Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 129
September 17, 2017
Review: The Strange Death of Europe: Immigration, Identity, Islam

My rating: 4 of 5 stars
"Siamo di fronte ad un processo storico che risale a molti decenni fa, dice Douglas Murray, ateo, editorialista del Times, dello Spectator e autore di questo libro. "Solo il tre per cento dei giovani inglesi si dichiara anglicano. Non c'è bisogno di essere un fedele per capire l'importanza di una appartenenza culturale. Abbiamo perso il legame culturale con la nostra origine, ciò che siamo. Se scomparirà la Church of England, ci ritroveremo in una Inghilterra totalemente differente da quella in cui ci troviamo ogg".
Il 5 settembre 1174, quattro anni dopo l'assassinio di Thomas Becket, la cattedrale di Canterbury fu distrutta da un incendio. Gervasio, un monaco cronista testimone della sciagura, scriveva: "La casa di Dio, fino ad ora luogo di delizie, una paradiso dei piaceri, non è più che un cumulo di ceneri, ridotta ad un triste deserto".
Letto mille anni dopo, più che una profezia, appare come una presa d'atto. Per secoli, quelle chiese sono state piene di congregazioni che intonavano inni al Signore. Ora, molte chiese inglesi hanno un nuovo uso: ospitano a pagamento concerti di musica pop e rock.
L'idea venuta a Dave Stewart degli Eurythmics, che ha collaborato con il Churches Conservation Trust per portare una serie di concerti nelle chiese storiche d'Inghilterra. Stewart e Annie Lennox hanno anche comprato e sistemato il loro studio di registrazione in una chesa abbandonata a Crouch End, Londra. La Church of England consiglia apertamente di affittare le chiese: "Ci potete fare un bel gruzzolo, fino a 64 mila sterline all'anno".
Eccola l'Inghilterra, dove gli anglicani fanno soldi dalla vendita e dall'affitto delle poprie chiese vuote, mentre l'Islam edifica di continuo moschee sempre piene con i soldi che arrivano copioi dalle monarchie del medio oeriente. Se i trend in atto continuano, le città britanniche saranno in futuro dominate non più dal suono delle camane, ma dal canto del muezzin."
(Giulio Meotti: "Deserto Anglicano" - Il Foglio quotidiano 16/17 settembre 2017)
Ho letto questo libro e non credo che la situazione da noi in Italia sia molto diversa. Cambia il paesaggio, ma le cose vanno allo stesso modo ...
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Published on September 17, 2017 02:53
September 14, 2017
Review: Diciamolo in italiano : Gli abusi dell'inglese nel lessico dell'Italia e incolla

My rating: 4 of 5 stars
Ho letto l'intervista che l'autore di questo interessante saggio ha dato ad un giornale che l'ha titolata in maniera davvero catastrofica: "Una nuova parola su due è inglese. L'italiano diventa una lingua morta. In meno di 30 anni gli anglicismi sono raddoppiati e continuano a crescere. Si pensa e si scrive anche che la nostra identità rischia di andare in frantumi."
Scrivo questo post che non intende essere tanto una recensione sul libro, quanto il pensiero libero e forse contro corrente, di chi questa lingua, l'inglese, la considera "seconda lingua", dopo quella materna. Non credo che l'inglese stia "assassinando" l'italiano. Se le cose stessero così, di cadaveri la lingua di Britannia ne avrebbe seminato molti lungo il suo cammino nel tempo e nello spazio.
Le cose stanno diversamente e spero di provarlo in maniera semplice e pratica, lontano da filosofismi o intellettualismi dei quali non ho mai saputo cosa farmene. La verità è che le lingue, tutte le lingue, e ovviamente le loro culture, nel mondo contemporaneo, con l'avvento della IT - Informazione Tecnologica - sono destinate ad avere identità diverse da quelle che le hanno caratterizzato per secoli. Per alcuni studiosi questa è la quarta rivoluzione non ancora conclusa e completata: la "Infosfera". Dopo Copernico, Darwin e Freud, questa in corso è destinata a mescolare tutto.
Se penso a come iniziai a studiare la lingua, quella che oggi è sotto processo per tentato "assassinio" soltanto una manciata di anni fa, mi vien da sorridere. Ne ho scritto in diverse occasioni sul mio blog e non è il caso che mi ripeta. Quando ero ancora "in cattedra" a scuola, mi sono trovato spesso in conflitto con i docenti di lettere di tutti gli istituti superiori della Scuola italiana.
Ho dovuto litigare con i cari colleghi di latino e greco i quali hanno sempre avuto uno spazio egemone, decisivo e determinante nella formazione culturale degli studenti italiani. Hanno sempre ritenuto che il latino non era una "lingua morta" e le poche ore che che fino a pochi anni fa venivano assegnate allo studio delle lingue moderne, in particolare all'inglese, era tempo perso.
Non si sono mai resi conto che fuori dalle mura della scuola il mondo stava cambiando inesorabilmente. Radio, cinema, televisione, telefono, fino all'arrivo del Commodore 64 agli inizi degli anni ottanta, il primo pc alla portata di tutti, insieme alla diversa visione della cultura diventata improvvisamente un immenso "ipertesto" globale, avrebbe trasformato non solo la comunicazione linguistica, ma gli stessi contenuti culturali.
Adesso scoprono che ci sono troppi termini stranieri nella lingua italiana, troppi anglicismi, forestierismi, barbarismi, deviazioni linguistiche che danno vita a deviazioni mentali e culturali. Non si tratta di voler fare gli americani, ricordando una famosa canzone di Renato Carosone in auge negli anni cinquanta. In effetti il famoso musicista, con la famosa canzone "Tu vuò fà l'americano" anticipava la storia.
Non credete a chi dice, teme e scrive che l'italiano sta prendendo il posto del latino nello status di "lingua morta". Il latino non è mai morto, nè tanto meno quel possente antico "mostro" del greco antico. Sia l'una che l'altra, sono lingue essenziali e decisive per lo studio delle lingue moderne e per la costruzione di una vera identità europea ed occidentale destinata a confrontarsi dall'interno della cultura greco-latina e mediterranea, non solo con quella anglo-americana, ma con altre ben diverse come la cultura araba e quella orientale.
Quello a cui dobbiamo state attenti quando si parla di anglicismi e di invasione linguistica, per quanto riguarda specialmente noi Italiani, è il travaso dell'inglese nell'italiano. La voglia di fare non solo gli americani, alla Carosone, ma di atteggiarsi ad essere "globish", parola che sta per "global english", atteggiarsi e credere di conoscere davvero l'inglese. Questi anglicismi di cui di parla e si legge nel Parlamento e nel Paese Italia, sono pseudo anglicismi che nessun anglofono comprende davvero. Sono parole inglesi usate quasi sempre in senso diverso. "Ad usum delphini" è il caso di dire, anche se il "delfino" non è morto e non è fesso!
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Published on September 14, 2017 23:40
September 10, 2017
Sarno: tra storia e microstoria

Chi non è mai andato alla ricerca del tempo perduto? Chi non ama i ricordi? A chi non piacerebbe fare un viaggio all’indietro sulla freccia del tempo per aggiustare qualcosa di sbagliato, rivedere qualcuno “perduto” negli anni, ma sempre presente nella memoria? Chi non amerebbe rivivere in un tempo ed uno spazio magicamente ritrovati, momenti di vita inevitabilmente svaniti nella nuvola del tempo?
Se il poeta ha detto che i ricordi sono “ombre troppo lunghe del nostro breve corpo”, allora vuol dire che la memoria degli uomini è destinata a sopravvivere alla fine del nostro “breve corpo”. In fondo, ogni giorno della nostra vita è costellato da frammenti esistenziali. Momenti i quali, se messi insieme, se organizzati con pazienza ed armonia, come mattoni creativi, dovrebbero servire a realizzare quel progetto di vita al quale tutti dovremmo aspirare, per dare un senso a questa nostra breve o lunga presenza terrena.
Ho usato la parola “frammenti”, un termine che, però, guarda caso, ha un etimo quanto mai fragile. Dal latino “frag-mentum”, radice di fragile, pezzo di cosa rotta, frantume, rottame, scheggia. E’ la stessa parola di cui mi occupai quando qualche anno fa, in un post sempre su questo mio spazio digitale che ormai da oltre un decennio registra i miei pensieri. L’occasione fu l’uscita di un prezioso libretto che portava questa parola riferita ad un preciso momento storico della Città di Sarno: “Frammenti di Ottocento Sarnese” scritto dall’avv. Gaetano Ferrentino.
Questa volta lo spunto per occuparmi ancora di questi “frammenti” di cui è fatta la microstoria della Città di Sarno, oltre a darmela la scrittura continuata su questi temi che il carissimo giovane amico seguita a produrre sul suo spazio social di Facebook, me la offre anche il vecchio amico poeta Gino De Filippo. Questo quasi novantenne, sfortunato poeta e scrittore ribelle sarnese mi ha atteso per tutta l’estate per offrirmi un suo personale “frammento” che aveva scritto mesi orsono.
Mentre il Ferrentino per tutta l’estate si è occupato di frammenti quali “u viente”, “‘a semmenzell”, “o panaro”, “peppino sempe è festa”, “o filone”, “o masto”, “il vicolo”, “e zeppolelle”, “a cinta di libri”, “o zuoccolo” e “a laparelle”, con l’intenzione di trasmettere alla gente semplice le provocazioni della quotidianità paesana, con spensieratezza e non per vanità di grandezza artistica, semplici “madeleine” di Proust, scritte e servite a chi ama queste dolcezze per far gustare piacevoli ricordi di un passato che non esiste più, “masta a Gino, o Piscupiare” si è limitato a darmi due fogli che qui riproduco e mi accingo a commentare.

Un foglio ritrae graficamente quello che resta della “memoria” della Frazione di Episcopio così come se la ricorda il Poeta Gino De Filippo verso la fine degli anni '40. Fa un lungo elenco di presenze e di ricordi legati non a fantasmi ma a realtà umane e produttive di un piccolo-grande mondo antico che non esiste più. Una lunga serie di arti, presenze e mestieri che davano vita ad una comunità che oggi è soltanto una lunga sequenza di fantasmi nella mente di chi se li ricorda vivi.
Il calzolaio, il sarto, la cantina-taverna, il pastificio, la merceria, i bottai, il falegname, il barbiere, il panettiere, il ramaiolo, figure umane che alloggiavano in luoghi ben precisi, scomparsi ed annientati dalla freccia del tempo: palazzo Paschitti, palazzo Origo, palazzo Landriani, palazzo Iannelli, palazzo Milone Abignente, palazzo Squitieri, palazzo Fusco, palazzo Loria, palazzo delle Monache, palazzo Nobile, palazzo Tortora, la Cattedrale, palazzo Bosco, palazzo Canonico Pace, palazzo Conte Balzerano, palazzo Vescovo Tura, palazzo Milone Cioffi e tanti, tanti cortili.
Da quel bravo disegnatore e progettista che fu, “masta a Gino” risale nella sua “memoria grafica” il viale Margherita, accede in via Duomo, passando per il Vico San Chirico dove vide la luce, percorre via Duomo e per ogni postazione individua le arti e i mestieri che gli sono ancora presenti nella memoria a distanza di oltre mezzo secolo. Li identifica con lettere e numeri e pensa a quell’età felice, se non dell’oro, che era e fu la sua amata Frazione di Episcopio.
E’ proprio il caso di dire che, nella sua mente, quella, era una vera “età dell’oro” che di “oro” non aveva proprio nulla, se non in termini di felicità, oggi perduta per sempre e ridotta a frammenti. Anzi, è il caso di dire “fantasmi”, di un passato che è meglio dimenticare. “Frammenti”, appunto di una storia andata in frantumi ...

Published on September 10, 2017 08:16
September 8, 2017
Review: Il manifesto del libero lettore: Otto scrittori di cui non so fare a meno

My rating: 4 of 5 stars
Non mi piacciono i romanzi, per questa ragione ho comprato e letto questo libro. Gli ho dato quattro stelle per rispettare la bravura e la cultura di chi l'ha scritto. Bisogna sempre dare a Cesare quello che è di Cesare e a Piperno quello che è di Piperno. In contemporanea a questo libro, ne ho letto un altro, in inglese, di Brian Dillon, intitolato "Essayism". Io amo i saggi.
In questa opposizione, solo apparente, ho basato la mia lettura e il mio giudizio che spero di sintetizzare qui in maniera chiara. Lo faccio non tanto per far sapere agli altri quello che leggo e, sopratutto, come leggo, quanto per chiarire a me stesso il senso di una vita che ho speso, in un modo od un altro, tra i libri, con i libri e per i libri.
Nato e cresciuto nella carta stampata, tra lettere di piombo e puzzo di inchiostro, non mi stanco mai di ripeterlo: il libro, o meglio la pagina stampata, per me è un modo di comunicare con gli altri. Tanti fogli stampati, tante pagine convogliano un significato, diventano un messaggio nelle mani di chi ferma sulla carta il suo pensiero.
Con le nuove tecnologie di comunicazione la pagina a stampa di Gutenberg è diventata un'altra cosa da questa che mi scorre sotto il naso mentre scrivo sul mio iPad questa breve recensione.
In questo momento, in tutto il mondo, scorre un fiume inarrestabile di pagine che raccontano fatti, avvenimenti, accadimenti, storie della vita, a nord come al sud, ad est come ad ovest.
Scorrere i titoli, le pagine dei giornali è ormai sempre più impossibile. Non me la sento di entrare in tutte queste storie che quotidianamente la vita ci propina, ci coinvolge e ci impone di vivere anche contro voglia. Come potrei avere la forza e la voglia di entrare in una storia inventata, pensata e scritta per essere letta e poi discussa in un libro?
Siamo costretti ogni giorno a vivere tante di quelle storie che mi diventa davvero difficile viverne una "inventata" e per giunta a pagamento. Perché, tutto sommato, chi scrive libri, romanzi e racconti, per lo più lo fa per guadagnare, per vendere copie.
Mi basta la razione di storie, racconti e vicende che la vita ogni giorno mi costringe a "leggere". Ci sono più cose in cielo e in terra che nella fantasia di chi, scrivendo storie, crede di conoscere il mondo e se stesso.
Lo so, scrivendo queste cose, qualcuno penserà che sto distruggendo la fantasia alla quale gli uomini sono legati sin dai tempi di quando ogni storia viveva soltanto di parole parlate.
Mi basta la memoria quotidiana, quella vera e vissuta per non annegare in un mare sempre più oceano di sogni e fantasie.
Scusa Alessandro Piperno, preferisco la vita ...
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Published on September 08, 2017 13:56
September 1, 2017
Review: Atlante della filosofia. Il pensiero occidentale dalla A alla Z

My rating: 4 of 5 stars
Un libro che non si legge come gli altri libri. Questo lo si tiene sul comodino, a portata di mano, per "vivere" prima e poi "philosophari". - "Primum vivere, deinde philosophari" - (lat. «prima [si pensi a] vivere, poi [a] fare della filosofia»). Frase ripetuta talvolta, anche con significato estensivo, come richiamo a una maggiore concretezza e a una maggiore aderenza agli aspetti pratici della vita; viene tradizionalmente attribuita al filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679), ma probabilmente è molto più antica.
Ecco, questa frase mi è subito tornata alla mente quando ho avuto tra le mani questo libro. Certo che affrontare un argomento del genere in piena estate, con questo caldo da primato, non lascia ben sperare sulla qualità di una recensione. Invece intendo parlarne con serietà come merita un libro di oltre quattrocento pagine. Il sottotitolo avverte che l’autore, apprezzato saggista e già docente di Sociologia della conoscenza Gianfranco Morra, raccoglie come in un atlante, appunto, l’essenziale di quella branca del sapere umano che va sotto il nome di “filosofia”.
Quasi tre millenni di pensiero. Per fortuna solo quello occidentale, concentrato sulla storia dell’Europa, dove, scrive l’autore, è nata. Il manuale si distende in 197 schede, le pagine si leggono singolarmente da sinistra a destra, opportunamente titolate. In una intervista l’autore ha dichiarato che è vero che bisogna prima vivere e poi fare filosofia, perchè non poche filosofie sono finite nell’astratto e nell’irreale, ed è sempre giusta l’esigenza di concretezza che però non può sostituire una riflessione teorica.
Se qualcuno pensa che la filosofia non serve e senza la quale si rimane tale e quale, il filosofo Morra risponde che bisogna prima intendersi cosa si intende con questa parola “servire”. Soltanto in apparenza la filosofia ha una sostanza di inutilità. Essa, infatti, ha una precisa funzione formativa, innalza la mente dal particolare all’universale, abitua alla sintesi. Si può pensare che questa sintesi dimentichi la pluralità delle cose, creando una sorta di scatola chiusa. Il sapere filosofico, però, è sempre critico, nasce dal dubbio, vedi Cartesio e Socrate, si ritorna sempre al dubbio.
Ogni filosofia non è mai definitiva, prevaricatrice, finale. Il pensiero filosofico nasce dalla meraviglia, dal perchè, dalla continua domanda, dalla richiesta di una risposta. Una vera scienza dell’essere, nata con Parmenide e Pitagora, tocca ogni uomo, in quanto dotato di ragione. Un pensiero “innato”, che in un primo momento è venuto dalla religione. Poi successivamente con i greci avviene il miracolo, diventa un’attività razionale autonoma, è amore per la “saggezza”.
La religione reagì male, Anassagora fu cacciato da Atene, Socrate condannato a morte. Col cristianesimo andò meglio. La reazione ci fu solo all'inizio. Reagì male solo in un primo tempo, poi le due attività trovarono una convivenza. A partire da Sant'Agostino ragione e fede si sposarono: «credere per capire e capire per credere». Nacque la filosofia europea, della quale la religione non era il «contrario», ma un «oltre».
Secondo Morra fu una scoperta europea. Nessun’altra civiltà ha avuto qualcosa di simile. L'ebreo Husserl, mentre cresceva la follia sanguinaria di Hitler, ha richiamato alla necessità di recuperare la filosofia, senza la quale non ci sarebbe più Europa. Nel mondo anglosassone chiunque sia titolato per la competenza in qualunque disciplina è un Ph. D., ossia «phil doctor», un «dottore in filosofia». Bisogna dire che la filosofia spesso si è trasformata in mode passeggere. Questo accade in epoche di decadenza, come ad esempio negli anni ottanta si diffuse la passione per Epicuro, oggi per l’orientalismo in cui si mescolano il buddismo e il pensiero magico.
L'orientalismo nasce dalla paura del sapere scientifico e tecnologico, che distrugge la natura e l'equilibrio psichico dell'uomo. Il buddhismo, che è una «religione atea» (né Dio né immortalità dell'anima) offre una consolazione nella compassione e nell'annullamento. Sono religioni surrogatorie di quella cristiana, ormai troppo inclinata sul mondo.L'orientalismo esprime una esigenza di salvezza, più religiosa che filosofica. È pur sempre una prova che l'uomo non può vivere senza un «al-di-là», ma la razionalità filosofica è piuttosto assente. Tanto è vero che questo revival religioso si mescola con usanze magiche come i tarocchi, la cartomanzia, le medicine alternative, l'astrologia.
La politica è nata con la filosofia, con Platone e Aristotele. Sempre ogni politica ha alle sue spalle una concezione della vita e della morale. Anche oggi: se la politica è divenuta quel disastro che vediamo, molto dipende dal fatto che ha preteso di fare a meno delle ideologie, che sono la mediazione tra filosofia e politica. Nonostante tutto c'è ancora spazio nella nostra epoca per la filosofia. L’autore vede qualche rinascita filosofica dietro l'angolo anche se il nostro tempo predilige una filosofia come strumento delle scienze umane.
Non è un caso se sono nate decine di «scienze del genitivo», qualcuno dice «dei genitali»: le «filosofie di». Prevale un sapere frammentato della contemporaneità, cioè antifilosofico. La grande sintesi filosofica europea si è rotta, ma senza filosofia la religione diventa fideismo, la scienza scientismo, l'arte divertimento, la morale si fa situazionismo, la politica tecnologia. Difficile, secondo Morra una rinascita, per ora, poca, c’è attesa e aspirazione.
Gli uomini hanno capito che la società del fare e del produrre è incapace di dare un senso alla vita, lo sta cercando. La nostra epoca mescola angoscia e nostalgia. Si sta rendendo conto, come diceva Aristotele, che anche chi nega la filosofia deve avere una filosofia. Se vuole capire chi è, cosa deve fare e sperare. Come diceva Hegel, «la filosofia è il proprio tempo appreso col pensiero». Se l'uomo vuole essere ancora uomo.
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Published on September 01, 2017 10:15
La bellezza cangiante
Gloria a Dio per le cose che ha spruzzate:
i cieli bicolori, pezzati come vacche,
la striscia roseo-biliottata della
trota in acqua, il tonfar delle castagne
- crollo di tizzi giovani nel fuoco –
e l'ali del fringuello; per le toppe
dei campi arati e dissodati,
e tutti i traffici e gli arnesi, e tutto ch'è
fuor di squadra, difforme, impari e strambo,
tutto che muta, punto da lentiggini
(chissà come?) di fretta o di lentezza,
di dolce o d'aspro, di lucore o buio.
Quegli le esprime - lode a Lui - ch'è sola
bellezza non mutabile.
Gerard Manley Hopkins (1844–89). Poems. 1918.
Pied Beauty
GLORY be to God for dappled things—
For skies of couple-colour as a brinded cow;
For rose-moles all in stipple upon trout that swim;
Fresh-firecoal chestnut-falls; finches’ wings;
Landscape plotted and pieced—fold, fallow, and plough; 5
And áll trádes, their gear and tackle and trim.
All things counter, original, spare, strange;
Whatever is fickle, freckled (who knows how?)
With swift, slow; sweet, sour; adazzle, dim;
He fathers-forth whose beauty is past change:
Praise him.
i cieli bicolori, pezzati come vacche,
la striscia roseo-biliottata della
trota in acqua, il tonfar delle castagne
- crollo di tizzi giovani nel fuoco –
e l'ali del fringuello; per le toppe
dei campi arati e dissodati,
e tutti i traffici e gli arnesi, e tutto ch'è
fuor di squadra, difforme, impari e strambo,
tutto che muta, punto da lentiggini
(chissà come?) di fretta o di lentezza,
di dolce o d'aspro, di lucore o buio.
Quegli le esprime - lode a Lui - ch'è sola
bellezza non mutabile.
Gerard Manley Hopkins (1844–89). Poems. 1918.
Pied Beauty
GLORY be to God for dappled things—
For skies of couple-colour as a brinded cow;
For rose-moles all in stipple upon trout that swim;
Fresh-firecoal chestnut-falls; finches’ wings;
Landscape plotted and pieced—fold, fallow, and plough; 5
And áll trádes, their gear and tackle and trim.
All things counter, original, spare, strange;
Whatever is fickle, freckled (who knows how?)
With swift, slow; sweet, sour; adazzle, dim;
He fathers-forth whose beauty is past change:
Praise him.

Published on September 01, 2017 10:15
Review: Anima e corpo. Viaggio nel cuore della vita

My rating: 4 of 5 stars
Un libro da non perdere. Faccio "parlare" l'Autore:
"Quel punto estremo e non deperibile, quel nucleo essenziale, centro e rifugio di ciò che veramente sei, dimora originaria dove elabori pensieri ed emozioni, preghiere e speranze, chiamiamo anima. Le speranze possono essere tutte illusorie, ma illusoria non è la loro sede."
"L'alzheimer dell'anima è la principale malattia di una vita perché perde traccia e coscienza di sé, si vive da fuori e si sperde nel tempo."
"Nel sogno l'anima respira perché evade dalla prigionia della materia, dei luoghi e dei tempi, infrange le sequenze, danza tra nuvole d'immagini e disegna foreste di simboli."
"La salute è il corpo che parla al mondo, la malattia è il corpo che parla a noi stessi, ci lancia segnali. La salute è estroversa, la malattia è introversa."
"La bruttezza è la malattia più grave dei corpi sani. Patire la bruttezza del proprio corpo è sentirsi in guerra con la vita e la giovinezza, è avvertire sulla propria pelle l'avversità del mondo. Dalla bruttezza nasce il primo impulso a sfigurare la realtà e fuggire in mondi virtuali."
"C'è una poesia dei corpi, spontanea e verace, un canto gioioso e soave, melanconico e struggente, che accompagna la nascita, l'esuberanza, il dolore e la sconfitta della carne. La sua poesia è racchiusa nella sua inevitabile sorte di morente. Commuove vedere un corpo vivente sapendo che finirà."
"L'anima è la cripta di tutto quel che è la nostra vita, il punto focale dove trova coscienza, memoria e sensibilità l'intero racconto in cui siamo immersi e che chiamiamo vita."
"Quando anima e corpo combaciano nell'incontro tra due persone, si genera il fenomeno chimico e spirituale chiamato amore. Se combaciano solo le anime nasce amicizia, se combaciano solo i corpi nasce attrazione."
"Non è umanamente possibile amare tutti dello stesso amore. La carità può farsi universale ma l'amore si fonda sulla predilezione."
"L'ordine è maschile, la bellezza è femminile, l'ordine è adulto, la bellezza è puerile, l'ordine infonde serenità e la bellezza gioia. L'ordine è la finestra e la bellezza è la luce che vi penetra."
"Cos'è l'anima nel tempo corrente? Un gadget del corpo, un capo per abbigliarsi, un brand, una carogna dentro una carcassa, un rutto divino."
"L'anima è la sede della nostra umanità e del suo superamento, della nostra individualità e del suo superamento. Curare l'anima è coltivarla, non pettinarla."
"Scrivere è congiungere con un tratto di penna l'anima e il mondo. Scrivere è una malattia che porta in salvo. Chi si ammala di scrittura guarisce dalla vita o almeno lo crede."
"Felicità è realizzare l'anima tramite il corpo, che si fa teatro dell'anima."
"Beatitudine è invece la felicità oltre il corpo."
"Occidente è laddove si domina il mondo. Oriente è laddove si governa il respiro. A oriente si trattiene l'aria, a occidente si possiede la cosa."
"L'Oriente sorge, libera e orienta. L'Occidente tramonta, conquista e decide. L'anima è a Oriente, il corpo è a Occidente. Uno albeggia, l'altro declina."
"Essere a Oriente, esistere a Occidente."
"Il corpo va, l'anima torna. Il moto del corpo è andare, mutare, crescere, deperire, fino a perire. Il moto dell'anima è tornare, a volte con la mente -e quel moto si chiama nostalgia – a volte col corpo stesso tramite i sensi, infine col sesto senso, legato alla sfera invisibile"
"Ritrovare l'anima al centro della vita per non finire in balia del corpo, del tempo e della morte. L'anima è fatta della stessa stoffa dei cieli."
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Intervista a Marcello Veneziani sul suo ultimo libro:
*Anima e corpo, che fai, ripieghi nel tuo petto come il ribelle di Junger?
Cerco un punto di partenza dopo la caduta di ogni orizzonte storico e metastorico. E non si può che ripartire dall'anima e dal corpo che sono tutto quel che siamo al netto di ogni altra cosa. L'essenziale, l'autentico, l'originario. L'anima è intesa come una patina di vaghezza per definire l'ineffabile, funziona bene come titolo di cd, canzoni, terapie, percorsi di benessere. Il corpo è invece un'ossessione in salute, performance e giovinezza, c'è un morboso attaccamento e insieme la voglia radicale di abolirlo, di modificarlo. Io parto dalla storia universale dell'anima e dalla storia intima e puerile del corpo, per poi indagare i rapporti tra i due.
*Cosa risalta agli occhi quando li affronti?
Da una parte, parlando d'anima, hai l'impressione di toccare qualcosa che si è atrofizzato, un'energia spirituale che non riusciamo più a capire, come se si fosse disattivata una facoltà. Dall'altra, parlando di corpo, noti una specie di horror fati, di orrore della propria condizione, una voglia di modificare i corpi o perfino abolirli, come se la natura fosse la prigione da cui evadere.
*E tu proponi un ritorno alla dimensione intima e all'interiorità?
No, nessun intimismo, io propongo di ripartire mettendo a nudo l'anima e il corpo. Ma col proposito di uscire dalla gabbia dell'Io e scoprire i nessi che ci legano al mondo, ritenendo che l'anima sia il punto in cui si concentra la nostra identità ma anche il luogo in cui ricongiungersi all'Essere, rifluirvi. L'anima è il respiro dell'Essere; quel fiato ci anima ma proviene da un'origine e vi ritorna.
*Ma l'anima può avere un luogo, può essere localizzata?
L'anima non abita dentro un corpo o un luogo più di quanto un corpo o un luogo non viva dentro l'anima. Mi addentro nelle case dell'anima, nel genius loci, nei luoghi e nelle figure che li vegliano, come gli angeli. Ma l'anima è un ponte più che un sito.
*Non c'è una sola citazione nel libro, né un autore né un testo. Strana scelta, perché?
Perché ho voluto raccontare un pensiero, in modo diretto e concentrato, senza disperdersi. Chi conosce, riconoscerà le allusioni a testi e autori, chi non conosce magari ne resterà incuriosito, ma in un'opera che cerca l'impersonalità, gli autori, a cominciare da me, sono solo postazioni, figure, ombre dell'Autore.
*Ho difficoltà a inserire questo libro in un genere, come lo definiresti?
Anima e corpo non rientra in alcun genere e rifiuta di arrestarsi davanti a una soglia: no, questa è letteratura o questa è psicologia. Se indaghi su anima e corpo non puoi tener fuori, per dire, Rilke o Proust, Eliade o Jung, Plotino o il Papa, solo perché entri in un altro campo. Qui il campo è l'anima, non scrivo per accademia o per discipline.
*L'anima coincide con la coscienza?
La coscienza è una facoltà dell'anima che vigila tramite la mente e assume consapevolezza e responsabilità rispetto alla vita, al mondo e al nostro agire.
*Trattando d'anima entri nella prospettiva religiosa ma senza riferimenti cristiani
L'anima è per così dire un “corpo estraneo” alla cristianità, vi approda per altre vie, filosofiche e non solo, con il platonico Agostino. L'anima deriva da Pitagora e Platone, o proviene dagli spiriti metafisici d'Oriente. Per i cristiani c'è lo spirito e c'è la carne.Il senso universale e non personale di anima si ritrova nello Spirito Santo, di cui Gioacchino da Fiore annunciò l'avvento dopo l'età del Padre e l'età del Figlio.
*Poi ti soffermi sul Pescatore d'anime, il Pietro di oggi, Papa Francesco...
Sì, sulla sua simplicitas che accompagna l'eclissi del sacro e l'esaltazione del santo, la sua religione così domestica e puerile, periferica rispetto al luogo in cui si costituì e dove poi sorse la scristianizzazione, l'Europa. E' il risveglio o l'eutanasia della fede?
*Sei critico sul tentativo di fondare la missione cristiana nel nome dell'amore
L'amore è predilezione, dunque da un verso è il contrario della giustizia perché non dà a ciascuno il suo; e dall'altro non si sposa con la carità, perché è elettivo mentre la carità è universale, non fa distinzioni se non di urgenza. Dedico un capitolo all'amor profano e alla patologia dell'unicità (tu solo, unico e insostituibile). In ogni vero amore combaciano anima e corpo; anche quando non c'è sesso, c'è cura e premura. Un amore disincarnato tra persone non è amore. Amare è resistere alla morte, a-mors.
*Tramite l'amore torniamo alla realtà e allo spirito del nostro tempo...
Osservando la vita quotidiana, la sfera politica, economica e sociale, il pensiero, noto i segni di una perdita della realtà. Scompare la realtà e mentre è esaltata, viene negata pure la natura. Viviamo in una bolla, non solo speculativa ma mediatica e tecnologica che ci separa dalla realtà, dalle anime e dai corpi e ci rende automi oltreché artificiali.
*Un mondo senza via d'uscite nella realtà; messaggio disperato, allora?
Speranza e disperazione sono stati d'animo, non sono la verità delle cose. Sono pre-visioni, non visioni. E a una visione della vita si deve tornare, in un percorso che nutra l'anima, la coltivi, in relazione al corpo e alla vita. Educare... Incarnare l'anima e ritrovarla al centro della vita per non finire in balia del tempo, del corpo e della morte. Vivere è connettersi, la morte è sconnessione, perché separa anima e corpo. Ma poi congiunge su altri piani. Una scintilla di fiducia illumina oltre la catastrofe...
*Quale verità ti ispira nel sostenere queste cose, quale lume, fede o tradizione?
Nessuno detiene le chiavi della verità ma ciò non significa che non esista. Quel che sostengo è frutto di pensiero, scommessa e intuizione, visione, cultura e tradizione rapportati all'esperienza della vita, ma la verità non è dentro di me, semmai io sono dentro la verità, ne abito uno spicchio. Vi sono poi altri spicchi di verità ignoti a noi che sappiamo di non sapere. La massima aspirazione per un uomo non è avere la verità ma essere nella verità. La verità non è in me, ma la mia aspirazione è animarmi in Lei, dentro di Lei. L'uomo, al più, ha tensione di verità, ha passione del vero.
*Non hai accennato per niente alla politica, che pure avrebbe bisogno di un'anima...
Vent'anni fa quando nacque Forza Italia scrissi un editoriale su l'Indipendente sul tema la destra ha bisogno di un'anima; mi telefonò Berlusconi e mi disse che erano agli inizi ma si stavano attrezzando e mi cantò in anteprima l'inno di Forza Italia. Per lui l'anima era l'inno... Per An l'anima era tabù, temeva l'accusa di apologia del fascismo... e per la Lega l'anima è una cosa che fanno a Roma, mentre a Nord c'è la padanima...Scherzi a parte, è difficile trovare l'anima in politica, semmai si tratta di salvare l'anima dalla politica. Poi certo, in linea di principio, alla politica manca proprio un'anima, i leader sono seduttori non carismatici, mancano le passioni ideali.
*Da La cultura della destra ad Anima e Corpo, cosa c'è in mezzo a questo passaggio?
C'è Plotino e c'è Seneca, c'è l'Amor fati e la Sposa Invisibile, c'è il Viandante e ancora altro... E c'è un cambiamento di vita: c'è la solitudine dopo la famiglia e gli amori, c'è la perdita dei cari, c'è l'età, c'è il disincanto totale, c'è il rifiuto di andare in tv e in vetrina, c'è l'abbandono di incarichi, premi letterari e altro, c'è la rinuncia all'auto, c'è il ritiro a Talamone, c'è il liberarsi per gradi da quella gabbia opprimente che è l'Ego...
www.marcelloveneziani.com
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Published on September 01, 2017 10:14
Review: L'isola delle donne
L'isola delle donne by Roberto Bertinetti
My rating: 4 of 5 stars
L’autore di questo interessante libro e il suo editore hanno saputo scegliere non solo le giuste storiche signore inglesi sulle quali scrivere, ma anche la data più appropriata per la presentazione del libro. Da Elisabetta I (1533-1603) a Diana Spencer (1961-1997) intercorrono cinque secoli di ricca storia non solo letteraria ma anche umana, sociale e personale.
La storia di nove signore, non so quanto “femministe”, ma certamente molto “femmine”, secondo i canoni sia della storia passata che di quella di oggi. Mi piacerebbe sapere cosa pensa sia di questo libro che delle signore coinvolte nella narrazione, l’on. “Presidenta” della Camera dei Deputati del nostro Paese. Non saprei del resto dire a quale categoria lei si sente di appartenere. Ma questo ha poco a che fare con questo libro.
Il prof. Roberto Bertinetti, docente di lingua e letteratura inglese all’università di Trieste, ha scritto con grande competenza un affresco storico che nessun anglofilo, anglomane o anglofobo può permettersi di ignorare. Un addetto ai lavori, quindi, non uno scrittore qualsiasi. L’editore, lasciata passare la grande abbuffata di celebrazioni per la triste fine dell’ultima figura di donna esaminata nel libro, la principessa Diana, dopo la presentazione del volume da parte dell’autore alla manifestazione “Pordenonelegge”, procederà alla distribuzione nelle librerie. Io l’ho letto nella versione Kindle più economica.
Guarda caso, a proposito di economia, scrive una di queste signore inglesi, Virginia Woolf, nel suo famoso libro “Una stanza tutta per sè”: “Tra le due cose, il voto e il denaro, confesso che il denaro mi sembra infinitamente più importante”. In nome del cervello, perché spiega “la libertà intellettuale dipende da cose materiali”. Ha ben ragione, siamo in Inghilterra ed è da queste parti che qualcuno ha scritto la nota frase “E’ il danaro che fa girare il mondo”. A pensarci bene, lo “sterco del demonio” fa sentire sempre la sua presenza e questo sembra aleggiare anche intorno a queste “gentili” signore inglesi.
Sono nove le «signore impareggiabili» che Roberto Bertinetti ci invita a conoscere: Elisabetta I, e Vittoria, regine, Margaret Thatcher, primo ministro, Lady D, principessa reale infelice, Virginia Woolf, Jane Austen, Agatha Christie, scrittrici di fama, Mary Quant e Vivienne Westwood, personalità creative e di successo. Donne diverse per epoca, famiglia d'origine, ruolo, mentalità, eppure collegate da alcune caratteristiche comuni, al di là del giudizio e della fama storica. Dogmatismo, intransigenza, senso pratico, guadagni. Una volontà di ferro accomuna le signore impareggiabili. Anche quelle dal volto d'angelo come Lady D, che a partire dalla sua fragilità ha creato un mito, quello della principessa del popolo.
E’ vero che per secoli il “potere” in queste isole è stato in mano agli uomini: i lord, il trono, i club fumosi, i parrucconi, i collegi. Solo in apparenza. Non sempre è stato così. È stata soprattutto quella libertà di intelligenza di cui parla la Woolf, molte donne sono state protagoniste della storia di quello che poi diventerà un Regno Unito di tante e diverse “isole”, sia mentali che fisiche. Donne molto anticonformiste, e non a parole; anzi, spesso apparentemente poco femministe nei toni, quanto efficaci nella pratica. Pratica politica, regale, governativa, mediatica, letteraria, del costume.
Mi piace qui ricordare una figura femminile, non presente nel libro, che uno studioso definì essere “una iena in reggiseno”. Mi riferisco a Mary Wollstonecraft Godwin, (1759-1797) la prima vera donna che nella storia della letteratura inglese, e di tutta la letteratura europea a dire il vero, che sia stata non solo “femmina” ma anche “femminista” e “rivoluzionaria”. Non è un caso che sulla falsariga dei “Diritti dell’Uomo”, scrisse i primi, sensazionali, storici “Diritti delle Donne” (1790). Peccato che in questo libro manchi questa figura di donna, morta a soli 38 anni, dopo una vita quanto mai avventurosa e tragica.
Non vi dirò nulla di più su questa galleria di signore inglesi invitandovi alla lettura del libro. Da questi tipi di donne, siano esse impegnate in politica o nella scrittura, nell’arte del governo o in quella della bellezza e della moda, i signori uomini hanno tutto da imparare e, soprattutto, “scoprire”. Esse sanno essere tanto “iene” quanto “angeli” discesi in terra a “governare” in maniera sicuramente diversa da come sono abituati a fare gli uomini.
Se vogliamo crearci una comoda immagine di che tipo di donne hanno abitato da sempre nelle isole britanniche, ogni qualvolta visito Londra, non manco di passare dalle parti del ponte di Westminster, di fronte al Parlamento e guardare l’imponente monumento in bronzo di Boadicea, la mitica regina degli Iceni Celti, che fu a capo e sconfitta di una rivolta contro i Romani verso il 60 d.C. Il monumento venne inaugurato in occasione della grande esibizione del 1851 per volontà ed espressione, sia di forza che di potere, dalla Regina Vittoria, una delle figuri dominanti del libro di Bertinetti.
Il seno scoperto al vento di Boadicea non aveva il “reggiseno” della “iena” Mary in uso soltanto secoli dopo. Il segno della continuità di una storia che si manifesta ancora oggi con il Primo Ministro moderno Theresa May, ferrea guida inglese nella “Brexit”. Senza dire poi nulla di quell’altra realtà che è diventata un mito: la Regina Elisabetta II simbolo delle donne di queste isole che la Manica divide dal Continente. La grande assente di questo libro, alla quale un attento lettore non può non andare col pensiero. Io credo che Elisabetta II, donna tanto moderna quanto antica, rappresenti al meglio lo spirito femminile non tanto inglese, quanto britannico.
Perchè della figura e del mito di Britannia queste donne conservano il carattere riassunto in una immagine che la vede tradizionalmente raffigurata con scudo e tridente. Ha scritto Agatha Christie in un suo libro, a proposito delle donne inglesi dell’ottocento: “Hanno avuto l’innegabile abilità di saper portare gli uomini a fare quello che volevano loro, mostrandosi fragili, delicate, sensibili … Erano davvero schiave ed infelici, oppresse e umiliate? Non è così che le ricordo”. Credo che questo basti per continuare a capire quanto continua ad essere importante l’immagine di una signora anglo-britannica che continua ad usare scudo e tridente.
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My rating: 4 of 5 stars

L’autore di questo interessante libro e il suo editore hanno saputo scegliere non solo le giuste storiche signore inglesi sulle quali scrivere, ma anche la data più appropriata per la presentazione del libro. Da Elisabetta I (1533-1603) a Diana Spencer (1961-1997) intercorrono cinque secoli di ricca storia non solo letteraria ma anche umana, sociale e personale.
La storia di nove signore, non so quanto “femministe”, ma certamente molto “femmine”, secondo i canoni sia della storia passata che di quella di oggi. Mi piacerebbe sapere cosa pensa sia di questo libro che delle signore coinvolte nella narrazione, l’on. “Presidenta” della Camera dei Deputati del nostro Paese. Non saprei del resto dire a quale categoria lei si sente di appartenere. Ma questo ha poco a che fare con questo libro.
Il prof. Roberto Bertinetti, docente di lingua e letteratura inglese all’università di Trieste, ha scritto con grande competenza un affresco storico che nessun anglofilo, anglomane o anglofobo può permettersi di ignorare. Un addetto ai lavori, quindi, non uno scrittore qualsiasi. L’editore, lasciata passare la grande abbuffata di celebrazioni per la triste fine dell’ultima figura di donna esaminata nel libro, la principessa Diana, dopo la presentazione del volume da parte dell’autore alla manifestazione “Pordenonelegge”, procederà alla distribuzione nelle librerie. Io l’ho letto nella versione Kindle più economica.
Guarda caso, a proposito di economia, scrive una di queste signore inglesi, Virginia Woolf, nel suo famoso libro “Una stanza tutta per sè”: “Tra le due cose, il voto e il denaro, confesso che il denaro mi sembra infinitamente più importante”. In nome del cervello, perché spiega “la libertà intellettuale dipende da cose materiali”. Ha ben ragione, siamo in Inghilterra ed è da queste parti che qualcuno ha scritto la nota frase “E’ il danaro che fa girare il mondo”. A pensarci bene, lo “sterco del demonio” fa sentire sempre la sua presenza e questo sembra aleggiare anche intorno a queste “gentili” signore inglesi.
Sono nove le «signore impareggiabili» che Roberto Bertinetti ci invita a conoscere: Elisabetta I, e Vittoria, regine, Margaret Thatcher, primo ministro, Lady D, principessa reale infelice, Virginia Woolf, Jane Austen, Agatha Christie, scrittrici di fama, Mary Quant e Vivienne Westwood, personalità creative e di successo. Donne diverse per epoca, famiglia d'origine, ruolo, mentalità, eppure collegate da alcune caratteristiche comuni, al di là del giudizio e della fama storica. Dogmatismo, intransigenza, senso pratico, guadagni. Una volontà di ferro accomuna le signore impareggiabili. Anche quelle dal volto d'angelo come Lady D, che a partire dalla sua fragilità ha creato un mito, quello della principessa del popolo.
E’ vero che per secoli il “potere” in queste isole è stato in mano agli uomini: i lord, il trono, i club fumosi, i parrucconi, i collegi. Solo in apparenza. Non sempre è stato così. È stata soprattutto quella libertà di intelligenza di cui parla la Woolf, molte donne sono state protagoniste della storia di quello che poi diventerà un Regno Unito di tante e diverse “isole”, sia mentali che fisiche. Donne molto anticonformiste, e non a parole; anzi, spesso apparentemente poco femministe nei toni, quanto efficaci nella pratica. Pratica politica, regale, governativa, mediatica, letteraria, del costume.
Mi piace qui ricordare una figura femminile, non presente nel libro, che uno studioso definì essere “una iena in reggiseno”. Mi riferisco a Mary Wollstonecraft Godwin, (1759-1797) la prima vera donna che nella storia della letteratura inglese, e di tutta la letteratura europea a dire il vero, che sia stata non solo “femmina” ma anche “femminista” e “rivoluzionaria”. Non è un caso che sulla falsariga dei “Diritti dell’Uomo”, scrisse i primi, sensazionali, storici “Diritti delle Donne” (1790). Peccato che in questo libro manchi questa figura di donna, morta a soli 38 anni, dopo una vita quanto mai avventurosa e tragica.
Non vi dirò nulla di più su questa galleria di signore inglesi invitandovi alla lettura del libro. Da questi tipi di donne, siano esse impegnate in politica o nella scrittura, nell’arte del governo o in quella della bellezza e della moda, i signori uomini hanno tutto da imparare e, soprattutto, “scoprire”. Esse sanno essere tanto “iene” quanto “angeli” discesi in terra a “governare” in maniera sicuramente diversa da come sono abituati a fare gli uomini.

Il seno scoperto al vento di Boadicea non aveva il “reggiseno” della “iena” Mary in uso soltanto secoli dopo. Il segno della continuità di una storia che si manifesta ancora oggi con il Primo Ministro moderno Theresa May, ferrea guida inglese nella “Brexit”. Senza dire poi nulla di quell’altra realtà che è diventata un mito: la Regina Elisabetta II simbolo delle donne di queste isole che la Manica divide dal Continente. La grande assente di questo libro, alla quale un attento lettore non può non andare col pensiero. Io credo che Elisabetta II, donna tanto moderna quanto antica, rappresenti al meglio lo spirito femminile non tanto inglese, quanto britannico.
Perchè della figura e del mito di Britannia queste donne conservano il carattere riassunto in una immagine che la vede tradizionalmente raffigurata con scudo e tridente. Ha scritto Agatha Christie in un suo libro, a proposito delle donne inglesi dell’ottocento: “Hanno avuto l’innegabile abilità di saper portare gli uomini a fare quello che volevano loro, mostrandosi fragili, delicate, sensibili … Erano davvero schiave ed infelici, oppresse e umiliate? Non è così che le ricordo”. Credo che questo basti per continuare a capire quanto continua ad essere importante l’immagine di una signora anglo-britannica che continua ad usare scudo e tridente.
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Published on September 01, 2017 05:12
August 28, 2017
Review: The Complete Infidel's Guide to Free Speech (and Its Enemies)

My rating: 5 of 5 stars
Robert Spencer ha solo messo in fila tutti i mattoncini della storia. E ne è uscito un piccolo capolavoro. Ancora non sappiamo se è stato tradotto in italiano (se così non fosse gli editori dovrebbero fare a gara per accaparrarsi un blogger definito «New York Times bestelling author»). Il suo titolo originale è The Complete Infidel's Guide to Free Speech (and Its Enemies). La cultura occidentale e in specie quella americana (basata sul primo emendamento) ha come suo architrave la laicità dello Stato e la libertà di parola e di espressione in tutte le sue forme (free speech). Ebbene, queste caratteristiche non sono proprie degli Stati islamici. E su questo passi. Il libro di Spencer ci racconta, con fatti, date, interviste, sentenze, come stiamo rinunciando a questi principî. Dal caso Fallaci, che conosciamo, a quello del presentatore tv americano Schilling, fatto fuori per un tweet in cui diceva che solo il 5 per cento dei musulmani è terrorista, in confronto al 7 per cento dei tedeschi che era nazista. Kaputt, dopo una violenta campagna di stampa e nonostante le sue ripetute (e non dovute, secondo Spencer) scuse è stato radiato. E che dire di quell'ufficiale dell'esercito americano, Hassan, in corrispondenza (cosa che sapeva bene l'Fbi) con un reclutatore dell'Isis e mantenuto al suo posto di lavoro, anzi promosso, fino a quando ha ammazzato tredici persone?
L'Occidente, dice Spencer, è vittima del politicamente corretto, si autocensura sulle questioni che riguardano l'islam. Stiamo tragicamente seguendo il consiglio di Mohamed Atta, il leader degli attentatori dell'11 settembre, che ai passeggeri del suo volo diceva: «Dovete solo stare calmi e vedrete che tutto sarà ok». Lo hanno preso in parola e il volo American Airlines 11 si è schiantato su una delle Torri gemelle. E la nostra libertà di parola e di critica si sta affievolendo, almeno quando si parla di questioni che riguardano il mondo islamico. «La libertà di parola contiene esattamente la libertà di disturbare, di ridicolizzare e di offendere. Se così non fosse, la dottrina del free speech sarebbe lettera morta. Dopotutto, le parole, i discorsi inoffensivi non hanno alcun bisogno di protezione, per di più con un emendamento costituzionale». La cosa sembra banale, ma non lo è. E Spencer ricorda centinaia di casi, dalle vignette danesi alle denunce dei vicini di casa, in cui per il solo fatto che a essere toccato fosse un nervo islamico, l'Occidente, l'America, e le Nazioni Unite si sono fermati. D'altronde, come scrive l'Oic (la rispettata Organizzazione per la cooperazione islamica che riunisce 56 nazioni), «il mondo islamico considera le vignette satiriche come una versione differente dell'attacco dell'11 settembre». Come dire: insultare il Profeta è per la nostra cultura un delitto simile a quello che voi occidentali attribuite al perpetrare una strage. Spencer scrive poi che «la sinistra internazionale» ha le sue buone ragioni per condividere queste posizioni: non ha mai amato e tollerato il dissenso. O almeno dopo gli anni '60 la sua involuzione è stata autoritaria, è diventata allergica al dissenso. Un libro che varrebbe la pena tradurre il prima possibile. Ci riguarda da vicino e ci spiega come la tendenza Boldrini non sia una prerogativa italiana. Tutt'altro.
(Nicola Porro - Biblioteca liberale - Il Giornale)
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Published on August 28, 2017 11:22
August 26, 2017
Review: Viaggiatori stranieri nel Sud

My rating: 3 of 5 stars
“Chiunque si sia recato da Salerno ad Amalfi, seguendo la strada lungo il mare, deve ricordare questa gita con vera soddisfazione. Non ve ne è un'altra ugualmente bella in tutto il regno di Napoli, e di tante escursioni che ho fatto in tutta quanta l'Italia, questa è quella che mi ha lasciata più grata impressione di tutte le altre". (Ferdinand Gregorovius - 1861)
E’ la scarna presentazione in copertina di questo libro pubblicato oltre trenta anni fa nella collana dei “Quaderni del Centro di Cultura e Storia Amalfitana”. Riporta la citazione di un illustre e forse dimenticato storico tedesco, uno dei tanti studiosi e visitatori viaggiatori stranieri del Sud d’Italia. In questo libro, che meriterebbe una ristampa anche digitale, un altro tedesco, Dieter Richter, professore di Brema, affronta lo studio della storia fedele e documentata di Amalfi e dell’immagine della città nel golfo di Salerno, vista attraverso la letteratura e la storia dell’arte europea a partire dal Seicento. Nel microcosmo di questi luoghi diventano visibili strutture e tendenze di un movimento che è insieme spirituale e reale.
Basato su uno studio attento ed accurato di un ricco tesoro di fonti, il libro ricostruisce una lettura storica del paesaggio della Costa e delle piccole vicende degli uomini che vi ebbero stabile dimora o che vi soggiornarono. La Costa d’Amalfi non era stata ancora proclamata Patrimonio dell’Umanità, questo sarebbe accaduto soltanto poco più di una decina di anni dopo, nel dicembre del 1997. Fu proprio in questi anni che il turismo, non solo locale ma internazionale, cambiò letteralmente “modus operandi”. Ad una lettura attenta, qualificata e documentata di questa Costiera, sarebbe succeduto un diverso modo di leggere la realtà.
Lo sguardo dei viaggiatori del passato, concretizzato in descrizioni di viaggio, disegni, quadri, poesie e lettere, rivolto a paesaggi e paesi che oggi noi guardiamo in maniera del tutto diversa, viene riportato abbondantemente e con grande entusiasmo e fedeltà in questo libro. Agli smaliziati occhi moderni del lettore digitale del terzo millennio, abituato a diverse sollecitazioni tecniche, visive ed artistiche, tra tecnologie inimmaginabili quando questo libro venne stampato, la documentazione fotografica fa davvero sorridere per la sua insufficienza tecnica, ciò che colpisce e rimane importante è la ricca bibliografia, lo “sguardo storico” letterario che trasmette al lettore una testimonianza interiore del vero vedere e di un diverso modo di viaggiare ed essere turisti.
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Published on August 26, 2017 12:07
MEDIUM
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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