Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 128
October 8, 2017
Review: JOHN LENNON: Imagine: The True Story of a Music Legend

My rating: 4 of 5 stars
John Lennon lancia oggi, 8 ottobre 1971, la sua canzone "Imagine". Istinto, utopia, sogno, rivoluzione, cambiamento, provocazione caratterizza questa famosa poesia/canzone di John Lennon: "Imagine":
Immagina, nessun paradiso
Se ci provi è facile
Nessun inferno sotto di noi
Sopra di noi solo il cielo
Immagina tutta le gente
Che vive solo per l’oggi
Immagina, nessuna patria
Non è difficile
Nessuna ragione per uccidere o morire
Ed anche nessuna religione
Immagina la gente
Che vive in pace
Forse io sono un sognatore
Ma non sono il solo
Spero che un giorno vi unirete a noi
Ed il mondo sarà come un’unica entità
Immagina che non ci sia proprietà
Mi domando se sia possibile
Nessuna cupidigia o bramosia
Una fratellanza di uomini
Immagina tutta la gente
Condividere il mondo
Forse sono un sognatore
Ma non sono il solo
Spero che un giorno vi unirete a noi
Ed il mondo sarà come un’unica entità.
Non credo sia mai stata scritta una poesia/canzone più sentimentale, utopistica e provocatoria di questa. Tanto provocatoria da costargli la vita, come tutti sanno, per mano di un folle.
Una sorta di chiamata alle armi, alla rivoluzione, scritta nel 1971 quando la guerra del Vietnam ardeva di tutti i suoi possibili fuochi. Parole che afferrano i cuori dei giovani predisposti naturalmente al cambiamento.
Non soltanto un canto, una canzone, ma una "provocazione" tanto forte quanto utopica, da far pensare che tutto sia basato su una sostanziale ipocrisia. Pensare di eliminare il male senza considerare che senza di questo non può esistere il bene, resta la più grande ipocrisia della storia, continuamente ripetuta sotto tutte le bandiere della politica politicante.
Ogni persona di buon senso dovrebbe riflettere su come queste poesie, queste canzoni, queste idee abbiano affascinato per decenni tanti giovani illudendoli, portandoli a proporre loro un mondo simile, appunto, ad una "melassa". Con un eccesso di sentimentalismo sdolcinato, patetico, stucchevole, affatto costruttivo, soltanto ideologizzato, strumentalizzato politicamente, moralmente, socialmente non si governano i popoli.
"Cattivi maestri"? Forse, anzi certamente. Proprio quello che io, che "maestro" non mi sono mai considerato, ho cercato sempre di evitare di essere. Ho sempre voluto, invece, far comprendere ai miei studenti quanto sia importante usare il proprio cervello, la propria autonomia, la propria intelligenza per non diventare "melassa" e in essa finire affogati.
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Published on October 08, 2017 12:02
Review: Chesterton. La sostanza della fede

My rating: 4 of 5 stars
Le citazioni che seguono sono tratte da una intervista che l'autore del libro ha rilasciato a Giulia Tanel apparsa sul quotidiano "La Verità" in data 7 ottobre 2017. Un libro da non perdere!
"Chesterton sta diventando sempre più attuale in un mondo che disconosce il Cristianesimo, che quando non lo osteggia e lo combatte, lo ignora. Siamo in una società post cristiana e mentre gli esperti di pastorale si interrogano sulle metodologie più efficaci di annuncio, o di accompagnamento dell'uomo contemporaneo, Chesterton ci mostra come si può comunicare al mondo la bellezza, il bene, il buono, nonchè la fonte ultima dei valori, che è Dio. Una filosofia che si comunica con affabilità, con simpatia per il prossimo. Nel suo poema di esordio, "La Ballata del cavallo bianco", 100 anni fa scriveva: "Gli uomini dell'Est scrutano le stelle,/ per segnare gli eventi e i trionfi,/ ma gli uomini segnati dalla Croce di Cristo/ vanno lieti nel buio./ Gli uomini dell'Est studiano le pergamene,/ per conoscere i destini e la fama,/ ma gli uomini che hanno bevuto il sangue di Cristo/ vanno cantando di fronte alle ingiurie". Una profezia della condizione dei cristiani nella post modernità".
"La giovinezza di Chesterton fu per molti versi simile a quella di molti ragazzi di oggi: bullismo, senso di inadeguatezza, fallimento, fragilità, ricerca di un senso della vita. Tuttavia, come dice un proverbio irlandese, è meglio accendere una candela che maledire il buio. Gilbert trovò un appiglio nella speranza, che era la fede. Nel Libro di Giobbe trovò la narrazione di un dolore innocente, di sofferenze ingiuste. Ma quale sofferenza non lo è agli occhi di noi umani? Solo Dio può spiegare il mistero del dolore, e Gilbert scoprì un Dio che si fa presente e non ci abbandona, in nessuna circostanza. Tutto dunque ha un senso, e Chesterton da quel momento fece del suo lavoro di giornalista e scrittore un mezzo per comunicare questa realtà”.
“Chesterton si era assunto per tutto il corso della sua vita il compito di una difesa: di persone e cose concrete, del buon senso e della ragionevolezza. Difese la sostanza della fede, ovvero la concretezza, oltre che un grande patrimonio da non perdere, da non svalutare, da non sciupar, ma anzi da valorizzare. Fece proprio il compito che la chiesa ha da duemila anni: difendere e salvare l’uomo dal nulla e dalla distruzione”.
“Basta leggere Chesterton per comprendere che non si tratta di un giudizio enfatico o azzardato. Perfino un ateo come il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges diceva che Chesterton gli aveva regalato momenti di serenità unica. E’ vero: si fece difensore della fede, ma anzitutto scelse di difendere la ragione, se non addirittura il buon senso. Scrisse che il mondo moderno, prima ancora che subire un tracollo morale, ha subito un tracollo mentale. In effetti, le follie politiche ed ideologiche e lo stravolgimento dell’etica naturale hanno la loro radice in questa insensatezza, nella perdita di significato, nella liquidità umana del nostro tempo. C’è nulla che avanza, e Chesterton gli si oppone con coraggio”.
“Chesterton ci insegna che non si può stare alla finestra, non si può vivere con rassegnazione. Un’altra sua straordinaria espressione era questa: “Rompi le convenzioni, rispetta i comandamenti”. Bisogna avere il coraggio di andare controcorrente, di essere anticonformisti, di mantenere una mente ed una coscienza libera. Oggi invece assistiamo all’esatto contrario: una terrificante omologazione di comportamenti, di stili di vita, di pensiero, accompagnata da una grottesca trasgressione nei confronti dei comandamenti, ossia di quelle leggi che sono innanzitutto scritte nel cuore e nella coscienza degli uomini. Chesterton spese la sua vita per tutto questo, non disdegnando anche l’impegno in campo politico, fondando un movimento, il distributismo, la cua bandiera andrebbe alzata oggi”.
“Chesterton diede la più precisa definizione di tradizione. Per il grande inglese, infatti, la tradizione può essere definita come un’estensione del diritto politico. “Tradizione significa dare il voto alla più oscura di tutte le classi, quella dei nostri avi. I democratici respingono lidea che uno debba essere squalificato per il caso fortuito della sua nascita; la tradizione rifiuta l0idea della squalifica per il fatto accidentale della morte. La democrazia ci insegna di non trascurare l’opinione di un saggio, anche se è nostro servitore, la tradizione ci chiede di non trascurare l’opinione di un saggio anche se è nostro padre. Questo vale in campo politico ma. almeno oggi, ancor più in quello ecclesiale. Di fronte a certe velleità di rotture con la tradizione presenti nella Chiesa attuale, Chesterton richiama al valore della continuità e ci ammonisce a non buttare a mare un enorme patrimonio di saggezza per rincorrere il consenso e l’applauso del mondo”.
“La gioia che Chesterton esprime nelle sue opere, e che ci dice, è lo straordinario segreto del cristianesimo, non ha niente a che fare con una certa allegria beota. La sua è una gioia ben consapevole dell’esistenza del male e del dolore. Ma lo sguardo che Gilbert rivolge al mondo, anzi al creto, è uno sguardo pieno di gratitudine. Un ringraziamento a che ha tratto ogni cosa e ogni creatura dal nulla. Uno sguardo grato a chi ci salva. Questo è all’origine del suo stupore, della sua umiltà, del suo umorismo buono.”
“Chesterton diceva che la donna è una “bilanciatrice”: il suo è un lavoro generoso, pericoloso e romantico”. Le sue pagine sono piene di analisi penetranti e acute sulla differenza di attitudini, qualità, specificità e talenti presenti tra i due sessi. Una differenza che è complementarietà, ricchezza ed opportunità. Il pensiero di Chesterton, anche in questo caso rappresenta un efficacissimo antidoto contro il logorio delle ideologie contemporanee, che lavorano per una destrutturazione e dissoluzione dell’umano.”
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Published on October 08, 2017 12:01
October 5, 2017
Review: Papa Francesco: terra casa lavoro

My rating: 4 of 5 stars
"Il libro del compagno Bergoglio esce in edicola con "Il Manifesto". Così hanno diffuso la notizia sia chi pensa che Papa Francesco sia un "comunista", sia chi pensa che il "comunismo" abbia la sua idea centrale nel messaggio di Cristo di cui il Papa è il legittimo rappresentante in terra.
In un'epoca come la nostra, tutto fa brodo comunicativo, incentiva le vendite non solo dei giornali e delle riviste, ma facilita anche la diffusione delle idee politiche e delle credenze laiche o religiose. Se poi si aggiungono parole come "terra, casa, lavoro", il messaggio, oltre ad avere una risonanza planetaria, fa eco anche nelle antiche e gloriose stanze della storia umana.
Ho tra le mani questo libretto contenente tre tra i più rilevanti discorsi politici di Papa Francesco sulla lotta per l'eguaglianza e il diritto alla casa e al lavoro. Un documento ritenuto da molti fondamentale del nostro tempo. E' nota la vicinanza del Papa, venuto dall'altro capo del mondo, alle istanze sociali dei movimenti di base e popolari. In Vaticano se ne sentiva la necessità. Lo stesso pontefice intende, infatti, piantare la bandiera di questi movimenti, i quali hanno sempre ritenuto l'ideologia comunista essere un'idea sostanzialmente cristiana.
In diverse occasioni Francesco ha avuto modo di dire che "i comunisti sono i cristiani, sono gli altri che ci hanno rubato la nostra bandiera." Sicuramente quelli de "Il Manifesto", "quotidiano comunista", si sentiranno anche "cristiani", oggi che hanno pubblicato una edizione speciale del libro, originariamente edito da Ponte delle Grazie. "Tutto si tiene" sono soliti dire i francesi. In questo caso, l'operazione editoriale sembra soddisfare le diverse esigenze sia culturali che religiose, senza però perdere di vista quelle economiche.
Abbiamo tutti davanti agli occhi ancora oggi quella foto in cui venne ritratto Papa Francesco quando il presidente boliviano Evo Morales, nel 2015, gli consegnò quel crocifisso su falce e martello, un'opera d'arte ritenuta rispettosa delle migliaia di martiri cristiani uccisi dai vari regimi comunisti, data in omaggio a Francesco e ritenuta "un genere d'arte di protesta". Questi tre testi dei discorsi che "Il Manifesto" ha voluto offrire in lettura ai suoi lettori dimostrano la coerenza non solo culturale ma anche editoriale di un gruppo politico che fa il suo gioco e i suoi interessi ideologici, anche in nome di chi crede non solo in quella ideologia politica, ma anche in quella fede religiosa. C'è una convergenza di fini e di finalità.
Allo stesso modo, possiamo pensare del rapprentante di Cristo in terra: svolge il suo apostolato in nome della missione assegnatagli dalla storia. L'opzione preferenziale per i poveri va ritrovata nel messaggio evangelico e nel manifesto idelogico di radice storica. Sono stati molti i nomi di protagonisti sia politici che religiosi nella storia della chiesa di Roma i quali hanno riconosciuto una certa "religiosità" nell'ateismo marxista per la sua istanza liberatrice, se non addirittura una certa ascesi e una spinta comunitaria per una giusta soluzione del problema della povertà nel mondo.
Non dovremmo domenticare, però, l'azione di chi quella "ideologia", espressa in quel "manifesto", aveva conosciuto da vicino, sulla propria pelle. Il ricordo va ad un Papa polacco che la condannò come teologia della liberazione in salsa marxista. Il popolo di Dio va guidato dai pastori della chiesa non con il suo puro "istinto", o peggio, con le teorie di un politico e ideologo chiamato Karl Marx, ma con la dottrina di una legge morale di ispirazione ultraterrena. Nella presentazione del libro, la redazione de "Il Manifesto" ha scritto che "i tre discorsi di Papa Francesco qui raccolti sono un appello ai dannati della Terra del nuovo millennio".
Le tre T: "tierra", "techo", "trabajo" si segnalano per la loro semplicità linguistica e radicalità politica. A parere degli scrittori dell'unico ed intelligente giornale marxista rimasto in Italia, i discorsi indicano la strada scelta da questo Papa nella evoluzione tanto del suo pensiero politico quanto religioso della Chiesa. Credo che andranno delusi se pensano che Papa Francesco possa cadere nella trappola di questo loro pensiero che ha un sapore sia politico che ideologico. Francesco quando parla non pensa come un "comunista".
Il suo amore per i poveri è un amore per gli "ultimi", così come la si intende nel Vangelo. Lui non dimentica mai di essere un "gesuita". Mi permetto di interpretare questa sua decisione di pubblicare i suoi discorsi con il vestito de "Il manifesto" perchè "Il fine giustifica i mezzi". Chiamatemi scorretto, polemico e anche cinico, ma credo che questa sia la frase che ci aiuta a comprendere questa decisione.
Una citazione con la quale si è voluto esprimere l’atteggiamento pratico caratteristico sia del machiavellismo che del gesuitismo, sebbene né il Machiavelli né alcuno scrittore gesuita l’abbiano formulata in questa forma (si legge bensì nel Principe del Machiavelli, cap. XVIII: «nelle azioni di tutti gli uomini, e massime de’ Principi ... si guarda al fine ... I mezzi saranno sempre iudicati onorevoli e da ciascuno lodati»). Anche se Francesco avesse queste intenzioni, nessuno può negare che le stesse sono intenzioni onorevoli e da lodare. Ha avuto il coraggio di andare a casa del "diavolo" e gli ha detto di convertirsi.
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Published on October 05, 2017 07:36
Review: On Bullshit

My rating: 3 of 5 stars
Il testo che segue è la recensione che ho fatto a questo libro nella versione Kindle in lingua inglese, e che ho poi, come al solito ho inviato ad Amazon per la pubblicazione. Me l'hanno respinta facendomi sapere che non era consona alle linee guida. Non ho ben compreso cosa io abbia scritto "fuori dal seminato", come si suol dire. Forse l'ho fatta "fuori dal vaso", è il caso di dire. Ma io non posso farci nulla: se l'oggetto del libro sono gli "escrementi" che giornalmente gli esseri umani producono, e il lessico li chiama in quel modo, sia in inglese che in italiano, (esiste la versione italiana del libro il cui titolo è "Stronzate") come anche in qualsiasi altra lingua, non vedo cosa ci sia di non conforme alle regole della comunicazione. Forse non è vero che questa stessa comunicazione sia molto più spesso fatta di "escrementi" che di "senso"? Se è così, allora Amazon mi deve spiegare come mai non ha scrupoli a vendere il libro sia come "bullshit" che come "stronzate". Allora aveva ragione Svetonio, duemila anni orsono, a scrivere "pecunia non olet". Totò avrebbe detto: "Ma mi faccia il piacere!!!..."
---
"Che sia di toro o altri animali, sempre "escrementi" mentali sono gran parte delle chiacchiere che ogni giorno siamo costretti a sentire e, ahimè, anche produrre. Perché, diciamocelo chiaramente, tutti diciamo "stronzate", inutile nasconderlo. L'incolto e l'inclito, il ricco o il povero, il presidente o l'analfabeta, secondo l'illustre autore di questo libro, Harry G. Frankfurt, tutti siamo costretti a fronteggiare il vero, il falso vero, la menzogna, le bugie o le bufale. Basta intendersi sulla parola da usare, oltre che la situazione in cui uno può trovarsi. Una cosa importante, però, va detta, e che l'autore del libro, ha evitato di dire. Va bene che il suo libro ormai ha quasi una ventina d'anni. La logorrea digitale non aveva ancora raggiunto i vertici attuali, lo scrittore non poteva prevedere quanta "fuffa" o "aria fritta" sarebbe stata trasformata da cartacea in digitale in pochi anni. Mi piacerebbe sapere cosa avrebbe pensato e scritto una volta saputo della decisione di Twitter di raddoppiare le battute di scrittura su questo social. Giustamente, qualcuno ha scritto che adesso sarà possibile raccontare "stronzate" in 280 parole meglio di quanto si potesse fare in 140. Sia come sia, nessuna filosofia, legge, ideologia o politica, potrà mai negare che le "bullshit", o meglio le " stronzate" hanno una loro insostenibile leggerezza di cui nessuno può fare a meno."
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Published on October 05, 2017 05:25
"Il Manifesto" di Francesco

In un'epoca come la nostra, tutto fa brodo comunicativo, incentiva le vendite non solo dei giornali e delle riviste, ma facilita anche la diffusione delle idee politiche e delle credenze laiche o religiose. Se poi si aggiungono parole come "terra, casa, lavoro", il messaggio, oltre ad avere una risonanza planetaria, fa eco anche nelle antiche e gloriose stanze della storia umana.
Ho tra le mani questo libretto contenente tre tra i più rilevanti discorsi politici di Papa Francesco sulla lotta per l'eguaglianza e il diritto alla casa e al lavoro. Un documento ritenuto da molti fondamentale del nostro tempo. E' nota la vicinanza del Papa, venuto dall'altro capo del mondo, alle istanze sociali dei movimenti di base e popolari. In Vaticano se ne sentiva la necessità. Lo stesso pontefice intende, infatti, piantare la bandiera di questi movimenti, i quali hanno sempre ritenuto l'ideologia comunista essere un'idea sostanzialmente cristiana.
In diverse occasioni Francesco ha avuto modo di dire che "i comunisti sono i cristiani, sono gli altri che ci hanno rubato la nostra bandiera." Sicuramente quelli de "Il Manifesto", "quotidiano comunista", si sentiranno anche "cristiani", oggi che hanno pubblicato una edizione speciale del libro, originariamente edito da Ponte delle Grazie. "Tutto si tiene" sono soliti dire i francesi. In questo caso, l'operazione editoriale sembra soddisfare le diverse esigenze sia culturali che religiose, senza però perdere di vista quelle economiche.
Abbiamo tutti davanti agli occhi ancora oggi quella foto in cui venne ritratto Papa Francesco quando il presidente boliviano Evo Morales, nel 2015, gli consegnò quel crocifisso su falce e martello, un'opera d'arte ritenuta rispettosa delle migliaia di martiri cristiani uccisi dai vari regimi comunisti, data in omaggio a Francesco e ritenuta "un genere d'arte di protesta". Questi tre testi dei discorsi che "Il Manifesto" ha voluto offrire in lettura ai suoi lettori dimostrano la coerenza non solo culturale ma anche editoriale di un gruppo politico che fa il suo gioco e i suoi interessi ideologici, anche in nome di chi crede non solo in quella ideologia politica, ma anche in quella fede religiosa. C'è una convergenza di fini e di finalità.
Allo stesso modo, possiamo pensare del rapprentante di Cristo in terra: svolge il suo apostolato in nome della missione assegnatagli dalla storia. L'opzione preferenziale per i poveri va ritrovata nel messaggio evangelico e nel manifesto idelogico di radice storica. Sono stati molti i nomi di protagonisti sia politici che religiosi nella storia della chiesa di Roma i quali hanno riconosciuto una certa "religiosità" nell'ateismo marxista per la sua istanza liberatrice, se non addirittura una certa ascesi e una spinta comunitaria per una giusta soluzione del problema della povertà nel mondo.
Non dovremmo domenticare, però, l'azione di chi quella "ideologia", espressa in quel "manifesto", aveva conosciuto da vicino, sulla propria pelle. Il ricordo va ad un Papa polacco che la condannò come teologia della liberazione in salsa marxista. Il popolo di Dio va guidato dai pastori della chiesa non con il suo puro "istinto", o peggio, con le teorie di un politico e ideologo chiamato Karl Marx, ma con la dottrina di una legge morale di ispirazione ultraterrena. Nella presentazione del libro, la redazione de "Il Manifesto" ha scritto che "i tre discorsi di Papa Francesco qui raccolti sono un appello ai dannati della Terra del nuovo millennio".
Le tre T: "tierra", "techo", "trabajo" si segnalano per la loro semplicità linguistica e radicalità politica. A parere degli scrittori dell'unico ed intelligente giornale marxista rimasto in Italia, i discorsi indicano la strada scelta da questo Papa nella evoluzione tanto del suo pensiero politico quanto religioso della Chiesa. Credo che andranno delusi se pensano che Papa Francesco possa cadere nella trappola di questo loro pensiero che ha un sapore sia politico che ideologico. Francesco quando parla non pensa come un "comunista".
Il suo amore per i poveri è un amore per gli "ultimi", così come la si intende nel Vangelo. Lui non dimentica mai di essere un "gesuita". Mi permetto di interpretare questa sua decisione di pubblicare i suoi discorsi con il vestito de "Il manifesto" perchè "Il fine giustifica i mezzi". Chiamatemi scorretto, polemico e anche cinico, ma credo che questa sia la frase che ci aiuta a comprendere questa decisione.
Una citazione con la quale si è voluto esprimere l’atteggiamento pratico caratteristico sia del machiavellismo che del gesuitismo, sebbene né il Machiavelli né alcuno scrittore gesuita l’abbiano formulata in questa forma (si legge bensì nel Principe del Machiavelli, cap. XVIII: «nelle azioni di tutti gli uomini, e massime de’ Principi ... si guarda al fine ... I mezzi saranno sempre iudicati onorevoli e da ciascuno lodati»). Anche se Francesco avesse queste intenzioni, nessuno può negare che le stesse sono intenzioni onorevoli e da lodare. Ha avuto il coraggio di andare a casa del "diavolo" e gli ha detto di convertirsi.

Published on October 05, 2017 05:24
September 27, 2017
La scrittura inutile

Forse il titolo è troppo forzato, ma credo che rispecchi la realtà. La durata della connessione-lettura ad una pagina web, nel migliore dei casi, non supera i trenta secondi. Bisogna essere non solo particolarmente veloci nella lettura per arrivare alla conclusione del primo paragrafo. E’ importante anche che chi legge sia interessato all’argomento. Può anche accadere che si conosca chi scrive ed allora l’interesse del lettore aumenta.
Non bisogna essere delusi o illusi, la realtà è questa. Data l’infinita quantità di materiale presente in rete, una “realtà liquida” che scorre inesorabilmente 24 ore su 24, una vera e propria alluvione incontrollata ed incontrollabile. Non è una questione di attenzione per i contenuti, non è colpa di chi scrive. L’uso del web ci ha fatto diventare tutti più veloci e ricettivi a discapito della lentezza, ma anche della riflessione, elementi entrambi decisivi per affrontare contenuti complessi.
La cosa curiosa, però, è che gli “scrittori” fioriscono come funghi. Le "scritture" in rete fioriscono in tutte le stagioni, per ogni tipo di argomento, in tutte le possibili forme che il digitale offre: parole, suoni ed immagini. La ragione di questo va ritrovata nel fatto che la scrittura ha assunto una funzione senza dubbio terapeutica.
Tutti concordano sul fatto che scrivere porta benessere, soprattutto per chi scrive. Chi comincia non ne può più fare a meno. Scrivere migliora la capacità di introspezione, mette ordine nei pensieri e genera una narrazione, uno “storytelling” per dirla con una parola alla moda, che completa la propria personalità, affina il proprio “business”, aumenta la creatività e gli interessi.
Lo “storytelling” è uno strumento di persuasione, comunicazione ma soprattutto di riflessione. E' in grado cioè di interpretare la realtà e costruire significati. Questo lo verifichiamo ogni volta che scriviamo. Da un'idea confusa, nasce un concetto, un progetto mentre si scrive. Io personalmente non so quasi mai dove andrò a parare una volta che mi sono messo alla tastiera. Se provo ad usare la penna, incontro difficoltà impreviste ed impensabili quando non c’era, non dico il pc, ma nemmeno la macchina da scrivere.
Il mio pensiero va a quando, ragazzino, nella tipografia paterna osservavo i compositori i quali dai grandi cassettoni delle lettere di piombo, le prendevano una ad una e componevano la riga sul tipometro. Riga dopo riga, davano poi vita alla “forma”, la quale, messa in macchina, opportunamente inchiostrata, generava la pagina.
Adesso io, con le mie dita sulla tastiera, in maniera veloce e dinamica, in poche battute, dò vita alla pagina, andando dritto al cuore della comunicazione, quello del “senso” della scrittura, e la propongo al lettore, in tempo reale, superando spazio e tempo.
Essa rimane nel tempo e si allunga nello spazio infinito della rete. Vi pare poco? Ma se la scrittura è terapeutica, liberatoria e libertaria, la stessa diventa del tutto inutile se non diventa lettura. In un prossimo post mi occuperò della sua importanza.

Published on September 27, 2017 07:05
Review: The Rise and Fall of Adam and Eve

My rating: 4 of 5 stars
La storia, la leggenda, il mito, chiamatelo come volete, il racconto di “Adamo ed Eva” serve sia come punto di arrivo che di partenza, per prendere in considerazione la storia della condizione umana. A pensarci bene, la vicenda dei nostri progenitori segnò allo stesso tempo, una fine ed un principio, creando la sintesi per ogni vita vissuta in quel lasso di tempo. La fine di uno “status” poi definitivamente perduto, ma segnò anche il tempo di quando gli uomini (e le donne!) divennero non solo agenti sessuali e intelligenti, capaci di pensare e di creare, ma anche di dover accettare una condizione di provvisorietà esistenziale, confrontarsi cioè con quello che viene chiamato “il fine vita”, senza aver saputo o capito nulla, o quasi, del senso, del significato di quell’inizio e quella fine. Restano intatte le ragioni di quella curiosità che portò alla disobbedienza.
Tutto sommato, per sapere poi cosa? L’autore di questo libro non risolve il problema, non riesce a dare una risposta a questi interrogativi e le cose restano come sono da quando tutto cominciò. Noi continuiamo a non sapere e a non capire. E’ chiaro che, se la storia di Adamo ed Eva andò veramente come la conosciamo, ci fu qualcosa che tra i due e il loro Creatore che non funzionò. Segnò la loro “fine”, nel senso che da “immortali” che erano stati destinati ad essere, “uscirono” dall’eternità ed “entrarono” nel tempo. Divennero “mortali”.
A noi, uomini del XXI secolo, non resta altro da fare che sperare in una futura immortalità, magari proveniente dalla moderna tecnologia. L’ “uomo dio” riuscirà a rimettere in sesto il tempo, oppure si perderà ancora una volta nella nebbia del tempo come non si stanca mai di predicare da tre millenni Qoelet?
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Published on September 27, 2017 05:44
Review: Essayism

My rating: 3 of 5 stars
Non dimenticherò mai il mio primo incontro con la forma letteraria chiamata “saggio”. Era un’antologia contenente scritti di questo tipo del settecento inglese. Mi colpirono due in particolare scritti nel 1701, uno intitolato "Meditation upon a broomstick" - "Meditazioni su un manico di scopa" e l’altro “An Essay on fan” - “Un saggio sul ventaglio”.
Il primo era del canonico irlandese Jonathan Swift, uno dei più famosi saggisti inglesi, il secondo di Joseph Addison, uno dei fondatori non solo del saggio letterario ma anche del giornalismo moderno. Oggi sarebbero due grandi firme di libri di saggistica legati ad argomenti giornalistici meritevoli di approfondimento e passati dall’editoria moderna, cartacea o digitale, come saggi di approfondimento.
Non ho mai dimenticato la perplessità che provai a quel tempo per questo tipo di scrittura. In effetti, i saggi erano satire come solo Swift, l'autore dei "Viaggi di Gulliver" e Addison, fondatore del moderno “magazine”, avrebbero saputo scrivere. Questo libro di Brian Dillon è tutto teso a dimostrare che questa forma letteraria è quanto mai viva ed attiva anche se spesso ci si continua chiedere cosa sia esattamente un saggio. Aldous Huxley lo definì “una dannata cosa dopo l’altra”. Virginia Woolf sostenne che il suo scopo era “dare piacere”, anche se il piacere di qualcuno può essere un dispiacere per qualche altro.
Ci sono innumerevoli tipi di saggi. La stessa idea di scrittura può assumere nomi diversi come memorie, ricordi, pensieri. La forma può essere tanto personale, quanto impersonale. Nel primo caso, alla sua base, ci deve essere l’idea di verità personalizzata presentata al lettore come verità condivisa ed oggettiva. A dire il vero Dillon dice chiaramente di non sapere cosa scrivere e come scrivere del “saggio”, visto e considerato che questa forma di scrittura, nel corso dei secoli, e nella storia della comunicazione scritta, trasferita da quella orale, ha assunto varie e diverse forme.
Scrivere un saggio sui saggi, presenta una chiara difficoltà, anche in considerazione del fatto che nello stesso titolo del libro, Dillon dichiara di voler occuparsi non tanto del “saggio”, quanto del “saggismo”. Dal latino “exagium” - sop-pesare - e “examen” - controllare, considerare, sciamare -. Il saggio, lui scrive, ha facce diverse. Oscilla tra leggerezza e pesantezza. Tra i saggisti “leggeri” vanno annoverati Oscar Wilde, Italo Calvino, Georges Perec. Dillon, piuttosto che privilegiare un genere, pensa che sia meglio scegliere un comportamento “obliquo”, una scrittura cioè che proceda per obiettivi.
Ed infatti, nel suo libro, egli categorizza questa forma di scrittura, personalizzando le idee di chi scrive per adattarle a quello che cerca o vuole il lettore. Egli cosi dedica sezioni diversificate per interessi: l’ansia, la dispersione, la consolazione, il gusto, la malinconia, il frammento, la coerenza, l’io, l’attenzione, la curiosità. Questo mi fa ricordare che in francese la parola “essai” significa "tentativo, prova". Ogni scritto, allora è tale, un cercare di capire, prima se stessi e quindi gli altri.
La scrittura ideale del saggio non deve essere mai lineare, ma informe, incerta, misteriosa, nel senso che chi legge non sa mai dove si vuole arrivare. Va bene una abbondanza di citazioni, il tono sia scettico, ma mai troppo cinico o negativo. Bisogna sapere interessarsi di tutto, e sapere farlo credere a chi legge. Il motto dovrebbe essere quello di Montaigne: "Cosa so?" Questo atteggiamento porta il saggista ideale ad essere un sostenitore del pensiero libero.
Egli non si inganna e non intende ingannare chi legge. Scrive in un modo sempre piacevole e sembra che si diverta sempre di quello che dice, delle sue leggerezze, delle sue osservazioni intelligenti e delle sue stupidità. I saggi di Montaigne non vanno letti con metodo, perchè lui scrive senza metodo. Logico che sia stato così. Scriveva per capire se stesso. E’ quanto mi sforzo di fare anche io. Non so se ci riesco e se mai ci riuscirò. La lettura del libro Brian Dillon non mi ha convinto molto.
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Published on September 27, 2017 05:44
September 22, 2017
Che cos'è un nome, anzi un cognome?

Ogni nome ha una storia diversa, tutti dovrebbero poter narrare la propria storia di famiglia, nel tempo e nello spazio, come ha fatto l’autore di questo interessante libro. In apparenza potrebbe sembrare uno dei tanti libri che si occupano di microstoria personale o sociale.
A chi non piace andare alla ricerca del tempo perduto? Chi non amerebbe far viaggiare la freccia del tempo all’indietro, per aggiustare qualcosa di sbagliato, incontrare qualcuno perduto con gli anni trascorsi veloci. Chi non amerebbe rivivere in quel tempo e quello spazio magicamente ritrovati, quei momenti sfumati nelle nuvole della vita?
In questo libro scorrono nomi di persone e nuclei familiari che hanno lo stesso cognome, anche con le modifiche apportate nelle varie situazioni vissute. Nomi che emergono non “come ombre troppo lunghe del nostro breve corpo”, così direbbe il poeta quando parla dei ricordi, ma come persone e presenze vive, anche a distanza di un millennio. L’autore le scova tra carte ammuffite in archivi esclusivi e biblioteche rivisitate, riportando alla luce, frammenti di storia che non sono rottami o schegge del tempo. Sono tasselli che, l’uno dopo l’altro, concorrono a completare il mosaico narrativo che si è proposto nel suo progetto di recupero di un’identità personale e collettiva. Non soltanto la sua, quindi, ma anche quella di tanti altri che portano il suo stesso nome-cognome.
Roberto Frecentese non è solo un docente, è anche uno studioso, un archivista paleografo, con una lunga e documentata esperienza professionale. Ha voluto intraprendere lo studio della storia millenaria di quel “nome” e anche quella delle tante altre famiglie che , in un modo od un altro, a questo ceppo si collegano ed in questa identità si ritrovano. Hanno le loro radici in un documento risalente esattamente a mille anni orsono, l’anno 1017 in cui figura un Giovanni Frecentese del tempo. Un casato che si afferma nei campi del commercio ed in quello della carta in particolare, diventando famiglia patrizia di Sarno, Amalfi e Napoli. Uno studio che prevede un’articolazione complessa di cui questo primo volume di oltre trecento pagine segna l’inizio.
A dire il vero tutto sembra aver principio con un precedente volume del 2012 per le edizioni “Phasar” nel quale il Frecentese affronta la storia della famiglia Frecentese dal ramo di Santa Maria Capua Vetere. Nel libro sono ricostruiti per la prima volta attività economiche, personaggi, parentele, legami sociali e cultuali, curiosità, genealogie (Sarno, Amalfi, Napoli, Nola, S. Maria Capua Vetere, Vallo della Lucania, Laurino, Torre Annunziata) con l’ausilio delle fonti d’archivio. Se si scorre la lunga e dettagliata lista degli interessi e delle pubblicazioni di questo studioso, si potrà capire perchè Giovanni Romeo, autorevole professore di Storia Moderna dell’Università di Napoli, nella presentazione del libro ha scritto testualmente:
“E’ di questi aspetti quotidiani delle esperienze di archivio che viene di pensare mentre si legge il primo dei tre volumi che Roberto Frecentese ha deciso di dedicare alla storia millenaria della sua famiglia. Siamo, è vero, molto lontani dall’orizzonte circoscritto che spinge tante persone a tentare di recuperare negli archivi schegge anche minute ed episodiche dei propri antenati. La partecipazione e l’affetto con cui l’autore le ha cercate, pur evidenti in ogni pagina, non gli hanno impedito di concepire e realizzare una ricerca impegnativa, se non temeraria, con una padronanza delle fonti e degli strumenti del mestiere che stupisce.”
L’aggettivo è quello: “temerario”, e si riferisce allo studio di cui stiamo parlando. Detto da chi la Storia la conosce per davvero, non può che confortare ed inorgoglire lo studioso Roberto Frecentese il quale ha voluto estendere la sua “temerarietà” ben oltre i confini limitati del meridione d’Italia. I Frecentese, infatti, nel corso dei secoli si sono trapiantati dappertutto nel mondo: U.S.A. Argentina, Brasile, Australia.
Per questa ragione il volume propone al lettore di altre lingue e destinazione, di fianco ai canonici undici capitoli di cui è fatto il libro, altrettanti “abstract” in lingua inglese. Da una parte all’altra degli oceani, quindi, i Frecentese avranno modo non solo di leggere la loro storia ma anche l’occasione di incontrarsi e festeggiare in questi giorni un evento davvero unico nella Città di Sarno, in occasione della presentazione del libro. Un evento che soltanto la microstoria riesce a costruire. Perchè di questo si tratta: questo libro è un perfetto esempio di quella pratica storiografica che porta questo nome.
Non è un caso che il libro venga presentato nella Città di Sarno che sembra avere una lunga ed anche interessante tradizione di scrittura legata a questo tipo di scrittura. Sono tanti, se non molti gli scrittori sarnesi che si dedicano alla memoria storica di cui giustamente parla nella prefazione al volume l’avv. Gaetano Ferrentino, Vice Sindaco del Comune di Sarno:
“Il valore dei Frecentese viene ricostruito e recuperato dalla polvere del tempo come atto d’amore per restituire alla dignità della Storia la memoria di questa “gens”.
Perchè questo è, appunto, il senso della microstoria che dà valore ad una ricerca come questa. La storia veramente significativa non deve ridursi ad essere una mera attività che interpreta testi ed eventi. Al centro del lavoro dello storico dovrebbe esserci piuttosto la ricerca della verità relativa al modo conflittuale e attivo degli uomini di agire nel mondo. “Un paradigma imperniato sulla conoscenza dell’individuale che non rinunci a una descrizione formale e a una conoscenza scientifica anche dell’individuale”, come bene è stato definito.
“L’individuale, infatti, il fatto anomalo, l’emergenza, l’avvenimento, ma anche una rete di relazioni, una congiuntura, una logica di transazione, un sistema di credenze, una identità di gruppo, piccolo o grande che sia, non deve mai perdere la possibilità di essere inserito in un’ottica comparativa che lo renda controllabile; e solo alti livelli di formalizzazione consapevole ne consentono, attraverso la comparabilità appunto, l’aggancio alla realtà dei fatti e l’emersione dal magma dei racconti. È per questa ragione che, in ambito microstorico, è tanto importante la nozione di contesto con un significato “formale, comparativo, fatto dall’inserimento di un avvenimento, comportamento o concetto nella serie di avvenimenti, comportamenti, concetti simili, anche se lontani nello spazio e nel tempo.”
Mi basta questo breve stralcio di una lunga ed elaborata citazione della prof.ssa Ida Fazio, che insegna storia economica nell'Università di Palermo, nella sua definizione di “Microstoria” così come descritta in “Studiculturali.it” qui al link per comprendere meglio l’importanza del lavoro svolto da Roberto Frecentese. A questo scritto rimando il lettore che eventualmente desidera approfondire l’argomento nel suo giusto contesto storiografico. Mi piace qui riportare la citazione con la quale il Frecentese chiude la presentazione del suo lavoro:
“Interrompere i fili che legano passato e presente e le generazioni tra di loro è un danno enorme per l’umanità. Puntare solo al presente, come se non derivasse da nulla, è come interrompere il flusso dell’acqua che sgorga dalla sorgente e lasciarla impaludare senza più renderla capace di ricevere e senza più consentirle di raggiungere l’infinito, L’acqua simbolicamente rappresenta l’inconscio che alimenta la vita conscia e influisce su di essa. Fermare il flusso è bloccare la vita stessa. Il passato ci invita alla riflessione, alla comprensione e a dilatare la conoscenza. Nel tempo della comunicazione leggera e veloce si rischia di perdere il fattore umano, che ha in sè quali elementi costituenti per l’appunto profondità e riflessione. L’essere umano è tale se si riconosce all’interno di una storia più grande e più lontana e aspira all’infinito”.
Un messaggio chiaro, oltre che un esempio, per chi intende raccontare eventi storici che accadono sotto la spinta di sentimenti, credenze, motivazioni che scaturiscono in contesti storici costruiti dall’intreccio di visioni parziali ed individuali, razionalità limitate, transazioni provvisorie, conflitti, negoziazioni, all’interno di classi, corporazioni, mercati, parentele ed interessi pubblici e privati. La microstoria vuole intendere questi eventi come pratiche, che siano sociali, economiche o culturali: comportamenti orientati dal progetto, plasmati dalla disponibilità di risorse, sia materiali che simboliche, e limitati dalla parzialità delle informazioni, capaci di modellare le norme e di esserne a loro volta modellate, profondamente calate nella dimensione collettiva pur essendo identificabili come soggettive, talvolta contraddittorie, ambigue.
Mi sembra che tutto questo risulti in maniera chiara dalla descrizione che fa Roberto Frecentese di questi eventi che definisco “movimenti di vita” nel corso di un millennio. Come centinaia e centinaia di realtà umane, con lo stesso nome, in maniera, condizioni e sotto cieli diversi, si siano confrontati con se stessi e con quei frammenti, quelle “schegge” di vita, come le ha definite il prof. Romeo. Sta alla microstoria saper metterle insieme e dare un senso al tutto. Roberto Frecentese lo ha fatto e lascia una traccia e noi rimaniamo in attesa degli altri due tomi del suo prezioso lavoro.
P. S. Questo blogger desidera ringraziare Michele Frecentese della frazione di Episcopio di Sarno, con il quale ha il piacere di essere amico, per avergli fornito tutte le informazioni utili alla stesura di questo post. A lui ed alla sua famiglia spetta il compito di conservare degnamente la continuità sarnese del nome e la identità della famiglia per il secondo millennio.

Published on September 22, 2017 03:18
Review: Mille anni (1017-2017) Storia della famiglia Frecentese vol.I - dal X al XVII secolo

My rating: 4 of 5 stars
Che cos’è un nome? si chiede Giulietta. Montecchi o Capuleti, che differenza fa, quando ci si ama? La stessa domanda sembra si possa chiedere chi ha tra le mani un libro come questo che si occupa di un nome, anzi di un cognome, quello di una famiglia che ha una storia lunga un millennio. Un nome come un altro, non fa la differenza. Eppure i nomi non sembrano essere tutti uguali.
Ogni nome ha una storia diversa, tutti dovrebbero poter narrare la propria storia di famiglia, nel tempo e nello spazio, come ha fatto l’autore di questo interessante libro. In apparenza potrebbe sembrare uno dei tanti libri che si occupano di microstoria personale o sociale. A chi non piace andare alla ricerca del tempo perduto? Chi non amerebbe far viaggiare la freccia del tempo all’indietro, per aggiustare qualcosa di sbagliato, incontrare qualcuno perduto con gli anni trascorsi veloci. Chi non amerebbe rivivere in quel tempo e quello spazio magicamente ritrovati, quei momenti sfumati nelle nuvole della vita?
In questo libro scorrono nomi di persone e nuclei familiari che hanno lo stesso cognome, anche con le modifiche apportate nelle varie situazioni vissute. Nomi che emergono non “come ombre troppo lunghe del nostro breve corpo”, così direbbe il poeta quando parla dei ricordi, ma come persone e presenze vive, anche a distanza di un millennio. L’autore le scova tra carte ammuffite in archivi esclusivi e biblioteche rivisitate, riportando alla luce, frammenti di storia che non sono rottami o schegge del tempo. Sono tasselli che, l’uno dopo l’altro, concorrono a completare il mosaico narrativo che si è proposto nel suo progetto di recupero di un’identità personale e collettiva. Non soltanto la sua, quindi, ma anche quella di tanti altri che portano il suo stesso nome-cognome.
Roberto Frecentese non è solo un docente, è anche uno studioso, un archivista paleografo, con una lunga e documentata esperienza professionale. Ha voluto intraprendere lo studio della storia millenaria di quel “nome” e anche quella delle tante altre famiglie che , in un modo od un altro, a questo ceppo si collegano ed in questa identità si ritrovano. Hanno le loro radici in un documento risalente esattamente a mille anni orsono, l’anno 1017 in cui figura un Giovanni Frecentese del tempo. Un casato che si afferma nei campi del commercio ed in quello della carta in particolare, diventando famiglia patrizia di Sarno, Amalfi e Napoli. Uno studio che prevede un’articolazione complessa di cui questo primo volume di oltre trecento pagine segna l’inizio.
A dire il vero tutto sembra aver principio con un precedente volume del 2012 per le edizioni “Phasar” nel quale il Frecentese affronta la storia della famiglia Frecentese dal ramo di Santa Maria Capua Vetere. Nel libro sono ricostruiti per la prima volta attività economiche, personaggi, parentele, legami sociali e cultuali, curiosità, genealogie (Sarno, Amalfi, Napoli, Nola, S. Maria Capua Vetere, Vallo della Lucania, Laurino, Torre Annunziata) con l’ausilio delle fonti d’archivio. Se si scorre la lunga e dettagliata lista degli interessi e delle pubblicazioni di questo studioso, si potrà capire perchè Giovanni Romeo, autorevole professore di Storia Moderna dell’Università di Napoli, nella presentazione del libro ha scritto testualmente:
“E’ di questi aspetti quotidiani delle esperienze di archivio che viene di pensare mentre si legge il primo dei tre volumi che Roberto Frecentese ha deciso di dedicare alla storia millenaria della sua famiglia. Siamo, è vero, molto lontani dall’orizzonte circoscritto che spinge tante persone a tentare di recuperare negli archivi schegge anche minute ed episodiche dei propri antenati. La partecipazione e l’affetto con cui l’autore le ha cercate, pur evidenti in ogni pagina, non gli hanno impedito di concepire e realizzare una ricerca impegnativa, se non temeraria, con una padronanza delle fonti e degli strumenti del mestiere che stupisce.”
L’aggettivo è quello: “temerario”, e si riferisce allo studio di cui stiamo parlando. Detto da chi la Storia la conosce per davvero, non può che confortare ed inorgoglire lo studioso Roberto Frecentese il quale ha voluto estendere la sua “temerarietà” ben oltre i confini limitati del meridione d’Italia. I Frecentese, infatti, nel corso dei secoli si sono trapiantati dappertutto nel mondo: U.S.A. Argentina, Brasile, Australia.
Per questa ragione il volume propone al lettore di altre lingue e destinazione, di fianco ai canonici undici capitoli di cui è fatto il libro, altrettanti “abstract” in lingua inglese. Da una parte all’altra degli oceani, quindi, i Frecentese avranno modo non solo di leggere la loro storia ma anche l’occasione di incontrarsi e festeggiare in questi giorni un evento davvero unico nella Città di Sarno, in occasione della presentazione del libro. Un evento che soltanto la microstoria riesce a costruire. Perchè di questo si tratta: questo libro è un perfetto esempio di quella pratica storiografica che porta questo nome.
Non è un caso che il libro venga presentato nella Città di Sarno che sembra avere una lunga ed anche interessante tradizione di scrittura legata a questo tipo di scrittura. Sono tanti, se non molti gli scrittori sarnesi che si dedicano alla memoria storica di cui giustamente parla nella prefazione al volume l’avv. Gaetano Ferrentino, Vice Sindaco del Comune di Sarno: “Il valore dei Frecentese viene ricostruito e recuperato dalla polvere del tempo come atto d’amore per restituire alla dignità della Storia la memoria di questa “gens”. Perchè questo è, appunto, il senso della microstoria che dà valore ad una ricerca come questa.
La storia veramente significativa non deve ridursi ad essere una mera attività che interpreta testi ed eventi. Al centro del lavoro dello storico dovrebbe esserci piuttosto la ricerca della verità relativa al modo conflittuale e attivo degli uomini di agire nel mondo. “Un paradigma imperniato sulla conoscenza dell’individuale che non rinunci a una descrizione formale e a una conoscenza scientifica anche dell’individuale”, come bene è stato definito.
“L’individuale, infatti, il fatto anomalo, l’emergenza, l’avvenimento, ma anche una rete di relazioni, una congiuntura, una logica di transazione, un sistema di credenze, una identità di gruppo, piccolo o grande che sia, non deve mai perdere la possibilità di essere inserito in un’ottica comparativa che lo renda controllabile; e solo alti livelli di formalizzazione consapevole ne consentono, attraverso la comparabilità appunto, l’aggancio alla realtà dei fatti e l’emersione dal magma dei racconti. È per questa ragione che, in ambito microstorico, è tanto importante la nozione di contesto con un significato “formale, comparativo, fatto dall’inserimento di un avvenimento, comportamento o concetto nella serie di avvenimenti, comportamenti, concetti simili, anche se lontani nello spazio e nel tempo.”
Mi basta questo breve stralcio di una lunga ed elaborata citazione della prof.ssa Ida Fazio, che insegna storia economica nell'Università di Palermo, nella sua definizione di “Microstoria” così come descritta in “Studiculturali.it” qui al link per comprendere meglio l’importanza del lavoro svolto da Roberto Frecentese. A questo scritto rimando il lettore che eventualmente desidera approfondire l’argomento nel suo giusto contesto storiografico. Mi piace qui riportare la citazione con la quale il Frecentese chiude la presentazione del suo lavoro:
“Interrompere i fili che legano passato e presente e le generazioni tra di loro è un danno enorme per l’umanità. Puntare solo al presente, come se non derivasse da nulla, è come interrompere il flusso dell’acqua che sgorga dalla sorgente e lasciarla impaludare senza più renderla capace di ricevere e senza più consentirle di raggiungere l’infinito, L’acqua simbolicamente rappresenta l’inconscio che alimenta la vita conscia e influisce su di essa. Fermare il flusso è bloccare la vita stessa. Il passato ci invita alla riflessione, alla comprensione e a dilatare la conoscenza. Nel tempo della comunicazione leggera e veloce si rischia di perdere il fattore umano, che ha in sè quali elementi costituenti per l’appunto profondità e riflessione. L’essere umano è tale se si riconosce all’interno di una storia più grande e più lontana e aspira all’infinito”.
Un messaggio chiaro, oltre che un esempio, per chi intende raccontare eventi storici che accadono sotto la spinta di sentimenti, credenze, motivazioni che scaturiscono in contesti storici costruiti dall’intreccio di visioni parziali ed individuali, razionalità limitate, transazioni provvisorie, conflitti, negoziazioni, all’interno di classi, corporazioni, mercati, parentele ed interessi pubblici e privati. La microstoria vuole intendere questi eventi come pratiche, che siano sociali, economiche o culturali: comportamenti orientati dal progetto, plasmati dalla disponibilità di risorse, sia materiali che simboliche, e limitati dalla parzialità delle informazioni, capaci di modellare le norme e di esserne a loro volta modellate, profondamente calate nella dimensione collettiva pur essendo identificabili come soggettive, talvolta contraddittorie, ambigue.
Mi sembra che tutto questo risulti in maniera chiara dalla descrizione che fa Roberto Frecentese di questi eventi che definisco “movimenti di vita” nel corso di un millennio. Come centinaia e centinaia di realtà umane, con lo stesso nome, in maniera, condizioni e sotto cieli diversi, si siano confrontati con se stessi e con quei frammenti, quelle “schegge” di vita, come le ha definite il prof. Romeo. Sta alla microstoria saper metterle insieme e dare un senso al tutto. Roberto Frecentese lo ha fatto e lascia una traccia e noi rimaniamo in attesa degli altri due tomi del suo prezioso lavoro.
P. S. Questo blogger desidera ringraziare Michele Frecentese della frazione di Episcopio di Sarno, con il quale ha il piacere di essere amico, per avergli fornito tutte le informazioni utili alla stesura di questo post. A lui ed alla sua famiglia spetta il compito di conservare degnamente la continuità sarnese del nome e la identità della famiglia per il secondo millennio.
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Published on September 22, 2017 03:04
MEDIUM
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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