Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 120

April 19, 2018

Review: Everybody Lies: Big Data, New Data, and What the Internet Can Tell Us About Who We Really Are

Everybody Lies: Big Data, New Data, and What the Internet Can Tell Us About Who We Really Are Everybody Lies: Big Data, New Data, and What the Internet Can Tell Us About Who We Really Are by Seth Stephens-Davidowitz
My rating: 2 of 5 stars

Questo libro mi conferma quanto avevo intuito con l'avvento della Rete: man mano che la conoscenza aumenta, e con il Web le possibilità di acquisire sapere e conoscenza sono rapidamente aumentate, contemporaneamente, però, sono cresciute anche le bugie, anzi i modi di pensare, creare, dire e diffondere la non-verità, la classica menzogna.
Mentiscono tutti, individui, persone ed istituzioni. Bisogna sapere distinguere però tra bugia, menzogna, falsità e non verità. Ci sono molte sfumature, graduazioni, modi e sistemi per leggere la realtà che compare sotto i nostri occhi ogni giorno. L'autore di questo libro, che ho trovato piuttosto sbrigativo e affrettato nelle sue considerazioni, sin dal titolo ci comunica che tutti dicono bugie. Una cosa vecchia quanto il mondo. Pietro negò per ben tre volte di conoscere niente di meno che il Cristo. Perchè lo fece, lo sappiamo tutti. Per paura di rimetterci la pelle.
Ma non è soltanto la paura a fregarci. Sono tanti i modi per mentire e non bisogna fidarsi di nessuno. Del resto, la cosa non è facile. E' la stessa realtà che ci inganna. Noi la leggiamo tutti in maniera diversa, quindi diciamo le cose in maniera opposta a quella degli altri e ci consoliamo dicendo che non sono bugie. Insistiamo nel dire che è la verità, ma è soltanto la "nostra verità". C'è poi la possibilità più grave che quello che diciamo è esattamente l'opposto del vero, e allora si tratta di menzogna. Nel libro si fa riferimento ai dati che in Rete sono alla portata di tutti, elaborati da Google ed altri a nome di governi, istituti ed organizzazioni i quali manipolano, strumentalizzano e finalizzano le informazioni per scopi più contrastanti ed inopportuni.
Il mondo, la realtà, il nostro vivere quotidiano sembra così ridursi ad una balla continua che ci rimbalziamo quotidianamente nella illusione di poter sapere tutto e nella maniera giusta. In questo calderone ritroviamo tutto e tutti: politici e governi, religioni e filosofie, economie e sistemi culturali, ideologie e utopie.
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Published on April 19, 2018 04:37

Review: Elizabeth I's Italian Letters

Elizabeth I's Italian Letters Elizabeth I's Italian Letters by Carlo M Bajetta
My rating: 5 of 5 stars

Ho letto una lunga e dotta recensione di Luigi Sampietro su "Il Sole 24Ore" di domenica 25 febbraio riguardante un libro appena uscito in America. Si occupa della nota passione di una regina inglese per l'italiano, come lingua non come persona: Elisabetta I Tudor, regina d'Inghilterra e d'Irlanda, dal 17 novembre 1558 fino alla sua morte 1603.
Si tratta della sua corrispondenza in lingua italiana, lettere che gettano una nuova ed esclusiva luce sui suoi interessi, non solo politici, ma anche linguistici e culturali. Si tratta di documenti accompagnati da introduzione e commento sui contenuti di grande interesse storico, politico e diplomatico. La nostra lingua era la lingua della diplomazia del tempo, come di gran parte della cultura europea.
Il Professore Carlo M. Bajetta, il curatore del libro, ha lavorato per anni in ricerche su documenti sconosciuti e segreti in un periodo storico che è stato soprannominato "il mito di Gloriana", riferito a Elisabetta I. Il recensore sul giornale italiano ha chiuso il suo articolo con questa conclusione che ripropongo alla lettera:
"E' un libro per topi di biblioteca che, insieme alla trascrizione e traduzione dei testi, alcuni olografi, altri di mano diversa da quella della regina, ma tutti quanti, quando non si tratta di brogliacci o minute, recanti la sua firma, rivela al lettore profano l'insospettabile mondo in cui si muovono paleografi e codicologi, (si chiamano cosi!), filologi e archivisti. Gente che, anche se non sembra, fa in realtà parte del jet set: oggi qui, il prossimo mese a Londra, poi Washington e Chicago; e sulla via del ritorno, Vienna, prima di tornare a riseppellirsi in una delle nostre biblioteche. I manoscritti sparsi nel mondo sono frammenti di una storia infinita, e i nostri valorosi studiosi vanno e vengono, in cravatta a doppiopetto, al modo in cui si muovono le spie".

Come si fa a non rimanere meravigliati e ancora di più interessati a saperne di più su questo libro? In altri tempi, l'unico modo possibile sarebbe stato quello prenotare il volume ad una libreria, aspettare l'arrivo, oppure andarlo a leggere in una fornita ed aggiornata biblioteca di una grande città europea.
Condizione indispensabile sarebbe stata sempre, comunque, la conoscenza della lingua inglese, allo stesso modo con il quale, Elisabetta regina di un impero, che sotto il suo regno il sole avrebbe avuto difficoltà a tramontare, ai suoi tempi già si muoveva con grande abilità e disinvoltura nella nostra lingua.
Mi è bastato, in questa nostra epoca digitale, solo una rapida e sensata digitazione sulla tastiera del mio pc per chiedere a Google un concreto aiuto.
I suoi algoritmi mi hanno rapidamente rimandato a questo PDF del "Journal of Early Modern Studies" per saperne di più. Il libro, a dire il vero non è alla portata di tutte le tasche come si può vedere su Amazon. Poco meno di novanta euro non è somma di poco conto.
Questa semplice, forse banale e anche venale considerazione mi porta a pensare quanto possa essere costosa ed anche elitaria la cultura. Mi è facile così comprendere anche il senso di quella citazione finale della recensione di Sampietro che ho fatto e che mi ha dato l'idea di questo post.
Quei "paleografi e codicologi, filologi e archivisti ... valorosi studiosi che vanno e vengono, in cravatta a doppiopetto, al modo in cui si muovono le spie" fanno parte di un mondo che della cultura fa un'arte che concorre a creare un capitale, oltre che umano e culturale, anche di economia e finanza. Allora, figuriamoci, poi, oggi!
Nel XXI secolo, come ieri al tempo di Elisabetta I, la regina innamorata dell'italiano, aveva un fine anche squisitamente pratico. Quella "terragna concretezza" di cui parlava il mio indimenticabile maestro di lingua e di cultura inglese all'I.U.O. Fernando Ferrara.
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Published on April 19, 2018 04:35

April 17, 2018

Quell'essere che accadde oggi: "Today in History"


Se, come dice il poeta, i ricordi sono ombre troppo lunghe del nostro breve corpo, anche la Storia, ha una sua insostenibile leggerezza nell'essere e divenire tale. Storia con la maiuscola, fatta non solo di grandi  eventi ma anche di piccoli fatti legati alla quotidiana realtà del divenire. Quando, un anno fa, Gill, una delle moderatrici del sito GoodReads dedicato ai libri, che ospita tra le tante anche la mia biblioteca, diede vita a un "thread", come si chiama in Rete una discussione aperta, e la chiamò Today in History, non ero molto sicuro di quello che stavo per fare.
Esistono innumerevoli spazi del genere in Rete dedicati a discussioni, commenti, recensioni, anticipazioni di libri ed eventi dedicati ai libri e al mercato editoriale, sia cartaceo che digitale. Su GoodReads si respira un'aria internazionale, ci si trova a discutere circondati, direi assediati, da milioni e milioni di volumi pubblicati in tutte le lingue. Il presente insegue il passato, il passato ritorna nelle sue varie forme previste dal futuro, tutto viene narrato dai libri e nei libri da chi li scrive, li pubblica, li stampa, li vende, li compra e, si spera, li legge. Non mancano così le occasioni per leggere, criticare e commentare.
Decisi di aderire impegnando me stesso a pubblicare, in lingua inglese, un post su di un evento accaduto ogni giorno da qualche parte del mondo e che fosse legato in maniera diretta o indiretta al mondo dei libri. E' trascorso un anno e intendo festeggiare con chi mi legge questa esperienza dalla quale ho imparato molto.  Prima alcune cifre. In un anno, a partire dal 19 aprile alle ore 13,31 GMT dello scorso anno, fino ad oggi, sono apparsi poco meno di cinquecento post (articoli) dedicati ad un evento accaduto in quel giorno, frutto di ricerca fatta in Rete, segnalando la fonte e l'eventuale riferimento per approfondimenti a libri presenti nella biblioteca. Va detto che le visite e le discussioni ("pageviews") non sono state molte, solo qualche centinaio di interventi e commenti.
Alla gente sembra che non piaccia molto discutere di eventi trascorsi, è come riflettere sull'acqua passata. Poco importa. A me interessa, invece, l'esperienza che ne ho ricavata, anche grazie a diversi momenti di intensa partecipazione e condivisione scaturite da interventi di altri lettori o moderatori. Significativo l'episodio di quando ricevetti l'osservazione da una moderatrice la quale mi scrisse facendomi notare che alcune mie scelte di argomenti ed eventi accaduti su alcune date, convergevano con quello che scriveva una mia collega in un "thread" dedicato alla "Literary History". A suo parere, le citazioni ed i riferimenti ad uno stesso evento o argomento, sia esso libro, scrittore, tema o problema, poteva generare confusione in chi leggeva. Ebbi modo, così, di chiarire a me stesso e agli altri quello che si può intendere con l'espressione "Today in History".
La Storia degli uomini ha molte e diverse facce: storia politica, letteraria, sociale, economica, religiosa, diplomatica, artistica, culturale, intellettuale ... In un modo o l'altro sono tutte facce interconnesse. Possono essere capite, lette solamente se viste nel loro insieme, nel loro manifestarsi. Un altro punto importante che merita di essere messo qui in evidenza è la soggettività della scelta dell'evento in quel determinato momento o giorno della storia. Una scelta che resta necessariamente personale, legata comunque all'idea sia della loro importanza che del loro significato. Sia la prima che la seconda concorrono a formare quella che è l'idea fondamentale tanto della storia, del fatto, dell'evento, della persona o del libro preso in esame, quanto della Storia stessa vista come manifestazione della condizione umana. Qui di seguito il lettore troverà la sintesi di quello che ho scritto in italiano in questo post e che ho pubblicato nel giorno del 19 aprile, a distanza di un anno dell'apertura del "thread". A futura memoria, come si suole dire e per fasciare una traccia.
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“I'm starting this topic, so that anyone who is interested can add information about events that have occurred on the particular date we are on. I hope that members of the group find this interesting.”
I accepted Gill’s invitation on this day April 19, last year, and started publishing pieces of historical significance on this topic. Up to this date, there have been 500 items published in this discussion with 133 page views. Not very many people seem interested in History,  though I have enjoyed this experience a lot. Please allow me to write briefly about this event. First of all: What is of historical significance? And what is of historical importance? How do we decide what is significant and what is important? 
The answer may be easy if we think that almost always what is significant is almost always important. Not the other way round though. As a matter of fact not always what is considered important can be said significant, in sense of having a meaning. The processes used to evaluate about selected events, people, and developments in the past use different criteria to help people to make judgements. These words  may be called “the forgotten concept in history” since it can be challenging for both historians and readers, and also for teachers and students. 
Writers/teachers often tell readers/students what is important instead of asking them to consider what is significant. The key to understanding significance is to understand the distinction between teaching significant history, and asking readers/students to make judgements about significance. There are a number of criteria that can be applied to establish the significance and importance of events.
Relevance to people living at the time Resonance to people’s experience, beliefs or situations at the time Relevance to an increased understanding of the present-day Remarked on by people at the time and since Remembered within the collective memory of a group Revealing of some other aspect of the past Results that have consequences for the future Durability – for how long people’s lives were affected Quantity – how many lives were affected Profundity – how deeply people’s lives were affected  Profundity– how deeply people’s lives have been affected Quantity– how many lives have been affected Durability– for how long have people’s lives been affected Relevance– something still significant to our present lives 
On GoodReads there are  people who enjoy reading and perhaps writing too. My choices have always been personal, linked to life experience, culture and interests, possibly connected to day-to-day information. I have enjoyed researching and discussions. Heartily thanks to all those who have participated. I have learned quite a lot. And it is well said that one never stops learning ...







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Published on April 17, 2018 05:55

April 16, 2018

Review: Le false libertà: Verso la postglobalizzazione

Le false libertà: Verso la postglobalizzazione
Le false libertà: Verso la postglobalizzazione by Stefano De Matteis
My rating: 3 of 5 stars
Nel numero di domenica 8 aprile sul "Sole24Ore" ho letto la recensione di un libro di Stefano de Matteis, lo scrittore napoletano, noto studioso di antropologia, in particolare di quella chiamata della "postglobalizzazione". Questa lettura mi ha dato la possibilità di fare una scoperta molto interessante.
Un incontro a New York del tutto inaspettato da parte dello scrittore con un uomo della sicurezza di origine Italiana, anzi Napoletana, anzi Sarnese. Il giornalista ha scritto una bella recensione del libro.
Mi piace qui riportare la parte introduttiva che riassume in maniera egregia l'importanza di leggere non solo l'articolo, ma anche il libro. Paolo Bricco, il recensore, scrive:
"Stefano De Matteis, antropologo, è in viaggio verso gli Stati Uniti. Perde la coincidenza a Londra. Rimane chiuso in aeroporto un giorno intero ad aspettare il suo nuovo volo per New York. Arriva il giorno successivo, abbastanza provato dalla stanchezza, all'aeroporto J. F. Kennedy. Lo avvicina un uomo della sicurezza. Il quale, quando vede sul suo passaporto che è di Napoli, lo blocca e lo "costringe" ad ascoltare il racconto della sua vita famigliare. Anche lui è di Napoli. No, in realtà suo padre è di Napoli. Napoli, non proprio Napoli, ma Sarno. No, lui non c'è mai stato. Nè a Sarno nè a Napoli nè in Italia. Ma con YouTube e con Googlemaps è come se fosse di casa. E, sopratutto, lui che è di New York ha imparato da Napoli - dove non è mai stato, di cui non conosce la lingua, ma di cui ha visto tante cose sui social media e su internet - " i sentimenti più puri del mondo" che, secondo quanto gli ha trasmesso il padre, sono il "rispetto" e "l'orgoglio", parole che si è anche tatuato sull'avanbraccio, che naturalmente mostra a un esausto De Matteis. In questo episodio, c'è tanta parte del contenuto concettuale metodologico dell'ultimo volume dell'antropologo napoletano, "Le false libertà"."
Dopo un incipit così stimolante non ho potuto fare a meno di "correre" da Amazon e per pochi euri ho incominciato a leggere il libro. Ancora un esempio di iperconnessione, immediata, digitale, appunto. Impensabile soltanto pochi anni fa. In tempo reale, è il caso di dire, visto e considerato che il titolo della recensione è legato proprio al tempo: " Prigionieri di un "social-tempo".
L'idea centrale del libro sembra, infatti, proprio questa: il problema del tempo. Se il tempo della connessione è lo stesso di quello del tempo, allora si deve immediatamente assumere il controllo di quello che si tende a fare quando decidiamo di "entrare in rete". Sia Paolo Bricco, il recensore, che l'autore del libro, Stefano De Matteis, non sembrano affatto felici di quello che sta accadendo in questa epoca nella quale staremmo per entrare, quella della "postglobalizzazione".
Io penso che se continuiamo a correre dietro il tempo, cercando di anticiparlo su tutto, finiremo per sbattere il muso, anzi i cervelli, contro il vuoto assoluto che si nasconde dietro una tecnologia non solo sempre più invasiva, ma anche più "intelligente". Tanto "intelligente" da confrontarsi con quella naturale ed umana. Il rischio è non soltanto grande, ma anche grave.
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Published on April 16, 2018 08:42

Review: Elizabeth I's Italian Letters

Elizabeth I's Italian Letters Elizabeth I's Italian Letters by Carlo M Bajetta
My rating: 5 of 5 stars

Ho letto una lunga e dotta recensione di Luigi Sampietro su "Il Sole 24Ore" di domenica 25 febbraio riguardante un libro appena uscito in America. Si occupa della nota passione di una regina inglese per l'italiano, come lingua non come persona: Elisabetta I Tudor, regina d'Inghilterra e d'Irlanda, dal 17 novembre 1558 fino alla sua morte 1603.
Si tratta della sua corrispondenza in lingua italiana, lettere che gettano una nuova ed esclusiva luce sui suoi interessi, non solo politici, ma anche linguistici e culturali. Si tratta di documenti accompagnati da introduzione e commento sui contenuti di grande interesse storico, politico e diplomatico. La nostra lingua era la lingua della diplomazia del tempo, come di gran parte della cultura europea.
Il Professore Carlo M. Bajetta, il curatore del libro, ha lavorato per anni in ricerche su documenti sconosciuti e segreti in un periodo storico che è stato soprannominato "il mito di Gloriana", riferito a Elisabetta I. Il recensore sul giornale italiano ha chiuso il suo articolo con questa conclusione che ripropongo alla lettera:
"E' un libro per topi di biblioteca che, insieme alla trascrizione e traduzione dei testi, alcuni olografi, altri di mano diversa da quella della regina, ma tutti quanti, quando non si tratta di brogliacci o minute, recanti la sua firma, rivela al lettore profano l'insospettabile mondo in cui si muovono paleografi e codicologi, (si chiamano cosi!), filologi e archivisti. 

Gente che, anche se non sembra, fa in realtà parte del jet set: oggi qui, il prossimo mese a Londra, poi Washington e Chicago; e sulla via del ritorno, Vienna, prima di tornare a riseppellirsi in una delle nostre biblioteche. I manoscritti sparsi nel mondo sono frammenti di una storia infinita, e i nostri valorosi studiosi vanno e vengono, in cravatta a doppiopetto, al modo in cui si muovono le spie".
Come si fa a non rimanere meravigliati e ancora di più interessati a saperne di più su questo libro? In altri tempi, l'unico modo possibile sarebbe stato quello prenotare il volume ad una libreria, aspettare l'arrivo, oppure andarlo a leggere in una fornita ed aggiornata biblioteca di una grande città europea.
Condizione indispensabile sarebbe stata sempre, comunque, la conoscenza della lingua inglese, allo stesso modo con il quale, Elisabetta regina di un impero, che sotto il suo regno il sole avrebbe avuto difficoltà a tramontare, ai suoi tempi già si muoveva con grande abilità e disinvoltura nella nostra lingua.
Mi è bastato, in questa nostra epoca digitale, solo una rapida e sensata digitazione sulla tastiera del mio pc per chiedere a Google un concreto aiuto.
I suoi algoritmi mi hanno rapidamente rimandato a questo PDF del "Journal of Early Modern Studies" per saperne di più. Il libro, a dire il vero non è alla portata di tutte le tasche come si può vedere su Amazon. Poco meno di novanta euro non è somma di poco conto.
Questa semplice, forse banale e anche venale considerazione mi porta a pensare quanto possa essere costosa ed anche elitaria la cultura. Mi è facile così comprendere anche il senso di quella citazione finale della recensione di Sampietro che ho fatto e che mi ha dato l'idea di questo post.
Quei "paleografi e codicologi, filologi e archivisti ... valorosi studiosi che vanno e vengono, in cravatta a doppiopetto, al modo in cui si muovono le spie" fanno parte di un mondo che della cultura fa un'arte che concorre a creare un capitale, oltre che umano e culturale, anche di economia e finanza. Allora, figuriamoci, poi, oggi!
Nel XXI secolo, come ieri al tempo di Elisabetta I, la regina innamorata dell'italiano, aveva un fine anche squisitamente pratico. Quella "terragna concretezza" di cui parlava il mio indimenticabile maestro di lingua e di cultura inglese all'I.U.O. Fernando Ferrara.

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Published on April 16, 2018 08:39

Parlare ai libri

Parla ai libri Parlare ai libri. Una grande, nuova notizia si è diffusa in questi giorni nel mondo della pubblicazione dei libri. Proviene dagli Stati Uniti ed è firmata Google. Non ci sono parole per descrivere al meglio questa novità. Anzi, è proprio di “frasi” che si tratta, cioè di unità elementari di senso compiuto del discorso, di esperienza semantica, di frasi comprese, recepite ed alle quali l’Intelligenza Artificiale sa rispondere, sostituendosi alla intelligenza umana.
Tutto approntato da Google e dai suoi algoritmi: “Parlare ai libri” (Talk to Books) significa fare ricerca a livello di frasi, proposizioni, domande, stringhe comunicative di senso compiuto, rivolte al cervello di Google. La risposta arriverà fornendo a chi ha posto la richiesta non un semplice riscontro/spiegazione, bensì fornirà un elenco di libri nei quali potrà essere trovata la risposta. Sembra una cosa da niente, invece ci sono tutte le premesse per uno sconvolgimento totale e molto significativo nel campo non sono dell’editoria, ma anche della comunicazione e della ricerca.
Sembra si sia trovata la possibilità di far dialogare l’Intelligenza Artificiale con l’operatore dell’ecosistema, cioè ognuno di noi che usiamo la comunicazione digitale. Siamo entrati nel campo delle esperienze semantiche, cioè stiamo per capire come funzionano i meccanismi linguistici umani collegati a quelli digitali.
Cerchiamo prima di comprendere prima, in maniera necessariamente semplificata, come a Google sono riusciti a farci capire e poi rispondere dal computer. Lo facciamo quando digitiamo, o anche facciamo a voce una domanda, usando la lingua di ogni giorno, e parliamo al nostro pc o al nostro cellulare. A Google hanno inserito miliardi di frasi nella sua memoria in forma di domande e di risposte, mettendola  in condizione di poter prevedere e coordinare la domanda e la risposta nel modo migliore possibile. Una volta che l’Intelligenza Artificiale ha “imparato” quei dati, è in grado di prevedere e produrre una logica relativa tra domanda e risposta.
Da una frase aperta si potrà avere una risposta trovata in uno o più libri ai quali fornisce un accesso immediato. La tecnica usata va sotto il nome di “machine learning”. Si tratta di un programma o un sistema che costruisce o prevede un modello costruito con i dati ricevuti. C’è un apposito glossario. Che cosa significa tutto ciò? I dati registrati sono miliardi di dichiarazioni abbinate, coppie semantiche che si riconoscono. Nell’ordine, alla prima segue una seconda. Nel nostro caso, quando facciamo una domanda o scriviamo una dichiarazione, il modello “legge” la frase in migliaia e migliaia di libri in cerca della risposta migliore.
Parliamo di una frase, una domanda, una proposizione, non più una semplice parola chiave, un tag o etichetta. Una novità di non poco conto che porterà senza dubbio a sviluppi importanti ed imprevedibili. Nel caso dei libri significa che la ricerca non verrà più fatta per autore, titolo, editore, argomento. Il libro verrà fuori da una conversazione che potrà avere molte facce, nel senso che avrà diverse provenienze, posizioni culturali, mentali, sociali, convergenti, divergenti, diverse e conflittuali.
“Talk to Books” è in grado di affrontare e rispondere ad ogni sorta di domanda semplice, complessa, triviale, stupida o intelligente, astratta o concreta. Io ho provato domande come queste: Come posso smettere di pensare e addormentarmi?, Cos’è l’amore?, Perchè l’hai fatto? Essere o non essere? Cogli l’attimo. La ricerca semantica è una sfida per l’Intelligenza Artificiale di capire quella umana, della quale, guarda caso, è figlia. Ancora minorenne, per fortuna, ed incapace di intendere e di volere, incapace di capire appieno quello che diciamo. Il suo obiettivo è anche nostro, di noi uomini: comprendere a pieno il senso delle cose, della vita e del tutto.
Quando ho digitato “To be or not to be”, dalle infinite risposte ricevute nei tanti libri che il cervello di Google mi ha proposto, ho capito quanti possono essere i rimandi ed i riferimenti a quanto è stato scritto nel corso del tempo su questa famosa frase di Shakespeare e sulle nostre ragioni dell’essere umani. Penso a quelli che potranno essere gli sviluppi e le applicazioni riferite non solo ai libri, ma anche alle altre attività umane.
La domanda che mi viene da fare e che per il momento, ne sono certo, il sistema non sa ancora darmi una risposta, è quella che riguarda la “virtute e canoscenza” di dantesca memoria: “Saprà mai la IA seguire virtute e canoscenza?”. Se verrà questo giorno, allora, forse, gli uomini saranno costretti a pensare in maniera diversa e migliore di quanto abbiano saputo fare fino ad oggi: la missione in Siria di questi giorni ha visto d uecento milioni di dollari di missili sparati in poche ore. Dov'è finita la "virtute e canoscenza"?
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Published on April 16, 2018 08:22

April 8, 2018

Un incontro con il poliziotto "sarnese" a New York


Nel numero di domenica 8 aprile sul "Sole24Ore" ho letto la recensione di un libro di Stefano de Matteis, lo scrittore napoletano, noto studioso di antropologia, in particolare di quella chiamata della "postglobalizzazione". Questa lettura mi ha dato la possibilità di fare una scoperta molto interessante. 
Un incontro a New York del tutto inaspettato da parte dello scrittore con un uomo della sicurezza di origine Italiana, anzi Napoletana, anzi Sarnese. Il giornalista ha scritto una bella recensione del libro. 
Mi piace qui riportare la parte introduttiva che riassume in maniera egregia l'importanza di leggere non solo l'articolo, ma anche il libro. Paolo Bricco, il recensore, scrive:
"Stefano De Matteis, antropologo, è in viaggio verso gli Stati Uniti. Perde la coincidenza a Londra. Rimane chiuso in aeroporto un giorno intero ad aspettare il suo nuovo volo per New York. Arriva il giorno successivo, abbastanza provato dalla stanchezza, all'aeroporto J. F. Kennedy. Lo avvicina un uomo della sicurezza. Il quale, quando vede sul suo passaporto che è di Napoli, lo blocca e lo "costringe" ad ascoltare il racconto della sua vita famigliare. Anche lui è di Napoli. No, in realtà suo padre è di Napoli. Napoli, non proprio Napoli, ma Sarno. No, lui non c'è mai stato. Nè a Sarno nè a Napoli nè in Italia. Ma con YouTube e con Googlemaps è come se fosse di casa. E, sopratutto, lui che è di New York ha imparato da Napoli - dove non è mai stato, di cui non conosce la lingua, ma di cui ha visto tante cose sui social media e su internet - " i sentimenti più puri del mondo" che, secondo quanto gli ha trasmesso il padre, sono il "rispetto" e "l'orgoglio", parole che si è anche tatuato sull'avanbraccio, che naturalmente mostra a un esausto De Matteis. In questo episodio, c'è tanta parte del contenuto concettuale  metodologico dell'ultimo volume dell'antropologo napoletano, "Le false libertà"."

Dopo un incipit così stimolante non ho potuto fare a meno di "correre" da Amazon e per pochi euri ho incominciato a leggere il libro. Ancora un esempio di iperconnessione, immediata, digitale, appunto. Impensabile soltanto pochi anni fa. In tempo reale, è il caso di dire, visto e considerato che il titolo della recensione è legato proprio al tempo: " Prigionieri di un "social-tempo". 
L'idea centrale del libro sembra, infatti, proprio questa: il problema del tempo. Se il tempo della connessione è lo stesso di quello del tempo, allora si deve immediatamente assumere il controllo di quello che si tende  a fare quando decidiamo di "entrare in rete".  Sia Paolo Bricco, il recensore, che l'autore del libro, Stefano De Matteis, non sembrano affatto felici di quello che sta accadendo in questa epoca nella quale staremmo per entrare, quella della "postglobalizzazione". 
Io penso che se continuiamo a correre dietro il tempo, cercando di anticiparlo su tutto, finiremo per sbattere il muso, anzi i cervelli, contro il vuoto assoluto che si nasconde dietro una tecnologia non solo sempre più invasiva, ma anche più "intelligente". Tanto "intelligente" da confrontarsi con quella naturale ed umana. Il rischio è non soltanto grande, ma anche grave. Mi fermo qui e vado a leggere il libro. Ci sarà modo di riparlarne.
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Published on April 08, 2018 13:45

April 4, 2018

"Monodialogo" di un blog con il suo libro cartaceo





La comunicazione da sempre, da quando "in principio era il Verbo", caratterizza fortemente la nostra esistenza, il ritmo dei nostri giorni, la nostra conoscenza del mondo. Noi pensiamo di condizionarlo, ma dal mondo siamo dominati. Crediamo di azzerare tempi e distanze, ma da questi siamo definitivamente "azzerati". Un processo continuo, progressivo, ma anche regressivo, nel senso che nel momento in cui pensiamo di "progredire", procedendo in avanti, non ci accorgiamo che siamo destinati a "regredire", ritornando fatalmente là dove siamo venuti. Ci illudiamo di essere i creatori del messaggio, non ci rendiamo conto che siamo anche i destinatari, i fruitori finali.
Potremmo, anzi dovremmo, avere un ruolo più consapevole e attivo, in quanto protagonisti, attori ed interpreti di questo entusiasmante, ma sempre misterioso, spettacolo che è la vita. Ma ce ne accorgiamo soltanto quando tutto si avvicina alla fine. Intendiamoci, la fine personale di ognuno di noi, perchè poi la fine del "tutto" non ci vedrà nè attori nè spettatori. Saremo, per quel tempo, "altrove" ed "altra cosa". Questa lunga, spero non monotona, introduzione mi serve per presentare a miei cinque lettori il nuovo termine che ho scelto nel titolo di questo post: Monologo --> Dialogo --> Monodialogo.
Il monologo è quello di un blogger che parla di se stesso, a se stesso, quando ne ha voglia e tempo, quando pensa di avere qualcosa da dire, quando vuole capire quello che pensa o potrebbe pensare. Se non si mette a scrivere, non lo può sapere, e allora si mette alla tastiera e comincia a digitare. Oggi ha deciso di farlo perchè ha scritto un libro cartaceo ricavato dal suo blog e intende fare alcune osservazioni, monologando, appunto. Nel momento, però, in cui usa questa forma di comunicazione, si accorge che dialoga con il suo libro, il quale si sente in diritto di replicare. Tutto, allora, diventa un "monodialogo". Il blog che parla al libro, il libro che risponde. Dialogano ed allo stesso tempo, monologano. Non so esattamente cosa si diranno. Come quello che accade in Rete, quando scrivendo e postando non sappiamo mai se parliamo a noi stessi o agli altri, se qualcuno ci leggerà o risponderà.
Blog - Ti ho visto quando sei uscito da quella orribile macchina che hanno chiamata POD, "print on demand", "stampa a richiesta". Ti hanno messo su carta direttamente dalla nuvola. Ti hanno vivisezionato, selezionato, impaginato dallo schermo del pc. Sei finito disteso su fogli di carta patinata, hai perso la tua identità, sei diventato un oggetto senza qualità, privo di dinamicità. Ti hanno richiuso in una camicia di colori, sei diventato muto, immobile, assente. Hai lasciato tutti i tuoi amici di nuvola, tanti, migliaia che adesso sono diventati dei relitti, anzi dei cadaveri su quelle pagine bianche e patinate. 
Su questo blog, come su tutti i blog e le piattaforme del mondo, siamo in tanti, milioni su milioni, una moltitudine, senza fine, noi siamo l'inizio dell'infinito senza fine. Tu sei soltanto un libro finito. Sei di carta. E' vero, puoi anche essere "profumato", per modo di dire. Ma ingiallirai. Le tarme ti consumeranno, la polvere e il tempo ti distruggeranno. Vuoi mettere un libro digitale? Basta collegarti a una libreria online per acquistarlo in versione ebook, in pochi clic, ovunque ti trovi. Se sei iscritto a una biblioteca, un ebook puoi anche averlo gratis, in prestito per 14 giorni, senza doverlo ritirare e restituire di persona, grazie al prestito digitale online. 
E poi ci sono gli estratti: Amazon, per esempio, ti permette di leggere le prime pagine di un libro senza doverlo acquistare. Gli ebook costano meno. Basta farti un giro in libreria per scoprirlo: i libri in versione digitale costano almeno un terzo in meno della versione cartacea, quando non la metà. Sono impaginati meglio. Ammettilo… quante volte hai preso in mano un libro e l’hai posato appena ti sei accorto che il modo in cui era stampato non ti piaceva? La tipografia è un’arte, ma non tutti gli editori sono attrezzati per pubblicare libri graficamente belli e ben impaginati. Con gli ebook il problema non si pone: se un font o l’impaginazione di una pagina non ti piacciono li cambi (in un clic). 
Si leggono meglio. Caratteri gradi o piccoli, lo stabilisci tu e, se per raggiunti limiti di età, sei entrato nel tunnel senza uscita degli occhiali “per leggere”, non sai quanto ti farà comodo la possibilità di aumentare a piacimento le dimensioni dei font. Aiutano chi ha problemi con la vista perché forniscono una serie di opzioni per modificare la dimensione del testo e la spaziatura delle linee. I libri elettronici non creano problemi di spazio. Puoi avere una intera, infinita biblioteca anche se vivi in un monolocale. Un ebook reader può contenere migliaia di libri, sempre a disposizione sul comodino. Sono più pratici. 
Non hai bisogno di mettere segnalibri, non ti piangerà il cuore a sottolineare una citazione, non farai nessuno sforzo per leggere nella curvatura delle pagine. E non dovrai scervellarti per capire che vuol dire butirroso o proditorio. Basta un clic deciso sulla parola per ottenere la definizione del dizionario (anche in altre lingue). Puoi leggerli ovunque. Gli ebook sono più leggeri dei libri in brossura e quelli di ultima generazione con lo schermo touch si sfogliano con una mano sola. Puoi persino portarteli in acqua, visto che sono impermeabili. E a letto, grazie ai nuovi schermi con sensori per la luce, puoi leggere senza disturbare chi ti dorme accanto. Gli ebook ci sono sempre. 
Quando Google presentò il suo progetto Google Books, che prevedeva la digitalizzazione di milioni di libri, fioccarono le polemiche sulla morte del libro. I responsabili risposero che tra i vari pregi del libro digitale, c’era la possibilità di rivedere libri introvabili, perché ristamparli all’editore non conveniva. Non riguarda i soli autori di nicchia, ma anche i grandi della letteratura e della poesia di cui alcuni volumi sono introvabili. L’ebook dunque è l’unica, vera ancora di salvezza per i vecchi libri che non hanno un mercato esteso. 
Grazie alle app che si sincronizzano automaticamente, puoi cominciare la lettura sull’ebook reader, proseguirla sullo smartphone mentre sei in metro e terminarla sul tablet o sul pc, senza mai perdere il segno. Gli ebook inoltre non occupano spazio in valigia e non avendo lo schermo retroilluminato, la batteria non ti abbandona tanto facilmente. I reader elettronici non contengono solo libri, ma anche mappe, articoli, documenti, carte d’imbarco… Ci avevi mai pensato? 

Libro - Finalmente mi sento libero. Esco da questa nuvola che mi ha sempre oppresso, che dico? mi sono perso, disperso, tra questi milioni e milioni di "bits & bytes". Tra tanti "zero" e "uno", finisci per sentirti davvero nessuno. Adesso posso avere una vita diversa. Sono di carta e posso essere eterno. È il miglior supporto per i capolavori, una poesia, un romanzo, una biografia, una dichiarazione d'amore, il diario della propria vita. Con la carta, i libri attraversano i secoli, i millenni, come i papiri egiziani che sono giunti fino a noi. 
Tu, in pdf, e-book oppure online quanto potrai durare? Ma che razza di amici avrai? Lettori digitali? La tecnologia si sviluppa a velocità ormai quotidiana e rende ogni nuovo supporto elettronico antiquato, dalla notte al giorno. Guardiamo cosa è accaduto ai video. Una ventina di anni fa eravamo fermi ai VHS poi sono venuti i DVD ora ci sono le memorie portatili. In un pennino metti una intera videoteca. Chi aveva un film in VHS ha dovuto convertire tutto in DVD e poi in file digitale, comprandosi di volta in volta il lettore adatto. 
Abbiamo tanti pezzi di vita in VHS che per varie ragioni non sono stati convertiti nei successivi formati. Pezzi di vita che non possiamo rivedere perché nel frattempo il lettore VHS si è rotto. Ci sono anche DVD che con il caldo, con i graffi, non si leggono più cancellando così matrimoni, battesimi, gite al mare e altri momenti di esistenza che credevamo conservata in supporti mnemonici esterni sicuri. Sorge, allora, spontanea più di una domanda: come conservare i propri libri digitali? Nel pc? Nelle nuvole del web? Nei futuri chip cerebrali? In poco spazio virtuale ci stanno migliaia di volumi. 
L'ingombro neanche lo vedi. La libreria fisica, di legno o incassata alla parete, non esisterà più. Non ci saranno più libri sui letti, sulla poltrona, sopra la carta igienica del bagno. Nessun supporto elettronico potrà mai sostituire il formato tradizionale di lettura. Lo vuole l'occhio. Lo vuole il cuore. Il libro di carta, con le pagine sfogliabili e la copertina rigida, rimane il supporto più antico e più moderno. Ed anche il più stabile. Ha retto benissimo la prova del tempo. Con il libro di carta hai la sicurezza che il formato rimarrà lo stesso per i prossimi millenni. Non ha bisogno di essere convertito o riconvertito. 
La carta poi non si esaurisce per mancanza di batterie. Non ha bisogno di essere collegata a un computer o alla presa della corrente elettrica. Alle pagine puoi fare le orecchiette. Puoi ritornare indietro e trovare a intuito il passo che ti interessa. Il libro di carta lo puoi sottolineare con la penna, la matita o con gli evidenziatori a colori. Puoi pesare a occhio il contenuto. Hai un inizio e una conclusione. Capisci a occhio quando stai per finire di leggere dal numero delle pagine rimanenti, così come i granelli di una clessidra. Lo custodisci in uno scaffale e sai come ritrovarlo in futuro. Lo puoi autografare, metterci la data, dedicarlo alla persona amata con la tua calligrafia. Apprezzi l'arte della copertina e il calore di una lettura insostituibile. 
Lo puoi mettere dentro una cornice e sotto vetro e appenderlo alla parete della stanza degli oggetti preziosi. Lo puoi lasciare in eredità ai tuoi figli e ai tuoi nipoti. E i tuoi figli e i tuoi nipoti lasciarlo ai posteri. Dentro ci puoi nascondere banconote o foglie profumate.  Il libro di carta mi tiene compagnia, ne sento la presenza, si pavoneggia, cerca di farsi notare, mi sento chiamare e quando mi chiama lo prendo e me lo coccolo. Il libro digitale non ti dice niente, non ti parla, non ti chiama, non si fa toccare. Non ne vedi la consistenza, è freddo, lo perdi nella memoria elettronica tra milioni di file.
Non ci puoi fare la cornice e non lo puoi appendere. L'ebook non lo puoi lasciare in eredità. I tuoi figli chissà con quale supporto elettronico leggeranno e chissà che tipo di altro formato metteranno a punto tra un anno, un mese, un giorno. Domani l'epub sarà già superato e saremo costretti a resettare la cartella degli ebook nel computer. Il libro digitale è come la lametta per la barba: usa e getta. Il libro di carta è come un amore vero: non ti lascia mai. Se il fuoco lo incenerisce ne conservi i cari resti dentro un'urna cineraria. 


Libri di carta o digitali?


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Published on April 04, 2018 09:10

March 31, 2018

L'insostenibile domanda: Cartaceo o Digitale?

Quello che segue è il testo della presentazione del mio libro al convegno tenuto a Sarno, nella Sala Consiliare, il giorno 31 marzo 2018.
Desidero ringraziare l’Amm. Comunale nella persona del Sindaco dott. Giuseppe Canfora, del vice sindaco avv. Gaetano Ferrentino, dell’Assessore alla Cultura prof. Vincenzo Salerno per aver promosso questo convegno in occasione della pubblicazione del mio libro: "Il figlio del tipografo". 
Cartaceo vs Digitale. Due realtà del mondo della comunicazione di oggi a confronto. Un incontro per alcuni, per altri uno scontro. Questo mio libro, oggi cartaceo, nasce digitale oltre venti anni fa, con scritture in Rete, nella “nuvola digitale” di Google. Sono post, recensioni di libri, articoli, che continuano a vivere sul mio blog. Chi vuole può leggerlo in versione pdf qui al link in maniera gratuita e condivisa.
Quando lasciai la scuola, circa venti anni fa, ebbi modo di riciclare tutto quello che credevo di sapere. Mi iscrissi ad un corso dell’Università di Londra, “Institute of Education”, sulla formazione digitale. Ma tutto era iniziato molto tempo prima. Il mio DNA aveva già previsto ogni cosa. A poca distanza da questo posto, in questa piazza dove è situato il Comune, nella tipografia che portava il nome di “Arti Grafiche M. Gallo & Figli”, ahimè!, oltre settanta anni fa, imparai a leggere e scrivere con i caratteri mobili di Gutenberg.
Misuravo le lettere con il tipometro e le allineavo sul compositore. Mi sporcavo le mani di inchiostro. Avevo sei-sette anni. Andavo a scuola dalle suore di Ivrea in Piazza Croce. Questo libro non può essere compreso se non si conosce il suo contesto, l’ambiente in cui nasce, le sue radici, le motivazioni. Vuole essere soprattutto una testimonianza che duri nel tempo. Lasciare una traccia. Un libro che si legge, si digita, si sfoglia, si allunga e si continua a leggere in rete.
I relatori avranno modo di definire al meglio ruoli e funzioni di queste due realtà, quella cartacea e quella digitale. A mio parere,  il cartaceo e il digitale sono due modi per comunicare, destinati a procedere insieme, in una sorta di “convergenza parallela”. La mia piattaforma di riferimento è quella di Google, il “grande fratello” che ci portiamo in tasca, dentro il nostro cellulare. Sembra che ci guidi e ci accompagni. In effetti, ci controlla. E noi lo lasciamo fare.
Nella dissertazione finale che scrissi alla fine di quel corso all’Università di Londra, mi inventai un acronimo: C.A.C. Mi pare una buona e semplice sintesi per descrivere quello che è accaduto nella comunicazione moderna. Se hai una Connessione, puoi collegarti ed Accedere ovunque ti pare, ma poi devi essere pronto a saper Controllare se non vuoi essere controllato. La nostra conoscenza, da quel monolite che per secoli è sempre stata, è diventata dinamica. Ma anche liquida, mutevole, volatile. I rischi ed i vantaggi arrivano sempre in coppia quando ci sono delle innovazioni.
Le “piattaforme digitali” si sono sostituite alle biblioteche, ai partiti, alle istituzioni. E’ scoppiata la quarta rivoluzione: quella che lo studioso italiano Luciano Floridi, naturalizzato inglese, docente di filosofia ed etica dell’informazione all’ Università di Oxford, in un suo libro, ha chiamato “La quarta rivoluzione”. Questa rivoluzione succede ad altre tre che l’hanno preceduta ed anche causata: Copernicana, Darwiniana, Freudiana.
Nato e cresciuto nella tipografia di famiglia, sono stato toccato dalla seconda rivoluzione, quella di Darwin, l’evoluzione della specie. Da cartaceo, sono diventato digitale. Anche se ormai sono un “dinosauro”. Le novanta “occasioni di scrittura” di cui è fatto questo libro sono tutte nate digitali. Sono nate in Rete. Oggi vedono la luce in cartaceo, ma continuano a vivere sulla piattaforma di Google. Sono entrato così nella “infosfera”.
Le “piattaforme” sono tante, non c’è soltanto quella di Google. Sono infrastrutture fatte di “hardware” e “software”, “macchine” e “programmi” destinati a cambiare non solo il nostro modo di vivere, ma anche quello di pensare. Grazie ad una di queste piattaforme, nelle recenti elezioni, è successo qualcosa di straordinario.
Nemmeno George Orwell, lo scrittore che inventò “il “grande fratello”, l’avrebbe saputo prevedere. Due nostre concittadine sono state elette al Parlamento della Repubblica: la sen. Luisa Angrisani, e l’on. Virginia Villani del “Movimento Cinque Stelle”. Ad entrambe va un doveroso saluto e l’augurio di buon lavoro a favore della nostra Città.
Gino Buonaiuto, editore del mio libro, consorte della Senatrice Luisa Angrisani, è il figlio di “Peppino” Buonaiuto, uno dei tanti allievi di mio Padre, nella “Arti Grafiche M. Gallo & figli”. Quando si dice “l’evoluzione della specie”, coincidenze significative nella stampa di un libro che nasce in Rete, diventa cartaceo e si continua a leggere su una piattaforma digitale. Non la stessa, si intende, con la quale le nostre concittadine si sono fatte conoscere.
Una piattaforma simile che porta un nome illustre, quello di un grande filosofo: “Rousseau”. Entrambe segnano nuovi destini umani e diversi orizzonti, sia politici che culturali nel campo della comunicazione. Cartaceo vs Digitale. Incontro o scontro? Viviamo tempi straordinari ed imprevedibili. Grandi cambiamenti. Dall’oralità alla scrittura, dal rotolo al volume, dalla stampa a caratteri mobili alla tastiera del pc.
Ogni rivoluzione della comunicazione ha portato reazioni diverse. L’evoluzione forse è poco democratica, non fa sondaggi d’opinione: accade. Se qualcosa ha i numeri per funzionare, funzionerà. Cartaceo e Digitale sono destinati a procedere in parallelo anche se su "piattafome" diverse ... Sceglietevi la vostra!
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Published on March 31, 2018 08:54

March 23, 2018

L'insostenibile leggerezza di Facebook

Di tutte le cose che si sono dette, scritte e lette in questi ultimi giorni a proposito di quel "mostro" sociale che è Facebook, mi è piaciuta la copertina del settimanale inglese "The Economist" il quale, in estrema sintesi, ha saputo descrivere nella sua immagine, quello che è accaduto. 
Si tratta di una "caduta" sotto diversi punti di vista. In questo caso della sua lettera iniziale, la "effe", il simbolo che lo ha caratterizzato per oltre un decennio. Un segno che gli ha dato un successo planetario nel campo della comunicazione. Una cosa mai vista prima nella storia dell'umanità. 
Quella "effe"che si stacca e cade in basso segnala oltre al contenuto, anche un gioco linguistico molto sottile. "Epic" sta per "epocale" i cui sinonimi sono "memorabile, storico, grave", "ail" in lingua inglese significa "malattia, disagio, sofferenza". Ma non è soltanto questo che hanno voluto segnalare gli autori del disegno a proposito di questo evento che ha gettato tempesta e scompiglio nel mare della Rete. 
Un mare, già di per sé sempre agitato. Quella "effe" che si stacca, e cade in basso, in quelle stesse acque di cui quella stessa Rete è fatta, staccandosi da "ail", che abbiamo visto cosa significa, mette in evidenza il grave "errore" fatto dal suo fondatore nella gestione dei milioni di dati degli iscritti al suo social che lo ha fatto ultra milionario.  "Fail" in lingua inglese sta per "errore, sbaglio". Una davvero "insostenibile leggerezza", oppure qualcosa di previsto, o meglio ancora, prevedibile? 
Quando, qualche decennio fa, a completamento di un corso che frequentai all'Università di Londra, "Institute of Education", sulla formazione digitale, nella dissertazione finale ebbi modo di sintetizzare la realtà nella quale stavamo per entrare nell'uso dei nuovi media, avevo intuito quello che sarebbe accaduto. Con l'avvento della comunicazione digitale, stavamo per entrare in una realtà virtuale nella quale le nuove tecnologie ci permettevano di Connetterci quando, dove e come volevamo. Ci avrebbero permesso di Accedere ovunque per qualsiasi cosa e tutto sarebbe andato per il meglio, ma soltanto se avessimo saputo Controllare non solo gli stessi media, ma anche noi stessi. 
Il rischio era quello di finire controllati, con tutte le conseguenze possibili. E' esattamente quello che è accaduto con Facebook e il suo inventore: Mark Zuckerberg, geniale studente inventore di "facce sociali" universitarie, ha commesso una imperdonabile "leggerezza" che non so se gli costerà davvero cara. Una leggerezza costata 50 miliardi di dollari? Ma a chi vogliono far credere cose del genere? Facebook, tutto sommato, non è poi quell'inferno dal quale sembra che tutti ora vogliano scappare. 
Nel mare infinito della Rete c'è di tutto ed anche di peggio. Altro che furto di dati. Se fosse solo questo, basterebbe un qualunque codice civile e penale a gestire le cose della nostra vita. Il fatto è che, a ben conoscere le cose di questa nostra vita, Facebook non è altro che la vita stessa in tutte le sue manifestazioni, nella realtà del suo divenire. Credo che non potranno mai esserci leggi, garanti, governi in grado di operare quel semplice, genuino controllo che ogni uomo dovrebbe saper avere su se stesso e quindi sulla realtà nella quale si trova a vivere.
"Prima la gente leggeva libri, giornali, oppure niente: pensava. Adesso non pensa: commenta cose che non capisce, sentenzia su cose che non sa, sermoneggia su argomenti che non ha mai sentito, mette "like" come diceva con un latinismo il professore Scoglio "ad minchiam". Tutti con gli occhi dentro la scatoletta persino quando parlano con la fidanzata. Facebook non è un attentato alla democrazia ma una emergenza umanitaria e sanitaria. Ti distrugge fisiologicamente il cervello: le scansioni cerebrali di chi fa uso abituale di social, certifica un esperimento, rivelano danni fisiologici nelle stesse aree colpite nel cervello di chi si droga. Senti vibrare il cellulare anche quando è spento ... Facebook è un micidiale moltiplicatore di ignoranza, l'untore di tutte le bufale del mondo, un clonatore seriale di Napalm56. Dicono che sia il fuggi fuggi dal social. Non credeteci. Facebook è l'unico posto al mondo che fa sentire genio un somaro, un intellettuale chi ha letto al massimo le istruzioni della lavatrice, un "influencer" chi scrive scuola con la "q". Solo qui trovi ciabattini esperti in geopolitica internazionale, maniscalchi che insegnano medicina genomica, arrotini che discettano di macro economia. Gente che ha la soluzione giusta a tutti i problemi del mondo tranne che ai propri. Che ai "like" appendono l'identità ..."
Così ha scritto lo scrittore Massimo M. Veronese in suo commento su quanto accaduto a Facebook. Tutto vero. Però, che Mark Zuckerberg non sapesse quello che faceva, cioè che si stava vendendo le identità dei suoi iscritti, non me la bevo. Come non credo che Facebook sia davvero quella "merda" che avrebbe detto essere il suo fondatore ex vice presidente Chamath Palihapitiya. 
Ho letto che questo signore lo sconsiglia ai suoi figli perchè è solo questo escremento. A dire il vero, io questi geni high-tech non li capisco. Prima inventano, poi si pentono, ma soltanto dopo avere fatto cassa, anzi gran cassa nella propria borsa personale. Che poi il titolo di Facebook sia crollato in questi giorni per una cifra di 50 milioni di dollari, questa è un'altra di quelle "leggerezze" davvero "insostenibili" oltre che incredibili. Eppure sono cose che aiutano a vivere. Come disse quello? "Noi guardiamo alle stelle, stiamo attenti a dove mettiamo i piedi". Ci Connettiamo, Accediamo e Controlliamo ...
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Published on March 23, 2018 10:31

MEDIUM

Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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