La "versione" di Enzo Cutolo ...

"Come ti leggo, caro libro. Innumerevoli sono i modi nei quali si può parlare e scrivere di un libro. Non uso la parola impiegata di solito, recensire, perchè mi sa di intellettualismo, una categoria alla quale non mi sento di appartenere.
Per me il libro è come un essere vivente per il quale si possono usare le famose cinque domande usate in linguistica per insegnare una lingua: "chi-cosa-quando-dove-perché".
Basta adottarle anche per un libro e il gioco è fatto. Ma prima vorrei fare alcune considerazioni che non sono secondarie per chi decide di leggere e scrivere di un libro, di stendere una canonica "recensione ..."
Così ho scritto, tra il serio e il faceto, in un post qualche giorno fa, a proposito di quella particolare attività tipicamente umana: scrivere. Solo noi uomini, infatti, siamo in grado di "materializzare" quello che pensiamo, trasformando ciò che ci passa per la mente o ci accade in qualcosa di reale e concreto, visibile e permanente: la scrittura. Con essa possiamo illuderci di fermare il tempo, registrare il passato, descrivere il presente, ipotecare il futuro.
Sono secoli, millenni che la memoria degli uomini costruisce il suo futuro lasciando tracce ovunque si manifesta la sua attività di pensiero. Queste pagine della sua vita che il prof. Vincenzo Cutolo ha voluto sottrarre all'usura del tempo segnano la sua traccia. Ho proceduto ad inserire il suo libro in quel "paradiso" di cui è fatta quella "immensa biblioteca" immaginata da Borges su "GoodReads" ed ora mi accingo a parlarne più a lungo.
La voglia di scrivere, di comunicare, di esternare è diventata sempre di più una esigenza, un bisogno, una necessità. Di volta in volta essa può assumere la forma di un’avventura, una scoperta, un’illusione. Un tempo non lontano, avere pubblicata una lettera su di un quotidiano, nella pagina delle “Lettere al Direttore”, era un’occasione per far sapere agli altri della propria esistenza, per affermare la propria cultura, per confermare il proprio io e le proprie opinioni. Le pagine dei quotidiani, dei settimanali e dei periodici erano pieni di lettere e di contributi da parte dei lettori in varie forme.
Questa esigenza comunicativa, che una volta si esprimeva attraverso l’uso della scrittura, fatta per mezzo di una semplice penna, oggi è appagata e sostituita dalla tastiera che può essere tanto quella del pc quanto quella del telefonino e di qualsiasi altro "gadget" oggi in uso. Molto spesso questa "voglia" ha un significato più profondo, più meditato, spesso anche più sofferto, specialmente se, chi decide di fermare i suoi pensieri sente il bisogno di essere il "testimone" di se stesso, della sua vita, delle sue azioni. In breve, la testimonianza del suo tempo che irrimediabilmente si accorge essere trascorso.
Le memorie del prof. Vincenzo Cutolo abbracciano un arco di tempo molto ampio, dagli anni '70 ad oggi, quasi mezzo secolo. Le parole "chiave" intorno alle quali costruisce il suo percorso di vita sono "teatro, scuola, politica, cultura". A dire il vero, credo che la "chiave" di lettura di partenza sia la terza, la politica. Enzo Cutolo, con il quale ho sempre avuto un rispettoso amichevole rapporto, a mio parere, in queste sue "memorie" si manifesta un "animale politico" mancato, prestato anche alla cultura. Lo dico da semplice osservatore che pensa che la vita sia essenzialmente un risolvere problemi. Se si risolvono si vince, se no, si perde.
Per cultura ovviamente includo le altre due etichette che lui stesso ha voluto assegnarsi: scuola e teatro. A scorrere il corposo, minuzioso indice che ha dato al suo libro si legge chiaramente la "traccia politica" del suo percorso, le sue scelte, il suo impegno. Tutta la sua azione esistenziale ha avuto una evidente impostazione "politica". Su questa politica fatta di scelte, di idee e di comportamenti si basa il suo impegno, senza dubbio "civile", una sintesi che, in un provvisorio commento su FB, mi sono limitato a definire un momento di "sintesi ricca e preziosa".
Devo dire, però, che se ci si immerge nella lettura di tutti quei momenti da lui vissuti ed espressi in quell'interminabile elenco di documenti pubblicati su gazzette, giornali, riviste e periodici del territorio e non, intercalati anche da apparizioni digitali su FB, chi non conosce uomini e cose di sui parla e scrive l'autore, rischia di annegare in un mare di interventi, proponimenti, pronunciamenti, idee, ideologie ed ideologismi, vissuti nel quotidiano, che forse avevano una loro ragion d'essere quando emersero, ma che poi a distanza di tempo hanno perso tutta la loro efficacia, il loro valore, come si suol dire il senso della storia.
La cronaca non diventa mai storia. E' la Storia, quella con la lettera maiuscola, che decide quale cronaca possa/debba lasciare una "traccia". Se le cose stanno cosi, restano allora senza risposta gli interrogativi che sembra porsi il prefatore prof. Gennaro Carillo: se questi comportamenti, idee, ideologie, scelte politiche, chiamatele come volete, abbiano effettivamente concorso a "sprovincializzare i "consumi" di una società meridionale la quale, a distanza d tanto tempo, a me sembra ancora privilegiare.
Un'altra osservazione mi sento di fare sui contenuti di questo libro e su quanto Cutolo ha voluto personalmente mettere in evidenza in questa sua fatica politica pluridecennale. I documenti che lui ci fa leggere dimostrano che il suo rimane sempre un punto di vista personale, parziale, soggettivo, ideologicamente condizionato. La sua mi pare una proustiana "ricerca del tempo perduto", nella convinzione che la politica possa essere la chiave di tutto, dell'esistenza non solo degli uomini ma anche di una società, quella sarnese e meridionale, come di tutta la società.
Scorrendo le pagine del suo libro mi è venuto in mente un altro libro, oltre quello della ricerca di Proust cui ho fatto riferimento prima. Quello di Mordecai Richler, autore del famoso "La versione di Barney". Squarci caotici e confusi di un passato altrettanto confuso ed anche turbolento, si alternano con altri eccitanti e vitali, ma che chi legge può anche non conoscere, oppure li ha vissuti in maniera opposta a quella che l'autore ci presenta.
Questo libro rimane comunque un importante documento di sintesi autobiografica di una personalità sempre ideologicamente impegnata verso il sociale, con una buona, comprensibile dose di narcisismo intellettuale tipico di tanta cultura meridionale che non riesce ad uscire dal suo guscio di uno stantio e deleterio provincialismo. Ne ha scritto ottimamente ed in profondità il buon prof. Gennaro Carillo. Il prefatore conosce bene il suo autore e di questo bisogna dargliene atto.
Prima di concludere, desidero toccare un aspetto particolare di un documento che Enzo ha voluto rendere pubblico e che mette forse in evidenza un aspetto non secondario del suo carattere. Mi ha colpito non poco la lettura della lettera inedita che lui ha scritto da Milano alla Madre in data 25 novembre 2005. Un documento molto umano, intimo e anche in un certo qual modo rivelatore della "persona" che scrive questa lettera.
Enzo usa una parola con la quale mi sento di "giudicare", se mi è permesso, il suo libro. La parola è: "energia", usata per giustificarsi di un suo comportamento nei confronti di sua madre e, credo, della famiglia. Lui pensa che tutto quello che ha fatto, sia nel personale che nel sociale, sia "energia". Egli mi sembra di sostenere che dopo la morte non resta null'altro che non sia "energia".
Il suo libro potrà anche essere tale, una grande, forte, continua "energia" che lui ha profuso in tanti anni di impegno politico e culturale. Io non posso non rispettarla, anche se continuo a muovermi in quella che il Qoelet chiamò "hebel", (nebbia) che nessuna "energia" potrà mai penetrare, tanto meno la "politica".

Published on February 05, 2017 12:38
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