Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 126

November 15, 2017

Review: La rinuncia. Dio è stato sconfitto?

La rinuncia. Dio è stato sconfitto? La rinuncia. Dio è stato sconfitto? by Fabrizio Grasso
My rating: 3 of 5 stars

Non credo molto a quanto si dice, si è detto e continuerà a dirsi nei secoli a venire su questo doppio papato. Sono situazioni create dagli uomini, anche se "papi" illuminati dallo "spirito santo". Sarò forse, dissacrante, blasfemo e irriverente. Anche se credente continuo ad esserlo. Il resto è chiacchiera umana che non fa storia.

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Published on November 15, 2017 23:08

In Memoriam: Suor Teresa

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Mi mancheranno le sue telefonate, i suoi messaggi, i suoi commenti sul mio blog, le sue osservazioni sugli ultimi libri appena usciti, non solo in Italia, ma in Francia, in Belgio, in Inghilterra o altrove. Sempre informata, aperta e disponibile al confronto, alla discussione, allo scambio di vedute. Mai fondamentalista nelle sue idee, offriva agli altri i suoi pensieri senza mai imporli. Mi diceva spesso che da una sua consorella aveva imparato a prendere soltanto quello che le veniva offerto. Questo è un ricordo di Suor Teresa Gabriella, al secolo Amelia Arpino.
Amelia, pur essendo nata a Polvica, uno dei tredici villaggi di quel piccolo ed antico comune che dà il nome alla Valle di Tramonti, in Costa d’Amalfi, in una antica e numerosa famiglia, tipica del secolo e del millennio trascorsi, ha mantenuto fino agli ultimi giorni della sua esistenza un atteggiamento sempre aperto verso la modernità. 
Dai monti di questa valle ha saputo uscire per dare un senso compiuto alla sua missione religiosa. Il suo credo era fondato sulla roccia inattaccabile di una vasta cultura. Non aveva nulla di provinciale o parrocchiale. Possedeva tutto quanto di filosofico, teologico ed etico una vera cultura debba possedere. Potrei andare sulla mia pagina di Amazon ed elencare i tanti libri che le ho fatto avere, sui quali non si stancava mai di sfidarmi a parlare e a discutere. 
Non poche volte mi sono trovato a dover far fronte ad argomenti sui quali ero assolutamente incapace di tenerle testa. Lei mi aveva indicato un libro che un suo corrispondente, magari suo ex-alunno, collega o insegnante, da qualche parte del mondo le aveva segnalato e voleva che io rintracciassi quel testo, lo leggessi, glielo facessi avere, per poi aprire la discussione al telefono, oppure la prossima volta che ci saremmo visti. 
Lei era fatta così. Mi chiamava al cellulare quando meno te l’aspettavi. Capacissima di riprendere quel tema, quella discussione, quel problema etico, filosofico, politico, dopo settimane o mesi che lo aveva sollevato. Oppure, entrare inaspettatamente nelle pieghe della cronaca e dell’attualità. 
Poteva avere letto un articolo sul blog, la recensione di un libro, voleva stampare il testo, il pc non funzionava e chiedeva aiuto. Aveva ricevuto la segnalazione di un libro appena uscito in Francia dal Preside di quella scuola in Belgio, con il quale aveva avuto lo scambio culturale qualche decennio prima, quando lei era preside al Liceo Internazionale di Sorrento. Desiderava sapere se era uscito anche in italiano, lo voleva far conoscere ai suoi tanti contatti che aveva sparsi nel mondo. Mi forniva tutti i dettagli per la ricerca, molte volte sono riuscito ad accontentarla. 
Che dire poi di quando ritornava spesso con il pensiero agli anni trascorsi nel suo tanto amato e mai dimenticato Libano? Il Libano di prima della rivoluzione, quel Paese segnò per lei un’esperienza di cultura fantastica, scomparsa nelle miserie della politica degli uomini. Quando, nelle tante passeggiate che durante l’estate eravamo soliti fare lungo la spiaggia e sul lungomare di Maiori, rientrava con la sua mente nelle aule di quella sua scuola ideale perduta, mi raccontava di quello che lei davvero intendeva per multiculturalismo, sia religioso che umano: ebrei, arabi, palestinesi, cristiani, bianchi o neri, riti, religioni, filosofie e politiche diverse, tutte insieme per un ideale che purtroppo tale è rimasto. Per lei fu un ritorno molto sofferto quello dal Libano, ma non privo di gratificazione e successi. 
A Sorrento, in quella scuola internazionale, in diverse occasioni, la vidi all’opera, sia come docente che come preside. Una vera e propria “manager”. Sapeva essere soft e  flessibile, ma anche autoritaria e decisionista. La chiusura di quella scuola e il successivo pensionamento furono per lei un colpo molto duro. Eppure, seppe affrontare la nuova realtà che le si presentò, quando il suo ordine religioso la trasferì ad Acerra. Un bel passaggio, non c’è che dire!
Quando la visitavo ad Acerra avevo sempre con un pacco di libri richiesti sui quali discutere. In quel nuovo ambiente, tanto diverso da Beirut e da Sorrento, non disdegnò mai di svolgere mansioni e funzioni inaspettate. Seppe assolverle non solo e non tanto per dovere di obbedienza, ma perchè aveva imparato a prendere ed accettare tutto quello che la veniva offerto, senza discutere. 
La potevi trovare di servizio in portineria, al centralino o mentre accompagnava i tanti bambini che le si affollavano intorno. In quel posto la professoressa tramontina, laureata alla Cattolica, la colta ed internazionalista Suor Teresa Gabriella, ebbe modo di comprendere il senso ed il valore di come la vera cultura possa e debba diventare “servizio” per il prossimo. 
Negli ultimi tempi, quando la sentivo al telefono o quando l’ho vista per l’ultima volta nella casa di riposo di Posillipo dove era stata accolta, ero continuamente sorpreso dalla straordinaria lucidità del suo intelletto. Sempre acuto, attento ed aperto, non solo e non tanto alle problematiche di ordine religioso, quanto alle riflessioni ultime sulla evoluzione-involuzione in atto in cui può venire a trovarsi la condizione umana. 
Anche se avvertiva inevitabilmente l’inesorabile passare del tempo e l’arrivo dei possibili infortuni che lo stesso porta con sè, era sempre disposta ad offrire queste scontate difficoltà sull’altare di una assoluta spiritualità che andava ben oltre ogni riconosciuto canone religioso. Lei diceva che anche se avvertiva la decadenza del corpo, sentiva che la sua mente e il suo spirito erano sempre più fortificati. 
Sento di poter confermare, come è stato scritto nell’annuncio della sua dipartita, che la sua è stata una completa ed accettata dedizione all’Eterno al quale era destinata in “Sposa”. La luce di quella “lucerna accesa” di “Vergine Saggia” non si è mai spenta. Sono sicuro che, anche se non avrò più il piacere di sentire la sua voce, il suo numero continuerà ad essere presente sul mio cellulare in attesa di una sua chiamata che potrà venire in qualsiasi momento. Non mancheremo così di leggere insieme gli ultimi libri usciti su Amazon, in qualsiasi lingua scritti. Spero che ci sia un posto anche per me nel Paradiso dei libri dove adesso sicuramente Amelia è stata accolta.
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Published on November 15, 2017 03:33

November 13, 2017

In principio era il Verbo. Poi venne il Web ...

Centro Arti e Scienze Golinelli, Bologna


Se “in principio era il Verbo e il Verbo era con Dio”, non fu la stessa cosa con Tim Berners-Lee. Anche se era in compagnia di Robert Cailliau quando, a firma congiunta, presentarono all’organizzazione europea per la ricerca nucleare, comunemente conosciuta con la sigla CERN il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle, una proposta formale per la realizzazione di un collegamento ipertestuale che passerà poi alla storia con il nome di World Wide Web.  
In principio non c’era questo progetto di rete. In principio c’era ben altro altro, molto e tanto da arrivare sino a Gutenberg. Non fu soltanto la data del 12 novembre 1990 a cambiare il mondo. Ogni cosa, una lunga serie di “cose” inventate dagli uomini, precedeva questa proposta: i caratteri mobili della stampa di Gutenberg, i fili del telefono, le onde radio, la registrazione permanente e statica delle emanazioni luminose di oggetti presenti nel mondo fisico, sarà la fotografia, insomma tutto quello che per secoli ha fatto comunicazione, improvvisamente stava diventando qualcos’altro.
Tutti questi “testi” sparsi per l’universo umano, sarebbero finiti in una grande, sconfinata struttura chiamata “ipertesto”, il tutto inserito in una macchina calcolatrice, chiamata poi “calcolatore”. I francesi alla voce inglese “computer”, preferiscono patriotticamente la parola “ordinateur”. Perchè di questo si tratta: mettere in ordine tutto quello che dall’invenzione della stampa a caratteri mobili era stato creato dall’uomo. Se penso ai mutamenti che il mondo ha subito, nelle sue innumerevoli attività alle quali gli uomini si dedicano ogni giorno per vivere e sopravvivere, c’è da restare di sasso.  
Si affianca a questa considerazione il pensiero di come e quanto sia stata forte, imprevista e direi anche salutare, la spinta al cambiamento di me stesso, non solo come studente e docente, ma soprattutto come essere umano. Questo ricordo mi offre l’occasione per fare una sintesi ed una analisi dei cambiamenti umani, sociali e professionali che trascrivo qui sul mio blog a futura memoria.
Tim Berners.Lee e Robert Caillau non volevano fare altro che questo. Ma, oggi, a distanza di poco più di una ventina di anni, è il caso di dire, non sapevano quello che facevano, o quanto meno quello che sarebbe successo in così breve tempo. Vediamo prima in cosa consisteva quella loro proposta. Quando venne fatta, chi la ricevette, la definì un progetto “vago, ma interessante”. In breve, voleva essere un sistema di collegamenti (saranno poi chiamati link) tra le informazioni che generasse una struttura non lineare, in sostituzione del precedente metodo lineare di accesso alle stesse.
Nella sua disamina, Tim Berners Lee partiva dalla metafora del libro cartaceo, evidenziando come non si possa aggiornare il libro che racchiudeva tutto il sapere del CERN ogni qualvolta ci fosse una nuova scoperta. Occorreva, dunque, secondo lui, arrivare a un metodo più flessibile e di più facile gestione, nel quale si potesse modificare una singola parte del tutto senza per questo compromettere né dover metter mano a tutto il resto. L’analisi di Tim Berners-Lee affrontava quindi i problemi degli schemi ad albero, ove il legame genitore-figlio diventa un limite nel momento in cui lo schema strutturale delle informazioni è invece ben più complesso.
Nemmeno le parole chiave potevano essere utili. Occorreva fare un passo ulteriore e più radicale. Nasceva così l’idea di applicare il concetto di ipertesto all’organizzazione delle informazioni del CERN prima e del resto del mondo poi. L’ipertesto (concetto già noto) applicato su più ampia scala, nella convinzione per cui potesse restituire sinergie crescenti a mano a mano che si aggiungono informazioni e utenti al sistema.
 La soluzione è l’ipertesto. Tim Berners-Lee spiegava nella propria proposta di aver realizzato già nel 1980 un software di nome Enquire che consentiva di mettere in relazioni singole porzioni di informazione su documenti differenti. Non solo: il sistema era pensato per favorire l’accesso alle medesime risorse da parte di più persone, esattamente quel di cui il CERN aveva bisogno per rendere più facilmente reperibile, aggiornabile ed utilizzabile la quantità di informazioni archiviata durante le ricerche.
TBL non nasconde il vantaggio di poter sedere sulle spalle dei giganti: grazie alle intuizioni di altri visionari dei decenni precedenti. Nel 1994 il concetto di ipertesto era ormai maturo per essere applicato in nuovi campi e per nuove ambizioni. Ma il “plus” di Tim Berners-Lee arriva a stretto giro di posta: in poche righe vengono snocciolati veri e propri archetipi sui quali il Web è stato successivamente sviluppato: la possibilità di accesso da remoto ai file, l’eterogeneità dei sistemi di accesso, la non-centralizzazione dell’intera struttura, l’idea per cui i link vadano considerati come materia viva e cangiante. 
Ulteriori considerazioni firmate da Tim Berners-Lee riguardano la navigazione tra le informazioni, la possibilità di accedere in parallelo ai medesimi server ed altri dettagli che già delineavano la prossima realizzazione del progetto. TBL chiedeva a Mike Sendall, che riceveva la sua proposta, 6-12 mesi di tempo e 1-2 persone al lavoro sulla questione. Oggi in quel progetto ci sono miliardi di persone. E il Web ha ormai 27 anni.
Mentre tutto questo accadeva in Svizzera, in un piccolo liceo della provincia meridionale italiana, il Liceo Statale "T. L. Caro" di Sarno, si festeggiava "Humanitas ac Scientia" presentava una relazione sulla multimedialità ipertestuale, alla presenza di autorevoli esponenti della cultura locale, ospite d’onore il card. Paul Poupard, allora Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. I collegamenti alla lavagna luminosa erano assicurati da diversi gloriosi Commodore 64 e altri pc sistemati in rete. Ma non era ancora il mondo del Web, il WWW di Tim Berners-Lee.  
Ricordo che a non tutti fu chiara quella mia presentazione. Ma il Cardinale ebbe modo di congratularsi sia con me che con il tecnico della Olivetti che l’avevamo presentata. Questo è lo scotto necessario da pagare per chi si trova in anticipo sui tempi. Di strada, a dire il vero, questo blogger ne aveva fatta davvero, non solo come docente appassionato di lingue e letterature europee, ma anche di multimedialità. Se scrivo queste cose non è per vanagloria o esibizionismo. Soltanto per ricordare a me stesso quello che è accaduto nel corso di questi ultimi anni. Sono trascorsi quasi tre quarti di secolo, da quando imparai bambino a leggere e scrivere nella tipografia paterna mettendo insieme le lettere nella stanza della composizione.
Dalle esperienze di lavoro e di studio giovanili in Germania e in Inghilterra, al laboratorio multimediale dell’I.U.O. di Napoli nel Seminario di Inglese dove ero assistente ricercatore sotto la direzione del compianto prof. Fernando Ferrara, a speaker nel laboratorio di fonetica sperimentale del seminario di glottologia per le registrazioni in lingua con la prof, Betty Davies, sino agli ideologici “fuochi fatui” di quei tempi di presunta rivoluzione culturale, passai alla Martin School, in piazza Borsa a Napoli, dove implementai il primo laboratorio di linguistica multimediale in sistema VAAC (video audio attivo comparativo), dopo di avere pubblicato la prima grammatica audio video per lo studio della lingua inglese in circuito televisivo chiuso.
Erano i primi anni settanta. Doveva passare un altro ventennio e più per arrivare al Web. Una strada lunga, una trasformazione epocale, una esperienza professionale, umana e sociale indimenticabile verso un futuro che rimane sempre imprevedibile, bisogna essere sempre pronti perchè non si sa mai come sarà. Ne sono convinto, sarà sempre migliore del passato. Questo blog con migliaia di post, da oltre un decennio rimane la mia memoria storica digitale e testimonia le grandi trasformazioni di cui sono stato testimone. A futura memoria di un dinosauro, nato cartaceo e diventato digitale.



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Published on November 13, 2017 05:37

November 11, 2017

Review: How to Be Human: The Ultimate Guide to Your Amazing Existence

How to Be Human: The Ultimate Guide to Your Amazing Existence How to Be Human: The Ultimate Guide to Your Amazing Existence by New Scientist
My rating: 5 of 5 stars

Avrei voluto titolare questo post, che è anche una recensione, usando la famosa battuta-tormentone pronunciata da Fracchia, la maschera buffa e surreale inventata dall'indimenticabile Paolo Villaggio: "Com’è umano, lei!" Non lo faccio per varie ragioni. Chi legge, potrà desumerle da quanto scriverò.

Questo è uno dei libri più interessati pubblicati recentemente da quella aggiornata casa editrice inglese che edita l'autorevole rivista scientifica settimanale inglese "New Scientist". Sia in versione cartacea che digitale, per niente accademica, una casa editrice ed una rivista decisamente impegnate in una corretta ed aggiornata azione divulgativa delle conoscenza scientifica.

Un folto gruppo di studiosi, scienziati, scrittori e giornalisti hanno creato questo libro che intende essere, come si dice nel sottotilo, una guida aggiornata a questa nostra straordinaria eistenza umana. Il libro l'ho letto in versione Kindle appena ne è stata annunciata l'uscita. Sono rimasto molto colpito dal suo contenuto, il modo con il quale gli autori hanno saputo condensare, in un relativamente ristretto ambito digitale, l'esigenza che ogni giorno esprimono, anche senza rendersene conto, tutti gli uomini.

La espresse bene Socrate secoli fa quando scrisse che "an unexamined life is not worth living". Lo scrivo in inglese, così come lo hanno fatto i curatori del libro. In greco antico suona: "ὁ ... ἀνεξέταστος βίος οὐ βιωτὸς ἀνθρώπῳ" - "una vita senza ricerca non merita di essere vissuta".

La chiave per una corretta comprensione di quello che intendeva Socrate e di quello che hanno inteso fare scrivendo questo libro quelli di "New Scientist" sta tutta in quella parola: "senza ricerca", riferita alla vita. Sono possibili diverse interpretazioni di questo pensiero. Quella che ritengo più vera la riferisco a quella "visione" che ognuno di noi dovrebbe avere della propria esistenza.

Il problema che ci si pone, e gli autori del libro lo propongono senza pensare di saper/poter dare tutte le risposte agli interrogativi posti nel libro, è questo: quando dovremmo porcela la domanda su quale visione avere della nostra esistenza, all'inizio oppure alla fine di essa?

Chi scrive ha abbastanza anni per chiederselo a pieno diritto e non senza merito, visto la sua condizione di dinosauro. Gli anni sui quali scivola inesorabilmente la nostra esistenza dovrebbero darci occasione per pensarci in maniera da comprendere quello che facciamo.

Non sembra così e lo dichiarano apertamente gli autori i quali scrivono nella presentazione di non avere tutte le risposte alle domande che la nostra esistenza pone. Certamente con il loro lavoro riescono ad evadere molte delle domande che ci poniamo se decidiamo di fare questa "ricerca", di esaminare la nostra vita.

Me ne sono reso conto anche io quando ho affrontato la lettura dei temi proposti, cercando di trovare insieme agli autori le "mie risposte" a quella che è la "mia" condizione umana. Per fare questo, ho sentito fortemente la necessità di avere tra le mani il "corpo del reato", per così definire il libro, l'oggetto nella sua fisicità tanto grafica che narrativa.

Ho avuto modo così di confrontarmi, ancora una volta, con un problema del quale mi sono occupato diverse volte in questi ultimi anni: la differenza tra libro cartaceo e libro digitale. Nella versione digitale questo libro perde gran parte del suo fascino nell'impatto della lettura visiva dei grafici, tabelle e schede. Una lettura fatta sullo schermo. Invece, nelle sue 270 pagine a colori, su carta patinata della elegante edizione rilegata, il libro si offre al lettore come vera guida illuminata per comprendere come sia importante per ogni uomo fare la ricerca di se stessi.

Non smettiamo mai di conoscerci abbastanza. I temi sono infiniti: l'amicizia, la noia, l'immaginazione, il gioco, la fantasia, il sesso, la lingua, il gender, la morale, la nostalgia, la volontà, il disgusto, la creatività, una serie infinita di temi e problemi che si distendono nel nostro DNA che non dobbiamo credere sia del tutto umano. Almeno per un'altra metà, infatti, questa nostra identità rimane misteriosa.

Come non si deve pensare che voi siete unici, ma che qualcuno da qualche parte simile a voi esiste ed ha la nostra stessa faccia, che gran parte dei vostri ricordi sono soltanto storie inventate da noi che siamo ricoperti di peli, come molti animali, che possiamo leggere nella mente degli altri, che ridiamo non solo perchè c'è qualcosa di comico in giro, oppure che non sappiamo di appartenere ad una specie vivente che conosce ben poco di se stessa.

Tutto questo, amico lettore, lo devi leggere sulla pagina stampata, vederlo definito a chiare lettere, il tutto rinchiuso in colorate schede, tabelle e disegni. La lettura digitale sullo schermo rimane una lettura soltanto visiva e liquida, che scorre senza lasciare il segno di cui hai bisogno se vuoi che questa stessa lettura lasci il segno della ricerca alla quale si riferiva Socrate ed alla quale si sono aggangiati con grande successo gli autori di questa straordinaria esperienza editoriale.

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Published on November 11, 2017 05:02

November 10, 2017

Quanto siete umani?


Avrei voluto titolare questo post, che è anche una recensione, usando la famosa battuta-tormentone pronunciata da Fracchia, la maschera buffa e surreale inventata dall'indimenticabile Paolo Villaggio: "Com’è umano, lei!" Non lo faccio per varie ragioni. Chi legge, potrà desumerle da quanto scriverò. 
Questo è uno dei libri più interessati pubblicati recentemente da quella aggiornata casa editrice inglese che edita l'autorevole rivista scientifica settimanale inglese "New Scientist". Sia in versione cartacea che digitale, per niente accademica, una casa editrice ed una rivista decisamente impegnate in una corretta ed aggiornata azione divulgativa delle conoscenza scientifica. 
Un folto gruppo di studiosi, scienziati, scrittori e giornalisti hanno creato questo libro che intende essere, come si dice nel sottotilo, una guida aggiornata a questa nostra straordinaria eistenza umana. Il libro l'ho letto in versione Kindle appena ne è stata annunciata l'uscita. Sono rimasto molto colpito dal suo contenuto, il modo con il quale gli autori hanno saputo condensare, in un relativamente ristretto ambito digitale, l'esigenza che ogni giorno esprimono, anche senza rendersene conto, tutti gli uomini. 
La espresse bene Socrate secoli fa quando scrisse che "an unexamined life is not worth living". Lo scrivo in inglese, così come lo hanno fatto i curatori del libro. In greco antico suona: "ὁ ... ἀνεξέταστος βίος οὐ βιωτὸς ἀνθρώπῳ" - "una vita senza ricerca non merita di essere vissuta".
La chiave per una corretta comprensione di quello che intendeva Socrate e di quello che hanno inteso fare scrivendo questo libro quelli di "New Scientist" sta tutta in quella parola: "senza ricerca", riferita alla vita. Sono possibili diverse interpretazioni di questo pensiero. Quella che ritengo più vera la riferisco a quella "visione" che ognuno di noi dovrebbe avere della propria esistenza. 
Il problema che ci si pone, e gli autori del libro lo propongono senza pensare di saper/poter dare tutte le risposte agli interrogativi posti nel libro, è questo: quando dovremmo porcela la domanda su quale visione avere della nostra esistenza, all'inizio oppure alla fine di essa? 
Chi scrive ha abbastanza anni per chiederselo a pieno diritto e non senza merito, visto la sua condizione di dinosauro. Gli anni sui quali scivola inesorabilmente la nostra esistenza dovrebbero darci occasione per pensarci in maniera da comprendere quello che facciamo. 
Non sembra così e lo dichiarano apertamente gli autori i quali scrivono nella presentazione di non avere tutte le risposte alle domande che la nostra esistenza pone. Certamente con il loro lavoro riescono ad evadere molte delle domande che ci poniamo se decidiamo di fare questa "ricerca", di esaminare la nostra vita. 
Me ne sono reso conto anche io quando ho affrontato la lettura dei temi proposti, cercando di trovare insieme agli autori le "mie risposte" a quella che è la "mia" condizione umana. Per fare questo, ho sentito fortemente la necessità di avere tra le mani il "corpo del reato", per così definire il libro, l'oggetto nella sua fisicità tanto grafica che narrativa. 
Ho avuto modo così di confrontarmi, ancora una volta, con un problema del quale mi sono occupato diverse volte in questi ultimi anni: la differenza tra libro cartaceo e libro digitale. Nella versione digitale questo libro perde gran parte del suo fascino nell'impatto della lettura visiva dei grafici, tabelle e schede. Una lettura fatta sullo schermo. Invece, nelle sue 270 pagine a colori, su carta patinata della elegante edizione rilegata, il libro si offre al lettore come vera guida illuminata per comprendere come sia importante per ogni uomo fare la ricerca di se stessi. 
Non smettiamo mai di conoscerci abbastanza. I temi sono infiniti: l'amicizia, la noia, l'immaginazione, il gioco, la fantasia, il sesso, la lingua, il gender, la morale, la nostalgia, la volontà, il disgusto, la creatività, una serie infinita di temi e problemi che si distendono nel nostro DNA che non dobbiamo credere sia del tutto umano. Almeno per un'altra metà, infatti, questa nostra identità rimane misteriosa.
Come non si deve pensare che voi siete unici, ma che qualcuno da qualche parte simile a voi esiste ed ha la nostra stessa faccia, che gran parte dei vostri ricordi sono soltanto storie inventate da noi che siamo ricoperti di peli, come molti animali, che possiamo leggere nella mente degli altri, che ridiamo non solo perchè c'è qualcosa di comico in giro, oppure che non sappiamo di appartenere ad una specie vivente che conosce ben poco di se stessa. 
Tutto questo, amico lettore, lo devi leggere sulla pagina stampata, vederlo definito a chiare lettere, il tutto rinchiuso in colorate schede, tabelle e disegni. La lettura digitale sullo schermo rimane una lettura soltanto visiva e liquida, che scorre senza lasciare il segno di cui hai bisogno se vuoi che questa stessa lettura lasci il segno della ricerca alla quale si riferiva Socrate ed alla quale si sono aggangiati con grande successo gli autori di questa straordinaria esperienza editoriale. 
 
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Published on November 10, 2017 07:10

November 9, 2017

Review: Iconomania. Selfie-nevrosi e ascesa del Social Narciso

Iconomania. Selfie-nevrosi e ascesa del Social Narciso Iconomania. Selfie-nevrosi e ascesa del Social Narciso by Giovanni Pacini
My rating: 4 of 5 stars

Un saggio molto interessante, su una mania antica. Tutta umana, perché nessun altro essere vivente, su questo pianeta, la possiede, o almeno appare possederla in un modo così eclatante come gli esseri umani di oggi diventati "social". In nessun altro momento della storia, gli uomini hanno avvertito il bisogno, la necessità o il desiderio di mostrarsi. Essere ed apparire si sono fusi in un continuo divenire, una sorta di "loop", un vortice che avvolge, coinvolge fino a stravolgere realtà individuali e collettive.

Mi pare che il giovane autore di questo libro abbia saputo cogliere in pieno il senso di questo essere maniacale che ossessiona la modernità. Non saprei dire come questa mania evolverà, man mano che la stessa tecnologia, alla quale essa si associa e si accompagna, evolverà. Realtà virtuale, robotica e intelligenza artificiale si manifestano sull'orizzonte di una umanità che tende sempre più a de-umanizzarsi. La "Iconomania" ne è solo l'aspetto esteriore, passeggero e provvisorio. Credo che ben altre manie sono "dietro l'angolo".

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Published on November 09, 2017 08:17

November 7, 2017

Quale libro portare su un'isola deserta?

Ho i miei 100 libri preferiti, le mie cento canzoni,
i miei cento film, mi serve una presa ...

Per leggere un libro non ci sono regole valide per tutti. Ognuno legge come gli pare, come sa, oppure come gli hanno insegnato, a seconda dei bisogni, della necessità, degli obiettivi. Specialmente in questa nostra epoca moderna, la mediazione della tecnologia impone scelte di lettura precise e mirate alle nostre esigenze. Chiaramente di opportunità e convenienza per far sì che la lettura possa essere più “vera” di altre, in termini di utilità.
Che te ne faresti della lettura di un romanzo su di un’isola deserta, tu solo come un Robinson, a leggere la “storia” di un romanzo? Significherebbe un viaggio all’indietro in un mondo che hai lasciato, dal quale sei stato escluso o hai abbandonato. Hai bisogno di un libro che possa aiutarti a ricostruire una nuova realtà, un diverso modo di essere, di pensare e di vivere, un libro che non possa condizionarti ma aiutarti con la sua neutralità a costruirti una nuova esistenza.
Quel libro, secondo lo scrittore inglese W. H, Auden, potrebbe essere il dizionario. Proprio quello delle parole. Una dietro l’altra, le parole ti aiuterebbero a costruire un nuovo modo di esplorare il mondo che ti circonda. Un dizionario può essere letto in infiniti modi. Dalla A alla Z, o viceversa, nel bel mezzo o a caso. Ogni parola ne richiama un’altra, collegando idee, nel tempo e nello spazio.
Ricordo che quando ero un ragazzino e non avevo molta voglia di studiare, ero un appassionato lettore di fumetti. La novità del tempo. La dannazione dei maestri e dei genitori, come quella del cellulare oggi. Li leggevo e li collezionavo. Sottraevano molto tempo allo studio. Venivo rimproverato e qualcuno in famiglia mi portava ad esempio un cugino che invece era molto bravo. Aveva voti alti a scuola e si diceva che aveva letto, addirittura “imparato” tutto il vocabolario della lingua italiana.
Io mi sentivo molto umiliato, incapace come ero di comprendere il senso delle parole, così come il dizionario le elencava. Io, le parole, preferivo, piuttosto, farle nascere nella stanza dei compositori della tipografia paterna, mettendo le lettere una dietro l’altra sul tipometro. Le volevo “inventare” per dare forma a quei pensieri che nascevano nella mia mente, vagavano in cerca della realtà.
Col tempo poi ho compreso quanto sia davvero importante studiare il vocabolario che è la chiave per aprire la mente ed evadere dal labirinto dell’esistenza. Ovviamente su quell’isola deserta farei attenzione ad avere un dizionario cartaceo, un libro. Non saprei cosa farmene di un iPad, un pc o uno smartphone. Per quanto “smart” possano essere questi miti della moderna tecnologia, avrei bisogno di una “presa” ...


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Published on November 07, 2017 08:48

November 5, 2017

Review: Amor perduto: Viaggio contemporaneo nell'amor perduto di Dante

Amor perduto: Viaggio contemporaneo nell'amor perduto di Dante Amor perduto: Viaggio contemporaneo nell'amor perduto di Dante by Antonio Socci
My rating: 5 of 5 stars

Merita cinque stelle questo lavoro di Antonio Socci. Leggere l'Inferno di Dante in lingua moderna fa un certo effetto. Ricordo quando ricorrevamo al minuscolo indispensabile Bignami per fare presto e senza fatica. La traduzione di Socci non ha nulla a che fare con quella esperienza. A distanza di tanto tempo, questa rilettura ha il sapore di una scoperta. Grazie Antonio

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Published on November 05, 2017 10:22

November 1, 2017

Review: Trilogia dell'inumano

Trilogia dell'inumano Trilogia dell'inumano by Massimiliano Parente
My rating: 5 of 5 stars

Francesco Bacone, nei suoi famosi “Saggi” pubblicati nel 1552, scrivendo sull’importanza degli “Studi”, ebbe modo di occuparsi del modo migliore per leggere i libri. Egli scrisse, a quel tempo, poco dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili, che:

“alcuni libri devono essere gustati, altri masticati e digeriti, vale a dire che alcuni libri vanno letti solo in parte, altri senza curiosità, e altri per intero, con diligenza ed attenzione. Alcuni libri possono essere letti da altri e se ne possono fare degli estratti, ma ciò riguarderebbe solo argomenti di scarsa importanza o di libri secondari perché altrimenti i libri sintetizzati sono come l’acqua distillata, evanescente”.

Tutte queste indicazioni o suggerimenti possono essere utili per leggere questo libro di Massimiliano Parente. Io l’ho letto, per modo di dire. Mi spiego: un libro come questo non si finisce mai di leggerlo ed io, per giunta, l’ho letto in versione Kindle. Non va bene. Vi spiego il perchè. Innanzitutto non è un solo libro, bensì essi sono tre. Ci sono poi una lunga ed importante introduzione ed un’altra altrettanto ineludibile nota conclusiva. Un lettore vero, che non legge tanto per sfogliare le pagine e rincorrere fatterelli per essere intrattenuto, non può fare a meno di leggere questa “trilogia”, in versione cartacea.

Se dico che la versione Kindle ha una dimensione di file 2033 KB, una lunghezza della stampa 1141, non dico granchè. Se, invece, prendo il volume a stampa tra le mani e mi rendo conto che sono 1648 le pagine, forse riuscirò a spiegare la differenza. Un libro, ha ragione Bacone, va gustato dopo averlo masticato e, se possibile, digerito. Il che non mi pare possibile per questo libro che va letto e riletto. Sono tante, infatti, le cose che dice l’autore, tanta la velocità della sua scrittura che questa non è mai una narrazione, bensì un vero e proprio fiume. Spesso diventa un torrente, che straripa e inonda il lettore, con il rischio di farlo annegare nelle tante e diverse correnti nelle quali l’autore lo fa navigare, con la dichiarata intenzione di farlo affogare.

Ritengo che l’autore, proprio questo vuole ottenere: eliminare il lettore il quale crede che solo per aver acquistato il libro, possa sentirsi autorizzato a capire quello che scrive, entrando nella sua mente, con i suoi pensieri. La “liquidità” della versione digitale Kindle non permette di avere il libro tra le mani come oggetto fisico, soppesarlo, sfogliarne le pagine, avanti e indietro, sottolinearlo, annotarlo, avvertirne lo spessore, la sua dimensione spaziale e materiale, non solo il suo peso fisico, ma soprattutto per il suo contenuto, gli innumerevoli argomenti trattati, gli intrecci delle righe, i paragrafi, gli accapo, le virgole ed i punti. Insomma, quel “liquido vitale” lasciato dalla traccia dell’inchiostro sulla pagina, nella quale scorre il pensiero impazzito dello scrittore.

Tutto questo non è possibile avvertire leggendolo sul pc, nè tantomeno su un iPad, figurarsi poi sul piccolo schermo di una smartphone. Questo è un libro, che si fa in tre, che va letto in tutte le sue parti, scomponendole ed analizzandole, prima come elementi a sè stanti, poi come come parti di un tutto. Non deve mancare non solo la curiosità, c’è bisogno innanzi tutto della massima attenzione e diligenza, azioni delle quali Bacone consiglia anche di poter fare a meno.

Con Massimiliano Parente non si può fare a meno di nulla per comprendere tutto quello che scrive. Anzi, c’è bisogno di documentarsi, approfondire, fare ricerca per capire quello che vuole dire. Bisogna fare ricorso a quanto hanno detto, pensato e scritto gli altri su questo immenso lavoro che ricorda la grande, vera letteratura. Mi rendo conto di non aver detto nulla sul suo contenuto. Non ne ho l’intenzione.

Dirò soltanto che l’autore, riunendo questi tre libri, scritti nell’arco di tempo di quasi un decennio, pubblicati con editori diversi, li riunisce ora, a mio parere molto opportunamente, in una trilogia con un altro editore che valorizza la sua fatica in nome dell’umanità. E’ proprio a questa “umanità”, alla quale Massimiliano Parente appartiene, egli dedica ad essa questi suoi tre libri, sfidando gli “umani” a capirne il suo valore. Un obiettivo pienamente raggiunto dal suo punto di vista di autore, ma ancora da verificare da quello dei lettori. Lo dice uno a cui non piacciono le storie ed i romanzi. Ma questo non è una storia, nè un romanzo. E’ la storia dell’uomo contemporaneo. Quella di ognuno di noi.



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Published on November 01, 2017 00:23

October 27, 2017

"Scorci di vita"

Devo ammettere che quando  ho incontrato l'autore di questo libretto, il quale gentilmente me l'ha offerto, non mi è piaciuto il titolo. Quella parola "scorcio" porta con sè il suono stonato di una rima che può avere conseguenze improprie, (scorcio - sorcio). Almeno così pensavo, affetto come sono da quella terribile patologia di cui soffro: la linguistica. Ed, invece, mi sbagliavo.
“Una corsa nei ricordi. Un gioco. Un viaggio tra memoria e abitudini. Sensazioni e sapori di una città. Radici ed impressioni. Ironia e malinconia, alla fine, non solo un quadro di noi e del nostro vivere in provincia. Con l’unica pretesa di non lasciare morire momenti identitari, grandi vizi e piccole virtù. Consegnare alla memoria scene e uomini e renderli inattaccabili al tempo”.

Così scrive l’autore, avv. Gaetano Ferrentino nella quarta di copertina, presentando questo suo ultimo prezioso lavoro, per le Edizioni Buonaiuto. In poco meno di cento pagine, illustrate dal suo caro amico di gioventù Gaetano Dinisio, rincorre i suoi ricordi, inseguendo l’immagine di quel ragazzino coi palloncini della memoria che appare in copertina.
Sono cinquantasette i palloncini dei ricordi che volano verso l’alto, micro-momenti che diventano mini-racconti, fermati nello spazio di una pagina. Accompagnano per mano il lettore nel viaggio della memoria che Gaetano si accinge a fare nella sua amata città di Sarno. A dire il vero, egli non è nuovo a scritture di questo genere, le quali, solo in apparenza, possono essere considerate leggere o superficiali.
Sono, invece, frammenti di microstoria che hanno la loro rilevanza sociale ed umana, ma anche una certa importanza storica e culturale. Se si considera poi che Gaetano Ferrentino è, su questo territorio, anche diverse altre importanti “cose”, per mansioni e funzioni, si può avere il quadro completo del suo impegno. Esso va bel oltre queste scritture vernacolari che è venuto a pubblicare anche in rete, a cadenza quasi giornaliera questa estate.
A suo tempo, su questo blog, mi sono occupato di altri due suoi piccoli lavori, libretti simili, solo in apparenza senza pretesa, con i quali l’autore sembra voler continuare ad affermare "la consapevolezza che le memorie locali contribuiscono alla formazione della cultura storica, civica e affettiva di una città." Mi riferisco a “Frammenti di Ottocento Sarnese”, e ad un altro riguardante “L’esperienza industriale sarnese tra due secoli”.
Sempre piccoli, silenziosi ma preziosi libretti curati dallo stesso editore, i quali testimoniano la forte spiccata carica culturale e politica che caratterizza l’impegno umano e sociale dell’avv. Gaetano Ferrentino. Si rivela, così, oltre che essere un affermato professionista, anche un preciso ed appassionato giornalista, un attento ed onesto amministratore nella sua veste di vice sindaco.  
Scorrendo i titoli dei brevi quadretti di questo suo ultimo libro, e leggendo con attenzione i suoi racconti scritti prevalentemente in vernacolo, si può avere un quadro completo della sua formazione umana, sociale e culturale. “Scorci”, quasi come fotografie “rubate”, appunto, di una realtà locale che non sempre chi l’ha sotto gli occhi riesce a vedere, pur vivendola direttamente ogni giorno.
Ferrentino, con questo suo modo di vedere, come nella prospettiva e nelle arti figurative, riesce a rappresentare figure, ricordi, persone, oggetti e soggetti di un oggetto, ponendoli su di un piano obliquo, anziché normale, di modo che alcuni si avvicinano e altri si allontanano, non solo nello spazio ma anche nel tempo.
Egli usa un semplice espediente narrativo diretto che consente a chi legge di ricostruire le figure, le immagini o le situazioni nella loro esatta condizione. Il passato rivive nella sua vera realtà, creata o inventata in questa sorta di richiamo della memoria collettiva di un paese e della sua gente.
Un’ultima riflessione desidero fare su questo suo ultimo lavoro. Riguarda la lingua da lui usata nella stesura dei testi. I quadretti narrativi si muovono in una lingua scritta che non farà piacere a molti. Farà certamente rabbrividire alcuni “puristi” sia della lingua italiana che di quella napoletana. E’ una mia personale opinione, di cui mi assumo tutta la responsabilità. Gaetano Ferrentino, per cultura e per estrazione pensa, scrive e comunica usando come lingua di partenza il dialetto, la lingua delle sue radici.
Lui elabora i suoi contenuti direttamente in quella lingua che diventa linguaggio, quel “medium” nel quale lui è nato, che ha vissuto in quei luoghi sarnesi che la sua memoria gelosamente conserva da sempre. Nel momento in cui poi deve trasmetterli all’esterno, passa alla lingua canonica, la lingua italiana, ma non abbandona mai del tutto il suo “brodo primordiale” di Riccardo Pazzaglia memoria, il dialetto napoletano, anzi sarnese.
Qui sorge l’altro problema che urticherà la sensibilità dei fanatici della scrittura in lingua napoletana. Quando darò il libro di Gaetano al mio vecchio amico e poeta quasi novantenne Gino De Filippo, sono sicuro che contesterà tutta la grafia usata da Ferrentino nello scrivere il dialetto.
Mi ricorderà le innumerevoli discussioni avute con il prof Francesco D’Ascoli, le differenze con la lingua di Salvatore Di Giacomo e Ferdinando Russo. Io dirò che nella comunicazione contemporanea “tutto fa brodo”. Quello che conta è sempre il contenuto, pur riconoscendo che la forma rispecchia (quasi) sempre il contenuto. Nel caso di Gaetano Ferrentino possiamo dire di avere un’eccezione: la forma sta al contenuto, come il contenuto sta alla forma.
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Published on October 27, 2017 06:00

MEDIUM

Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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