Iaia Guardo's Blog, page 73

May 27, 2017

Planner Alimentare della terza settimana

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Il planner alimentare è diventato un appuntamento fisso del Sabato. Ne ho parlato sinteticamente su Runlovers qui e meno sinteticamente qui sul Blog ormai due settimane fa. Questa è la penultima pubblicazione perché in totale ho detto che sarebbero state 4 e mi piacerebbe sapere se continuare o meno. Se tutto questo possa essere d’aiuto o se il messaggio sia arrivato, l’organizzazione pure e io come una brava mammina posso andare via e lasciarvi (cielo, vi prego NO. Ditemi che devo restare a guardarvi e partecipare con voi altrimenti mi viene la sindrome da primo giorno di scuola!).


Questa settimana ci sono diverse preparazioni etniche perché con mio enorme stupore e felicità ho notato dai commenti che mi sono arrivati da ogni parte del globoweb che piacciono particolarmente. Chiaramente ognuno sta organizzando il planner a seconda delle esigenze, dei gusti, del budget e da tutti i diversi fattori sacrosanti che sono comprensibilmente diversi. Sapere però che anche solo una delle mie ricettine è stata provata e inserita, non ti nascondo, mi rende felice. Mi avvicina a te, che mi fai entrare a casa tua. Mi porti nella tua quotidianità. Mi porti con te al supermercato. Nella tua tavola tra i tuoi amori più grandi e la tua intimità. E di questo io oltre a esserne immensamente onorata e felice te ne sono grata. È una sensazione impagabile che mi riempie di orgoglio e gioia.


Tra tutte le preparazioni che ti propongo mi permetto di segnalarti i Fusi di Pollo caramellati al sakè, che se non vuoi caramellare con il liquore di riso puoi fare benissimo anche solo con miele e limone; questo perché di sicuro piaceranno a tutti. Sono come i lemon sticky chicken, ovvero i fusi famosissimi appiccicosi che fanno impazzire i bimbi. A rendere il tutto molto appiccicoso e caramellato ci penserà il miele che rimane uno degli ingredienti “segreti” per ottenere un pollo a prova di bimbo! Si preparano poi in così poco tempo che, ti assicuro, tocca provare. Mi permetto di segnalarti le frittelle di avocado se vuoi qualcosa di veramente sfizioso e il Baba Ganoush che ti conquisterà. Ovviamente scelgo sempre ricette -anche contenenti carne e pesce- che mi piacciono di più e che si avvicinano al cibo che faccio in casa e preparo per chi amo ma non per questo voglio nasconderti che io non sia curiosa delle cose che piacciono a te! Per questo motivo ti invito a dirmi il tuo di planner. Come sta andando? Spero tantissimo che tutto questo ti sia di ispirazione. Descrivimi i tuoi stati d’animo, raccontami e confrontiamoci.  Se ti stai trovando bene, se stai trovando tempo per te o se mi odi e non mi sopporti più (speriamo di no, santocielo!)

Io ti abbraccio fortissimo con la speranza che tu abbia avuto, grazie al planner, più sorrisi e meno momenti di sconforto.

Un bacio grande e che sia una settimana meravigliosa!


Scrivimi eh? Ti aspetto!


Scarica qui il formato Pdf del Planner alimentare di questa settimana

Piano Alimentare su RunLovers
Prima Settimana di Piano Alimentare
Seconda Settimana di Piano Alimentare

 


 

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Published on May 27, 2017 01:02

May 26, 2017

Gli alimenti che fanno bene alla pelle

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Published on May 26, 2017 03:12

May 24, 2017

Le strepitose polpette frittellose di Avocado

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Oggi la Scheda da salvare e conservare, così da poterla avere sempre con te, delle polpette frittellose di avocado. Prossimamente una versione light al forno, che non ti nascondo, si potrebbe già ricavare da questi ingredienti ma rendendo il tutto leggermente più compatto. Le faccio da diverso tempo e non c’è mai una volta in cui non mi venga richiesta la ricetta. Ne ho già parlato ma non poteva mancare il formato scheda. Se le provi dimmelo perché mi fai come sempre felice.


Qui trovi tutte le altre Ricette formato Scheda
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Published on May 24, 2017 02:27

May 23, 2017

Donuts, Doughnuts,Ciambelline

Ho preparato queste ciambelle ciambelline americane -donut/doughnut- molte volte adoperando sempre una ricetta e poi ho provato questa che mi ha passato un’amica. Il risultato è stato simile ma a quanto pare hanno riscosso più successo con questo impasto; credo anche per le glasse, molto più leggere e meno burrose di quelle che avevo realizzato precedentemente. A me ricordano tantissimo le sfenji marocchine, che sono perfette per un tè alla menta di quelli freddi e rinfrescanti. La differenza è la presenza del latte nella versione americana -oltre la decorazione- che è totalmente assente in quella mediorientale. Il concetto insomma è sempre quello della delizia fritta, perché in fondo ciambelline di questo tipo sono onnipresenti in diverse culture. Ho sentito “l’urgenza”, per così dire, di prepararle in quanto volevo omaggiare virtualmente il mio amato David, e credo basti già la mia dichiarazione d’amore precedente mentre mangiavamo insieme una fetta di Cherry Pie e ti riassumevo il mio amore sconfinato per Twin Peaks e non solo.


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I donuts, pur essendo ricordati e legati all’immagine di Homer Simpson, credo non siano strettamente correlati solo a questo in quanto tra film polizieschi, serie tv anni ottanta e novanta e non in ultimo film cult in genere, insieme al cibo d’asporto cinese, diciamolo sono riconoscibilissimi soprattutto quando ci sono poliziotti in appostamento e uffici di ogni genere e sorta. Personalmente ricordo anche che in Ally McBeal -serie che ho amato per le allucinazioni della bellissima Calista- negli uffici open space c’era un gran girare di ciambelline glassate. Sai che mi è venuta voglia di scrivere tutti i film anni 80-90 dove compaiono? Sai che forse anche in Ghostbuster ma il fatto che non ne sia sicura adesso mi costringerà -per modo di dire perché rimane un piacere- a riguardarlo?! Anzi facciamo così: se ti viene in mente qualche film-telefilm-varie ed eventuali scrivimelo, che mi fai un bel regalo. Ti va?


Ne è ghiotto Lynch di ciambelline e in questi giorni su Sky Arte sta andando in onda un interessantissimo documentario su parte della sua vita, soprattutto in riferimento a prima che diventasse il grande regista visionario, geniale e incomprensibile di adesso. David, in prima persona, parla del suo passato di pittore e ci delizia con costruzioni di quelli che non sono solo quadri portandoci dentro il suo laboratorio.


 


David Lynch The Art Life

Nel trailer ufficiale della terza serie di Twin Peaks, come ticchettavo con le ciliegie tra le labbra, David mangia silenziosamente dei donut. Al cioccolato per la precisione. E io sapendo che ne va ghiotto potevo non prepararglieli? Giammai.


La Ricetta

500 grammi di farina manitoba


70 grammi di burro a temperatura ambiente

10 grammi di lievito per dolci

30 grammi di zucchero

250 ml di latte

3 tuorli di uova di media grandezza

un pizzico di sale

1/3 di cucchiaino di cannella in polvere

olio di semi che preferisci per friggere


Lavora tutti gli ingredienti per bene all’interno di un’impastatrice per almeno otto minuti. Forma una palla e lascia lievitare sotto un canovaccio per un’ora e mezza. Passato il tempo impasta nuovamente per un pochino e lascia riposare un’altra ora.

Infarina il piano di lavoro e stendi con il mattarello. Lo spessore dovrà essere di un centimetro e mezzo massimo due centimetri. Con un tagliabiscotti non più grande di 10 cm ritaglia dei dischi e bucalo al centro con un utensile piccolo per fare il classico foro delle ciambelline. Altrimenti puoi usare tranquillamente le dita e allargare un pochino. Poggia le ciambelline su carta da forno e coprile con un canovaccio. Lasciale lievitare altre 30-40 minuti fino a quando saranno raddoppiate di volume.

In una pentola metti dell’olio che dovrà coprire totalmente le ciambelline durante la cottura e meglio se vengono cotte una a una. L’olio deve essere caldo e se cuoci più di una ciambellina per volta ricorda che mettendone di più la temperatura dell’olio si abbassa, quindi presta bene attenzione. Lascia asciugare e raffreddare le ciambelle su carta assorbente.

Prepara le glasse e decora a fantasia le tue adorabili ciambelline. Arricchiscile con codette, zuccherini, scaglie di cioccolato e tutto quello che preferisci.


Per le glasse usa zucchero a velo, latte e colorante alimentare, altrimenti burro e cacao amaro in polvere per la versione al cioccolato.


 


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Published on May 23, 2017 04:59

May 22, 2017

Sei un tipo da porridge? Sì o no. O non lo so?

Su RunLovers mi odiano per questa storia del porridge (e per tanti altri motivi, suppongo) ma con mio enorme gaudio ne ho convertiti alcuni e ho ritrovato altri invasati come me. Per farla breve: unisciti a noi perché ben presto conquisteremo il mondo. La parte giusta è sempre e solo quella del porridge. E se prima tediavo l’universo runner-blog-youtube-enonsolo con la storia del porridge a colazione in versione dolce già da un bel po’ ho cominciato a snervare con quello salato.  L’avena fornisce energia a lungo termine ed è proprio per questo che diventa un alimento imprescindibile per i runner professionisti e non, triatleti e sportivi in generale. Fa sì insomma che il tuo corpo non subisca dei picchi insulinici improvvisi per poi lasciarti a corto di energia. Ti è fedele nel tempo come ripeto-ripeto-ripeto e ripeto in ogni singolo articolo di RunLovers. Perché ci tengo tantissimo alla questione Avena. Non deve MAI mancare nelle nostre dispense. Oltre a essere l’ingrediente principale del porridge naturalmente è anche un alimento sorprendente, versatile e incredibile. Un po’ come il riso. Si presta benissimo per essere adoperato in infinite preparazioni, sia dolci che salate. Povera di grassi l’avena e ricca di proteine riesce davvero a mobilitare gli intestini più pigri e per questo ti invito a fare giusto qualche prova. Se hai lo stomaco poi molto sensibile -e sei soggetto a gonfiori- l’avena è uno dei pochissimi alimenti che può aiutarti davvero.


Lo stress come il nervosismo possono farti gonfiare lo stomaco e anche in questo caso l’avena ti sarà fida alleata.


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Tra l’altro per la preparazione del porridge occorrono i fiocchi (non te la racconto la storia del tipo che aveva fatto il porridge con l’avena decorticata ok? E dopo dieci minuti di cottura mi ha detto che era dura come le pietre. E che mi ha dato chiaramente la colpa. No. Non te la racconto, dai) e anche qui bisogna fare un distinguo tra i fiocchi interi e quelli spezzati, che molto spesso nelle confezioni vengono indicati come mignon. Trovo che per le preparazioni dolci, e quindi porridge pappettosi e arricchiti di ogni angelica prelibatezza (sto dando i numeri, lo so) sono perfetti i fiocchi interi mentre per quelle salate la versione mignon. Che poi davvero, è una questione di gusto. Devi fare delle prove. Devi testare tu la croccantezza dell’avena perché è buonissima anche se non è cotta. A me piace metterla così a crudo -fiocchi interi e mignon intendo- sullo yogurt di soia ma anche sul gelato. Sono un caso patologico lo so.


Oggi ti faccio vedere uno dei porridge salati che mi riempe e sazia di più. Quello con il cavolo e gli spinaci che puoi arricchire in ogni modo. Con le spezie. Con le mandorle. Se sei onnivoro pure con il pollo, eh. Perché naturalmente ti mostro le mie preparazioni (anche perché Pier lo detesta con tutto se stesso in qualsiasi forma più per la consistenza) ma lanciati senza paura verso gli orizzonti più sfrenati eh. Io ho fatto pure una sorta di “lasagna” che non vedo l’ora di mostrarti così mi internano e bon.


Adesso mi è presa la scimmia (adoro dire questa cosa della scimmia) che devo provarlo con i carciofi perché udite udite no. Non l’ho ancora provato con i carciofi e neanche con le fave. Me ne vergogno profondamente ma era giusto fare ammenda pubblica. Come si prepara te lo faccio vedere nel video qui sotto ma fondamentalmente -come ripeto almeno ventitremilionidimiliardi di volte al giorno- il porridge NON HA una ricetta precisa. Non può averla. Perché?



Perché dipende dal tipo di avena che usi.
Perché dipende dal tuo palato. Se ami più il pappettoso estremo o no.
Perché dipende da cosa ti aspetti (questa è al vertice di tutto e tutti).
Perché dipende se sei più da sbobba, brodaglia o massa compatta che si cementa (ma tranquillo perché nello stomaco non cementa. Anzi. Il contrario).

Il porridge è come la risposta. E Yoda insieme che è dentro di te. Devi solo capire se sei un tipo da porridge o no. E se non lo sei chiaramente non sei mio amico mio. Che mi pare una cosa intelligente da dire per chiudere, no?


 


Qui trovi la Videoricetta (insieme ad altre)

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Published on May 22, 2017 02:12

May 20, 2017

Planner alimentare della seconda settimana

Sabato scorso ci siamo dati un appuntamento e di certo non potevo mancare, anche perché mi sono così tanto commossa che davvero ho fatto fatica con le parole. In questi sette giorni ho ricevuto così tanti messaggi, mail, missive, piccioni e meraviglie assortite che mi hanno lasciato letteralmente sconvolta. Sono così felice che l’idea di farlo insieme e l’appuntamento fisso del Sabato vi siano piaciuti che non vedo l’ora di poter migliorare il tutto affinché l’operazione diventi ancora più semplice. Sto infatti studiando un modo per implementare questo Planner settimanale nella mia nuova fiammantissima APP  che al momento è in costruzione.


Ecco il planner della Settimana numero 2 che spero possa esserti d’ispirazione. Non ti voglio svelare troppo perché vorrei fosse una sorpresa ma sto lavorando a diversi planner per tipologie diverse quindi aspettati dei colpi di scena incredibili! (risata malvagia in sottofondo).


Scrivimi, raccontami come è andata, dimmi se ci hai provato e quali sono state le difficoltà. Posso essere onesta? Non c’è niente di più incoraggiante, motivante e ispirante che dialogare con te. Settimana scorsa mi hai fatto davvero un regalo bellissimo e i lunghi messaggi, lettere e confronti sono stati molto importanti per me. A volte si crede che da questa parte dello schermo ci sia voglia solo di approvazione, elogi e fesserie del genere. Ma c’è anche chi -come me- con il confronto, i consigli e quella sensazione di aver fatto qualcosa di buono e di star costruendo qualcosa si sente immensamente felice e grato.


E io ecco sono grata di avere persone così incredibili al mio fianco e che hanno il piacere di seguirmi. E quindi il mio grazie va sempre e solo a te.


Che sia una settimana meravigliosa! E se hai recuperato anche “solo” quindici minuti di tempo in più per fare qualcosa che ti piace, grazie al planner settimanale, non è meraviglioso?

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Cliccando qui puoi scaricare il formato pdf del planner setttimanale con le ricette.


E se vuoi che continui o semplicemente l’idea ti piace il dazio da pagare è un bacetto! Che ne dici? (sono una persona cattiva e spietata, lo so)


Qui trovi il Menù della Settimana 1, qualora te lo fossi perso.

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Published on May 20, 2017 01:26

May 19, 2017

La magia di Lynch e la Cherry Pie con un caffè nero e bollente

Non ho voluto leggere molto riguardo l’attesissimo ritorno di Twin Peaks. Giusto i titoloni, parole sfuggenti su bacheche, social e quelle cose lì. Ho visto il trailer con il mio amato Lynch che mangia ciambelle e le ho preparate in suo onore. Poi, con calma, mi sono commossa al primo trailer ufficiale; che non mi ha stupito perché “diceva poco”, anche perché chi si aspettava che avrebbe detto di più credo non conosca Lynch davvero. Sapere di più, il dettaglio servito con il cucchiaino e lo spiegone dettagliato praticamente sarebbe un’offesa, del resto. Quando ho visto Sarah Palmer tirare il carrello tra gli scaffali con il suo sguardo perennemente perso nel vuoto ho capito quanto fossi realmente invecchiata. Anche io. Con loro. Ho sempre rispettato i miei ricordi e oggi voglio farlo anche con i loro.


Voglio rispettarli, questi ricordi. Ti confesso che mai mi sono chiesta se nel futuro sarei stata migliore, l’ho sperato (e lo spero) e ci ho lavorato (e ci lavoro) certo, ma non ne ho mai avuto -e non ne ho- certezza, ergo non me lo domando. Ci lavoro. Credo più nella forza e nell’impegno che nell’interrogativo e nel dubbio. Mi fa paura l’attesa e il giudizio di chi riesce solo a criticare, vivisezionare e distruggere condendo tutto di considerazioni, supposizioni e speranze che poi saranno magari disilluse. Sarà che l’argomento tocca un nervo scoperto perché chiunque non riconosca il genio di Lynch -capisco che è infantile da parte mia- è come se automaticamente venisse espulso dalla mia mente in quel girone dell’inferno con la moquette del’One Eyed Jack’s. Ho letto titoloni con ripassi dei personaggi, test per capire se sei davvero un Twin Peaks addicted, domandone del tipo “ci deluderà?” e via discorrendo in un infinito di nulla. Capisco che qualcuno debba portare a casa la pagnotta e quindi tra balene blu, notizie di dubbio gusto e bodyshaming su piedi e star ingrassate o dimagrite il titolo  su Lynch faccia cultura cinematografica. Ma la domanda che prepotentemente mi sono posta in questi mesi d’attesa è stata: perché non aspettare semplicemente? Lynch è a dir poco imprevedibile e disarmante. Riassumendo: di che stiamo parlando se non di aria fritta? Aspettare, guardare e decidere.


Eppure io sono tutto fuorché una persona logica, quindi la maggior parte sarebbe dovuta arrivare prima di me, no? Mi è capitato di leggere anche chi in questi anni non ha mai avuto il bisogno di rivedere Twin Peaks, ma sapendo che ci sarebbe stato un seguito ha provveduto. Per rendersi conto che era diverso da quello che si ricordava. Che è lento. Che è a tratti noioso. Insomma che il ricordo avesse superato la presunta oggettività noiosa del prodotto. Ecco io rimango esterrefatta davanti a tutto questo perché non riesco seriamente a comprendere quale sia la difficoltà nell’ammettere che un prodotto del genere all’epoca si è visto e apprezzato semplicemente: per moda. Perché andava fatto. Perché era proibito. Perché era figo. E una serie di perché.


In questi venti anni l’ho visto diverse volte. Come ho visto diverse volte i film di Lynch che non riescono mai a essere comprensibili con una visione soltanto. A volte neanche dopo quattro. A volte mai e io lo spero sempre. E ogni volta che ho visto Twin Peaks è stato diverso e anche adesso è stato diverso ancora. Ma ogni volta ho avuto la certezza che non lo stessi vedendo perché dovevo farlo ma perché lo volevo. Perché mi ha segnato, è diventato musa e ha caratterizzato anche diverse parti di me e delle mie visioni. Per questo lo amo, ne sono gelosa e mi arrabbio se qualcuno tratta un amico, perché questo è, con superficialità. Da un amico non ti aspetti che migliori dopo venti anni. Da un amico non ti aspetti nulla, se è veramente un amico che hai scelto e che hai voluto accanto. Impari a capirne i difetti e ci saranno sempre delle cose che non ti piaceranno e ti infastidiranno ma gliele perdonerai. Sei sei costretto a esserci amico per opportunismo, insicurezza, varie ed eventuali allora sì che possiamo fare i sapientoni urlando: lo faccio meglio io, lo dico meglio io.


E sì, un amico come Twin Peaks lo difendo a spada tratta eccome. Perché lo conosco.


Non ci credo ancora che sia passato un quarto di secolo. Ero in una panda 750 color carta da zucchero con interni in tessuto tartan dai toni dell’azzurro. Il finestrino abbassato come sempre, perché mamma è claustrofobica e poi lo sarei diventata anche io, e quell’eccitazione incontrollabile di sentirmi grande. Mamma nella Libreria Italia, a Barriera del Bosco esattamente, mi avrebbe comprato il Diario di Laura Palmer. Nessuna delle mie amiche poteva averlo ma io sì. Io sì perché la regola numero uno di papà e mamma era: fidarsi sempre reciprocamente. Mi avevano chiesto se a parer mio fosse il caso che io lo leggessi. Con una notevole incertezza avevo detto di sì. Era assolutamente il caso che io leggessi. Avevo già visto diversi film d’orrore alle elementari e per quanto discutibile questo possa sembrare agli occhi di molti genitori bigotti, che adesso magari lasciano navigare i propri figli su Youtube ignari che un video haul può essere più agghiacciante di Poltergeist, mi hanno aperto la mente. Mi hanno resa libera visivamente e non indottrinata. Mi hanno distaccato completamente dai gusti visivi dei miei genitori e questi ultimi hanno permesso che la mia personalità venisse fuori senza troppe influenze. Avevo già capito allora che Lynch non era orrore. E se lo era apparteneva a una sfera completamente diversa.


Avevo già letto IT, che mi aveva inquietato ma reso felice, e diversi racconti di Lovecraft, King, Poe e Christie. Ero già fortemente sicura che un vero e proprio genere non esistesse se non strettamente correlato all’autore, ergo non “genere horror”, “genere thriller”, “genere giallo” ma “genere Lynch”, “genere Christie”, “genere Lovecraft”. Genitori di un genere e non partecipanti.


Del diario di Laura Palmer -che non ho più riletto- come il diario di Jack Lo Squartatore -che non ho più riletto- conservo un ricordo apparentemente vivido. A differenza della serie non ho voluto riaprirne le pagine perché credo che coscientemente, anche se in giovane età, mi fossi convinta che fosse semplicemente una trovata pubblicitaria. In quel momento aveva un valore, diciamo così. E ho preferito preservare quel valore per inscatolare tutte quelle angosce che diventando adulte avrebbero potuto diventare sciocchezze. Quello che faccio fatica a spiegare è proprio questa mia voglia di preservare. Non sono una persona accessibile, a dirti la verità. Nonostante la mia libertà e apertura, che a volte sconcerta, non riesco a essere facilmente avvicinabile dall’arte, dalle visioni, dalla musica e dalla bellezza in genere. In queste cose divento fiscale, maniacale e per certi versi monotematica. Non sono una che si innamora facilmente, a cui piace una cosa banalmente, che si affeziona inspiegabilmente. Non riesco a vedere tutte le serie tv, tutti i film, tutti i generi, ascoltare tanta musica, scoprire troppe cose. Come do valore ai miei ricordi che diventano amici lo do anche al mio tempo. Mi piace solo la musica classica strumentale e qualcosa di orientale. A meno che non sia disco anni 80 con cui scatenarsi e fare baldoria fingendo di scendere giù sott’acqua con il naso tappato o Barry White, non muovo neanche il piedino. Se non è un prodotto visivo che ai miei occhi è di altissimo contenuto semplicemente non lo vedo.


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Lynch non è per tutti e bisogna farsene solo una ragione

Nel mio studio ho disegnato i ritratti dei miei registi preferiti. Quelli che venero insomma senza vergognarmi più di tanto. Sono sette e nell’ordine di apparizione in cornice sono: Kubrick, Kim Ki Duk, Lynch, Miyazaki, Burton, Kitano e Hitchcock. Potrei stare ore qui a ticchettare del nulla ma voglio concentrarmi su questa affermazione che non vuole essere assolutamente “snob” o di quella che vuole darsi un tono. Che tono dovrei darmi? Non sono nessuno. Ma Lynch è amico mio, per quanto stupido e insensato possa sembrare agli occhi di qualcuno. E oggi parlo di un amico, tutto qui. Non si può essere amico di qualcuno volendolo cambiare e partirei da questo. Nella mia vita sono sempre passata per quella particolarmente “strana” e ho incontrato -e incontro- diverse persone che vogliono starmi accanto ma ci tengono sempre a sottolineare che se non avessi determinati “difetti” o atteggiamenti “bizzarri” sarei “perfetta”. Se solo fossi più presente, se solo rispondessi al telefono, se solo uscissi di più, se solo. Un po’ come dire a Lynch che se fosse più comprensibile, più veloce, meno enigmatico. Beh. Non sarei più io. Non sarebbe più Lynch.


Amo le persone sfuggenti e Lynch lo è. Perché riescono a dare di più senza false promesse. Questa caratteristica che può essere compresa, a mio modesto giudizio, solo dai più forti e non dai deboli che hanno bisogno di continue certezze è qualcosa che conquista o distrugge. Non si può afferrare una mente libera, un’anima in continua ricerca e tormento. Perché semplicemente non potrebbe regalarti quello che ti piace di più.


Analizzare quella che è una caratteristica e che con molta probabilità ti ha proprio incuriosito e fatto avvicinare è una forma di debolezza e arroganza. Accettare, capire, avvicinarsi è una forma di suprema intelligenza. Anche allontanarsi, anzi ancora di più. Capire che una persona/un regista/un amico/un pittore/varie ed eventuali è incomprensibile non significa che lo sia. Ma che lo sia per te. E la concentrazione del te non è la perfezione. Non si è mai dalla parte giusta o sbagliata, salvo rari casi, ma si è da una parte piuttosto che da un’altra. Se hai la sicurezza di aver capito Mulholland Drive, come anche il monolite nello spazio, forse c’è un problema alla base.


Lynch, come la meditazione e l’introspezione, ti apre la mente. Se la vuoi aprire, certo. Non ti confeziona una storia con un personaggio, una trama, della musica, un inizio e una fine. O perlomeno lo fa anche. Solo che te la racconta nel suo modo di vedere le cose e bisogna sempre rispettare le cose viste da diverse angolazioni. Anche perché diciamolo nessuno ti costringe a fare altrettanto. Credo sia una questione di allineamenti e affinità. Non ho mai avuto la sensazione di aver capito davvero Mulholland Drive, Velluto Blu, Twin Peaks e altro. Ma la sensazione che mi sia piaciuto tanto quello che ho capito, sì, è stata bellissima e profonda e per questo sono grata a Lynch.


Adesso devo calmarmi e bloccarmi però altrimenti continuo a ticchettare freneticamente per giorni ed esplode il server. Ci sarà come sempre occasione, purtroppo per l’umanità, di riprendere il discorso. Questo perché teoricamente ero qui per fare diverse e poche, promesso, considerazioni sul rapporto che Lynch ha con il cibo nelle sue visioni. Non che l’argomento possa essere affrontato, anche questo, in modo sintetico ma da qualche parte insomma devo cominciare. Mettere punti e cominciare. E ricominciare.


Lynch e il cibo

Vorrei analizzare la correlazione del cibo solo su Twin Peaks, al momento. Lo avevo già fatto diversi anni fa quando prima del mio Libro “Le fumettoricette” stavo lavorando a un mio personalissimo progetto -già finito e mai pubblicato- che aveva proprio questo come tema: la correlazione tra il cibo e diversi film, manco a dirlo che mi avevano colpito e che avevano segnato il mio percorso visivo. Sul libro delle Fumettoricette ho chiaramente dedicato una ricetta ed è quella che vedi oggi, la Cherry Pie chiaramente. Eppure di cibo su Twin Peaks ce ne è così tanto da far girare la testa. Ho letto diverse interviste di Lynch. Il mio amato David ha un rapporto molto difficoltoso con gli odori, tanto da reputare la cucina in attività un vero e proprio inferno. Vorrebbe che la cucina fosse in una parte separata della casa e che gli odori non interferissero nella sua vita. Come una fobia, insomma. L’unico odore che lo tranquillizza e che lo rende felice è quello del caffè. Nero e bollente. Lynch ama così tanto il caffè tanto da averne avviato una produzione. Ha sviluppato un vero e proprio marchio con una miscela proveniente dal Messico e dal Sud America.


Il caffè promuove la felicità

Questo ha asserito Lynch ed è per questo che un tempo ne beveva ben venti al giorno, poi fortunatamente ha smesso anche se sagacemente e sarcasticamente ammette che fossero tazzine piccole italiane. Di lui so che ama i cupcake e i donut. Che ama il cibo italiano e che mangia sette mandorle al giorno. Se gli si chiede perché risponde che il sette gli sembra un numero giusto. Fondamentalmente perché gli piace il sette. La felicità anche attraverso la meditazione trascendentale, che promuove più di chiunque altro, e sostiene essere il vero universo della creatività. Ecco io è difficile che mi riveda in qualcuno ma posso sostenere che Lynch sia in assoluto un’anima affine. Diventa riconoscibile nel mio iperuranio. Di lui so che, come me, ama molto chiacchierare e raccontare. Ama raccontare anche parti di sé. Ama sorridere, essere conviviale e gentile per poi tenere saldamente in serbo una maniacale riservatezza. Sembra una sciocchezza ma questo atteggiamento atipico molte volte stordisce e diventa incomprensibile per alcuni. E quegli alcuni hanno una sorta di rigidità mentale che, ahimé, non gli consente di oltrepassare i varchi mentali. Per questo motivo Lynch propone e consiglia -fondando una vera e propria associazione- la meditazione trascendentale.


Uscire da se stessi per ritrovare se stessi

Lynch è un pittore ed è riuscito a spiegare attraverso l’inspiegabile le cose più spiegabili e ovvie, per certi versi. Mi viene in mente una delle scene più belle di Twin Peaks, quando nelle carceri dell’ufficio dello sceriffo Leland si libera del male.


“Tra poco la tua anima verrò sommersa da una luce splendente e tu conoscerai una nuova e definitiva realtà. Dove tutto è come un cielo vuoto senza nuvole. In cui l’intelletto è senza confine e senza centro. Rimarrai così in eterno”, questo dice Cooper -per certi versi trasmigrazione caratteriale di Lynch stesso- a Leland dopo aver gettato fuori il male e l’inconfessabile fracassandosi il cranio su una porta di ferro. Riesce a essere educativo e sempre positivo Lynch, nel mio modo di vedere. Filosofico e legato moltissimo al parallelo e all’iperuranio non parla solo di un omicidio e un assassino. Questo è chiaro e lapalissiano, nonostante qualcuno ancora si ostini a credere che sia un horror, un giallo, un thriller come scrivevo poco più su. Non è niente e tutto questo. Il fatto che nessuno creda che Leland sia capace di tale gesto. Il fatto che ne sia totalmente discolpato ai danni di Bob che nella realtà fisica delle cose non esiste dimostra quanto Twin Peaks voglia in modo prepotente discostarsi da tutto quello che è facile analizzare, capire e vedere. Si va in un’altra dimensione dove i messaggi del gigante, del nano, del vecchio e della signora con il ceppo siano comprensibili. E se stai cercando qualcosa di razionale, comprensibile e a tratti ovvio ritorniamo al punto uno.


Lynch non ha un cucchiaino in mano per imboccarti

Lynch ti consegna un piatto complicato con ingredienti difficili da reperire e a ogni assaggio sei tu che devi sentirne l’odore, il gusto e la consistenza. Un percorso visivo, gustativo e olfattivo. Come ti dicevo c’è tanto di quel cibo che ti gira la testa. Si mangia sempre e continuamente. Con i pasti a domicilio, al bar, alla Road House, al bordello, a casa, quando muore qualcuno, in ufficio, dallo sceriffo, agli incontri, sempre, sempre, sempre. C’è così tanto cibo che gira la testa. Ci sono anche dialoghi allegorici che come protagonista hanno proprio il cibo, come quello del maialino di formaggio affumicato che si mangia al Northern. Tra i trabocchetti, i dialoghi ricchi di riflessioni e collegamenti e non qualunquistici ci sono ragionamenti sospesi e sapori che aleggiano tra frappè al cioccolato, hamburger e formaggi. Ci sono cestini ricolmi di cibo ovunque e colazioni abbondanti in hotel fatte di cupcake, pancake e uova ma anche arrosti e creme. Ci sono creme di mais che scompaiono e riappaiono per confermarti che non è mai come sembra. Ci sono momenti drammatici e paradossali al tempo stesso tanto da diventare assurdi, a tratti comici e criptici. Ci sono grondanti cheeseburger tra confessioni e colpi di scena, ma di quelli lenti che ti colpiscono forte.


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Un percorso viene tracciato mettendo ogni singola pietra una dietro l’altra

Il gigante diceva questo. E credo moltissimo nel percorso tracciando ogni pietra singola dietro l’altra. Twin Peaks fondamentalmente è una chiave. Uno strumento che consente a ogni singola persona di tracciare un percorso. Il percorso non ti porta mai alla fine di una strada perché è infinita, proprio come quella che vedeva Leland alla fine del suo percorso fatto di immenso amore e immenso male. Tutto sta nel capire chi intraprende questo percorso. Twin Peaks non può essere un prodotto comprensibile per tutti. Come allora, così sarà. Una persona che ama trovare la strada spianata su cui saltellare, giocare o al massimo spostare qualche pietra distrattamente non può arrivare da nessuna parte. O perlomeno dall’altra parte. Un po’ come chi sostiene che non si può uscire mentalmente dal corpo attraverso il pensiero. Un po’ come chi non crede nella meditazione e nel potere della mente. Da parte mia posso sperare, ma so che un amico come Lynch non mi deluderà a prescindere, che sia ancora il Twin Peaks che ho lasciato. Perché non mi aspetto che sia “modernizzato”, non mi aspetto che abbia quel fastidioso e noioso taglio americano che fa impazzire le generazioni di Tredici e amenità insulse del genere, perché non mi aspetto che ci sia superficialità, qualunquismo e ovvietà. Cose insomma che ho trovato anche nel Trono di spade, dove sì d’accordo c’è della fantasia e creatività infinita ma il genio è un’altra cosa.


Il genio è Lynch.


Mi aspetto che gli alberi parlino, che i ceppi e la natura prepotente interferiscano nei pensieri umani, che il male travolga anche chi non vuole essere sfiorato a riprova che tutti siamo deboli e se vogliamo forti, che ci siano torte e ciambelle come sottofondo a verità crudeli, perché non so se lo ricordi ma proprio le ciambelle donut descrivono come è accaduto l’omicidio nella prima puntata della seconda serie. Ronette sui binari scampata alla morte viene alternata a un morbido e rassicurante donut. Mi aspetto che onde radio e logge nere siano in agguato e che un ispettore faccia indagini con tecniche tibetane, metodi deduttivi, fortuna e magia.


La magia

Perché questo è Lynch. Magia pura. Impatto emotivo tra movimenti lenti e risate da sotto un letto che ti tormentano ancora. Lynch è la parte oscura e lucente della vita. L’allegoria del nano e del gigante. Di quello che può portarti l’altezza e la bassezza. Dei messaggi sinuosi, dei morti che non vanno mai via e ti tormentano, dei vivi che sono meno vivi dei morti e della crudeltà che si può celare dietro una foto in bacheca della reginetta del ballo. La magia di saper perdonare perché questo insegna la storia di Twin Peaks e troppo spesso il messaggio positivo viene dimenticato. La forza e la magia sta nel ricordarselo. Nel continuare a credere che anche mettendo pietre su pietre in un percorso nero, buio e difficile sempre e solo la luce ci accoglierà. Quando è morto papà ho visto Bob voltarsi ridendo e andare via. Ma io, che so parlare con i ceppi, ho capito che non mi ha portato via niente. Perché il fisico non è l’anima e il pensiero. Perché ricordo ancora i cavalli, la biga, il bianco e nero. Perché so contro chi sto lottando. E so che ballerei più forte del nano.


Guardalo con gli occhi disinteressati, con la mente sgombra, con nessun pregiudizio, con nessun paragone, con nessuna idea precisa e avrai come risultato un viaggio impagabile e profondo che nessuno, se non Lynch, poteva genialmente raccontare meglio di così.


Noi ci rivediamo su questi schermi presto perché farò menù a temi Twin Peaks e tantissimo altro. Un bacio grande e grazie per questa chiacchierata, che spero ti sia piaciuta. Davanti a un buon tè bollente e nero senza zucchero e un’ottima cherry pie che potrai facilmente replicare a casa. E che, sono sicura, ti stupirà.


 


La Cherry Pie

La Ricetta di questa Cherry Pie è tratta dal mio Libro (momento autoreferenziale ai massimi livelli) “Le Ricette di Maghetta Streghetta” edito da Mondadori. La versione di More, quella di Biancaneve, invece la trovi qui.


Ingredienti per una teglia di 28 centimetri circa



Per la pasta brisèe: 500 grammi di farina 00, 200 grammi di burro morbido a pezzetti, 1 pizzico di sale.
Per il ripieno: 500 grammi di ciliegie fresche o amarene denocciolate (se usi quelle sotto spirito, sciacquale più volte sotto l’acqua), 200 grammi di marmellata di ciliegie meglio se senza zuccheri aggiunti, 30 grammi di amido, 1 pizzico di sale, 1 cucchiaio di succo di limone e metà della sua scorza grattugiata, 150 grammi di zucchero di canna, 1 cucchiaino di vaniglia in polvere o essenza, 30 grammi di burro a tocchetti e se ti piace anche un po’ di essenza di mandorla che ci sta benissimo.
Per la copertura finale: 1 uovo e zucchero di canna.

Per comodità spesso adopero l’impastatrice ma il classico metodo manuale di picchiettare il burro con la farina aggiungendo pian piano i 140 grammi di acqua freddissima rimane indiscutibilmente il migliore (se hai tempo). Ricopri sempre e comunque con la pellicola e fai riposare almeno 30 minuti in frigo. Per il ripieno: versa le ciliegie denocciolate, la marmellata, l’amido, lo zucchero, il succo e la scorza di limone e la vaniglia. Gira con cura fino a ottenere un composto omogeneo. Stendi la metà della pasta brisèe tolta dal frigo su un piano infarinato e versaci sopra il ripieno e poi i tocchetti di burro. Stendi la pasta rimasta e ricopri per bene la torta. Se ne hai ancora fai la chiusura, aggiungi decori o qualsiasi cosa la fantasia ti suggerisca. Fai una incisione a x sulla superficie della torta ma non fare fuoriuscire troppo il contenuto. In una ciotolina sbatti un uovo e spennella la superficie. Puoi aggiungerci latte o zucchero così la crosticina verrà ancora più croccante e dura. Inforna a 205 per 15 minuti e poi a 180 per 35-40 sempre tenendola d’occhio. Si accompagna perfettamente a generose cucchiaiate di panna fresca montata sul momento e all’immancabile caffè nero ma pure con una bella pallottola di gelato che visto il periodo male proprio non fa.


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Published on May 19, 2017 07:31

“Lasagne” di zucchine con “ragù” di tofu

La Ricetta più virgolettata del web

E lo so che se non mi conosci e sei capitato qui per caso sei già con la mazza da baseball in mano pronto a spaccarmi il monitor, il bimby e la carrozzeria della macchina. Con il ragù di mammà non si scherza e neanche con le lasagne, lo so. Calma e gesso, però. Vengo in pace. Non voglio dire che questo intruglio malvagio -ai tuoi occhi- è minimamente paragonabile ai sapori della tua infanzia e ricordi ma se tutto questo l’ha superato mia cugina Caterina che è bolognese e una delle mie migliori amiche, Giulia, che è ferrarese: dai. Puoi farcela anche tu. Se non puoi farcela chiudi tutto qui e vai -con la mia benedizione- in un food blogger dove si cuociono le costolette di maiale pastellate nel lardo. Lo capisco.


Fatte le doverose e noiose premesse eccoci oggi riuniti qui a parlare di lasagne che non sono lasagne e di ragù che non è un ragù. Non è meraviglioso? (non vorrei mai vedere le vostre facce in questo momento). Su Youtube ancora non mi hanno insultato e messo alla gogna (manca poco credo) e sorprendentemente neanche in casa (anche perché COMANDO io, ovviamente). Pensa che anche mamma incredula e con gli occhi da lemure sbigottito ha detto “ma sai che non sono orrende?” che sta un po’ per “è buono!”.


Ogni volta che facevo le lasagne vere (ma senza uovo e quindi non sono vere ma glissiamo pure su questo, ok?) in versione veg mi ostinavo ad adoperare il seitan. E sai come finiva? Che le assaggiavo giusto per il gusto di farlo -anche perché non sono mai stata una fan scatenata non solo della pasta in sé ma neanche della lasagna- e finivo riversa per terra con spasmi e rantoli. Il seitan  -che mi piace e non poco- per quanto mi ostini a provarlo a periodi alterni mi fa stare malissimo per la stramaledettessima intolleranza al glutine. Capita anche a te? Se ti capita -che gonfi e stai male- sappi che non sei tu ad avere qualcosa che non va, ecco. Perché le rassicurazioni prima di tutto.


Poi mi ricordo che santo Attila Hildmann aveva preparato il ragù di tofu e: eureka! Partiamo dal principio però. Di Attila ne ho parlato svariate volte e una delle ultime è stato proprio su RunLovers. Ne riparlerò presto anche qui perché è uscito finalmente Vegan for fit anche in italiano e nessuno ormai ha più scuse per comprarlo. Lo sfoglieremo ben presto insieme, insomma.


“Ragù” di Tofu


Attila preparava questo ragù di tofu in modo semplice e nel più classico modo possibile. Allora dopo anni e anni di tentativi con il seitan mi dico: ma quanto sono scema? Infinitamente è stata la risposta. Ma perché accipuffolina (brutta parola coperta, sì) non avevo mai pensato la cosa più semplice? Tofu! Ragù di Tofu! Ragù virgolettato, sì (che ansia!). Fatto il ragù e per giunta nel bimby (cosa che consiglio caldamente a chi lo possiede) ho fatto la scoperta del millennio. Ripeto. Ma quanto sono scema? Tutti in coro urliamo: tantoooo iaaaaiiiiaaaaa taaaaaaannnnttttto.


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Molto più leggero

Molto più leggero, poco invadente e gustoso (se sei intollerante alla soia come al glutine faremo il ragù finto con l’avena, ok?). Questo ragù di tofu è davvero stata una bellissima scoperta e il consiglio di Attila, ovvero quello di fare delle “lasagne” con le zucchine per un piatto super leggero e gustoso è assolutamente da seguire. L’ho fatto e rifatto ormai tantissime volte. L’ho servito in diverse occasioni e a diverse persone. Risultato? Sorprendente. Si stupiscono tutti. Poi se vuoi farlo in versione vegetariana puoi arricchirlo con del parmigiano o con del formaggio. Con la besciamella perché no? Poi se vuoi mettere le lasagne VERE al posto delle zucchine, perché no? E tutta una serie di sacrosanti perché no.


Sta di fatto che il ragù di tofu di per sé è buono e per essere tofu -dirà la maggior parte- è già un bel passo avanti (tipo lo sbarco sulla luna, insomma). Ma in versione “lasagna” (e anche lasagna vera senza virgolette) di zucchine tocca un’apice di bontà inaspettato.


Abbandona i pregiudizi e prova. Sono sicura che ne rimarrai stupito. È una certezza.


“Lasagne” con “ragù” di Tofu

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Published on May 19, 2017 03:00

May 18, 2017

Problemi digestivi? Ci pensa la papaya

Alcuni anni fa ero più una fan scatenata del mango. Per carità mi piace ancora, ma ultimamente non riesco a smettere con la papaya. Tra i diversi frutti esotici non ci penserei due volte: sono avocado dipendente. Nessuno lo riesce a contrastare ma questa signorina arancione qui senza il minimo sospetto sta prendendo davvero un posto speciale nel mio cuore. Essiccata è così buona che ti passa pure la voglia di dolce. Anche quella candita, vabbè, ma non lo ammetterò mai per principio, oh! (se la trovi prendine giusto un paio di chili e poi mi dici se ce l’hai fatta a resistere) Mi piace moltissimo in versione salata, però. D’accordo candita, essiccata nel porridge e per quella voglia di frutta, ma nel salato la papaya dà davvero il meglio di sé. Nelle insalate soprattutto. Con i semi, il gomasio e pure con il cavolo. Non parliamo poi in abbinamento con le chips di cavolo sbriciolate. Se il mango si sposa benissimo con il caprino anche la papaya non scherza e ogni volta che l’ho servita con dei formaggi stagionati piuttosto salati mi hanno sempre fatto i complimenti.


Papaya e Ricotta salata

Rimango il disonore della Sicilia, lo so. Ma fidati. Provala con qualcosa di estremamente forte e salato e poi ne riparliamo. I semi con cui preferisco abbinarla sono senza ombra di dubbio quelli di zucca, magari leggermente tostati e salati. La papaya ti dà energia e tanta salute. Per noi donne (meglio evitare se si è incinta o prima informarsi con il proprio medico) la papaya è davvero un toccasana e la vendono pure in capsule (le prendo da anni a periodi alterni). Ha un altissimo contenuto di vitamina A e fa benissimo alla pelle. Altro che creme costose ricche di schifezze. La vera crema idratante e antirughe è il cibo che dai al tuo corpo. Si possono continuare a comprare milioni di fondotinta e correttori, antirughe e primer per una base perfetta, ma se la tua pelle non va bene ed è ricca di impurità è perché non mangi bene. C’è poco da fare. Bisogna arrendersi alla cruda realtà. Come quella che gli orientali, grazie alla loro alimentazione, hanno una pelle da centenari che noi ci sogniamo arrivati a sessanta, giusto per dirne una.


Un’insalata davvero speciale


I semi della papaya se mangiati con cautela e gradualmente sono ottimi per il nostro fegato e in generale la papaya -oltre ad aiutare l’attività cardiovascolare- come dicevo è un vero e proprio toccasana per tutto l’apparato digerente. Chi soffre di gonfiori e meteorismi, cattiva digestione e tutto quello che concerne la funzione dell’apparato gastrointestinale dovrebbe tenere ben a mente che questo frutto è davvero un fido alleato.


 



Contrasta l’invecchiamento delle cellule
Ti aiuta ad avere una pelle in salute
Alleata del cuore, ti aiuta a combattere il maledetto colesterolo
Cattiva digestione? Un brutto ricordo se l’assumi con attenzione e costantemente

Insomma il periodo delle insalate e la voglia di fresco ci aiuterà a ingerire sempre più frutta e verdura. Anche se -voce da grillo parlante- dovrebbe essere così 365 su 365. A me piace tantissimo frullata, posso dire l’ultima cosa? Oh. Frullata. Con il latte di mandorla (senza zucchero, chiaramente. Il vero “latte”di mandorla) poi è buonissimo. Basta infilare tutto nel frullatore con qualche cubetto di ghiaccio e delle spezie e via. Spezie anche che contrastino un po’ la dolcezza, eh. Se poi vogliamo proprio fare i ligi e salutisti convinti un pizzico di curcuma, perché no?!


Prendi una papaya e mangiala con succo di limone e sale. Lo so. Da un decennio ti dico di farlo con l’ananas. Ma sai quanti mi dicono: oh Iaia l’ho provato l’ananas con il sale e il limone! Buonissimo!


D’accordo che dico tante idiozie ma qualche volta, giuro solennemente sui miei nani da giardino, ci piglio pure io, oh!


Corri a comprare la papaya, su. Non perdere tempo.



Tartare di Gamberoni con Avocado, Pesca tabacchiera, Mango, Papaya e olio alla menta
Smoothie di Carota, Arancia e Papaya

Le Proprietà della papaya

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Published on May 18, 2017 01:00

May 17, 2017

La stramaledetta prova costume? Goma Wakame, Mon Amour

Da brava invasata di alghe, della Goma Wakame ho parlato diverse volte e giusto per annoiare anche tutta la comunità di running italiano anche su RunLovers. Insomma non mi sono mica risparmiata! Del resto mi sono anche “ammalata” di carotenemia, ricordi? Ero diventata un umpa lumpa a causa del sovraccarico di vitamina A contenuta nella Nori. Insomma dopo essermi beccata la carotenemia sono un’istituzione in fatto di alghe, no? (reggimi il gioco, grazie)


Procediamo per gradi però, altrimenti come sempre mi/ti confondo. Oggi siamo qui riuniti per ricominciare a parlare di alghe perché è davvero da un bel po’ che non facciamo una ripassata. Sarà che la stramaledettissima prova costume sta per arrivare. Che poi per stramaledettissima prova costume io intendo “dobbiamo scoprirci un pochino”, eh. Perché io non sono certo una da bikini tutti in spiaggia stipati come sardine a pressione nella lattina. Ma più da protezione cinquanta, sotto l’ombrellone in un’isola deserta “sparo a vista al primo che si avvicina”. La solita simpaticona, insomma.


Sta di fatto però che anche il solo “dobbiamo scoprirci un pochino” può fare venire quel pizzico di ansia. Il mio pizzico quantificalo moltiplicando per enne miliardi di milioni. Non mi piace scoprirmi. Non amo stare con le maniche corte. Non indosso canottiere. Non indosso shorts, minigonne e solo il cielo sa cosa. E detesto -ribadisco DETESTO- quella sensazione di non avere le calze. Non sono una da “infiliamoci il vestitino svolazzante e andiamo!” perché poi ho un’altra milionata di paranoie che ti risparmio. Non in ultimo io indosso il NERO sempre e comunque. Perché mi appartiene, mi sento io e. E la gente non smette mai di dirmi: ma sei così carina colorata, Iaia!


E la voglia di spaccare loro il setto nasale si fa più forte ogni anno. Non detesto l’estate per il caldo perché -rullo di tamburi- io non ho mai caldo, anzi. Non mi lamento neanche del caldo, dell’estate, del sudore e di tutte quelle robe lì. Mi lamento di chi si lamenta di questo, in compenso. Detesto il sole e scoprirmi un minimo, tutto qui. I rotolini sotto il cardigan sono così carini e rassicuranti. Ti fanno compagnia sotto l’albero di Natale tra lucette e regali ma sotto la maglietta, no. Ecco sotto la maglietta, no. Perché non siete solo tu e loro. Siete tu e loro e il resto del mondo.


Sembra che io abbia nascosto un salvagente sotto la maglietta e non mi va, uff. Chi segue un’alimentazione veg come me saprà che per assurdo si creano gonfiori, causati dall’eccessivo consumo di verdura e frutta, che molte volte diventano causa di fortissimo stress e demotivazioni. In pratica fermentano e diventi come la bimba tutta vestita di viola della Fabbrica di Cioccolato. Manca poco che ti libri in aria, insomma.


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Le alghe per una pancia piatta

Oh. Io la pancia piatta l’avrò quando mi convincerò ad andare dal chirurgo (o a Lourdes per un tuffo nell’acqua santa) a togliere la pelle che pende per la perdita di peso, facciamola breve ma. Ma se avessi una pancia normale come la stragrande maggioranza delle donne potrei dirti che sì. Le alghe aiutano a sgonfiarti tantissimo e sono amiche della pancia piatta. Che poi dai, mica ‘sta maledetta pancia deve essere piatta, dura, addominali scolpiti, costole di fuori e idiozie del genere. Basta che non ci sia il salvagente, no? Quello che continuo a ripetermi è (non ci sono ancora riuscita. tu?) avere un altro tipo “di canone” o presunto tale. Perché se è Charlize Theron, ahem. Faccio prima a comprarmi una camicia con i lacci e ad andare a costituirmi in un reparto con stanza imbottita. La Signorina Silvani del Ragioner Fantocci, potrei avere come canone. Fisicamente non era affatto messa male e aveva un panciotto di tutto rispetto. Sano, ecco. Me la ricordo ancora in bikini quando parte in viaggio di nozze, o presunto tale, con Fantozzi. Questo mi fa anche ricordare che io debba rivederli tutti.



Per la colite? Alghe.
Per la depurazione? Alghe.
Per il mal di pancia? Alghe.
Per una pelle giovane? Alghe.
Per dei denti meravigliosi? Alghe.
Mens sana? Alghe.

Certo l’ultima voce non si direbbe essendone testimonial io, ma queste sono davvero alcune delle proprietà che hanno le alghe in generale e anche questa goma wakame che dire buona è riduttivo. Ogni volta che la fotografo o mostro nelle instagram stories in cucina (da iaiaguardo, non da maghetta, perché ho due account adesso) mi vengono fatte sempre le stesse domande: dove la trovi, come l’abbini o cucini, è davvero così buona?


E allora rispondiamo ancora una volta che non si sa mai.


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[image error] La trovo così come la vedi. Surgelata e nel negozio etnico più fornito di Catania (Cristaldi e quindi se sei di Roma per esempio da Castroni). Questa nello specifico è la Undaria pinnatifida, ovvero un’alga bruna commestibile appartenente al genere Liminaria. Generalmente vengono fatte essiccare (wakame, ricordi? ne ho parlato tantissime volte) per poi essere idratate in acqua. Questa in pratica è la versione fresca che viene fatta scottare in modo da inibire la crescita di microrganismi che fermentano e poi surgelata per farla arrivare in questa forma piuttosto che in quella comune secca. Poi viene condita con aceto e sale (c’è anche una piccola parte di zucchero, ahimè. Ma è davvero pochissimo il quantitativo) e via. C’è anche l’agar agar, dimenticavo. Il contenuto calorico, come tutte le alghe, è bassissimo e si parla di 60-70 Kcal per 100 grammi di prodotto. C’è anche il peperoncino (nota dolente per chi come me non ama il piccante) ma è ben visibile e può essere rimosso senza alcun tipo di problema. Dopo averla scongelata puoi lasciarla tranquillamente in frigo per 7 giorni, al termine dei quali non può più essere mangiata, ovviamente. La trovo in confezione da un chilo. La trovo una cosa assurda per certi versi, perché potrebbero pure fare delle porzioni più piccole avendo a disposizione solo sette giorni per consumarla e si sa poi diventa ripetitivo -per alcuni- mangiarla ogni santo giorno ma capisco pure che la richiesta e l’importazione ha dietro dei giri ben precisi. Comprensibile, insomma.


Se te ne innamori però -come è accaduto qui ormai un decennio fa- ti assicuro che un chilo lo fai fuori in poco tempo.


 


Come l’abbino?

Ti dirò. Semplicemente in insalata, soprattutto con l’avocado, e un pizzico di salsa di soia -come si suol dire- è la morte sua. Con l’aggiunta di sesamo la trovo gustosissima. Mi piace moltissimo in abbinamento e contrasto con la rucola e la valeriana ma anche la scarola. Te la consiglio anche con elementi dolci tipo frutta, sì. Per contrastare quel tipico sapore “di mare” qualora dovesse risultare troppo forte. Con i pomodori pachino è un idillio e con tutto quello che è verde vai sul sicuro.


Un bel piattone di goma wakame con edamame, spinacino e avocado può farti raggiungere l’estasi. Mi piace moltissimo anche con il limone, semplice così. E con le fave? Cielo. Con le fave. In quel caso però aggiungi un pizzico di wasabi nella salsa di soia per sprigionare una sinfonia di note papillogustative degne di nota.


 


Le proprietà delle Alghe: wakame, nori e konbu


Insalata con la wakame (secca), avocado e sesamo nero

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Published on May 17, 2017 01:00

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Iaia Guardo
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