Un libro per il Poeta ...

Sistemando la mia biblioteca online su GoodReads, tra le tante carte, mi sono imbattuto in un manoscritto che avevo dimenticato nei cassetti del tempo. Risale a oltre venti anni fa. Una raccolta di sonetti ed altre cose di Gino De Filippo, amico di vecchia data. 
Qualche mese fa, alla Pro-Loco di Sarno, anche per l'appassionato interessamento dell'avv. Leandro Sodano, lo hanno festeggiato, onorandolo in una serata in cui il prof. Salvatore D'Angelo ha avuto l'opportunità di mettere in evidenza, ancora una volta, la sua grande creatività aritistica. 
Desidero rivolgere un invito alle istituzioni locali e a singoli cittadini affinchè si adoperino a far si che questo manoscritto, o anche qualche altro della sua vasta raccolta, possa vedere la luce a stampa. Una iniziativa questa che, senza dubbio, onorerebbe un cittadino sarnese meritevole di essere sempre di più conosciuto e valorizzato e che ha ancora tante cose da dire. Le sue condizioni economiche non gli permettono di affrontare i costi di una pubblicazione.
Gino, nonostante il carico dei suoi tanti anni, continua a scrivere a mano in tanti quadernoni i suoi pensieri. In lingua o in vernacolo, in versi o in prosa, annota o disegna la realtà di un mondo che cambia e gira come uno "strummele". Nella introduzione in dialetto alla sua raccolta di trenta sonetti, così scrive: " 
" 'U munno è na palla ca gire comm 'a nu strummele, però 'u strummele gire appoggiate 'nderra e 'u munno, invece, gira all'aria". Siccome ca 'o sole sta sembe o stesso posto, 'a terra, giranne, se trova na vota nd' 'a luce e na vota nd' 'u scure, perciò fa notte e fa iuorne. Po', quase comme fa l'arbere quanne vott' 'u viende, se cocca na vota 'a cca e na vota 'a llà, accussì succere ca 'e sole nge ne sta na vota cchiù ppoco e na vota cchiù assaie, perciò vene na vota 'a stagione e na vota 'a vernata. 'A no poch' 'i tiembe 'i 'scinziate stanne ricenne ca 'sta palla, vonne rice 'a retta, s'abboccate 'a no lato, perciò s'hanno spostate pure 'e vernate e 'e stagione. E se capisce! Pè forza aeva succere'. Pecchè? ricite vuie, e nge vò assaie p' 'o ccapì? si mittite nu pise ngoppa a una spalla cchi vi succere? Succere ca v'abboccate 'no lato ... e cheste è succieso c' 'a terra: 'a no lato a stanne sfrattanne a piglià 'u sciste, 'a n'ato lato fravecanne palazze e palazze 'e gemende, ca pèsene comm' u fierre, no' ssaie: ralle e dalle 'u cucuzzielle 'rrevenne calle ... sfratte 'a cca, rigne 'a llà e a terra s'abboccate! ..."
Si scrive per essere condivisi, letti, conosciuti, apprezzati, magari anche osteggiati e criticati. Ma non è giusto che gli scritti di Gino De Filippo, "masta Gino", restino per sempre chiusi, nascosti e sconosciuti, fogli anonimi che lui consegna a suo figlio "a futura memoria".  Per questa ragione ho deciso di  pubblicare parte dell'inedita presentazione che scrisse in dialetto, facendola seguire da alcune composizioni poetiche, anch'esse inedite e in lingua, intitolate: "Panorami". 

A distanza di venti anni, sia la prosa che i versi di Gino De Filippo mantengono la loro attualità, il vigore poetico e la visione esistenziale di un Uomo che, non dimentichiamolo, rimane un uomo del Sud che si è fatto da sè. Un autodidatta nel senso pieno della parola, erede dell'antica tradizione etrusca osco-sarraste della Valle del Sarno. 

Manovale, muratore, imbianchino, carpentiere, disegnatore, progettista, ma anche poeta, scrittore, pittore e sopratutto "maestro" della parola e del pensiero. Un "artista" di quelli veri, senza scuole, accademie o salotti, estraneo alle cronache ed ai circoli chiusi. Solo la quarta elementare, ha frequentato la scuola della vita senza mai mancare all'appello. E'andato alla ricerca del "segno" vero dell'esistenza. 

Così ebbi modo di scrivere anni fa quando pubblicai una piccola antologia di suoi scritti sotto il titolo di "Alle Falde del Monte Saro. Il libro di Gino". Oggi, che in questa antica e "nobile" città di Sarno, che vede pubblicare libri su libri, scritti da chi se li scrive e se li legge perchè se lo può permettere, i "quadernoni" scritti a mano di un vecchio e malinconico poeta, quasi centenario, rimangono chiusi e segreti agli uomini e al tempo. Un invito a chi può, a raccogliere questi fogli e far vivere questi pensieri regalandoli al futuro.

Panorami
I Un minuto, un'ora, un giorno, un anno ... No! Un'eternità l'ala ferita della farfalla; un'eternità l'esilio, il freddo e il silenzio mio, tuo ... Altri cantano glorie di bandiere gialle. Torneranno, ripartiranno, torneranno ancora e non sarò io, nè tu, ma sempre altri a sedere nel centro del sole e fare loro il mondo.
II  Papa padre, Papa figlio; ministri e sacerdoti ... ma soltanto il sacrestano suona campane a morto. Pellicce benedette, gioielli ... oro di sangue puro! Altri parlano di guerre, già combattute e perdute; da combattere e perdere.
III Un bosco di silenzio la quercia. Salici e pioppi di lune fra nevrasteniche sere senza fine. Frammenti di pensieri,  pazze meteore, i giorni, e si muore col sasso in bocca a mezza voce fra le rive! Le finestre eccellenti dominano piazze e fontane.
IV Il sole sta lontano. Il vento apre cieli di nuvole: tempo di grandine per me, per te e non altri. Veli di nebbia le antiche spose e sogni lacerati ... Sono flauti di piombo e fuoco a vestire di festa il morto; a spogliare il mare e le sirene.
V Sono falco e formica. Sono fiume silenzioso che scava sotto la culla; nel segreto d'altra luce o di stagioni a venire. Tu metà uomo metà bestia nell'agguato di sempre; nel tempo che consuma le ore non vissute ...
VI Il cielo è ferito. Il mare giace senza giorni di festa nè gabbiani. Mormora la risacca dove antichi sorrisi piantarono stelle d'incenso, d'oro e mirra. Altri varcano i deserti senza trovare il cammino; vanno nel grande lago, quasi sperduti, a seminare promesse già svanite.
VII Sarò soltanto un numero; un'ombra sospesa nel buio: nel buio che uccide prima del sogno, come altri, ancora altri e altri ancora ... Nel presente vuoto fantasmi stranieri vestiti a festa suonano musiche pazze di fredde luci.
VIII Nere e affamate le navi e le roulotte bruciano i santi; da Levante a Oriente altari imbanditi ... morti acerbe per me, per te e non altri nel ricambio. Magia di secoli rifatti, di vecchie strofe dorate  e sermoni di naftalina.
IX Nel cerchio quadrato sta il cubo, il triangolo e il rombo.  Tutto è Babele! E va sperduto nella nebbia la genesi e il dopo. Una fede sospesa vacilla  meridiani e paralleli: un rincorrere di padri nell'impura, lunga notte.
X Rifatela la storia senza magia di cabala! La madre degli eroi ha occhi profondi; nella chioma bianca le ferite e la sconfitta. Abbattete simulacri e sciamani: falsi figli del tempo, costruttori di sogni infami.
XI Vorrei esser tutto e niente: sole, pioggia, amore, odio, gioia, dolore, guerra e pace. Ma i giorni sono corti e traditi; sono piaga del cielo, ferita della terra ... come il mare di pietra che non risacca. Vorrei essre altro giorno nel tetto della sera, ma per voler di Dio sono soltanto io .
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Published on February 07, 2017 11:32
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Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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