Iaia Guardo's Blog, page 99
October 8, 2015
La Libreria di Iaia: Panini di Ernst Knam
Ho ticchettato riguardo Fritti di Ernst Knam (e puoi trovare tutto qui) e Oltre (che puoi trovare invece qui). Si tratta di due libri molto speciali, particolari e costosi che fanno parte di un’edizione davvero incredibile e per certi versi d’élite. Di quei libri che ammiri ma con i quali difficilmente ti approcci (per poi scoprire invece che c’è anche della innaturale semplicità). Quello di oggi invece è un libro che già solo esteticamente ti sembra essere più “accessibile”. Piccoletto e compatto, di quella forma rettangolare quasi quadrata. Lo guardi e dici: uh, sarà pure economico! E invece tac. Venticinque euro. E rimani sbalordito. Di Bibliotheca Culinaria, è a tutti gli effetti un piccolo gioiello da ammirare e rimirare, firmato poi da nientepopodimenoche Knam. L’introduzione è di Stefano Scansani e le foto meravigliose, troppo piccole per quanto sono belle, di Janes Puksic (che mi perdonerà se non ho a disposizione gli accenti giusti per la s e la c). Ernst Knam ci racconta della sua passione per i panini:
“Mi dicono spesso, quando sto per gustare un panino, che uno chef dovrebbe mangiare ben altro. Da sempre però, quando ero un ragazzo e i panini pensavo a farli solo per me, io sprigionavo tutta la mia fantasia e dentro quel pane, di qualsiasi tipo fosse, ci mettevo tutto il mio mondo in fatto di cibo e tutta la mia curiosità nel provare sapori nuovi. E poi quanto me lo gustavo quel panino!”
Il mondo di un adulto, dice Knam, è diverso e con il tempo affinando i gusti, ricercandoli e affinando il proprio palato tutto cambia (figuriamoci il suo di palato, abituato come è ad assaggiare supreme leccornie). La definisce una passione più consapevole quella di farsi un panino e per questo assolutamente non meno intrigante. Il panino, se fatto con ingredienti sapientemente miscelati, non è più un pasto veloce e affrettato ma può diventare equilibrato, sensato e anche molto ricercato. Knam ci dice che con questo libro vuole far partecipi tutti delle maniere migliori che ha trovato per rendere giustizia a questo antico e indispensabile (e buono) pasto unico a tutti gli effetti.
Si assiste difatti a un susseguirsi di meraviglie. Piccoli mondi conditi, arricchiti e imbottiti. Il pane che propone Knam è di ogni tipo e sorta: toast alle spezie, pane nero, pane al latte, bretzel, pane carasau, pane alle noci, pane agli spinaci, pane greco all’olio d’oliva, piadina, pane al sesamo, pane di segale, pane ai cinque cereali, baguette, bagel, ciabatta spagnola. Prima di cominciare a imbottire ci mostra una carrellata di lievitati che ti vien voglia di buttare la faccia lì e prendere a morsi tutto.
Semplicemente verde: Pane integrale con semi vari, formaggio spalmabile, erbette, coste, zucchine, spinagi, asparagi, scarola, cipollotto e menta
Contadino: Pane bianco con frittata di spinaci
Terra: Pane morbido agli spinaci con hamburger di verdure, cipolla e salsa remoulade
Deserto: Pane arabo con falafel, yogurt e cetriolo
Olymp: Pane greco all’olio d’oliva con feta, pomodoro e salsa tzatziki
Ligabue: Pane di amaretti con crema di zucca e foglie di grana
La natura: Pane ai cereali con ricotta di bufala alla griglia
Open Panino Spagnolo: Pane integrale con semi di zucca, angulas, peperoni spagnoli e salsa tzatziki
Knam: Bretzel con burro e leberwurst
Salmone: Pane bianco, insalata, salmome affumicato e crema di rafano
Anouk: Pane di sesamo nero, anguilla caramellata, formaggio spalmabile al wasabi e uova di pesce volante
Mazzancolla: Baguette con mazzancolle, salsa al Cognac e pepe di Szechuan
Acqua: Pane morbido alle erbe, hamburger di pesce e maionese al limone
Taram: Pane arabo con uova di pesce, mollica di pane, latte e cipolle
Sardegna: Pane carasau con bottarga di muggine e burro
Excalibur: Pane alle prugne, spada affumicato e crema di rafano bianco
Mediterraneo: Pane pugliese croccante, acciughe, peperoni alla griglia e pinoli tostati
Sandwich tropical: wasabi, rucola, mango, salmone irlandese leggermente affumicato
E ancora il doppio di quelli che ho trascritto. Il terminator, Il profondo mare con il tonno fresco al tandoori, Diavolo con la cipolla di Tropea e il peperoncino e il Crostone d’Arnad con il miele di castagno. Unico con il Pata Negra. Classico con il salame di Felino, catalogna e il burro alla senape in grani. Si va in Francia con il fegato e e in Giappone con il Kobe. Si fa il giro del mondo in questi piccoli mondi imbottiti. Ingredienti di primissima scelta abbinati da uno chef eclettico, famoso nel mondo per la passione del Cioccolato ma che anche con i salati (con Fritti lo aveva ampiamente dimostrato) ci sa fare, eccome. Tanto da lasciarti annichilito tanta è la bellezza.
Il prezzo è alto? No. Per un prodotto del genere assolutamente no. Chiude con creme e salse per farcire e accompagnare di cui parla nel libro. Molto diretto, senza fronzoli e con spiegazioni esaustive in poche righe. C’è una crema pasticcera gli agrumi per condire e pure la mostarda di mele. La fonduta al tartufo e la maionese al limone che si ritrova in molti panini.
Un piccolo gioiello dicevo qualche riga più su? Sì. Come un panino che, se fatto bene, non si dimentica quanto un’opera d’arte.
October 7, 2015
I Funghi, le case degli Gnomi, i vermi e la Cicala
Salvo, da papà-me-tutti chiamato Cicala (e il perché è una storia bellissima), ha preso il patentino. Lavora nell’azienda di papà -adesso del suo ricordo attraverso me- da quando sono nata. I primi anni non c’era nessuno e quindi aiutava mia mamma a stirare; perché portava i vestiti lì mentre papà era fuori a fare impianti elettrici e installare allarmi. Mi ha dato al pomeriggio la merendina. Mi ha accompagnato a scuola. Mi ha salutato orgogliosa quando dentro la Panda di mamma sono andata a mangiare al ristorante cinese con le mie amiche, lo stesso giorno che ho preso la patente. E ha vestito con me, mamma, Ale e Pier mio padre quando è morto. Agghiacciante, romantico, poetico e profondo. Salvo fa parte della mia vita come fosse terra. Il fratello, di poco maggiore, che non ho mai avuto. Sempre sorridente nonostante anche a lui la vita non abbia riservato chissà quali meraviglie. A testa alta e con coraggio nuota, si tatua delfini, mi abbraccia, mi porta i funghi per farmi costruire case agli gnomi e mi vuole bene. Nonostante io abbia sempre pochissimo tempo per lui. Per tutti. E per me stessa.
Mi dice il giorno prima “Non mi chiami mai”. Lo abbraccio e gli dico “Lo sai che ti voglio bene, vero?”. “Lo so”. E sa che è la risposta che voglio sentire per perdonarmi. E sa che è la risposta giusta perché gliene voglio e vorrò sempre. E allora capita che il pomeriggio seguente ti porta i funghi. Ti dice “Attenta che ci sono i vermi!”. Sorrido. Mi commuovo. Per la sua sempiterna delicatezza. Per la sua protezione. Per il suo bellissimo sorriso. Grido in cucina mentre SantaSignoraPina tenta di toglierli dall’inquadratura. Sono piccolissimi e bianchi. Strisciano. Mentre Vanessa e Koi mi guardano da un vetro. Mi passa la vita davanti sullo sgabellino bianco ikea che adopero per fotografare il tavolo bianco. Della mia casa tutta bianca. Senza identità e personalità. Come a voler dare un colpo di gomma e cancellare tutto.
E mentre penso a tutto questo in realtà immagino solo papà sbranare i funghi porcini. Perché li amava. Come amava Salvo.
Papà, Cicala è sempre qui che mi protegge dai vermi. Puoi stare tranquillo, Amore mio.
La Ricetta?
Diciamo che non c’è una vera ricetta ma. Dopo aver ricevuto dei funghi raccolti con amore metti una testa di aglio in olio extra vergine di oliva e profuma. Fai cuocere i funghi tagliati precedentemente, profuma e servi con tanto prezzemolo. Mi è stato detto che i siculi fanno così. E così ho fatto.
October 6, 2015
Le Tre Madri: Inferno, Suspiria e La Terza Madre
250 grammi di farina OO, 1 uovo, 125 grammi di burro, 125 grammi di zucchero, 1 pizzico di sale, la scorza grattugiata (senza la parte bianca amara) di un limone (a patto che sia biologico e non trattato. Che se non fosse così la buccia potrebbe pure essere un problema. Nel caso contrario ti prego lavala bene). Si impasta. Si stende su un piano infarinato. Si dà la forma.
A 180 gradi già caldo per 10-15 minuti, dipende dalla grandezza e dallo spessore dei biscotti. Controlla quindi. Quando sono dorati ma non troppo tira fuori e lascia raffreddare.
***se non hai visto la Trilogia sappi che ci potrebbero essere spoiler pazzeschi*** Parental Advisory
1977 (che bell’anno! Sono nate tutte le persone migliori. Ok la smetto): Suspiria
1980 Inferno
2007 La Terza Madre
C’è stato 30 anni per chiudere la trilogia cinematografica horror italiana più famosa il mio amato Dario; e che l’abbia chiusa in modo osceno poco importa perché il mio amore per lui è talmente incondizionato da farmi commentare con frasi agghiaccianti del tipo “Evvabbè ma è Dario”–“Evvabbè ma un po’ di pazienza”–“Evvabbè non è al top ma è Dario”–“Evvabbè è Dario”. Si nota la vastità di argomenti, no? La chiara obiettività e lucidità, l’analisi profonda che non viene intaccata e mossa da alcun sentimento. Si nota, giusto? Bene. Ne sono felice. Perché già diverse volte ho avuto modo di raccontare la mia poca coerenza quando si parla di affetti. E io a Dariuccio ci voglio bene, assai. Poco importa il resto.
Da un anno circa, da brava psicolabile, ho rivisto tutta la filmografia. Ho preso appunti. Ho trascritto considerazioni. Ho fatto correlazioni con il cibo e come se non bastasse ho pure annotato le vie di Torino (di Roma non ho potuto perché non mi trovo un Romano in casa. Qualcuno disponibile? Non tanto a vivere con me -capisco che la proposta non sia allettante- quanto ad aiutarmi. Forse neanche questa è allettante. Però posso farti tanti dolcini, sia chiaro). L’aiuto del Nippotorinese, abile osservatore e conoscitore della sua Augusta Taurinorum, è stato fondamentale. Per lui sorbirsi tutta la filmografia di Argento è stato come chiedere a me di guardare Kurosawa senza sottotitoli ma dopo undici anni (ripeto UNDICI ANNI) se non si arriva a un così alto tasso di sadismo significa solo una cosa: il rapporto è morto. Suppongo lui preferisse questa opzione alla visione della Terza Madre e per certi versi, sarò onesta, pure io. Ma procediamo con calma che sono tante le cose da scrivere. Il mio frenetico ticchettio di cui parlavo poco sopra riguarda un progettino esterno al Blog che non avevo assolutamente intenzione di traslare qui, ma poi mi sono detta: sta arrivando Halloween e le dita della strega le ho fatte. Ho ammorbato tutti dal 2000 con i crackers ragnetto e i baramezzini della mia amata Chiari. Ho praticamente interpretato, rivisto e copiato “paro paro” (bello paro paro invece di pari pari, vero?) le halloweenate di Pinterest e moltissime altre più brave di me lo faranno ancoraancorancora: ma che me devo mettè a fà ancora panini a forma di zombie?
La risposta è stata: “pure” ma nel contempo perché non apportare le mie inutili considerazioni nella rubrichetta Cibo e Cinema – sottosezione Cibo e Urla? (o si chiama Cibo e Horror? questo denota quanto io sia nel pieno possesso delle mie facoltà mentali)
Dopo l’uscita della Terza Madre, attesissima manco fosse l’ultima puntata di Beautiful, noi amanti di Argento siamo rimasti tutti un po’ così. E per così intendo: fermi inermi davanti al grande schermo chiedendoci PERCHE’. Perché nessuno lo stia aiutando in questo periodo visibilmente difficile. Amo Asia Argento, anzi rettifico: ne sono innamorata da sempre. Da Trauma, per dire. Ma vederla ridere sul finale della Terza Madre dopo aver salvato Roma e il mondo intero semplicemente sfilando una tunica con un forcone alla strega che governa il male tutto (ed essersi tuffata in un bagno di vermi -non dimentichiamocelo) e. E io. E io con tutto l’amore non ce l’ho fatta. Sono crollata.
Stiamo parlando di una delle tre streghe che con il suo potere poteva manipolare gli eventi del mondo su scala globale. Della più bella. Spietata e incontrollabile. Aveva fatto gettare a ignari madri i loro bambini dai ponti. Aveva messo in corpo diavoli di ogni tipo e sorta agli abitanti di Roma facendo centuplicare i casi di esorcismo di minuto in minuto. Incendiato chiese. Controllato le mente dei potenti. Sparso sangue in metropolitana e in ogni dove. Pure gli emigrati erano rimasti coinvolti (e chi se la scorda la scena della bancarelle e Asia che ruba gli occhiali?) in scene di agghiacciante crudeltà (c’è del sarcasmo, sì). E come finisce? Che la strega che ha il potere del male assoluto si fa sfilare la tunica mentre danza nuda e pace? E’ finito tutto? E allora facciamo finire Beautiful con Brooke che confessa di aver avuto pochi rapporti sentimentali in vita sua e che siamo stati noi ad aver male interpretato tutto additandola come mangiauomini. Nonostante questo io sono qui Dario. A giurarti amore imperituro e fare biscottini. A prendere appunti e a difenderti da tutti e tutto. Sempre con quelle frasi pregne di significato: evvabbè ma è Dariuccio nostro. Perché patatino mio più di lì non si può andare e lo dico con la morte nel cuore.
Il genio è così però. Ha momenti di altissimo spessore e poi di deficienza assoluta. Non lo dico io. E’ così. Faccio un esempio, sì. Da una vita che mi sento dire “sei un genio” e lo dico il più modestamente possibile. Oggettivamente sono di una deficienza quasi assoluta nelle cose normali. Quasi perché tipo lo spazzolino da denti lo riconosco. Magari ho dei guzzi, lo confesso, ma è più il deficit a primeggiare. Spesso si confonde la creatività con la genialità, che a mio modo di vedere è ben altro. Dove voglio arrivare senza infilarmici sempre in mezzo? Che Argento è un genio e lo ha dimostrato senza dubbio alcuno, ergo non gli si perdona il deficit di creatività (ma perché non parlo dei biscotti? Aspetta che ci arrivo).
Ora la storia delle Tre Madri la conosciamo un po’ tutti (e già ti immagino con lo stesso sguardo del Nippotorinese che poi mi dice “Gi. Tutte queste idiozie horror le sai solo tu e altri due cretini, devi fartene una ragione”. E’ sempre molto sintetico. Mi piace perché centra il punto in pochi secondi. Così ho tutto il tempo per parlare io, chiaramente) ma facciamo ugualmente un ripasso. “Levana e le Nostre Signore del Dolore”, una sezione del Suspiria de Profundis di Thomas de Quincey e per chi volesse approfondire (uh ciao cretino come me! Contattami!) di materiale ce ne è a profusione. Le Tre Madri sono tre sorelle che si dedicano alla pericolosa arte della stregoneria diventando dal XI secolo in poi (fino al XIX famo a capisse) la triade malvagia nonché quella del male assoluto. Governano il mondo attraverso il dolore, le lacrime e le tenebre. E quindi:
Mater Suspiriorum, la madre dei Sospiri (Suspiria) Friburgo – Elena Markos che nel 1895 fonda Tanz Akademie in Freiburg (scuola di danza) e di scienze occulte nella Foresta Nera. Finse di morire nel 1905 ma rimase sempre lì fino a quando Susy nostra non l’annienta definitivamente. Facile perché la parte più importante l’aveva fatta tale Elisa Mandy, che ritroveremo nelle ridicoli vesti della Nicolodi (cielo Dario ma perché hai fatto questo alla tua bravissima e bellissima ex moglie? E’ la mamma di Asia santocielo!) nel capitolo finale.
Mater Tenebrarum, la madre delle Tenebre (Inferno) New York – Il vero nome non ci viene rivelato ma sappiamo che per tutto il film è l’infermiera (inutile dire che già dall’ascensore si era capito, giusto?). Che sta con Varrelli che non è Varelli. Tutto chiaro insomma.
Mater Lacrimaroum, la madre delle Lacrime (La Terza Madre) Roma – Anche lei senza nome. La più giovane e bella (e infatti la scelta di Moran Atias mi pare più che coerente. Tutta bella ignuda).
Le tre, dopo aver commissionato all’architetto Emilio Varelli (che all’epoca viveva a Londra, altro centro nevralgico dell’occultismo) di progettare per loro le tre dimore in questi luoghi sparsi nel mondo, agiscono portando la voce del male assoluto in ogni dove. Un amico di Varelli dopo aver trovato il diario di questo scrive un libro intitolato “Le Tre Madri”. L’architetto infatti scoprì solo dopo la vera natura delle tre dolci sorelline:
“Non so quanto mi costerà rompere ciò che noi alchimisti abbiamo sempre chiamato Silentium. L’esperienza dei nostri confratelli ci ammonisce a non turbare le menti profane con la nostra sapienza. Io, Varelli, architetto in Londra, ho conosciuto “Le Tre Madri” e per loro ho creato e costruito tre dimore: una a Roma, una a New York e l’altra a Friburgo, in Germania. Solo troppo tardi scoprii che da questi tre punti esse dominano il mondo col dolore, con le lacrime e con le tenebre. Mater Suspiriorum, Madre dei Sospiri, la più anziana delle tre, abita a Friburgo. Mater Lacrimarum, Madre delle Lacrime, la più bella, governa a Roma. Mater Tenebrarum, la più giovane e la più crudele, impera su New York. E io ho costruito le loro sedi oscene, scrigni dei loro segreti. Madri, matrigne che non partoriscono la vita, sorelle, signore degli orrori della nostra umanità. Gli uomini cadendo in errore le chiamano con un unico e tremendo nome, ma in principio tre erano le madri come tre erano le sorelle, tre le muse, tre le grazie, tre le parche, tre le furie. La terra dove le case sono costruite diviene mortifera e pestilenziale così che gli edifici intorno e a volte l’intero quartiere ne maleodorano, questa è la prima chiave per aprire il loro segreto. La seconda chiave per scoprire il venefico segreto delle tre sorelle è occultata nei sotterranei delle loro dimore, lì troverai l’immagine dell’abitante della casa, lì è la seconda chiave. La terza è sotto la suola delle tue scarpe”.
(mi è sempre sfuggita una cosa: ma allora Varelli era anche un alchimista oltre che un architetto? O l’amico di Varelli era un alchimista e parla in prima persona come fosse l’architetto. Oh! Voi siete in dovere di farci capire bene le parentele, le professioni e le relazioni altrimenti finisce tutto a tarallucci e Brooke!)
“Le streghe fanno il male. Nient’altro al di fuori di quello. Conoscono e praticano segreti occulti che danno il potere di agire sulla realtà e sulle persone. Ma solo in senso maligno. Il loro scopo è ottenere vantaggi materiali e personali ma possono raggiungerli esclusivamente con il male degli altri. Con la malattia, con la sofferenza, il dolore e non di rado con la morte di coloro che prendono di mira per una qualsiasi ragione… Si può benissimo ridere di tutte queste cose, anche della magia. Comunque sappia che la magia è “QUODDAM UBIQUE, QUODDAM SEMPER, QUODDAM AB OMNIBUS CREDITUM EST” – ovvero – la magia è quella cosa che ovunque, sempre e da tutti è creduta”.
Suspiria: Merluzzo, Formaggio Svizzero e Vino drogato
Suspiria è uno dei film che più ho amato e rivisto. E non guardo praticamente mai lo stesso film. Mi annoio. Anche quando ero piccola non ero di quelle bambine che andava in loop od ossessione. Volevo sempre visioni diverse. Approfondivo solo alcune parti, eventualmente (e mamma non chiamava lo psichiatra, capite?). Suspiria, invece, come raramente accade mi incuriosisce sempre in più parti. Porto indietro. Poi avanti. Mi fermo. Non resisto e devo vedere i dettagli delle vetrate. I colori. La scala. E ogni volta è come fosse la prima. Instancabilmente ammiro e mi riempio gli occhi. La prima uccisione in Suspiria, ovvero quella della ragazza che fugge dalla scuola all’arrivo di Susy, trovo che sia di inenarrabile poesia. Quel sangue così intenso e volutamente vernice, come il vino che la Bennet butta nel lavandino insieme al merluzzo e un pezzo di formaggio svizzero. Sono solo questi i cibi presenti in Suspiria. Non mi vergogno a dire che con assoluta certezza posso confermare che Argento non abbia una vera e propria passione verso gli alimenti. Cinematograficamente parlando. Li presenta sempre spogli, nudi e insulsi. Certo non ci si aspetta un’accuratezza come in Hannibal (film e serie) perché comunemente il genere, purtroppo, non si confà a tal tipo di finezza. Pablo, il cameriere succube della setta, sotto imposizione del medico porta sempre un vassoio ricolmo di argenteria e di dieta in bianco, escluso il bicchiere di vino (drogato). Solo in una scena si vede: una fetta di merluzzo e un pezzo di formaggio che appare della più infima specie denominata svizzero, da banco frigo per intenderci. Di Suspiria rimane la scala del Tanz Akademie in Freiburg tatuata nell’iride. Anni fa volevo vivere in una casa con QUELLA scala (in realtà volevo vivere in una casa che riprendesse dettagli di film horror che ho amato. Poi chissà per quale strambo motivo il Nippotorinese me lo ha impedito. E per punirlo e punirmi ho fatto un total white senza personalità. O tutto o niente, insomma).
Sia il primo che il secondo capitolo finiscono con pioggia e casa bruciata. Anche il terzo a ben pensarci ma c’è un sole, dettaglio credo voluto, e la risata di Asia che non la si perdona.
Inferno: Biscotti
In Inferno si parla solo di odore dolciastro e si fa cenno semplicemente a dei biscotti. Per questo motivo ne ho realizzati alcuni in onore di Argento e della trilogia. Il librario di Kazanian, che è poi quello che dà il libro Le Tre Madri (scritto in latino, questo) alla protagonista, risponde alla ragazza che nota un odore strano nel palazzo (ettecredo abiti sopra Mater Tenebrarum travestita da dolce e svampita infermiera) dicendo “Dicono che è per via della fabbrica di biscotti”. Ma la tipa a questa asserzione aveva la faccia che avremmo avuto tutti e che voleva dire “Ma che biscotti te magni bello mio?” (il romano è un omaggio a Dariuccio mio, chiaramente. Grazie al supporto fondamentale di avere una sorella romana bellissima). Da lì il buio, niente altro. Nessuno mangia ma in compenso finiscono sgozzati, infilzati e una serie di cose pucciose e carine dolcissime.
La Terza Madre: Cioccolata Calda
Nella terza madre c’è una cioccolata calda e come si suol dire “celadovemofabastà!”; riscaldata in un pentolino anni sessanta dal direttore del museo amante della nostra eroina Asia.
Io direi che per oggi può pure bastare (tanto al massimo mi hanno letto solo Cri, Ombrella e Luci che per qualche oscura ragione. Vi Amo, lo sapete) perché sull’argomento Darioso, ahimè, ci tornerò. Il mondo tutto necessita delle mie inutilità. Un dato oggettivo incontestabile.
October 5, 2015
La Libreria di Iaia: Veggiestan di Sally Butcher
Copertina rigida e dalle trame fortemente mediorientali Veggiestan firmato da Sally Butcher edizione Gribaudo, costa 25 euro ed è un libro: bellissimo. Sally gestisce a Londra un noto negozio alimentare specializzato in cibi iraniani che si chiama Persepolis. Ha scritto nel 2008 Persia Peckham che è stato selezionato dal Sunday Times come libro di cucina dell’anno. Quando non è impegnata dietro al bancone Sally scrive della sua esperienza nel mondo speziato del cibo su internet e gestisce il sito veggiestan.com. Inutile dire che quando la smetterò definitivamente di essere legata qui, perché lo sono letteralmente e fisicamente, e comincerò a fare quello che voglio (e devo) davvero fare (ovvero cercare il mio cuore e la mia casa in giro per il mondo) questa è una delle tante mete che continuo ad appuntare sul mio Moleskine. Un viaggio gastronomico verso la patria della migliore cucina vegetariana. Turchia, Afghanistan e passando per l’Africa. Un viaggio di profumi, aromi e spezie dalle note inconfondibili. Le foto non sono indimenticabili e sono poche, cosa che -chi mi segue un po’ sa- mi lascia leggermente delusa quando accade ma la varietà e la vastità di contenuto annientano questo senso di tristezza.
Veggiestan, l’inesistente e utopica terra delle verdure, è tutto il Medio Oriente e merita questa definizione, dice saggiamente la Butcher. La tradizione gastronomica interessante, variegata, colorata e profumata come poche altre di questi paesi è permeata dai vegetali. L’autrice è onnivora anche se non apprezza particolarmente la carne (strano considerando il cognome) e questo fa sì che tutto diventi ancor più importante come ricerca e messaggio. Parla del divenire di queste popolazioni e che ahimé tra lotte continue, disastri emotivi e tragedie di abnorme entità vanno avanti più che mai nel rispetto delle loro arcaiche tradizioni. E lo fanno anche a tavola portando nel mondo, oltre che dolori, anche conoscenza e incommensurabile bellezza.
Si comincia con pani, involtini e prodotti da forno e quindi con il Naan-e-Sangak ovvero il pane cotto sulla pietra. Il lavash è la variante di pane persiano più comune e sottile quanto una cialda. Piroskki che non sono solo in Russia degli involtini tipici ma sono arrivati fin qui. Khobez-pane arabo. La focaccia turca perché i Turchi hanno una quantità infinita di pani intriganti come anche lo Yufka e il Pide. La ricetta del Fatayer della Signora Haddad (la sua fornitrice di pane libanese), il pane alle olive diffuso in Grecia, Turchia e Armenia. Boulanee ovvero degli involtini afgani al porro e tutto un capitolo dedicato allo Street Food. Come in ogni cultura anche nel territorio “Veggiestan” ci sono tantissimi prodotti che raccontano i paesi: rotolini al sesamo, diversi tipi di pizza, pannocchie abbrustolite, dolcetti con frutta secca, terrine con ogni ben di Dio intrise di aglio, kebab, snack come il Pide ricoperto di formaggio olive ed erbette fresche e il lahmacun simile a una pizza ma cosparso di spinaci e feta. Il biber salcasi come i kumpir ovvero patate in camicia farcite da insalate e verdure. Una vastità a tratti disarmante. Involtini ripieni all’hummus e si parte poi con le erbette e insalate. L’autrice giustamente definisce noi occidentali come “impediti con le erbe aromatiche e gli aromi” e vogliamo forse darle torto? Insalata di barbabietola e arancia, insalate di patate e dragoncello, erbe aromatiche in gelatina (Jeleh-ye-Sabzi va Limoo), piatto misto con meze di lattuga, insalata waldorf alla Veggiestan, salsa al cetriolo e melograno e insalata mista con salsa di aneto sono alcune delle meraviglie che propone. Segue il capitolo dedicato a latticini e uova. Queste ultime hanno ruolo fondamentale nelle feste più eleganti per tradizione e vengono guarnite in moltissimi piatti tipici. Per non parlare dello Yogurt con la ricetta base e quella al cetriolo. Lo yogurt persiano alla barbabietola (che voglio provare perché curiosissima) e quello afgano da abbinare alle melanzane (io amo questo connubio anche se confesso che con lo yogurt di soia è veramente più triste), lo yogurt salato da bere, le uova strapazzate con i datteri e le uova sode all’egiziana, il timballo persiano di riso e spinaci con lo yogurt e il sandwich shaitany con pita e uova.
Segue il capitolo sulle zuppe: zuppa di yogurt allo zafferano, zuppa verde con trahana, zuppa armena di lenticchie e aglio, zuppa di pomodoro e arak, zuppa di riso e zucca con crostini al za’atar, zuppa persiana di uova e cipolle, ash-e-sholeh ghalamkar di khaleh fizzy e zuppa di carote e cardamomo. Dopo le zuppe si trovano gli immancabili legumi e qui viene solo da piangere per la bellezza delle ricette. Non ce ne è stata una che non mi abbia impressionato. Fagioli alla turca, Ful Medames di Abu Zaad, Stufato di fagioli mungo (le farò tutteeeeeeeeeeeeeee), Kufteh senza carne, Besara (purè di fave), Ceci con erbetta aglio e menta, Stufato di fagioli al limone. Segue Riso e Cereali e Vegetali fino ad arrivare al capitolo meraviglioso dei piatti con la frutta che precede quello delle conserve e dolci.
L’utilizzo della frutta nei piatti salati è la dimostrazione della varietà e della sapienza che hanno i mediorientali nel mixare tutto il vastissimo e incredibile mondo vegetale: Meloni con le ali, Fichi ripieni di formaggio, Stufato di prugne, spinaci e piselli, Tagine di prugne e rape, Insalata di riso e visciole, Melanzane con zenzero e tamarindo, Berberis e mandorle in pentola e stufato piccante di pesce (tuttevoglioprovarletutte!!!!!).
Sformato dolce di Noodles, torta araba, tagine di cuscus con i datteri, kebab di seta (Abrayshum kabaub), pasticcini al formaggio, pancake alla Veggiestan, eton mess di melograno, halwa di carote e ricotta, sorbetto di visciola con cialde di pistacchio e gelato halwa con crema di cioccolato piccante. Un percorso pazzesco, variegato e coloratissimo. L’ennesima dimostrazione lampante che il mondo dei vegetali è indispensabile. E mi si consenta: il contrario no. Perché vorrei proprio vedere (ohhhhh devo dirlo!) se si potrebbe mai fare qualcosa con due pezzi di carne e due di pesce. Senza la verdura e la frutta niente prende forma in nessun paese.
E io se esistesse nel Veggiestan mi ci trasferirei seduta stante.
October 3, 2015
Cominciano i Quadri di Zucca
October 2, 2015
La Libreria di Iaia: Niko semplicità reale
Di questa edizione ho tanti libri di Grandi Chef e uno su tutti, quello poi che mi piace molto più che parecchio è Menu per quattro stagioni di Sadler. Credevo pure di averne parlato qui sul blog. Così è ma non all’interno della Rubrica di Iaia. Tocca provvedere ma è tempo di Niko Romito, che gestisce con la sorella il ristorante Reale, di chi è chef patron. Entrato nei Jeunes Restaurateurs d’Europe, diventa dopo due anni Giovane dell’anno nella guida Ristoranti Italiani de L’Espresso. Nel 2009 ottiene due stelle Michelin e tre forchette dal Gambero Rosso. I coautori di questo libro sono Clara Vada Padovani e Gigi Padovani, ovvero un’esperta di storia della cucina e critica gastronomica e un giornalista de La Stampa dal 1985 e critico gastronomico. Quest’ultimi sono due coniugi che hanno scritto anche Conoscere il cioccolato, premiato dal Bancarella della cucina e Gianduiotto mania (che ho e che amo. In realtà di loro due ne ho anche altri e li adoro). Le foto meravigliose sono di Francesca Brambilla e Serena Serrani. Foto di chef e collaboratori sono in bianco e nero. Tra le mura della città, per strada e affacciati a una ringhiera. Tono che contrasta con il colore vivo dei piatti come opere d’arte. Il ristorante Reale è a 1300 metri di altitudine in Abruzzo ed è diventato meta golosa. In pochi anni Niko e la sorella Cristiana sono riusciti a trasformare la trattoria di famiglia in un ristorante gastronomico. Dalle tagliatelle con il ragù si è passati all’ostrica pomodoro e mela e all’assoluto di cipolle, parmigiano reggiano e zafferano.
“Qualcuno a volte pensa che noi chef in cucina facciamo cose strane e che andiamo alla ricerca di piatti elaborati. Ma non è così, la prima attenzione è rivolta alla materia prima: le tecniche di cottura e il mio lavoro di cuoco sono tesi soprattutto a esaltarla al meglio. Per questo non riesco a immaginarmi in un ristorante a Roma o Milano; se non conosco bene chi mi porta le ricotte fresche, l’agnello o i piselli appena colti a pochi chilometri dal Reale, non sono contento, E quando vado via da Rivisondoli per qualche incontro di cucina a livello nazionale o per un evento importante tradizionale, non vedo l’ora di tornare”.
Niko viene definito impacciato, umile e sincero e sarà -perché non ha capelli- per quel sorriso spontaneo che emerge dalle foto che lo trovo francamente adorabile.
“A volte mi affaccio in sala, durante il servizio, per salutare qualche cliente e capire come va la serata. Ma soprattutto mi emoziono ancora a guardare negli occhi di chi mangia quanto abbiamo preparato in cucina, per capire se è soddisfatto. Questa per me è la vera felicità: sapere di aver reso contento qualcuno che è venuto a trovarmi”.
“Cerco di togliere i condimenti, le salse in eccesso, i grassi, perché se i sapori d’Abruzzo sono forti e autentici, non per questo la mia cucina deve essere greve”
Non ha avuto un maestro ed è un autodidatta e quindi dice di aver commesso molti errori. Il pregio è che ha non una schema precostituito perciò sente di avere carta bianca su tutto. L’anima di Niko è raccontata attraverso parole sapienti e un’introspezione importante. Un percorso piacevolissimo prima di arrivare alle sue opere che fa di questo libro la vera bellezza. Questo libro ha l’impostazione simile a quella di Sadler sì, ma anche a quella generalmente dedicata a Ducasse. I piatti però sono più “semplici” e fattibili. Mi piace il calcolo del tempo. Ti dice che impiegherai quindici minuti circa per la preparazione e cinque per la finitura. E così via. Ti dà la percezione immediata di poter gestire e calcolare. Lo fa in modo sintetico e diretto senza dar adito a interpretazioni sbagliate. Questo consente a chi ha voglia di cimentarsi di trovarsi davanti quasi a un progetto finito e calcolato. Si comincia con polpettine di cicoria, polpettine di capretto e crostini di ricotta. Battuto di salsiccia e arancia candita, panini di salame e caciocavallo, foglie di rapa rossa e patè di fegato di coniglio. Mi sono perdutamente innamorata del risotto con i porri, peperone secco tostato e parmigiano reggiano, che è già nella to do list immediata. C’è l’infuso di capra con dragoncello e lampone, le animelle croccanti con carciofi e peperoni e la zuppa di ciliegie con gelato al latte di pecora.
Non c’è un ordine preciso e dopo il vitello glassato ti trovi la bavarese al cioccolato bianco con interno fondente. E mi piace sempre il fattore sorpresa, soprattutto in un contesto così preciso e costruito anche per quanto concerne il tempo. Essenza che è un gelato alla genziana con il caramello al frutto della passione e il pralinato di frutta secca con la polvere di caffè (ecco qui magari un’ora e 25 minuti, uhm. Io ci starei otto ore se tutto va bene e nel caso fortuito in cui trovassi la radice di genziana). L’aspretto di pomodoro, Croccante espressione di lingua, Tortelli liquidi di piselli con pomodoro fresco e spaghettone mantecato con baccalà e pomodoro. Autodidatta geniale, dice Carlo Petrini Presidente di Slow Food International, che anche nel campo della cucina innovativa riesce sempre a cogliere il collegamento al territorio. Questo è il presupposto, dice, dello chef intelligente. Grazie al lavoro dei pastori arrivano formaggi indimenticabili come il Canestrato di Castel del Monte ma anche il Cacio marcetto. Le carni Micischia e la Ventricina del Vastese che è una razza marchigiana come l’agnello di razza Sopravvisana. L’ultimo capitolo è poi dedicato ai prodotti del territorio e quindi:
Zafferano Dop dell’Aquila
Salsiccia di fegato con miele e cuore di paganica
Canestrato di Castel del Monte
Ricotta
Agnello
Aglio rosso di Sulmona
Pesce dei trabocchi
Ventricina del Vastese
Carne di vitello di razza marchigiana
Lenticchie di Santo Stefano di Sessanio
Torrone tenero dell’Aquila
Un libro che costa 25 euro giustamente e che appartiene a una fascia alta. Pagine lisce e importanti anche di consistenza oltre che di contenuto. Da sfogliare e sognare. I suoi piatti vengono definiti con sapori percepibili distintamente ma che fanno nascere una sinfonia totale.
October 1, 2015
1 Ottobre? La Torta del Diavolo (cioccolatosissima)
La Ricetta
Ungi e infarina 2 stampi da 20 centimetri di diametro e foderali con carta da forno. Versa il latte in una ciotola e aggiungi il succo di limone. Lascia riposare un’ora. Setaccia la farina con il bicarbonato e il cacao. Monta in una ciotola il burro ammorbidito e metà dello zucchero con una frusta a mano fino a ottenere una crema spumosa: unisci le uova, il resto dello zucchero, la farina con il bicarbonato e il cacao e quindi poi il latte poco alla volta. Divide il composto nei due stampi e fai cuocere a 190 per 30 minuti, ultima la cottura e lascia intiepidire le torte prima di sformare. Per la farcia fai sciogliere il cioccolato spezzettato a bagnomaria o nel microonde senza farlo cuocere. Aggiungi lo zucchero e la panna acida e mescola bene. Taglia ogni torta a metà in senso orizzontale in modo da ricavare 4 dischi. Disponi il primo disco su un piatto da portata e spalma la farcia. Sovrapponi e procedi così fino a coprire anche la superficie ultima della torta.
Quanto ho aspettato questo mese. Quanto. Vivo nell’attesa che venga Ottobre. Di dimenticare Novembre e aspettare Dicembre. Vivere a metà Gennaio, Febbraio, Marzo, Aprile. Cercare di non morire a Maggio. Detestare Giugno, Luglio, Agosto e Settembre. A ben pensarci sono solo due i mesi in cui vivo davvero. Il resto è attesa e resistenza. Me ne sono resa conto solo quest’anno: Ottobre e Dicembre. L’incubo che riconduco a Halloween e il sogno a Natale. Fiabe e Horror. Inconsciamente tutto questo. Una distrazione voluta? Forse. Perché credo di averlo sempre saputo se spremo un po’ il cuore. E quindi l’uno ottobre è arrivato. Da quando esiste questo posto il primo di Ottobre si è sempre cominciato a parlare di Halloween. E perché lo faccia in modo così eclatante, come una grande festa, chi mi legge da un po’ sa che è in ricordo di lei: Agata; che ha passato il suo ultimo Halloween con me. Con un cerchietto ad ali di pipistrello dicendomi che tutti. Tutti gli Halloween della sua vita avrebbe voluto passarli con me. Non ho nessun altro motivo per farlo. Ed è quello francamente più importante. Continuare a stare con lei dedicandole sorrisi nella notte più cupa dell’anno.
Ho voluto cominciare con la Torta del Diavolo. Poteva non essere di cioccolato? L’ho trovata in un vecchio libro. Un mappazzone abnorme di cioccolato. Due strati che diventano quattro spazi da riempire con altrettanto cioccolato. Uno di quei grattacieli nauseabondi che non lo sono affatto per gli amanti vogliosi e instancabili dell’oro nero. Bastano due quadratini di pasta di zucchero rossa a completare l’opera rendendo così diabolico, non solo caloricamente parlando, il tutto.
Un’idea non eccessivamente estrema come mi è solito mostrare nelle elaborazioni halloweenereccie. Si potrebbe scomodare pure il termine: per un Halloween Glamour? Uhm. Forse. Basta un’alzatina, un tovagliolo ricamato e un piatto antico che mi ha regalato la zia Immacolata. Una palettina d’argento sottratta a mamma, felice sempre che le manchi qualcosa in casa a causa mia, e una di quelle orchidee che ti fanno tornare il sorriso.
Ho aspettato tanto l’uno Ottobre. E per trecentosessantacinque giorni mi sono chiesta dove sarei stata e come. Con chi e soprattutto se ne fossi stata sicura. Ho capito anche che non tiro mai le somme a Gennaio e Settembre, come la stragrande maggioranza. Ho capito che il mio capodanno è l’uno Ottobre e l’uno Dicembre. Che mi prefiggo gli obiettivi più importanti e mentre fingo di attenderli e studiare le mosse, ho già capito tutto.
E ho capito che ogni anno nonostante il diavolo ci metta la coda per cercare di annientarmi e distruggermi. Farmi credere che sia tutto finito e triste: rinasco. Più forte, cosciente e sicura che non devo farcela. Perché ce la faccio costantemente.
Spero di tenerti compagnia e che tu abbia voglia di passare anche questo Halloween con me. Io ne ho davvero moltissima.
Un Primo incredibilmente equilibrato e buono
Un Primo equilibrato, gustoso e particolare
Che io non sia la maga dei primi e dei caffè lo sanno tutti. Gente che finge impegni, che cambia programmi pur di non fermarsi a mangiare da me e che arriva a dire “ma lo sai che il riso di Koi è davvero molto invitante? Magari mangio quello!” (eccerto! Mangia riso con salmone e zucchine. Altrimenti riso con merluzzo e carote al vapore. Altrimenti ancora riso con spada e fagiolini frullati -Purtroppo ha un’allergia grave al grano e carne- E iaia con il riso ci sa fare lo giuro!). Nella preparazione delle paste fredde e poco invitanti all’apparenza però me la cavicchio, uff. Il Nippotorinese, cavia del suddetto piatto, appena ha sentito “Rigatoni con avocado e semi di canapa al profumo di Limone” con il solito aplomb non si è lasciato travolgere dalla benché minima emozione. Con sguardo vitreo mi ha detto “dimmi che non sono per me. Non posso farcela, spero che te ne renda conto da sola in un moto di coscienza”. Ho risposto che l’immagine della coscienza sulla moto era davvero una bella idea fantasiosa e via. A quel punto lui rimane sempre più perplesso. Si confonde. Si siede. E mangia. Fissandomi come a dire “ti odio”. O forse lo dice proprio ma si sa che ci sento poco quindi bon. Risultato? Li ha buttati giù sostenendo che FORSE potevano essere qualificati come: molto buoni.
Direi che non vi è niente altro da aggiungere. E poi, diciamolo, tu li preparerai sicuramente meglio di me. Per leggere la ricetta, sbirciare le foto e apprezzare il delirio del Giovedì su RunLovers devi solo cliccare qui.
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September 30, 2015
La Libreria di Iaia: Come si fa il Pane di Emmanuel Hadjiandreou
Commovente è l’unico aggettivo per questo libro incredibile, edito da Guido Tommasi. L’autore è Emmanuel Hadjiandreou con le foto pazzesche di Steve Painter. Copertina rigida e prezzo di venticinque euro. Ricette passo passo per pane e dolci da forno. Come si fa il pane? A vedere queste fermatempo con mani che intrecciano, grembiuli sporchi di farina e gesti semplici quanto incredibili vien voglia solo di commuoversi. Mai visto un libro dedicato al Pane bello come questo. Suppongo che per spodestarlo dal gradino più alto del podio occorrerà un miracolo. Più di 170 pagine.
Introduzione
Le basi per fare il pane
Ricette di base e altro pane lievitato
Pane senza frumento e glutine
Pane con lievito madre
Dolci da forno
Negozi e Fornitori
Indici
Se Pane e Design di cui ho parlato qualche mesetto fa è imbattibile per il concept di idee, questo lo è indiscutibilmente da un punto di vista didattico. Sì perché è proprio il Simposio del pane. Figlio di un ristoratore, il cibo ha sempre avuto sull’autore una grande influenza. Il pane è quel momento in cui inizi a mescolare gli ingredienti, dice, fino a quando lo tiri fuori e dai un colpetto sul fondo per capire se è cotto. Magico. In effetti i lievitati, con il Re Pane, sono quelli che danno più soddisfazioni. C’è qualcosa di arcaico, importante e vitale nella preparazione e nella cottura del pane. Nonna Grazia ne preparava uno nel suo forno a pietra fuori nell’orto che non dimenticherò mai. Ne sento il profumo. Vedo ancora i suoi movimenti. Le sue mani e il sorriso di mio padre quando mamma diceva “C’è il Pane di Nonna Grazia, oggi”. Poi Nonna Grazia è andato a farlo tra le nuvole e restare orfana di quei gesti e premure è stata senza esagerare una vera e propria tragedia emotiva. L’autore ha viaggiato apprendendo nuove tecniche e ricette, soprattutto in Grecia e Germania. Arrivato nel Regno Unito dice che gli si è aperto un nuovo mondo dove ha conosciuto e lavorato con artigiani incredibili e appassionati di questa vera e propria cultura del pane. Ha gestito panifici e ha avuto l’enorme gioia di conoscere panificatori di successo. Quella che ci regala è una raccolta delle ricette che ha perfezionato durante la sua attività e quindi sono sperimentate a dir poco.
Non so chi sia il Food Stylist e se ci sia a dirla tutta o sia opera solo della meravigliosa pupilla del fotografo, ma si assiste inermi e commossi a qualcosa che va ben oltre il libro classico di cucina. C’è movimento nelle pagine dovuto sì al passo passo ma per me, che generalmente vengo disturbata da questa tecnica visiva, rimanere al contrario abbagliata ha dell’incredibile. Ho sempre preferito vedere il risultato finale. Faccio parte della fazione estremista degli esteti a cui piace tutto un po’ falsato, con le luci a posto e mai una mollica fuori luogo. Il massimo della perversione che mi concedo, dopo anni, è spostare un po’ il centrino e la tovaglietta. Non è difficile intuire cosa vedano i miei occhi. Basta del resto far caso alle foto. Perché dal modo in cui si fotografa tutto si capisce dell’occhio, cuore e testa. Il mio è un cuore e testa psicotico e frenetico indirizzato all’inesistente perfezione. Qui c’è farina ovunque e mani sporche. Ed è tutto terribilmente pulito e poetico. Questo libro è stato capace di convincermi che devo fare assolutamente il lievito madre. Io. Io il lievito madre. Mai avrei pensato di provare anche solo un minimo interesse. Ho troppe cose a cui badare e ci mancava pure un esserino di farina di cui dovermi prendere cura con lo strazio di doverci giocare pena esplosione. Eppure è bastato Emmanuel a convincermi che nella mia vita forse manca solo una cosa: il lievito madre (c’è un medico in sala?).

Ho letto il capitolo Indicazioni e trucchi come se mi stesse svelando la trama e il finale di Harry Potter o Star Wars (a proposito chi è che freme con me fino a dicembre?). Sono rimasta letteralmente estasiata, tanto da dovermi leggere pure le preparazioni. Di solito sfoglio sì ma non leggo TUTTE le ricette. Bene queste le ho lette praticamente tutte senza saltarne una. Ho accarezzato le pagine e ammirato le composizioni visive. Apprezzato gli accostamenti di colore, gli utensili e il sapiente contrasto con luce non accecante ma per bellezza sì. Non adopero mai questo termine -e chi mi conosce sa che non fa parte del mio gergo perché proprio non ne capisco a fondo il senso ma- Sexy. Terribilmente sensuali i movimenti di mano e preparazione. Basta arrivare al primo capitolo sul piane bianco semplice con due varianti per innamorarsi del panettiere che non viene neanche inquadrato in volto (ribadisco: c’è un medico in sala?).
Soda bread semplice, soda bread integrale all’uvetta, pane ai cereali con semi, impasto per la pizza, ciabatta, focaccia, pane con olive e erbe, pane alle noci e pane con noci pecan e uvetta. E fin qui mi si potrebbe dire embèndostannolenovità. Beh. Basta guardare soltanto le spiegazioni, le foto (anche quelle a tutta pagina lungo le due) per capire che sì le ricette d’accordo sono sempre le stesse per chi è avvezzo ai libri di cucina, ma qualcosa di completamente diverso e magico si cela in queste pagine. Baguette con la poolish, Tsoureki (l’ho fattooooooooo ma adesso devo fare questo), challah (con i semi di papavero che è nella mia to do list da anni e finalmente so che DEVO farlo), Bagel, Pita, pane piatto armeno, pane di segale scura, pane di segale con prugne e pepe, pane di segale con uvetta, pane di kamut e farro, pane al mais senza glutine e tantissimo altro tra canovacci, vassoi di legno e coltelli di rara bellezza. E quel cestino. Solo chi lo sfoglierà potrà apprezzare appieno la bellezza di quel cestino di vimini intrecciato in cui mette l’impasto per dare vita a una forma antica che rievoca ricordi incredibili.
Come se non bastasse si arriva al gran finale. Quando le pupille sono in overdose da beltà, tuppete: il colpo di Grazia! Dolci da forno. A quel punto viene solo voglia di buttare la faccia in mezzo alle pagine e cominciarle a mangiare senza neanche doverle appallottolare. Croissant, Pains au chocolat, Pains aux raisins, Copenaghen, Brioche, panini alla cannella, hot cross buns, stollen al marzapane e stollen ai semi di papavero.
Davvero sono tutte parole inutili le mie. Questo libro non è meraviglioso. Non è indimenticabile. Non è il piùbellodeibelli. Ma di più. MOLTO di più. Non esistono aggettivi e spiegazioni, insomma.
E se sei arrivato sino a qua sarà mia premura regalartene una copia. Esattamente al quarantesimo commento. Perché mi fa sempre felice condividere i sogni.
(ma come è finita con la Tombolata di Isa? Qualche giuovine che vuole aiutare l’anziana?)
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