Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 119

May 4, 2018

5 Maggio 1998 - 5 maggio 2018

Dizionario di una catastrofe
5 Maggio 1998 - 5 maggio 2018. Venti anni oggi. Quello fu il giorno che fu. Un “Act of God”? - “Una catastrofe naturale?” Io c’ero e per me Dio fu clemente. Non lo fu per tanti altri. 
May 5, 1998 -  - 5 maggio 2018.  Twenty years today. That Was The Day That Was. They said it was “an Act of God”. I was there and  perhaps God saved my life. Not for many others.
Report on the landslides of 5 May 1998, Campania, southern Italy. Following intense rainfall on 4/5 May 1998, over 100 mass movements occurred in the Sarno-Quindici area, some 30 km east of Naples, southern Italy. The movements took place in an area where recent pyroclastic materials mantle a Mesozoic limestone bedrock massif which had already suffered karstification over a long period. The debris from these movements extended 3–4 km into the surrounding lowlands and reached the towns of Sarno, Quindici, Bracigliano and Siano, causing severe destruction. One hundred and sixty-one people lost their lives. This preliminary paper discusses a number of scenarios to highlight the possible causes and mechanisms of the movements. Of particular importance are preceding rainfall patterns, the possible perched water conditions, the physical properties of the recent metastable volcanoclastics and underlying palaeosols and the influence of man-made changes in the morphology. Further studies are being undertaken to elucidate the relative importance of the different contributory factors.  --------- Dopo intense piogge del 4/5 maggio 1998, si sono verificati oltre 100 movimenti di massa nell'area di Sarno-Quindici, circa 30 km a est di Napoli, nel sud Italia. I movimenti si sono svolti in un'area di materiali piroclastici recenti nel solido substrato calcareo del Mesozoico, che aveva già sofferto per lungo tempo del carsismo. I detriti di questi movimenti si estendevano per 3-4 km nella pianura circostante e raggiungevano le città di Sarno, Quindici, Bracigliano e Siano, causando gravi distruzioni. Centosessantuno persone hanno perso la vita. Questo documento preliminare discute una serie di scenari per evidenziare le possibili cause e i meccanismi dei movimenti. Di particolare importanza sono le possibili precipitazioni, le possibili condizioni di acqua arroccata, le proprietà fisiche dei recenti vulcanoclasti metastabili e dei paleosidi sottostanti e l'influenza dei cambiamenti artificiali nella morfologia. Sono in corso ulteriori studi per chiarire l'importanza relativa dei diversi fattori contributivi.
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Published on May 04, 2018 03:01

May 3, 2018

Review: Ventuno giorni per rinascere: Il percorso che ringiovanisce corpo e mente

Ventuno giorni per rinascere: Il percorso che ringiovanisce corpo e mente Ventuno giorni per rinascere: Il percorso che ringiovanisce corpo e mente by Franco Berrino
My rating: 2 of 5 stars

Libri di questo tipo ce ne sono molti in giro al giorno d'oggi. Io l'ho letto in versione kindle e confesso di averlo fatto in maniera, come dire?, davvero elettronica, cioè rapidamente, facendo scorrere, come non ho mai fatto, le pagine sullo schermo. Avevo cominciato a leggere con tutte le buone intenzioni possibili di questo mondo. Mi aveva attirato la spiegazione di quel numero di 21 giorni. Quando ho letto che è il risultato (ovvio) del 3 X 7 ho accelerato la lettura e sono arrivato presto alla fine. Intendiamoci, non è mia intenzione demolire un libro del genere: una ricerca sottoscritta e provata da illustri scienziati, seminari ad alto grado, una bibliografia sterminata, scienza, anzi scienze di tutti i tipi ad altissimo livello. Non sarò certo io, un vero e proprio "microbo" della conoscenza scientifica a stroncare un libro del genere. Il fatto è che io, che sono un semplice "dinosauro", l'ho comprato sperando di diventare un "brontosauro excelsus". Se mi ci applico, forse, potrei anche riuscire in 21 giorni, seguendo tutta quella selva di indicazioni, proposte, suggerimenti, ricette, elenchi, consigli, a passare di grado esistenziale ed allungare la mia uscita dal mondo. Forse, dico. Ma credo sarebbe più probabile che morirei asfissiato e depresso suicida se tentassi di farlo. Per questa ragione vi consiglio di leggere questo libro soltanto per difendervi nel modo migliore. Io non mi sento di dargli più di due stelle.
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Published on May 03, 2018 08:41

La verità di questo blogger e il caso di Alfio Evans

 
Il quotidiano "La Verità", il giorno di giovedì 3 maggio 2018, nella pagina dei lettori, ha pubblicato una mia lettera sul "caso Alfie" con un titolo che non mi aspettavo. Su questo episodio per me molto importante, ho deciso di scrivere un post a futura memoria. 
Il giornale aveva pubblicato due pagine intere il giorno dopo che il "caso" era stato chiuso con la morte del bambino, vero e proprio "trapasso di stato" dopo la decisione del giudice. Ecco la necessaria cronologia dei fatti, passata alla storia come "Il caso di Alfie Evans".
Un infante inglese di sette mesi, nel mese di dicembre del 2016, viene ricoverato all'Alder Hey Children's Hospital di Liverpool per una patologia neurologica degenerativa sconosciuta.
Nel mese di dicembre 2017 i medici decidono di sospendere la ventilazione artificiale che tiene in vita il bambino. I genitori Kate James a Thomas Evans si oppongono e si appellano ai giudici.
Il 20 febbraio 2018 il giudice Anthony Hayden dà ragione ai medici e ordina di sospendere la ventilazione. La famiglia inizia una battaglia giudiziaria ma tutti i ricorsi vengono rigettati.
Il 23 aprile 2018 alle 22.17 vengono staccate le macchine per la respirazione. Alfie muore cinque giorni dopo.
Il giornale aveva preso piena e chiara posizione, bastano i titoli degli articoli per sintetizzare. Ecco alcuni: "Hanno ucciso Alfie. Ma i vescovi inglesi continuano a difendere i medici." "L'ostinazione dei giudici ha fermato le cure". "L'ultimo saluto di papà Thomas: Il gladiatore ha posato lo scudo". "Gran Bretagna colpevole di reati contro l'umanità. Eliminare un disabile ricorda l'orrore nazista. L'UE, sempre pronta a parlare di diritti, in questo caso tace."
Quest'ultimo articolo portava la firma non di un giornalista qualunque bensì di uno studioso e scienziato del quale per sapere tutto basta andare qui al link. Non uno qualsiasi, quindi, il quale aveva liberamente espresso la sua opinione ma al quale io, nella mia pochezza, non potevo non replicare, come ho in effetti fatto con questa lettera. 
Non potevo, infatti, condividere quelle forti ma gratuite affermazioni sulla politica e sullo stato inglese, desideravo contrapporre soltanto una mia giovanile esperienza personale nella terra che lo stesso Gandolfini aveva, con davvero insostenibile leggerezza, voluto paragonare a quella "nazista". 
Che la Gran Bretagna fosse addirittura diventato un paese come lui lo dipingeva, meglio perderlo che averlo nella UE, era davvero troppo anche per me. Ma in senso opposto. Con la mia esperienza degli anni in cui fui infermiere, volevo dimostrare appunto questo. 
Il titolo che la redazione ha creduto opportuno dare al mio scritto mi ha dato la possibilità di intravedere un altro punto di vista. Quello, cioè, che ci può essere del "marcio in Danimarca", in questo caso, in Gran Bretagna, come era il caso ai tempi di Amleto con Shakespeare. 
Può essere vero, anche questo. Visto e considerato che oggi, sullo stesso giornale leggo in un articolo, che in questi ultimi tempi, è nato in Inghilterra una sorta di attivismo "liberal" con il quale gli inglesi hanno cominciato la moda di fare le pulci ai propri eroi della storia passata, indicandoli come "tutti invasori e assassini". Il marcio, allora, c'era e continua ancora oggi, come avrebbe dimostrato il comportamento del giudice, il quale, nel pensiero di Gandolfini, rimaneva un comportamento "nazista". 
Una critica retorica usata spesso quando si legge la storia in chiave ideologica, quella che porta a pensare che l'Inghilterra non si è mai pentita dei crimini coloniali". Una idea questa che sarebbe poi applicabile a tutti quei processi storici nei quali tutti gli Stati di questo pianeta, nessuno escluso, sono stati coinvolti da sempre. 
Una conferma questa che la verità assoluta non esiste. Esistono tante facce della Verità. Il sottotitolo di questo quotidiano, che apprezzo e leggo sin dalle origini, lo dimostra con l'interrogativo sotto la testata: "Quid est Veritas?"

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Published on May 03, 2018 05:37

April 30, 2018

L'insostenibile leggerezza dei vizi capitali

Non so quante volte il titolo di questo famoso libro “L’insostenibile leggerezza dell’essere” sia stato usato per introdurre l’idea di qualcosa che possa avere nello stesso tempo una posizione e una contrapposizione, una sorta di bilanciamento sbilanciato, simile a quello che William Shakespeare così brillantemente espresse quando volle presentarci i dubbi che tormentavano Amleto. 
Quando gli mise in bocca quel fatidico “essere o non essere, questo è il problema”, non fece altro che fotografare l’umana incapacità di trovare la maniera giusta di conciliare quello che poi tutti sappiamo essere inconciliabile. Non può esistere, infatti, una leggerezza che sia insostenibile, allo stesso modo con il quale, i famosi, classici, eterni ed inevitabili sette peccati capitali non possono essere insostenibili, in quanto inevitabili. Li conosciamo tutti, li sopportiamo, li disprezziamo, eppure li pratichiamo ogni giorno, da sempre. 
Per poche decine di euro, nell’arco di sette settimane, ho capito di essere praticante, per così dire, anche se, spero, in una seppur minima misura, di “qualcosa” di ognuno di questi antichi vizi-peccati. La conferma mi è venuta dalla lettura dei sette volumi pubblicati in origine dalla intelligente casa editrice bolognese “Il Mulino”, ri-editati ora da “Il Giornale” con apposite uscite settimanali. Ho scoperto, così, che sin da quando ho avuto l’uso della ragione, questi peccati-vizi li ho conosciuti e anche praticati quando ne ho avuto l’opportunità. Ogni volta che faccio visita a quella splendida villa a Ravello che si chiama Villa Cimbrone, non manco mai di dare una occhiata alla parete dove sono state attaccate da sempre quelle strane, misteriose teste che rappresentano queste sette calamità, caratteristiche uniche della razza umana.
Bisogna subito dire che così come sono presentati oggi, in questa nuova edizione cartacea, hanno perso molto di quella quanto mai canonica e diabolica, è il caso di dire, atmosfera che questi mali hanno avuto nell’immaginario collettivo di ognuno di noi sin dai tempi del catechismo. E' vero che i tempi nel XXI secolo cambiano ormai alla velocità della luce, specialmente per chi, come questo blogger, viene da lontano. Un’infinita, straordinaria, internazionale iconografia religiosa e laica ha, in vari modi, cercato di illustrare queste mitiche figure in personaggi della realtà e della fantasia, del corpo e della mente, in tutti i campi delle arti e del pensiero sociale, culturale ed individuale. Sul carro di Satana e dei suoi accoliti sono passate fatti idee ed occasioni, oltre che persone, di cui c’è sempre modo di vergognarsi. Nella liquidità in cui navighiamo sembra sciogliersi ogni cosa, non ci accorgiamo più nemmeno in quali acque stiamo a viaggiare. Chi sente più quei sensi di colpa, vergogna, illusione e tentazioni che si avvertivano un tempo? 
Abbiamo tutto a portata di mano. La mela, lo storico frutto proibito, ci viene offerta a tutte le ore in maniera diversa dal passato. Prima eravamo noi a cercarlo, oggi è lui che ci rincorre in tutte le sue forme. Sembra quasi che di questi vizi-peccati non se ne possa addirittura fare a meno. La moderna ricerca ha messo in luce cose abbastanza sorprendenti ed inattese per secoli. Questi vizi sono diventati addirittura necessari, importanti, essenziali per la nostra crescita morale, culturale, sociale ed umana. 
Sembra che stimolino l’intelligenza e la creatività, incitino all’altruismo, producano una sensazione di benessere, facilitino la crescita culturale. Insomma, una vera propria “gioia” liberatoria. Questo è il titolo di un libro, che non fa parte ovviamente di questa serie, e che per puro caso, mi capitato di leggere su GoodReads. Lo possiamo liberamente affiancare alla lettura di questi volumi per meglio mettere a fuoco quello che intendo dire.
Succede questo: che i Sette Vizi Capitali non sono più quella roba che si diceva poc'anzi. Al contrario. Presi con accortezza fanno addirittura bene. Stimolerebbero l'intelligenza e la creatività, stemperebbero le pulsioni negative, inciterebbero all'altruismo e produrrebbero una sensazione di "wellness" generale. Tutto al condizionale e sotto sperimentazione. 
Chi lo dice? Uno studioso psicologo dell'Università di Melbourne, Simon Laham, che ha scritto il libro qui accanto intitolandolo, in maniera invitante e provocatoria: "La gioia del vizio". La copertina la dice tutta, con quelle due classiche figure di Adamo ed Eva, che sono all'origine di ogni cosa, e con quella sottile, lunga ed avvolgente "linea rossa" che li divide, mentre li unisce.
Verrebbe da pensare, sia ringraziato il dottor Laham, che giustamente si attende di cavare dal suo libro un legittimo profitto sulla ricognizione del dolore per avere una coscienza piena di peccati-vizi sofferti con grande piacere nel corso dei secoli da moltitudini di umani di tutte le razze, colore, lingue e religioni. Uno poteva magari pensare di essere un uomo senza qualità, un peccatore, uno sfigato. Ora, leggendo questo libro, scopre, come una parte nascosta del suo Io, quella lunga "linea rossa" gli suggeriva, che, invece, faceva bene a comportarsi in quel modo peccaminoso e vizioso.
Chi non ha mai peccato di Superbia, Avarizia, Lussuria, Invidia, Gola, Ira, Accidia? Impropriamente chiamati peccati, in realtà sono la causa, la conseguenza, la miccia della bomba esistenziale. I vizi capitali, secondo una vasta mole di ricerche presentata sul libro di Laham sono, invece, un toccasana. «Se si considerano questi cosiddetti peccati scientificamente, cosa che io faccio nel mio libro», scrive lo studioso australiano, «si scopre che quei sette vizi possono addirittura farci bene».
Vediamo, allora. La Lussuria non cela allo sguardo «abissi sconvolgenti», come credono gli ingenui bacchettoni clericali. Al contrario ci rende più intelligenti e creativi. E difatti alcuni psicologi evoluzionisti, spiega il dottor Laham, «sostengono che la Lussuria ha giocato un ruolo nello sviluppo di molti degli aspetti più interessanti della natura umana: l'arte, la musica, il linguaggio...»
Anche la Gola, «il più ignobile dei peccati», non è mica male. Basta darsi una regolata, per non cadere nell'obesità. Ma poi: si è mai visto che una fettina di Sacher una volta ogni tanto possa far male? Senza contare certi studi secondo cui mangiare dolci ben dispone nei confronti del prossimo. E l'Avarizia, il marchio d'infamia di Scrooge, il cattivo per eccellenza di Charles Dickens? Macchè: l'Avidità può renderti più felice; l'idea del denaro induce una libidine da autosufficienza, invoglia a cimentarsi. 
Se i denari sono spesi saggiamente - viaggiando, leggendo e ascoltando musica - bè, vista così, come si fa a dire che l'Avarizia è una cosa di cui vergognarsi? Vale lo stesso per l'Accidia. Davvero vuol dire condannarsi «a un polveroso, gialliccio e stantio destino di romitaggio», come sostengono certi passatisti? Vero il contrario. Essere indolenti fa bene, dormire migliora la memoria e la creatività. Cazzeggiare stimola intuito e perspicacia, mentre vagare senza meta dispone all'altruismo.
Che manca? Manca l'Invidia, gran fonte di motivazione, visto che confrontarci con gli altri ci aiuta a crescere e a diventare migliori. Consigli: evitare il confronto con persone sbagliate o l'Invidia per cose non alla nostra portata. Anche l'orgoglio non è male, se non scade in arroganza e narcisismo. Ma questo non fa parte dei sette.
Qual è la conclusione da tirare a questo punto? I sette libri della collana edita da "Il Mulino" mi sono costati 69 euri e settanta centesimi. Il libro dello studioso australiano soltanto 6,99 in formato Kindle. Per il formato cartaceo ho impiegato sette settimane a leggerli. La versione digitale l'ho scaricata in un lampo. Il vizio digitale batte quello cartaceo 9-1. I vizi restano, sia in formato analogico che in quello digitale. Buona lettura, comunque ...
Villa Cimbrone


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Published on April 30, 2018 06:54

April 26, 2018

I pensierini su Facebook non valgono come Leopardi




Nei giorni scorsi il Poeta Giuseppe Conte ha scritto un bellissimo articolo sulla scomparsa, sulla “morte” della poesia nella scuola.  Merita di essere letto e riletto, oltre che diffuso e conservato a futura memoria. Lo rilancio qui sul mio blog dandogli un titolo diverso da quello che nella redazione de Il Giornale hanno ritenuto di dargli. 
In fondo, il Poeta Giuseppe Conte il messaggio lo lancia non soltanto alla scuola, ma soprattutto ai “social”, ai quali la stessa scuola sta cedendo, giorno dopo giorno, preferendo il vuoto e il nulla alla stessa poesia.  Confesso, nella mia grande ignoranza, di avere letto poco di questo poeta. Per questa ragione, mi sono andato a documentare con la sua ultima raccolta di poesie. Mi terranno compagnia per tutta l’estate.


L'arte non è democratica, ma nessuno è più capace di riconoscerne le gerarchie. Uno non vale uno, anche se la critica ormai delegittimata dalla propria ignoranza vorrebbe farci credere che è così. Ma i pensierini su Facebook non valgono come Leopardi. Un giorno forse diventerà chiaro che disastro ha prodotto nel tessuto sociale, culturale, umano dell'Italia la fine dell'insegnamento della poesia nelle scuole, un tempo fondamento primario del sapere e della continuità di una tradizione.
La colonna vertebrale della lingua italiana è la poesia. Da Dante sino a Ungaretti e Montale. La formazione di un ragazzo avveniva confrontandosi (magari svogliatamente, magari ridacchiando, come si è sempre usato sui banchi scolastici) con la propria lingua e con coloro che l'hanno portata all'eccellenza espressiva ed etica. Poi è vero che certe letture capitali esulavano dalla scuola: così fu per me in terza Liceo, quando scopersi I fiori del male di Baudelaire e La nausea di Sartre. Ma intanto, nelle belle, insostituibili antologie delle Medie e del Ginnasio mi ero imbattuto in testi che, a ricordarli oggi, mi sembrano di una formidabile attualità morale: penso a La caduta di Giuseppe Parini (il cui oblio disonora la cultura milanese e italiana in genere), dove il vecchio famoso e povero poeta, caduto per una via della sua città trafficata da carrozze, reagisce con un soprassalto di rabbiosa dignità al suo soccorritore che lo esorta a vendersi al potere, a lusingare da ruffiano i potenti per poter avere una carrozza anche lui. E penso a La piccozza, in cui Giovanni Pascoli, socialista e insieme piccolo borghese, esprime la sua difficile, lacrimosa, dolorosa riuscita di self-made man. 
La poesia allora in Italia era il fondamento su cui costruire le basi di un uomo completo, qualunque poi sarebbe stato il suo destino, ragioniere o ingegnere, commerciante o professore. I programmi scolastici l'hanno relegata nell'insignificanza. Ancora di recente un ministro della cultura incitava ad antologizzare i cantautori, mostrando uno spaventoso e colpevole appiattimento sul presente, e una ministra dell'istruzione andava nei Licei a propagandare la lettura accompagnata da un dj (sic). Un paese che non crede più nella sua lingua (vedi gli imbecilli scimmiottamenti dall'inglese, jobs act, rai educational, tipici di chi l'inglese non lo parla) è un paese in declino e in estinzione. Mi raccontava il mio amico poeta cinese Cai Tianxin che alla cerimonia finale di un grande premio di poesia a Pechino presenziava Xi Jinping. Non volevo credere alle mie orecchie. Ne avrà da fare il presidente Xi Jinping, a capo di un paese immenso e leader nel mondo! Eppure era lì: perché un grande paese in ascesa sa quanto la propria lingua e la propria poesia siano elementi inscindibili dal proprio cammino, politico, economico, sociale, verso nuovi traguardi. 
Oggi la poesia, mediamente, è diventata in Italia pura esternazione emozionale: scollata da ogni valore letterario, intellettuale e civile. Uno si sveglia al mattino e scarabocchia i suoi privatissimi pensierini su un foglio o ancora meglio sulla sua pagina facebook: per carità, non c'è niente di male e non fa male alla salute. Ma dire poi che quella è poesia fa male all'intelligenza e alla vita culturale di un paese. Il fatto è che, con la caduta del sapere umanistico, cade anche la coscienza dell'attrezzatura che occorre per capire e valutare un testo letterario. Il romanzo ormai è sostanzialmente affidato alla valutazione del mercato e di classifiche che sono una forma di pubblicità occulta. Ma la poesia, che non ha mercato, che realizza l'utopia di un mondo senza denaro, come valutarla prescindendo da puri principi estetici, dalla conoscenza della tradizione, dalla sensibilità metrica, dalla capacità di individuazione di uno stile? Per fare tutto questo, occorrono strumenti. Quelli che la critica possedeva e faceva valere, selezionando l'eccellente dal mediocre, il riuscito dal non riuscito. Stabilendo una scala di valori. Un canone, perché no? Lasciando naturalmente aperta la porta a canoni nuovi. Ma la rilevanza centrale, che so, di Ungaretti e Montale è indiscutibile, se si parla di Novecento. Poi può arrivare uno a cui piace più Vigolo o Sinisgalli, ma quello è un problema di, sia pur legittimi, gusti personali. Quello che accade oggi è che nessuno, dico nessuno crede più in radicali, motivate, oggettive scelte di valore. Ogni critico italiano ha i suoi protetti, la sua solipsistica scuola. La poesia è un affare di botteguccia universitaria. E così tutto è appiattito e la poesia non conta più niente. Non fa più mondo. Non è più motore di civiltà. Siamo al principio dell'uno vale uno. Già discutibile in politica, con la conseguente riduzione della democrazia a statistica, come aveva denunciato l'aristocratico e preveggente Jorge Luis Borges, diventa devastante in campo letterario e culturale: l'espettorazione di sentimenti di un ragazzino sveglio o di una cantante formosa vale Leopardi e Emily Dickinson? Nessuno lo crede veramente, ma certa stampa, la tv, i social, persino certe case editrici, nella mancanza di oggettivi valori, sostengono questo atteggiamento, propagandando il vuoto e il nulla. Così, con la sua lingua e la sua poesia, muore l'Italia. Ma forse non frega niente a nessuno.
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Published on April 26, 2018 03:03

April 25, 2018

Ad ognuno i suoi "tic" del destino



Oscar Wilde portava spesso un garofano verde all’occhiello, che da lì in poi divenne simbolo di omosessualità. Edith Wharton si faceva ritrarre sempre coi suoi cagnolini e George Sand adottò, oltre al “nom de plume”, anche gli abiti maschili, sostenendo fossero molto più comodi.  Percy B. Shelley odiava così tanto i gatti che pare ne abbia legato uno ad un aquilone durante una tempesta sperando di vederlo folgorato.Rudyard Kipling, da vero appassionato, dipinse di rosso le sue palline da golf per poter giocare anche nella neve. H.G. Wells portava sempre con sé due penne : una grande per le grandi parole, così sosteneva, una piccola per le piccole. Alfred Tennyson, durante i ricevimenti, soleva spesso imitare una persona seduta sul gabinetto. Dorothy Parker una volta acquistò una nuova macchina da scrivere perché il nastro di quella vecchia sfuggiva e lei non sapeva come sostituirlo. William Wordsworth tappezzò un’intera stanza con fogli di giornale. J.M. Barrie ordinava sempre cavoletti di Bruxelles, ma non li mangiava mai. Quando gli fu chiesto perché, rispose che gli piaceva pronunciarne il nome. William Faulkner da giovane lavorava in un ufficio postale, dove leggeva le riviste che erano spedite o le regalava agli amici. Charles Dickens si agitava così tanto nel vedere le sue opere in scena a teatro che a volte sveniva. Infine Diogene girava per le strade in pieno giorno con una lanterna accesa cercando una cosa rarissima : un uomo onesto.
Potrei aggiungere i miei tic, ma credo di non sapere scegliere quali sono i più appariscenti, stupidi o importanti. Forse potrei dire che la scrittura è una mia vera e propria fissazione. Anche perché, sono convinto, che soltanto scrivendo riesco a capire quello che mi passa per la mente. Ad ogni modo, è chiaro che quelli che chiamiamo tic fanno parte della natura umana. Qui non si tratta soltanto di stranezze fisiche comportamentali dalle quali questa espressione onomatopeica deriva. Penso soprattutto alle diverse caratteristiche di cui è fatta la natura umana. Al modo in cui noi vediamo noi stessi e come ci confrontiamo con gli altri, nel momento in cui gli altri vedono noi. 
Si tratta di filosofia semplice e pratica, la maniera con la quale costruiamo noi stessi dal giorno in cui veniamo alla luce fino a quando quella stessa luce si spegne. Tutto cominciò con Aristotele il quale riteneva che la propria funzione dell’essere umani consiste nella nostra capacità di “contemplare”, la sua parola per “filosofare”, le cose del mondo. Thomas Hobbes riteneva che l’uomo ha bisogno di un governo centrale che lo governasse. Jean Jacques Rousseau si riteneva, invece, un “nobile selvaggio". Confucio e Mencio consideravano l’uomo buono, mentre Hsun Tzu cattivo. John Locke, una “tabula rasa”.
I cognitivisti moderni ritengono invece che questa “tabula” non sia altro che uno spazio da riempire e colorare con la realtà del vivere. Per alcuni, quella che viene chiamata la “natura umana” non esiste, per altri c’è, ed è quello che noi esprimiamo anche con i nostri “tic”. Ecco alcuni tic stoici utili per come sopravvivere al giorno d'oggi: diventare uno stoico. 
Evitare reazioni affrettate. Ricordarsi della transitorietà delle cose. Scegliere obiettivi in nostro potere. Essere virtuosi. Prendersi un momento e respirare profondamente. Mettere i problemi in prospettiva. Parlare poco e bene. Scegliere in modo accorto le proprie compagnie. Rispondere agli insulti con l’umorismo. Non parlare troppo di sé. Parlare senza giudicare. Riflettere sulla giornata appena trascorsa.
Non si tratta solamente di riempire una “tavola vuota” dalla nascita. Perché preferiamo una cosa piuttosto che un’altra? Perché cerchiamo sempre una relazione che ci metta sempre in contatto con gli altri? Il fatto è che siamo “animali” intelligenti e sociali, ce lo impongono sia i nostri fattori biologici che quelli ambientali nei quali ci troviamo a vivere. 
Le ragioni dei “fatti”, come pensavano gli esistenzialisti. Non abbiamo davanti a noi la scelta di un solo percorso da fare. Ce ne sono di buoni e di cattivi. La scelta dipende da noi all’interno della nostra stessa natura. I “tic” esteriori manifestano quelli interiori. Ognuno ha i suoi. E qualcuno li chiama “destino”.
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Published on April 25, 2018 13:34

April 24, 2018

Ritrovarsi vivi dopo il 5 maggio del 1998


Ritrovarsi oggi ancora vivi, a distanza di due decenni, dopo di essere stato dato per "disperso" il 5 maggio dell'anno del Signore 1998, in occasione di quella catastrofe del tutto innaturale che furono le frane di Sarno, è un sentimento che mi invita a rileggere le pagine di questo mio libro non senza riflettere sulla tragica caducità delle cose che accaddero. 
Un passato non solo mio e della mia famiglia, ma anche di tanti altri amici e compaesani i quali, in una notte di vero terrore, credettero che a Episcopio, una delle frazioni di Sarno, l'antica città dei Sarrasti, e non soltanto qui, il Monte Saro ci stesse crollando addosso.  
"Dispersi, la tragica conta dei fantasmi", titolava uno dei tanti giornali, dando le cifre di quelle persone che non rispondevano all'appello a distanza di diverse ore, dopo le tre imponenti colate di fango che provocarono la scomparsa di 137 persone. Eravamo considerati dei fantasmi che vagavano per i vicoli della frazione diventati fiumi neri di melma. Eravamo in molti, tra i quali io e mio figlio Alessandro Gallo. A pagina 71, alla voce "dispersi", nel "Dizionario di una Catastrofe" così scrissi l'anno dopo: 
"Di persona di cui non si hanno traccia o notizia dopo un cataclisma. Di persona che non risulta nè tra i vivi, nè tra i morti, i feriti, i prigionieri, i superstiti. Un eufemismo, una non-parola. Un non-vivente, ma non defunto. Ci sono i nomi sul giornale, quasi un invito a chi non si trova, a leggersi il nome sul giornale e ritornare. L'ho fatto anch'io, dopo l'apparizione nel primo elenco insieme al nome di mio figlio. Ma ci sono volute diverse telefonate, per vari giorni, per convincerli, nelle redazioni dei giornali, che eravamo ancora di questo mondo. Molti sono in questa condizione, ma non hanno ancora chiamato. Spero che lo facciamo al più presto. Avevano un nome, un indirizzo, un lavoro, una identità, il colore degli occhi, dei capelli, la voce calda, il corpo forte e giovane. La linea della vita dolce e snella. La pelle arsa dal sole per il lavoro dei campi. Le mani forti e rozze. Le unghie gentili, ricoperte da un leggero strato di smalto rosa economico. Come descriverli? Una foto umida, sporca di fango, finita tra i pezzi di vita familiare andati perduti in un attimo. Era qui, ho sentito la sua voce, chiamava il figlio, giù per le scale. Era pericoloso. Si era rifugiato di sotto, invece di andare di sopra. Era, al solito, appresso al cane. Poi è arrivata la "cosa", nera, enorme, preceduta dal fragore della fine. La palude poi ricoprì tutto, imponendo il silenzio, livellando prima con violenza, poi con dolcezza suadente ed avvolgente, arrotondando spigoli, spianando spazi mai esistiti o immaginati prima. Eppure c'è un posto, un modo, una possibilità per ritrovarsi baciati dalla fortuna, come Roberto, dal gioco della vita."
Ricordare la scrittura di questo libro, a distanza di venti anni, tanto dall'evento che causò quella catastrofe, quanto dalle intenzioni della sua pubblicazione, è una ragione sulla quale poggia questa mia memoria che vuole essere non solo personale e familiare, ma anche sociale ed umana. Quell'evento ebbe una risonanza davvero internazionale. 
Nonostante il fatto che con la mia famiglia fossi stato costretto, per la paura, a vivere (a nostre spese) lontano da Episcopio, per circa sei mesi, nonostante i non irrilevanti danni economici subiti con l'evento, nonostante che mia moglie ed io fossimo a costretti a continuare nel nostro lavoro di insegnanti e, ancora, nonostante dovessimo accudire genitori anziani bisognosi di cure e attenzione, riuscii a raccogliere informazioni con giornali e riviste italiane e straniere.  Raccolsi e conservai, sperando in una memoria non troppo futura che potesse ricordare il non vano sacrificio di tante vite umane in maniera significativa, promuovendo una Fondazione chiamata "5 Maggio 1998" per la difesa dell'ambiente e del territorio. 
Speranze che non si sono avverate: nessuna Fondazione, nessuna spiegazione, nessun cambiamento. A distanza di due decenni, là dove, in una notte di tregenda, di un giorno di inizio maggio umido e piovoso, sembrò che venisse giù il Monte Saro per punirci di qualcosa di cui non conoscevamo le ragioni, tutto è esattamente come prima. Ricostruito, come se nulla fosse accaduto. Rileggetevi quello che scrissero esperti, tecnici, giornalisti e scrittori, filosofi e scienziati, settimane e mesi dopo. Dall'abbattimento alla evacuazione: tutto come prima, senza che nessuno ci abbia mai detto cosa realmente accadde quella notte.
Continueremo ad accontentarci di ripetere quello che i nostri ex-amici della Città di Abergavenny, la città gallese con la quale Sarno, appena qualche mese prima, si era gemellata con la visita ufficiale di un folto gruppo di visitatori: un "Act of God". C'è ancora qualcuno che si ricorda di quello che fece questa lontana città gallese di nome Abergavenny per Sarno? C'è ancora qualcuno che si ricorda di Mrs Tina Maredith, di recente passata a miglior vita, madrina del gemellaggio tra le due città? Fu ospitata proprio nei pressi del vallone Trave, venuto giù nella maniera di cui ognuno sa. Per gli amici gallesi un "Act of God", è un evento naturale. Per noi un perfetto eufemismo, abbastanza ipocrita, una comune catastrofe naturale inspiegabile, destinata quindi a passare alla storia così come accadde. 
Le speranze condivise con l'amministrazione del tempo, non si sono avverate: nessuna Fondazione, nessuna spiegazione del tragico evento, nessun significativo cambiamento ambientale. Anzi, tutti sanno come il primo cittadino di allora sia stato perseguitato, tormentato e condannato per oscure presunte inadempienze. A distanza di due decenni, là dove, in una notte dei primi giorni di un maggio umido e piovoso, sembrò che venisse giù il monte Saro, la vita continua a scorrere come se nulla fosse accaduto. 
Anche chi scrive  continua a vivere in questi luoghi, tanto antichi ed affascinanti, quanto emblematici e misteriosi, ai piedi del Saro nella frazione di Episcopio. Rileggo nel "Dizionario" quello che scrissero in tanti, e cioè che non si doveva ricostruire, ma abbattere. A distanza di due decenni siamo ancora una volta qui a "ricordare di non dimenticare", senza conoscere le ragioni di quello che accadde.  Ha ragione il poeta Robert Frost da me citato nella presentazione del "Dizionario": "In three words I can sum up everything I've learned about life: it goes on".  E' vero, la vita deve continuare". Non saranno, comunque, i suoi versi a segnare nel tempo i mali accaduti.
Rileggetevi, invece, e ad alta voce, i versi che scrisse "Masta Gino", al secolo Gino De Filippo, il vero "poeta di Episcopio", che visse come me nell'occhio della catastrofe. "Non basteranno tutti i fiori del mondo, per le morti acerbe, non basteranno i marmi scolpiti, a sanare le piaghe delle madri. Non bastano neppure le sere bugiarde fatte di babeliche parole. Piuttosto, domani, portino fra le zolle martoriate il seme buono  di nuovi amori".
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Published on April 24, 2018 12:11

April 21, 2018

La giornata della Terra


L’Earth Day (Giornata della Terra) è la più grande manifestazione ambientale del pianeta, l’unico momento in cui tutti i cittadini del mondo si uniscono per celebrare la Terra e promuoverne la salvaguardia. La Giornata della Terra, momento fortemente voluto dal senatore statunitense Gaylord Nelson e promosso ancor prima dal presidente John Fitzgerald Kennedy, coinvolge ogni anno fino a un miliardo di persone in ben 192 paesi del mondo.
Le Nazioni Unite celebrano l’Earth Day ogni anno, un mese e due giorni dopo l'equinozio di primavera, il 22 aprile. Nata il 22 aprile 1970 per sottolineare la necessità della conservazione delle risorse naturali della Terra. Come movimento universitario, nel tempo, la Giornata della Terra è divenuta un avvenimento educativo ed informativo. I gruppi ecologisti lo utilizzano come occasione per valutare le problematiche del pianeta: l'inquinamento di aria, acqua e suolo, la distruzione degli ecosistemi, le migliaia di piante e specie animali che scompaiono, e l'esaurimento delle risorse non rinnovabili. Si insiste in soluzioni che permettano di eliminare gli effetti negativi delle attività dell'uomo; queste soluzioni includono il riciclo dei materiali, la conservazione delle risorse naturali come il petrolio e i gas fossili, il divieto di utilizzare prodotti chimici dannosi, la cessazione della distruzione di habitat fondamentali come i boschi umidi e la protezione delle specie minacciate.
L'idea della creazione di una “Giornata per la Terra” fu discussa per la prima volta nel 1962. In quegli anni le proteste contro la guerra del Vietnam erano in aumento, ed al senatore Nelson venne l'idea di organizzare un “teach-in” sulle questioni ambientali. Nelson riuscì a coinvolgere anche noti esponenti del mondo politico come Robert Kennedy, che nel 1963 attraversò ben 11 Stati del Paese tenendo una serie di conferenze dedicate ai temi ambientali.
L'Earth Day prese definitivamente forma nel 1969 a seguito del disastro ambientale causato dalla fuoriuscita di petrolio dal pozzo della Union Oi al largo di Santa Barbara, in California, a seguito del quale il senatore Nelson decise fosse giunto il momento di portare le questioni ambientali all'attenzione dell'opinione pubblica e del mondo politico. “Tutte le persone, a prescindere dall'etnia, dal sesso, dal proprio reddito o provenienza geografica, hanno il diritto ad un ambiente sano, equilibrato e sostenibile”.
Il 22 aprile 1970, ispirandosi a questo principio, 20 milioni di cittadini americani si mobilitarono per una manifestazione a difesa della Terra. I gruppi che singolarmente avevano combattuto contro l'inquinamento da combustibili fossili, contro l'inquinamento delle fabbriche e delle centrali elettriche, i rifiuti tossici, i pesticidi, la progressiva desertificazione e l'estinzione della fauna selvatica, improvvisamente compresero di condividere valori comuni. Migliaia di college e università organizzarono proteste contro il degrado ambientale: da allora il 22 aprile prese il nome di Earth Day, la Giornata della Terra.
La copertura mediatica della prima Giornata Mondiale della Terra venne realizzata da Walter Cronkite della CBS News con un servizio intitolato "Giornata della Terra: una questione di sopravvivenza”. Fra i protagonisti della manifestazione anche alcuni grandi nomi dello spettacolo statunitense tra cui Pete Seeger, Paul Newman e Ali McGraw. La Giornata della Terra diede una spinta determinante alle iniziative ambientali in tutto il mondo e contribuì a spianare la strada al Vertice delle Nazioni Unite del 1992 a Rio de Janeiro.
Nel corso degli anni l'organizzazione dell'Earth Day si dota di strumenti di comunicazione più potenti arrivando a celebrare il proprio ventesimo anno di fondazione con una storica scalata sul monte Everest in cui un team formato da alpinisti statunitensi, sovietici e cinesi, realizzò un collegamento mondiale via satellite. Al termine della spedizione tutta la squadra trasportò a valle oltre 2 tonnellate di rifiuti lasciati sul monte Everest da precedenti missioni.
Nel 2000, grazie alla diffusione di internet, lo spirito fondante dell'Earth Day ed in generale la celebrazione dell'evento vennero promosse a livello globale. L'evento che ne conseguì riuscì a coinvolgere oltre 5.000 gruppi ambientalisti al di fuori degli Stati Uniti, raggiungendo centinaia di milioni di persone, e molti noti personaggi dello spettacolo come l'attore Leonardo di Caprio.
Nel corso degli anni la partecipazione internazionale all'Earth Day è cresciuta superando oltre il miliardo di persone in tutto il mondo: è l'affermazione della “Green Generation”, che guarda ad un futuro libero dall'energia da combustibili fossili, in favore di fonti rinnovabili, alla responsabilizzazione individuale verso un consumo sostenibile, allo sviluppo di una green economy e a un sistema educativo ispirato alle tematiche ambientali.
Source:  earthdayitalia






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Published on April 21, 2018 13:10

"Che la terra ti sia lieve ", Padre Raffaele Squitieri

Man mano che il tempo passa, le ombre dei ricordi si allungano mentre, purtroppo, il nostro corpo diventa sempre più breve. La recente scomparsa di Padre Raffaele Squitieri mi porta a riflettere su quanto profondo sia il pensiero espresso dal grande poeta Vincenzo Cardarelli sulla sua idea di “Passato”, così come la espresse nella poesia che porta, appunto, questo titolo: “I ricordi”.
“I ricordi,/queste ombre troppo lunghe / del nostro breve corpo, / questo strascico di morte / che noi lasciamo vivendo / i lugubri e durevoli ricordi, / eccoli già apparire: / melanconici e muti / /fantasmi agitati da / un vento funebre. / E tu non sei più che un ricordo ... “
Versi molto malinconici, il passato visto come una catena di ricordi tristi, appendici dell’uomo. Ad ognuno di noi ricordano la nostra finitudine, il nostro essere effimero e sfuggente. Il poeta pensa al ricordo della donna amata, “trapassato nella memoria”, come qualcosa di suo. Gli appartiene, scorre nelle sue vene. La prova inconfutabile dell’esistenza di un legame che ha dato senso e riempito la sua vita. Ma il tempo, feroce, con il suo scorrere incontrollabile, arriva prima o poi per spazzare via il presente e alimentare il passato.
In maniera molto diversa, ovviamente, sono i sentimenti che desidero esprimere per la dipartita di Raffaele da me conosciuto mezzo secolo fa. Il pensiero della sua scomparsa mi addolora nel presente, non potendolo più incontrare, visitarlo, parlargli, ascoltare le sue omelie nella Chiesa di San Francesco a Maiori. Se mi addolora questa perdita, so anche che mi mancheranno quei momenti in cui, insieme, passeggiando per il lungomare, oppure seduti nel giardino del convento, rincorrevamo, insieme anche a mia moglie, “il ricordo dei ricordi” di un passato comune. 
Un altro convento, un altro paese, un altro mondo, quello, come ho detto, risalente a quasi mezzo secolo fa. Quando insieme a tanti altri studenti ed amici frequentavo il Convento dei Frati Francescani di Sarno. Anni ruggenti, intorno, prima e dopo il famoso “sessantotto”. Diventammo un gruppo di amici compatto ed inseparabili, come soltanto i Frati legati all’insegnamento di San Francesco sanno fare. 
Con Raffaele ricordavo sempre il suo inseparabile amico e confratello Padre Gerardo Rispoli. Sempre insieme, pronti entrambi a discutere di tutto: politica, filosofia, religione ed anche di … rivoluzione. Non sembri strano quello che dico. Quelli erano i giorni nei quali quella parola ricorreva costante sulla bocca di tutti: “la Cina è vicina”, era l’illusione del giorno. Ogni volta che incontravo Raffaele, lui questo slogan maoista me lo ricordava.
Sia Padre Raffaele che Padre Gerardo Rispoli furono nostri ospiti a Polvica quando mia moglie ed io organizzammo una piccola festa per le nostre lauree. Una serata indimenticabile, “ricordi di ricordi”, come ho detto innanzi. E non è vero, quindi, che questi sono sempre ricordi tristi e malinconici. Lui Raffaele, ogni volta che ci vedevamo mi diceva: “Nino Gallo, avevi ragione tu. La Cina è davvero vicina, ma Mao se n’è andato!”. 
Anche Lui ora non c’è più. Ogni qualvolta, durante il mio quotidiano “footing”, che non manco mai di fare sul lungomare di Maiori, guarderò dal Porto il Convento dei Francescani, o entrerò in Chiesa, non potrò non rivolgergli un pensiero ed un ricordo, oltre che una preghiera. Quando lo vidi l’ultima volta, dopo la celebrazione della Messa, era completamente guarito da quella brutta caduta all’ingresso del convento. Il suo volto mi accolse con un sorriso e mi regalò il suo ultimo libro. Mi raccomandò di parlarne sul mio blog. Che la terra ti sia lieve, caro Raffaele ... 
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Published on April 21, 2018 04:27

April 20, 2018

Dalla Valle dei Sarrasti alla Valle di Tramonti



Due immagini, due direzioni, nord, sud, monti e valli che portano al mare. La Valle del Sarno, la Valle di Tramonti, il golfo di Castellammare ed il Vesuvio con il grande "hinterland" napoletano, Maiori e la Costa d'Amalfi, patrimonio Unesco dell'umanità. 
Ogni qualvolta arrivo al Valico, proveniente dalla Valle dei Sarrasti, l'antica e misteriosa popolazione che vi abitò oltre un paio di millenni fa, mi viene in mente il racconto che faceva mio Padre quando, dal paese omonimo, proprio alle fauci di quel fiume, veniva a visitare la sua futura sposa Concetta a Tramonti. 
La loro casa era costruita proprio su una delle tre sorgenti del fiume, ed è ancora là in Via de' Liguori, la strada chiamata "alle fontane", appunto. Frammenti di vita cambiata tanto all'interno quanto all'esterno di un mondo vissuto, quello di mio Padre, e scomparso del tutto. Più che viaggi, i suoi erano delle vere e proprie "avventure", come spesso accade nella storia degli uomini. 
Il contesto è quello della fine degli anni trenta del secolo e millennio trascorsi. Dopo di essere partito da Sarno verso Nocera o Pagani, con mezzi di fortuna del tempo, mio Padre si apprestava a fare la "scalata" del monte Chiunzi, percorrendo un sentiero ancora oggi visibile. Arrivato in cima, avrebbe dato un rapido sguardo alle sue spalle verso la Valle dei Sarrasti e sarebbe, a grandi passi, disceso verso la frazione di Polvica, uno dei tredici villaggi del Comune, nell'altra Valle "intra montes", quella di Tramonti.
Raccontava, poi, che ad un certo punto, in un luogo chiamato " 'a Chiancolella", gli sarebbe venuto incontro un colono mandato dalla famiglia della fidanzata per accompagnarlo nella discesa. Gli portava qualcosa da bere o da mangiare, qualche indumento per la "cambiata". Non mancava mai di ricordare, ogni qualvolta raccontava di queste sue visite "d'amore", di quella volta che, poco prima di arrivare al Chiunzi, una nuvola di passaggio gli fece una abbondante doccia, facendolo arrivare a destinazione tutto inzuppato. 
Queste sue narrazioni orali le ritrovo nella descrizione che lo storico amalfitano Matteo Camera fa della Valle di Tramonti, moderno "polmone verde della Costa d'Amalfi". Rileggendola, a distanza di oltre centocinquanta anni, si può rivivere quella antica atmosfera, oltre il tempo che fu di mio Padre, in un territorio che oggi va "letto" in maniera del tutto diversa. 
Ecco cosa intendevo dire quando ho parlato di cambiamenti esteriori e interiori. Vale la pena rileggere insieme qualche brano della introduzione che lo storico fa introducendo Tramonti nel suo importante studio. L'occhio quasi fotografico, ma molto romantico, del Camera si muove dal suo punto di vista opposto, quello di Maiori, da sud verso nord:

"Qual'emozione non prova il viaggiatore quando per la prima volta visita tutta questa immensa ed ampia vallata, frammezzata da una lunga catena di monti che da Maiori si distende sino alla torre detta di Chiunzo. All'aspetto di questo luogo magico e ridente, evvi qualcosa di calma, di dolce, di filosofico, che prepara l'anima a sortire dal torrente delle rapidi e folli agitazioni di questa vita di fallaci illusioni! Ivi la salubrità dell'aria, la purezza del cielo e le dolci aure campestri, destano in un cuore sensibile un non so che di dolcezza e di grata impressione." 
 Va subito messo in evidenza che la visita, anzi l'accesso a questa vallata di cui parla lo storico e cronista amalfitano nel suo importante studio "Memorie Storico-Diplomatiche dell'antica Città e Ducato di Amalfi" pubblicato nel 1876, non è lo stesso di quello che vedeva mio Padre, una volta scalato a piedi il "Monte Chiunzo", e che ancora oggi vediamo, a distanza di tanti anni. A quei tempi, il Valico non era stato ancora "valicato", per così dire. L'unico accesso a questo "polmone verde" moderno era dalla Costa, dal mare. Si può così comprendere quanto sia diverso e quanto sia anche cambiato il modo di guardare il territorio. Camera così continua:
"Senza amplificar con parole questo sorprendente panorama, diciam di non trovarsi altrove più aggradevole e grazioso soggiorno. Gli alti monti quivi formano una specie di cerchio, in mezzo a cui giacciono immense valli, che di tratto in tratto son interrotte da collinette ed altipiani, tutti coverti di verzura e di innumerevoli selve di castagni e di altri alberi fruttiferi. Il viaggiatore sorpreso sembra essere tutto ad un'ora trasportato sott'altro Cielo, in lontana regione ...D'intorno intorno a questo vasto bacino, coronato da' monti, veggonsi di distanza in distanza sparsi sopra ineguali piani, tredici borghi con altrettante parrocchie ...Ecco ciò che costituisce la terra di Tramonti, vocabolo che spiega ed indica la sua posizione "intra montes" ... Nulla turba il silenzio di codesto solingo e pacifico luogo, che potrebbe essere eletto per ritiro della contempalzione e della filosofia ..." 
  Centoquaranta e più anni dividono questa documentata descrizione. Inseguendo la freccia del tempo all'indietro, possiamo in parte intravedere ancora oggi gli stessi identici percorsi. In termini esistenziali abbracciano lo stesso spazio di un millennio. Se confrontiamo le parole precise e essenziali del Camera, usate in questa sua accurata descrizione della Vallata di Tramonti con quelle immagini o parole facilmente accessibili con il nostro pc o cellulare, grazie a Google Earth ed alla sua tecnologia, mi sembra quasi di "vedere" il mio giovane genitore attraversare la Valle dei Sarrasti, affannarsi a risalire a piedi i pendii scoscesi del Monte Chiunzi, attraversare il Valico e allegramente scendere per pievi e poderi, passare davanti a casali e attraversare vigne e pascoli. 
Lui ci impiegava quasi una giornata per arrivare dalla Valle dei Sarrasti a quella di Tramonti. Un forte legame ha sempre unito queste due grandi Vallate. Ancora oggi c'è una irresistibile e consistente continuità di interscambi umani, sociali e culturali. Per averne una prova basta rileggere con attenzione il prezioso volume "Tramonti. La terra operosa", pubblicato una decina di anni fa dal "Centro di Cultura e Storia Amalfitana", con l'opportuno patrocinio anche del Comune di Tramonti. 
Me ne sono occupato ampiamente in una recensione sul mio blog, ed è stata ripubblicata di recente in un mio libro intitolato "Il figlio del tipografo" disponibile gratis in Rete al sito di Internet Archive o in libreria in versione cartacea. Nella fitta rete di attività economiche tra il Quattrocento e il Cinquecento sono visibili "documenti per la storia, le arti e le industrie delle province napoletane" editi da Gaetano Filangieri fra il 1883 ed il 1891, abbiamo diverse prove documentali di questi antichi interscambi tra le due Valli. 
Il nome di Antonio Gallo, che era anche quello di mio Padre, oltre che il mio, ricorre in uno di questi documenti e prova, insieme a diversi altri, questo intenso legame che ancora oggi caratterizza questo moderno "polmone verde" patrimonio UNESCO dell'umanità. Il 12 dicembre dell’anno 1484, in questo paese di Tramonti, la moderna Costa d’Amalfi, come persona che di mestiere facevo il “guarnimentaio” e di nome di chiamava Antonio Gallo, ricevetti:
“… tarì 3 per una frangetta e per palmi 25 di lacci d’oro e seta morata per guarnimento di una spada, che servì nella entrata che fece il Duca di Calabria in Napoli tornando di Lombardia, più sei ducati, 1 tarì e 10 grana per lacci e frange d’oro filato, che occorsero ad ornare due paia di stivaletti neri del medesimo Duca, e 2 tarì ed 8 grana per sette canne da zagarella di seta morata, adoperate a guarnimento degli abiti di velluto morato di detto Signore, e dei paggi che entrarono in Napoli con lui”.
In sole sei righe c’è il lessico di tutto un mondo scomparso. Il tarì è il nome di varie monete circolanti nell’area del Mediterraneo a partire dall’anno mille per diversi secoli. Le frangette erano ornamenti tessili posti sul bordo di capi d'abbigliamento o pezzi d'arredamento. Il palmo era usato come misura di lunghezza. La seta morata aveva chiari riferimenti arabi nelle stoffe operate e disegnate, realizzate attraverso il ricamo. La spada occupava il posto centrale in questo assetto esteriore del cavaliere, in questo caso il Duca di Calabria. 
Oltre ai tarì troviamo altre monete in uso per i pagamenti quali il ducato e la grana. Le canne di zagarella erano evidentemente degli ornamenti ai vestiti. Chi lavorava questi prodotti di abbigliamento dovevano essere degli artigiani molto abili e ricercati negli ambienti in cui si gestiva il potere mettendo bene in mostra la forza e la ricchezza dell’essere per mezzo dell’apparire. 
Il "guarnimentaio" Antonio Gallo si affiancava ad altri mestieri e lavori di elevata specializzazione per la produzione di utensili quali chiavi, difese, serrature, cancellate di ferro, coltelli, spade e altre ferramenta, stanghe, selle, busti, frangette, lacci d’oro, seta morata e via dicendo. Altri tempi, altro lavoro, altri mestieri. 
E’ stato solo un caso che io abbia scoperto di questa reincarnazione. Se un processo del genere si ripete costantemente per tutto l’universo e in tutti gli esseri viventi, chissà quante vite e reincarnazioni possiamo sperimentare. Il tutto grazie a queste due Valli che costituiscono davvero un grande inestimabile patrimonio non solo per chi ci vive, ma anche per l'intera Umanità.





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Published on April 20, 2018 04:50

MEDIUM

Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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