolgere quanti più lettori possibili ad acquistarlo. Ma l'identità umana e l'identità religiosa non sono fatte per muoversi sullo stesso piano, pur appartenendo a tutti gli uomini.

Sia l'una che l'altra costituiscono, infatti, le ragioni del credere e del pensare in maniera individuale e soggettiva la propria esistenza. Si crea pertanto una situazione paradossale conflittuale. La verità è che con la ragione non si può spiegare la fede, così come la fede non ha nulla da condividere con la ragione.

Un tema così difficile non doveva essere trattato alla leggera, come di solito si fa in una intervista. Fatto è che l'illustre intervistato nelle sue risposte non si comporta come in genere parla un intervistato per un articolo di giornale. Nelle sue domande l'autore del libro si sforza di mettersi dalla parte di chi legge,cercando di porre domande all'altezza dei suoi interessi e capacità di comprensione. Ma non sempre ci riesce in quanto le risposte che il Cardinale Ruini dà non sono semplici nè tanto meno superficiali.

Le sue risposte non sono risposte religiose. Toccano sì, la religione ma in pratica si parla di filosofia, di teologia, di storia, di etica, di politica. Insomma, c'è una trasversalità culturale quanto mai ampia e profonda che fa della lettura un impegno per chi legge che va ben oltre una informale intervista. Prova ne sono i tanti libri a cui il libro fa riferimento nella ricca ed abbondante bibliografia che correda il volume.

Non sono un religioso, un filosofo, un teologo, sono soltanto un uomo comune che cerca di essere aiutato ad avere una fede senza fare a meno della ragione. Mi sembra che sia il giornalista che il cardinale non abbiano fatto molto per aiutarmi in questo mio intento di lettura. Colpa senza dubbio della mia ignoranza e sopratutto del fatto che ho letto il "libro-intervista" in versione Kindle.

Argomenti come questi vanno affrontati in maniera tradizionale, con il libro cartaceo. Devi avere tra le mani l'oggetto del contendere che poi non è cosa di poco conto se consideriamo che sono in gioco la realtà della nostra esistenza, le ragioni del perchè della nostra venuta al mondo e quelle della nostra altrettanto inspiegabile uscita.

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Published on June 18, 2017 11:54

L'arte di correggere



Ho inviato una lettera al quotidiano “La Verità” a commento di un interessante articolo firmato da Stefano Lorenzetto, direttore editoriale dello stesso giornale ed apprezzato scrittore. L’articolo riguarda quella che vien chiamata “La professione più ingrata al mondo: correggere gli altri. Scrivi “sé stesso” con l’accento e sarai odiato. La stampa è un museo di orrori. Ecco perchè “Der Spiegel” ha 80 giornalisti revisori.” 
Non mi è possibile riprodurre l’articolo nella sua interezza, è molto lungo, zeppo di nomi e riferimenti di natura squisitamente giornalistica, scritto dal punto di vista di chi fa o ha fatto della scrittura una questione di lavoro e di professione. I giornalisti, quelli veri e bravi, sono come i professori di lettere, quelli veri e bravi: pignoli, esigenti, rigidi sia nella grammatica che nella sintassi, quelle canoniche s’intende, non quelle controcorrente, creative, estranee alla cultura classica, chiuse in scatole immobili, congelate nel tempo. 
Ammirevole la loro intenzione, quella di difendere la propria lingua e la sua cultura. Reagiscono anche con veemenza ai cambiamenti, alle trasgressioni, ai forestierismi, alle invasioni ed usi linguistici impropri. Non accettano eccezioni, intendono restare immobili come colonne in difesa del tempo che è fuggito senza lasciare traccia e non si accorgono che quelle stesse colonne sono state sostituite dai “bits & bytes”
Non so se il giornale pubblicherà questa lettera. Nel frattempo io l’ho voluta rimandare a futura memoria ai miei diversi amici come Pasquale e Alberto coi quali in ambiente digitale mi capita di interagire. Buona lettura e fatevi un “Selfie”. Le cose cambiano, e come cambiano! Ecco il testo della lettera: 
Caro Direttore, 
bellissimo l’articolo di Stefano Lorenzetto sul giornale di oggi domenica. Viene voglia di scriverne un altro intitolato “L’arte di correggere”. Perché di questo si tratta. L’antico dissidio tra contenuto e forma. 
Ma è davvero un’arte quella di correggere? Mentre scrivo questa mail, il correttore automatico mi sottolinea “perchè” segnalandomi che c’è un errore di accento. Grave o acuto, lunga o breve, accentato o non accentato, con o senza apostrofe? 
Viviamo oggi in piena era tecnologica, nel trionfo del correttore automatico. Cellulari, iPhone, iPad… Le tastiere a nostra disposizione sono così svelte che non abbiamo neppure bisogno di guardarle. 
Possiamo digitare un messaggio a velocità record, senza particolare attenzione, dato che l’algoritmo del dispositivo va, modifica e corregge i nostri errori di scrittura. Già, si presume che corregga ... 
Ne so qualcosa io che scrivo su un Chromebook Toshiba. Se dimentico di inserire la tastiera italiana sono guai. Stessa cosa mia moglie. Non le dico quanti problemi ha avuto con il suo pc durante il suo corso online per studiare lo spagnolo. Una marea di accenti e segni diversi da impazzire. 
L’articolo di Lorenzetto ha fatto la gioia del mio antico amico di scuola media Pasquale. Oltre mezzo secolo fa eravamo nella stessa classe. Oggi siamo due “dinosauri”, io digitale, lui no. Lui divenne poi docente di lingua italiana e preside, mentre io trovai la mia “via di fuga” dalla scuola italiana studiando la lingua di Shakespeare e Mark Zuckerberg.  
Pasquale è stato sempre un gran pignolo sulla lingua: accenti e apostrofi, analisi e congiuntivi, protasi e apodosi. Io, figlio di un tipografo post gutenberghiano, ho avuto invece un rapporto privo di condizionamenti con le lettere di piombo che i compositori usavano nella composizione. 
Con quelle lettere di piombo ci giocavo, mi sporcavo le mani di inchiostro, non rappresentavano il canone della scrittura che avrei poi conosciuto in classe, e che mi avrebbe tormentato per tutta la vita, in quella scuola dell’immediato dopoguerra, in quel paese di provincia dell’Italia meridionale.  
Pasquale sarebbe poi diventato docente e preside, io avrei trovato la mia “via di fuga” in terra di Albione. Avrei letto e studiato per decenni in quella lingua, da questa avrei avuto modo di capire come una lingua non debba essere necessariamente una gabbia fisica e mentale per chi vuole comunicare in piena libertà, senza essere troppo condizionati dalla forma, dando piena libertà alla mente ed ai suoi pensieri. 
Perché così è la lingua inglese: flessibile, duttile, pragmatica, senza accenti e senza apostrofi. Si spiega come sia diventata “social”, cosa che tanto irrita il mio amico linguista Pasquale e in fondo anche Stefano Lorenzetto.
Che poi il settimanale tedesco “Der Spiegel” abbia 80 giornalisti revisori linguistici nella sua redazione non mi meraviglia più di tanto. Con quella lingua che si ritrova Angela Merkel, mi piace ricordare quello che ebbe modo di scrivere Mark Twain in proposito:
"In base ai miei studi di filologia sono arrivato alla conclusione che una persona dotata riesce ad imparare l'inglese (se si esclude l'ortografia e la pronuncia) in trenta ore, il francese in trenta giorni e il tedesco in trent'anni. È ovvio che la lingua tedesca ha bisogno di essere rimodellata e riparata. Se rimanesse così com'è dovrebbe essere accantonata, con dolcezza e riverenza, tra le lingue morte, perché solo i morti hanno tempo sufficiente per impararla". 
“Il mestiere più duro: correggere”, così ha presentato l’articolo di Lorenzetto il vostro titolista. Mark Twain, nel suo inglese realistico e flessibile, con il suo spietato senso di humour, avrebbe detto: “mi spiego le difficoltà che incontrano i tedeschi a correggere i nostri errori linguistici.” 
Mi rendo conto di avere forse esagerato nel commentare in questo modo un articolo che ho molto apprezzato e che mi ha fatto riflettere su come le lingue siano fatalmente destinate e modificarsi e cambiare sotto la continua pressione della informazione tecnologica. 
Il mio amico Pasquale non sarà molto convinto. Un “dinosauro” che si ostina a non diventare digitale, dovrà farsene una ragione. Come dice quella trasmissione sui “Selfie”? “Le cose cambiano, e come se cambiano!” 

Cordiali saluti
Antonio Gallo
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Published on June 18, 2017 11:52

MEDIUM

Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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