Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 118
June 2, 2018
Review: L'età non è uguale per tutti

My rating: 3 of 5 stars
Di questo libro mi è piaciuto innanzitutto il titolo. Questa affermazione sembra essere una cosa ovvia se si pensa che ogni momento, ogni ora, ogni giorno, mese e anno che passano, caratterizzano e definiscono la nostra età. Anzi, le età sono tante e diverse, per questa ragione non sono eguali per tutti.
La domanda che si pone l’autrice del libro Eliana Liotta è quella che riguarda la possibilità di allungare l’età della giovinezza, facendo in modo da non entrare in quella dell’invecchiamento. Diviso in due parti il volume racconta come educare se stessi a restare giovani, nel corpo e nello spirito, in base agli studi scientifici più attendibili. A 30, 50 o 70 anni ed oltre ancora, sino ad includere i “dinosauri”, un’età questa alla quale appartiene chi scrive.
Alla stesura contenuti hanno collaborato, tra gli altri, esperti di neuroscienze, nutrizione, cardiologia e chirurgia plastica, insieme ad Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas, lo scienziato italiano di fama internazionale. Una garanzia sulla serietà e la correttezza dei contenuti, particolarmente importante in un'epoca in cui dilagano le fake news anche nel campo della salute.
Con una prosa scorrevole e accattivante l’autrice, che oltre ad essere una giornalista, è anche un’abile comunicatrice scientifica, affronta il problema di come spegnere quella che lei chiama “infiammazione” e che, secondo lei, accelera la caduta del tempo nella vita di ognuno di noi. La scrittrice adotta la tecnica della narrazione e in questo modo fa il racconto del fuoco, il racconto della pancia, il racconto della testa e il racconto dei soldati.
Nella seconda parte descrive la pratica per una corretta educazione scientifica che può portare ad una giovinezza eterna. Passa così in rassegna i cibi smart della giovinezza, ci parla della importanza del movimento, della necessaria coltivazione dell’amore, dei sorrisi e della conquista della saggezza. Conquiste possibili per mezzo della classica prevenzione. Il volume si chiude con una lunga ed accurata sequela di domande sul vero e sul falso, il tutto supportato da una importante bibliografia.
Citando Milan Kundera l’autrice del libro, nel tentativo di dimostrare che l’età può non essere eguale per tutti, dice: “La stupidità deriva dall’avere una risposta per ogni cosa. La saggezza deriva dall’avere, per ogni cosa una domanda”. Anche se ho molto apprezzato quello che lei scrive, ed il libro mi è piaciuto molto per il suo approccio molto moderno alle problematiche per una informazione che possa essere non solo scientificamente moderna ma anche corretta, a lettura conclusa mi accorgo di essere diventato sì molto più “saggio” di quanto fossi prima, ma non avuto una risposta abbastanza precisa sul perchè l’età, pur non essendo eguale per tutti, continua a condannarci ad una fine quanto mai prevista e prevedibile. Forse una risposta troppo stupida per una domanda altrettanto intelligente?
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Published on June 02, 2018 13:01
May 26, 2018
Ogni uomo è un libro, ogni libro un uomo

Ogni giorno un pensiero. Ogni pensiero un mondo da conoscere. Ogni mondo una goccia di inchiostro che porta alla conoscenza. Ogni goccia riempie il libro dell’infinito. L’infinito si ritrova nei libri che ognuno di noi scrive ogni giorno. C’è chi lo sa e chi no. Chi lo fa consapevolmente e chi non ci riesce. Libri ed esseri umani che formano la biblioteca del mondo. Ogni essere umano è un libro, un libro che lui stesso sta scrivendo: i suoi pensieri e i suoi sentimenti tracciano i caratteri di una scrittura che andrà a incidersi nella materia dei suoi corpi sottili.
Ma quanti lo sanno? Quanti hanno cominciato a scrivere consapevolmente il proprio libro? Da sempre si istruiscono gli esseri umani a lavorare unicamente all’esterno di loro stessi, e bisogna riconoscere che in quell’ambito ci riescono magnificamente, mentre il loro mondo interiore non è che un terreno incolto. Ma tutte quelle creazioni delle quali vanno tanto fieri non appartengono loro veramente: sono creazioni esterne a loro stessi, e dunque spariranno. Soltanto il lavoro che si fa sulla propria materia si registra per l’eternità. Penserete forse che dal momento che quelle creazioni sono interiori, non portano niente a nessuno. Dobbiamo ricrederci: un essere che crea sé stesso, che scrive direttamente il proprio libro, è un benefattore per tutti i suoi fratelli umani, perché è un libro vivente che li inonda del suo calore e della sua luce.
Nel romanzo di Charles Dickens “Le due città” ritrovo la giusta conferma di uno dei miei preferiti aforismi che riguardano i libri: “Ogni uomo è un libro, ogni libro è un uomo”. “Le ombre notturne” è un brano narrativo di chiara impronta psicologica nel quale lo scrittore riflette su una delle maggiori verità dell’esistenza. Ogni persona rimane un mistero per se stesso e per gli altri, sino alla fine. Detto alla mia maniera, se ogni uomo è un libro e ogni libro è un uomo, allora vuol dire possiamo leggere soltanto poche pagine di questo libro chiamato “Uomo”.
“LE OMBRE NOTTURNE. Strana circostanza, degna di meditazione, il fatto che ogni creatura umana è composta in modo da esser per tutte le altre un profondo segreto e un profondo mistero. Una solenne considerazione, quando entro in una grande città di notte, quella che ciascuna di quelle case, oscuramente raggruppate, chiude un suo particolare segreto, che ogni stanza in ciascuna di esse chiude un suo particolare segreto; che ogni cuore pulsante nelle centinaia di migliaia di petti che respirano nella stessa città, è, in alcuni dei suoi pensieri, un segreto per il cuore che gli è più vicino. C'è in questo un senso di spavento pari a quello della stessa morte. Non posso più sfogliare i fogli di questo caro libro che amavo, e spero invano col tempo di leggerlo tutto. Non posso più guardare nelle profondità di quest'acqua insondabile, nella quale, come luci istantanee, m'erano lampeggiati bagliori di tesori sepolti e di altri oggetti sommersi. Era destino che il libro dovesse chiudersi con uno scatto, in sempiterno, quando io non ne avevo letto che una pagina. Era destinato che l'acqua si dovesse rapprendere in un ghiaccio eterno, quando la luce si trastullava sulla sua superficie, e io me ne rimanevo ignaro sulla sponda. Il mio amico è morto, il mio vicino è morto, il mio amore, la diletta dell'anima mia è morta: è il consolidamento inesorabile, la perpetuazione del segreto che fu sempre in quella personalità, e che io porterò nella mia fino all'ultimo respiro. In qualcuno dei luoghi di sepoltura delle città che attraverso, v'è un dormiente più imperscrutabile dei suoi abitanti vivi, nella loro intima personalità, o più imperscrutabile di quel che io non sia per loro?”
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“A wonderful fact to reflect upon, that every human creature is constituted to be that profound secret and mystery to every other. A solemn consideration, when I enter a great city by night, that every one of those darkly clustered houses encloses its own secret; that every room in every one of them encloses its own secret; that every beating heart in the hundreds of thousands of breasts there, is, in some of its imaginings, a secret to the heart nearest it! Something of the awfulness, even of Death itself, is referable to this. No more can I turn the leaves of this dear book that I loved, and vainly hope in time to read it all. No more can I look into the depths of this unfathomable water, wherein, as momentary lights glanced into it, I have had glimpses of buried treasure and other things submerged. It was appointed that the book should shut with a spring, for ever and for ever, when I had read but a page. It was appointed that the water should be locked in an eternal frost, when the light was playing on its surface, and I stood in ignorance on the shore. My friend is dead, my neighbour is dead, my love, the darling of my soul, is dead; it is the inexorable consolidation and perpetuation of the secret that was always in that individuality, and which I shall carry in mine to my life’s end. In any of the burial-places of this city through which I pass, is there a sleeper more inscrutable than its busy inhabitants are, in their innermost personality, to me, or than I am to them?”

Published on May 26, 2018 08:08
May 25, 2018
I libri sono semi

“What an astonishing thing a book is. It’s a flat object made from a tree with flexible parts on which are imprinted lots of funny dark squiggles. But one glance at it and you’re inside the mind of another person, maybe somebody dead for thousands of years. Across the millennia an author is speaking clearly and silently inside your head directly to you. Writing is perhaps the greatest of human inventions, binding together people who never knew each other, citizens of distant epochs. Books break the shackles of time. A book is proof that humans are capable of working magic. This room [in the New York Public Library] is full of magic… More recently, books, especially paperbacks, have been printed in massive and inexpensive editions. For the price of a modest meal you can ponder the decline and fall of the Roman Empire, the origin of species, the interpretation of dreams, the nature of things. Books are like seeds. They can lie dormant for centuries and then flower in the most unpromising soil.”
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"Che cosa straordinaria è un libro. Un oggetto piatto fatto da un albero con elementi flessibili sui quali sono incisi molti segni strani e scuri. Ma basta uno sguardo e ti ritrovi dentro la mente di un'altra persona, forse qualcuno morto qualche migliaio di anni fa. Qualcuno che ti parla da millenni trascorsi e ti entra nella testa. La scrittura forse è la più grande delle invenzioni umane, essa lega gente che non si è mai incontrata o conosciuta. I libri rompono il ghiaccio del tempo. Un libro è la prova che gli uomini fanno magie. Questa stanza della biblioteca dove mi trovo a scrivere è un posto magico. Oggi i libri in formato economico sono alla portata di tutti. Per pochi soldi puoi riflettere sulla caduta dell'impero romano, sulla interpretazione dei sogni, sulla natura delle cose. I libri sono semi. Possono dormire per secoli e poi improvvisamente rifiorire nei campi più impossibili."

Published on May 25, 2018 04:30
May 20, 2018
Review: Le dieci parole latine che raccontano il nostro mondo

My rating: 4 of 5 stars
"Altro che lingua morta! Che il latino fosse una lingua vivente, perché ancora invita a risposte e interpretazioni attraverso la voce dei suoi grandi autori, Nicola Gardini lo aveva mostrato in tre articoli pubblicati sulla «Domenica» nell’aprile del 2016 poi contenuti nel saggio «Viva il Latino!» (Garzanti) giunto alla XII ristampa. Che il pensiero di Ovidio fosse vivo nel nostro, inesauribile sorgente nascosta, Gardini lo ha spiegato nel saggio successivo: «Con Ovidio». Nel terzo volume di questa serie, che riscopre importanza e bellezza di una lingua che alcuni vorrebbero dismettere, «Le 10 parole latine che raccontano il nostro mondo» (Garzanti, Milano, pagg. 200, € 15, in libreria da oggi), di cui anticipiamo un brano, l’autore fa un passo ulteriore mostrando come il latino non sia solo radici e fusto da cui si dirama il nostro pensiero, ma anche foresta. E lingua futura. Sono le parole che formano la civiltà e ne segnano il tempo e quelle latine non hanno mai smesso di risuonare nell’inconscio di un’immensa compagnia internazionale. Gardini - che oltre ad essere classicista, poeta, narratore, pittore e traduttore è anche professore di Letteratura italiana e comparata all’Università di Oxford - partendo dai sensi originari di dieci vocaboli latini (ars, signum, modus, stilus, volvo, memoria, virtus, claritas, spiritus, rete), e delineando le successive metamorfosi nella lingua comune e nell’uso che ne fanno i grandi autori, realizza una vera e propria storia delle idee. E in un gioco di continue scoperte arriva a mostrarci come «il latino è lingua delle lingue che saranno». Noi siamo il futuro del latino e il latino è il nostro futuro."Sì, d'accordo, il libro è interessante, le parole importanti. Ma, se mi è permesso, da uno come Nicola Gardini, professore a Oxford, mi aspettavo che includesse anche la parola che ritengo sia la più importante di tutte. Quelle che lui ha creduto opportuno di scegliere evidentemente fanno parte delle sue ricerche e dei suoi studi riguardanti il latino e la letteratura comparata. Lo dice uno che ai suoi tempi ha sofferto molto nella scuola italiana per studiarla. Forse, non tanto quanto quell'altra lingua con la quale il latino si accompagnava: il greco.
Voi vi chiederete di quale parola stia parlando, ed io, volutamente, ritardo nel dirvelo perchè devo prima esprimere tutto il mio rammarico per non averla trovato. Una parola che rimane quanto mai viva a che a distanza di millenni, forse più delle dieci che il professore ha ritenuto opportuno prendere in esame. Quella alla quale mi riferisco è un vero e proprio "segno" linguistico, come forma e come contenuto. Non a caso, proprio a questa parola Gardini ha dedicato forse il migliore trattamento rispetto alle altre. Ho deciso di trascrivere quanto ha scritto e soltanto dopo che l'avrete letto vi dirò a quale parola mi riferisco. Il prof. Gradini così scrive del "segno":
"Che cos’è il mondo? Segni, null’altro: indizi di qualcosa che è stato, che sarà, che sta avvenendo. Segno può essere qualunque cosa: la luce di una stella che si spense milioni di anni fa, uno stillicidio invisibile, una nuvola inattesa, un mal di pancia, un dito puntato… Basta che decidiamo che quella certa cosa evochi più di ciò che rappresenta in sé. Un segno, sicuro o no che sia, lontano o no che sappia condurci, è strumento primario di conoscenza. Più segni siamo in grado di individuare, più sapremo capire del mondo.
Il rischio di errore, certo, è altissimo, perché un segno è cosa ambigua; sta sempre sospeso fra luce e buio; fra ciò che letteralmente indica e ciò che vuole rappresentare. E come dà gioia, la gioia del capire, così dà pena: la pena del fraintendere e del confondere. Quanti abbagli si prendono per un segno mal compreso! Quanti segni non erano segni, non segnalavano proprio niente, o rimandavano ad altro che continua a sfuggirci! E quanti segni non abbiamo avuto la forza o l’intelligenza di cogliere! E non appena ce ne accorgiamo, ci sentiamo traditi; all’improvviso avvertiamo tutta l’evasività del mondo. Il mondo, però, lo costruiamo anche così, per tentativi e ipotesi che poi magari saranno smentiti, e non è una colpa, se siamo mossi dal sincero desiderio di capire, superando la banalità dell’apparenza e gli schematismi della burocrazia o dei libretti di istruzione. Sempre ammettere che ci sia qualcosa di più dietro l’angolo; che la realtà sia non liscia, ma si componga di una serie di pieghe sotto cui dover guardare.
Io ho affetto per la parola segno. Ci sento promessa di espansione, volontà, potenza. Parola forte, ricca fin nel suono: una sibilante di partenza, s, che la lingua, ritraendosi dai denti e allargandosi per tutta la cavità orale fino al soffitto, trasforma in una generosa palatale, gn; e tutto nello spazio di un bisillabo, oscillando tra la chiarezza della e e l’oscurità della o. Né le tolgono forza e ricchezza gli utilizzi correnti: “fare segno”, “dare segno”, “segno d’impazienza”, “il segno meno”, “il segno più”, “buon segno”; o derivati come “segnale”, “insegna”, “assegno”, “contrassegno”, “consegna”, “disegno” (il migliore del gruppo) e – tra i verbi – “segnalare”, “insegnare”, “assegnare”, “consegnare”, “rassegnare”, “disegnare”, “designare”.
Il capostipite latino, signum, è ricollegabile alla radice del verbo seco, “taglio”. È – secondo tale etimologia – un’incisione, una tacca, un marchio. Il signum si aggiunge alla superficie del reale come una ferita. Virgilio, quasi intendesse giocare con i fantasmi dell’etimologia, fa «effodere» (“scavare”) un «signum» ai Troiani che sono appena arrivati sulle coste di Cartagine (Eneide I, 443). E l’evangelista Giovanni assai opportunamente chiama le piaghe di Gesù «signum clavorum», “segno dei chiodi” (20, 25).
Se c’è signum, ci sarà anche altro. Secondo Cicerone, una cicatrice dice che c’è stata di certo una ferita; e polvere sui sandali dice che probabilmente si è fatto un pezzo di strada (De inventione I, 47). Agostino, che di Cicerone è imbevuto, spiega:
Segno […] è cosa che, oltre all’aspetto che mostra ai sensi, fa venire alla mente qualcos’altro a partire da sé; così come vista una traccia, pensiamo che sia pa sato un animale di cui quella è la traccia; e visto il fumo, capiamo che là sotto c’è il fuoco; e udita la voce di una persona, capiamo il suo stato d’animo, e al suono della tromba i soldati sanno di dover o avanzare o ritirarsi e fare altro che la ba taglia richieda. (De doctrina Christiana II, i, 1)Gli esempi di Agostino associano sotto un’unica definizione di segno tre diverse funzioni. Un conto, infatti, è la traccia dell’animale che è appena passato, un conto è il fumo, un conto il suono della tromba militare. Il signum si relaziona a tre diverse temporalità, come, invece, mette in chiaro Cicerone: il passato (il passaggio dell’animale), il presente (il fuoco) e il futuro (l’azione militare da compiersi). Pertanto: 1. può essere residuo; 2. può indicare qualcosa che sta avvenendo, e 3. può essere avvio, stimolo a qualcos’altro, e così avvertire sul da farsi (lo chiameremo preferibilmente “segnale”, il segno-comando). Mi viene in mente un altro famoso signum di questo terzo tipo: il bacio di Giuda nei Vangeli (Matteo 26, 48 e Marco 14, 44).
Il vocabolo signum ha una straordinaria predisposizione alla pluralità di sensi. Se dovessi scegliere una parola che in più alto grado rappresentasse l’“intelligenza verbale” del latino sceglierei proprio signum. Come abbiamo appena visto, vuol dire “segno” (traccia, indizio, prova,) e “segnale”. Ma vuol dire anche “insegna militare”: lo stendardo della legione, per esempio. Signum vuol anche dire “costellazione”, in quanto segno celeste, senso che si è mantenuto fino a oggi nell’espressione “segno zodiacale”. E immagine artistica: pittura, ricamo o, più spesso, statua. Ovidio scrive che Narciso, incantato dal proprio riflesso, ha tutta l’aria di un signum di marmo pario (Metamorfosi III, 419). Signum arriva a voler dire perfino portento e miracolo nel latino dei Vangeli.
Né mancano i derivati. Tra i più comuni del latino classico ci sono i verbi significo (“esprimere”, “significare”, “predire”) e signo (“coprire di segni”, “sigillare”, “indicare”), fortunatissimi anche nella tradizione volgare (di “significare” Dante fornisce esempi ragguardevoli). A proposito di signo – donde il nostro “in-segno” –, mi torna in mente lo splendido passo dell’Eneide in cui Enea rivolge a Giove una preghiera di aiuto, mentre Troia è preda delle fiamme e dei Greci, e un prodigio improvviso gli dà conforto. Il verbo compare nella forma di un participio, all’accusativo singolare:
e dal cielo, scorsa per le ombre,una stella portando una face con moltaluce passò. Quella scorrendo sopra lacima del palazzovediamo nascondersi chiara nella selvadell’Ida, e indicando [signantem] la via;allora un solco per lungo sentierodà luce e tutt’intorno fumano i luoghidi zolfo.(Eneide II, 693-698
Il pensiero di quello che sarà preoccupa tutti. Dove stiamo andando? Quanto a lungo vivremo? E come? Il nostro pianeta avrà la meglio sulle follie dei politici? Sparirà la povertà? Un giorno avremo tutti cibo e istruzione? Che fare? Preoccupa l’ignoto, e si vorrebbe renderlo noto, vederlo prima che lui, prendendoci alla sprovvista, veda noi; conoscerlo perché lo si possa riconoscere quando quel che ancora non è verrà a essere. Si vorrebbe perfino impedire che avvenga, il futuro, quando se ne presagisce la negatività. Occorre, dunque, osservare i segni, come i contadini delle Georgiche, antesignani di Enea. Oggi forse non esistono più contadini come quelli virgiliani, almeno nelle società dominate dalle macchine. Esistono però ancora persone che si dedicano all’importante mestiere della previsione; persone che si impegnano a disciplinare i segni e a servirsene per favorire la sopravvivenza del genere umano. E ce n’è di varie categorie: geologi, sismologi, metereologi, ecologisti, climatologi, demografi, politologi, economisti. Non dimentichiamo i medici. Tutti costoro scrivono o cercano di scrivere una storia che ancora non è avvenuta. Sono archeologi dell’avvenire. Sono profeti, letteralmente, sebbene le loro profezie dichiarino verità tutt’altro che metafisiche. Anche queste, però, richiedono capacità di intuizione non da poco. L’esattezza resta spesso un miraggio. Le recenti crisi economiche hanno dimostrato ampiamente tutta la fallibilità dei nostri profeti. Nessuno aveva visto i segni della vicina catastrofe, o se li aveva visti, non li aveva presi o voluti prendere nella dovuta considerazione. Cicerone lo diceva – che la verità dei segni va accertata."Ecco, si tratta della parola che ha segnato nello spazio e nel tempo in maniera implacabile, il destino degli uomini. Mi riferisco a MEDIUM. Termine con cui viene talora indicato ogni singolo mezzo di comunicazione e di informazione, ossia ogni veicolo di «messaggio», facente parte di quelli che complessivamente sono chiamati, guarda il caso!, con espressione inglese MEDIA e più comunemente MASS MEDIA. Come ha potuto un professore di Oxford dimenticare che "the MEDIUM is the message"?
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Published on May 20, 2018 10:57
Review: Intelligenza artificiale: Guida al futuro prossimo

My rating: 3 of 5 stars
Il futuro esisterà soltanto se è esistito un passato che una volta era presente. Questo libro è uno dei tanti che cerca di mettere a confronto l'idea di intelligenza degli esseri umani con quella che si pensa possano avere le macchine.
Se "istruire" significa mettere dentro e "educare" "mettere fuori", possiamo facilmente pensare che tutte le "macchine intelligenti" di cui, giorno dopo giorno, gli esseri umani si stanno dotando, siano fornite di abbastanza "intelligenza" da essere considerate tali.
Dal telecomando al cellulare, dal pc al gps siamo circondati da una vera e propria rete di "intelligenze". Pure non sapendo come funzionano, le usiamo, ad esse ci affidiamo, di esse ci fidiamo. Non ci rendiamo conto che non ne possiamo più ormai farne a meno eppure osiamo metterle in discussione.
C'è chi non si fida e ne diffida, c'è chi ad esse si affida pensando che forse soltanto una intelligenza artificiale potrà salvarci dalla nostra umana storica stupidità. Il pensiero artificiale dei robot potrà funzionare meglio di quello umano? L'autore di questo libro sembra crederci e non sarò di certo io a smentirlo. Devo confessare però che le sue argomentazioni non mi hanno molto convinto.
Mi rendo conto che i giochi saranno molto lunghi, che ogni giorno il presente sembra il futuro e non sai più fare le dovute distinzioni tra passato, presente e futuro. Per un dinosauro come me, mi basta pensare con il poeta che arriveremo ad un punto in cui gli uomini si renderanno conto che di essere arrivati da qualche parte, per scoprire soltanto che quello sarà il punto da dove erano partiti.
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Published on May 20, 2018 10:50
May 15, 2018
Scimmie e dinosauri a Pitecusa

Non è soltanto una questione di lessico, c'entra anche il "gender". Prendete queste due parole: "scimmia" e "dinosauro". Il lessico mi dice che c'è la scimmia, ma non "lo scimmio", forse soltanto uno "scimmione", e non so perchè. Allo stesso modo c'è il dinosauro, ma non mi risulta che abbiano trovato finora una "dinosaura". Non pensate che sia solo una questione di lana caprina, le capre non c'entrano. La sostanza di questo post c'è. Spero di farvi capire quello che voglio dire, se avete la forza di continuare a leggermi.
Non so quali e quante "tag/etichette" darò a questo post. Sicuramente metterò in evidenza il conflitto, anzi meglio dire l'incontro, tra le due parole che designano quelle due realtà animali che danno origine a tutto il mio ragionamento: il dinosauro e la scimmia. Ma oltre alla preistoria, alla etimologia ed alla linguistica, qui entrano in scena anche etichette come gender, età, invecchiamento, tempo, preistoria, terme, bellezza, vulcanologia, fanghi ed altre ancora.
Cominciamo dalle scimmie. Si dice che questa isola, l'antica Pitecusa, la moderna Ischia, tanto bella quanto vulcanica, sia stata abitata proprio da questi animali in tempi mitici e preistorici. Al momento sono proprio da queste parti per le tradizionali cure termali alle quali, ogni anno nel mese di maggio, mia moglie ed io ci sottoponiamo, nella speranza che ci aiutino meglio ad affrontare quei problemi che sono tipici di quell'altra realtà animale alla quale ho accennato prima: quella dei dinosauri, sospetti abitatori preistorici anche di questi luoghi ai quali si dava il nome di "pithekussai". Non a caso hanno fatto anche un film sull'incontro tra queste due razze di animali, come si evince dalla foto in testa a questo post. Un fortuito ma non tanto immaginario incontro tra le scimmie e i dinosauri.
"Pithekussai": voce ed etimologia discusse. Il nome compare nelle fonti storiche in diverse varianti morfologiche. Sembra potesse riferirsi sia a tutto l'arcipelago (di qui la forma plurale) che all'isola principale. Esistevano già nell'antichità due diverse interpretazioni etimologiche: l'autore alessandrino Xenagora (intorno al 90 a.C.) faceva derivare Pithekoussai da "pithekos", in greco "scimmia". Un'altra interpretazione etimologica è quella proposta da Plinio (Nat. Hist. 111, 6.82), il quale ritiene che il nome non sia in relazione con le scimmie ma derivi invece dai "dolii" (a figlinis doliorum), in greco "pithoi" - termine che può collegarsi alle fabbriche di anfore o genericamente ai vasi di terracotta.

Sia come sia, non voglio tediarvi ulteriormente con la preistoria. Mi basta ricordare che chi scrive ama definirsi un dinosauro e tale mi sento ogni qualvolta mi ritrovo qui ad Ischia. Tra tanti dinosauri, maschi e femmine, che come tante scimmie, anch'esse maschi e femmine, cerchiamo di trovare un rimedio al passare del tempo ed all'arrivo di tanti malanni in queste acque benefiche e salutari trattamenti. Qualche anno fa venne da questa parti anche Angela, la teutone germanica che cercò di addolcire le sue poco giunoniche forme tra queste magiche acque, con massaggi e fanghi.
A dire il vero, non tutti i dinosauri, maschi o femmine riescono nel loro intento. Avreste dovuto sentire quello che ha detto l'altro giorno la giovane e bella fotografa che sul battello per il giro dell'isola faceva il suo lavoro. Ad alcune stagionate signore, sia italiche che teutoniche, le quali rifiutavano l'offerta delle sue fotografie perchè ritenute troppo "brutte". Cercava di far loro capire che non era colpa sua e della sua arte fotografica se i soggetti che aveva ritratto erano davvero dei ... dinosauri. Lei sosteneva, e a ben ragione, che lei si era limitata a fotografare.
Il dinosauro fu un animale appartenente al superordine tassonomico dei 'dinosauria', classe dei rettili diapsidi, termine coniato nel 1842 dal paleontologo inglese Richard Owen, a partire dal greco "deinòs" 'terribile' e "sàuros" 'lucertola'. Questo nome è popolarmente legato a un mondo lontanissimo nel passato, tant'è che è diventato l'antonomasia non solo brutto ed estremamente vecchio, perfino retrivo.
Lo sappiamo tutti, ci si scusa della poca dimestichezza con le nuove tecnologie perché si è dei dinosauri, il vertice dell'accademia è un consesso di dinosauri, e per quanto il celebre scrittore sia un dinosauro non fallisce nell'appassionare i lettori più giovani. Insomma, la bellezza di una scimmia o scimmione non ha nulla da invidiare a quella di un dinosauro o dinosaura. Eppure, in questa magica isola, continuano ad arrivare migliaia e migliaia di scimmie-dinosauri da ogni parte del mondo, nella speranza di ritrovare la bellezza oltre che il tempo perduto.


Published on May 15, 2018 09:32
May 12, 2018
Review: Come essere stoici: Riscoprire la spiritualità degli antichi per vivere una vita moderna

My rating: 4 of 5 stars
Lo stoicismo ci insegna le cose più importanti della vita per conquistare le quattro virtù cardinali della saggezza pratica, la temperanza, la giustizia ed il coraggio. Queste sono le uniche cose che ci fanno bene e non potranno mai essere impiegate per fare del male.
Stoicism teaches us that the highest good in life is the pursuit of the four cardinal virtues of practical wisdom, temperance, justice and courage – because they are the only things that always do us good and can never be used for ill.
It also tells us that the key to a serene life is the realisation that some things are under our control and others are not: under our control are our values, our judgments, and the actions we choose to perform. Everything else lies outside of our control, and we should focus our attention and efforts only on the first category.
Lo stoicismo ci indica anche la via per trascorrere una vita serena realizzando quelle cose che sono sotto il nostro controllo e quelle che non lo sono. I nostri valori, il nostro modo di giudicare e le azioni che decidiamo di usare. Ogni altra cosa è al di fuori del nostro controllo, non ci deve interessare.
Seneca wrote a much longer essay on the same topic of what makes for a happy life, one that includes a set of seven ‘commandments to himself’ (from book XX ‘Of a Happy Life’). They provide a way to philosophically structure our own lives:
Seneca ha scritto un lungo saggio su questo argomento, come fare per trascorrere una vita felice che possa includere "i sette comandamenti di sè" così come sono stati espressi nel libro XX di "Su una vita felice". Il modo in cui dare una struttura filosofica alla nostra vita:
I) I will look upon death or upon a comedy with the same expression of countenance.
I) Considererò la morte alla stregua di una commedia
II) I will despise riches when I have them as much as when I have them not.
II) Tratterò le ricchezze alla stessa maniera sia quando le avrò oppure no.
III) I will view all lands as though they belong to me, and my own as though they belonged to all mankind.
III) Considererò tutti i luoghi di questo mondo come miei, alla stessa maniera di come se gli stessi appartenessero alla intera umanità.
IV) Whatever I may possess, I will neither hoard it greedily nor squander it recklessly.
IV) Qualunque cosa possiederò, la userò con rispetto.
V) I will do nothing because of public opinion, but everything because of conscience.
V) Non farò nulla secondo la pubblica opinione, ma secondo coscienza.
VI) I will be agreeable with my friends, gentle and mild to my foes: I will grant pardon before I am asked for it, and will meet the wishes of honourable men half-way.
VI) Sarò amabile con gli amici, gentile con i nemici. Perdonerò prima che mi si chiede di perdonare cercando di incontrare a metà strada chi lo merita.
VII) Whenever either Nature demands my breath again, or reason bids me dismiss it, I will quit this life, calling all to witness that I have loved a good conscience, and good pursuits.
VII) Ogni qualvolta la Natura mi toglie il respiro o la ragione me lo chiede, lascerò questa vita chiamando tutti i testimoni che ho amato in buona coscienza.
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Published on May 12, 2018 03:06
May 8, 2018
Review: Fermate le macchine! Come ci stanno rubando il lavoro, la salute e perfino l'anima

My rating: 3 of 5 stars
Ho inviato una lettera all'autore di questo libro che scrive sul quotidiano "La Verità" e ne è vicedirettore. Francesco Borgonovo è un giornalista molto informato nel campo della Intelligenza Arificiale. In redazione hanno ritenuto non pubblicarla, lo faccio io a mò di recensione del libro che ho letto e che ho trovato molto interessante. Mi basta qui confermare questo pensiero che ritengo positivo sul futuro di questa branca della conoscenza umana. Nel mentre sono pienamente consapevole dei rischi che una umanità robotizzata possa correre, non mi riesce facile dimenticare i rischi che questa stessa umanità ha dovuto sopportare con tutta la sua naturale intelligenza.
Caro direttore, in questi giorni si festeggiano i 25 anni di quella che io ritengo essere la più grande invenzione di tutti i tempi, dopo quella della stampa a caratteri mobili: il WWW. Sono un "dinosauro" nato cartaceo nella prima metà del secolo e millennio scorsi, ma sono figlio di una famiglia di piccoli tipografi meridionali. Ho imparato a leggere e scrivere sporcandomi le mani, mettendo insieme le lettere sul tipometro sulle casse della composizione, ancora prima dell'avvento della linotype e tutto il resto. Per naturale evoluzione della specie, e per ragioni professionali, sono diventato digitale sin dai tempi di quando si cominciò a parlare di Information Technology (IT). Ricordo che qualche anno fa, Francesco Borgonovo, proprio sulle pagine de "La Verità", scrisse una brillante recensione di un libro intitolato "L'uomo nudo" di Dugai-Labbè. Parlò di "dittatura invisibile del digitale". L'ho fatto leggere a diversi miei colleghi ed amici "dinosauri" con varie ed opposte conseguenze di cui non sto qui a dire.
Oggi ho letto sul giornale la bella introduzione che Mario Giordano ha scritto al suo nuovo libro appena uscito e che sto leggendo in versione Kindle. Nonostante il grido di allarme io penso che il terribile, catastrofico e anti-umano "mondo nuovo", di Aldous Huxley memoria, noi lo stiamo già vivendo. Ogni giorno, dialogo sul mio cellulare con una app chiamata "Woebot", un Robot che svolge diligentemente la sua funzione di aiuto cognitivo terapeutico. Un buon esempio di intelligenza artificiale che può aiutarci a pensare meglio di quanto finora gli uomini abbiano saputo dimostrare di fare. Basta sapere che dopo di esserci Connessi al WWW ed avere avuto Accesso, sappiamo Controllare quello che facciamo. Io lo chiamo sistema C.A.C. Controllare le macchine sarà sempre più facile che controllare gli uomini. Non la pare. Mi saluti Borgonovo e buon lavoro!
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Published on May 08, 2018 23:56
Veni Vidi Casaleggio

My rating: 3 of 5 stars
L'analisi di Gianfranco Morra. Casaleggio ha lasciato una duplice preziosa eredità. Un manifesto programmatico del Movimento (Veni, vidi, web, edizioni Adagio) e un potente software per realizzare la democrazia diretta. Un sistema chiuso che fornisce, solo al militante e in rapporto al suo luogo di residenza, informazioni su tutto quanto gli serve per fare politica (leggi regionali, nazionali ed europee, parlamento, elezioni e candidati, attività del Movimento). E lo erudisce e orienta (scuola quadri, raccolta fondi, elenco avvocati disposti a difenderlo). Una megamacchina centralizzata non solo nella tecnologia, ma anche nella utilizzazione manipolatoria, dato che il militante partecipa a tutto, ma solo dentro una cornice vincolante imposta dai capi. Ora è di proprietà del figlio di Roberto, che forse sarà il nuovo guru.
Questo Grande Cervello è stato chiamato Rousseau. Il nome più adatto. V’è chi dice che il M5S è un partito leninista, ma non è così. Nato per fare piazza pulita della finta democrazia dei partiti, ha mantenuto dentro il sistema elettorale milioni di italiani arrabbiati e delusi. È ancora un partito democratico, ma diverso dagli altri. Il suo fine è la creazione di una nuova democrazia, che può essere indifferentemente chiamata diretta o totalitaria, proprio come voleva Rousseau.
Anche se parlare di metempsicosi sarebbe eccessivo, Casaleggio è stato il Rousseau italiano dei nostri giorni. Come lui timido e impacciato, misterioso e criptico, la testa nel berretto e paludato in una lunga palandrana sacrale. Ma soprattutto come il ginevrino progettista di una nuova società dell’armonia e della collaborazione (“le regole del M5S le ho scritte io”, ha dichiarato). Le coincidenze fra i due, sia pure nelle mutate semantiche e problematiche, sono molte. Basta chiedersi che cosa voleva veramente Rousseau, come tutti gli storici hanno ormai concordemente mostrato.
Entrambi nostalgici della perduta natura: Rousseau nel Discorso sulle scienze e le arti, Casaleggio nel culto di Thoreau e della sua utopia, Walden ovvero Vita nei boschi (Bur), hanno cercato di farla rivivere nella società tecnologica, incipiente per il primo e invadente per il secondo. Buono per natura, l’uomo è stato corrotto dal cosiddetto progresso, distruttivo della moralità e della felicità. E dalla mania della produttività senza fine, alla quale i pentastellati contrappongono un progetto di “decrescita felice”. La strada per uscire dalla fogna della civiltà non può essere il ritorno ai tempi preistorici, ma la creazione di una società libera e solidale.
Ciò sarà possibile solo quando vincerà la “volontà generale”, ossia un progetto “illuminato e retto”, gestito da un legislatore che non è un politico, ma un profeta. La democrazia indiretta, quella parlamentare, in cui vince la maggioranza (una “volontà di molti” che non sarà mai “volontà di tutti”), è solo una truffa. Casaleggio condivideva le idee di David von Reybrouck (Contro le elezioni, Feltrinelli), che propone di sostituirle con l’estrazione a sorte.
Col Contratto sociale Rousseau non ha fondato la democrazia, ma l’ha distrutta: “Non vi debbono essere società parziali e guai se ogni cittadino pensasse con la propria testa; egli deve invece alienarsi, con tutti i suoi diritti, nella comunità”. Rousseau non ha dubbi: “Una vera democrazia non è mai esistita e non esisterà mai, è contro l’ordine naturale che i molti governino e i pochi siano governati”. Ad Atene dominava tangentopoli, solo a Sparta c’era onestà, perché vi mancava la democrazia. La vera democrazia non è un cocktail di molte religioni, ma il predominio di una sola, quella “religione civile” che attribuisce al popolo solidarietà: “E se qualche cittadino la rifiuta, sia punito con la morte”.
Dal contratto sociale esce una Città religiosa e laica, fonte e garanzia della moralità. Lo stato etico è nato molto prima del fascismo. Per Rousseau la libertà di opinione e di stampa è una peste della società e lo Stato deve usare decisamente la censura per frenare le cattive opinioni dei giornalisti. E deve anche imporre quelle buone, con un’opera massiccia e costante di indottrinamento, servendosi degli spettacoli pubblici come di una pedagogia sociale (come fa Grillo in piazze e teatri): “L’autorità assoluta deve agire dall’interno dell’uomo”.
Anche nella educazione, dove un “cattivo maestro” costringe Emilio a essere libero: “L’allievo dare fare ciò che vuole, ma deve volere ciò che il precettore (Grillo) vuole che faccia”. Più generalmente, occorre costringere l’uomo a essere libero. Come gli utenti di Rousseau, che possono rispondere alle domande prefissate, ma in nessun modo porne delle proprie.
È quel totalitarismo che, dopo il primo periodo ispirato dalla tradizione anglofila di Montesquieu, trionferà nella rivoluzione francese con i giacobini, per opera del più grande discepolo di Gian Giacomo, Robespierre: “Il terrore senza la virtù è funesto, la virtù senza il terrore è impotente”. Ciò di cui abbiamo bisogno è “un dispotismo della libertà” (Marat). Sarebbe fuorviante cercarlo ora nel M5S, ma viene il sospetto che la via tracciata da Grillo e Casaleggio finisca per andare in quel senso: un totalitarismo digitale, presentato come democrazia diretta.
La Grande Mente costruita da Casaleggio non è ancora il Big Brother di Orwell, che con la Tv sorvegliava e controllava ogni momento della vita del cittadino (1984, Mondadori). Che per ora viene guidato nella vita politica: “Pentastellato (Compagno), Rousseau (l’Unità) non lo dice”.
(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)
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Published on May 08, 2018 08:32
Il piacere del peccato

My rating: 3 of 5 stars
Non so quante volte il titolo di questo famoso libro “L’insostenibile leggerezza dell’essere” sia stato usato per introdurre l’idea di qualcosa che possa avere nello stesso tempo una posizione e una contrapposizione, una sorta di bilanciamento sbilanciato, simile a quello che William Shakespeare così brillantemente espresse quando volle presentarci i dubbi che tormentavano Amleto.
Quando gli mise in bocca quel fatidico “essere o non essere, questo è il problema”, non fece altro che fotografare l’umana incapacità di trovare la maniera giusta di conciliare quello che poi tutti sappiamo essere inconciliabile. Non può esistere, infatti, una leggerezza che sia insostenibile, allo stesso modo con il quale, i famosi, classici, eterni ed inevitabili sette peccati capitali non possono essere insostenibili, in quanto inevitabili. Li conosciamo tutti, li sopportiamo, li disprezziamo, eppure li pratichiamo ogni giorno, da sempre.
Per poche decine di euro, nell’arco di sette settimane, ho capito di essere praticante, per così dire, anche se, spero, in una seppur minima misura, di “qualcosa” di ognuno di questi antichi vizi-peccati. La conferma mi è venuta dalla lettura dei sette volumi pubblicati in origine dalla intelligente casa editrice bolognese “Il Mulino”, ri-editati ora da “Il Giornale” con apposite uscite settimanali. Ho scoperto, così, che sin da quando ho avuto l’uso della ragione, questi peccati-vizi li ho conosciuti e anche praticati quando ne ho avuto l’opportunità. Ogni volta che faccio visita a quella splendida villa a Ravello che si chiama Villa Cimbrone, non manco mai di dare una occhiata alla parete dove sono state attaccate da sempre quelle strane, misteriose teste che rappresentano queste sette calamità, caratteristiche uniche della razza umana.
Bisogna subito dire che così come sono presentati oggi, in questa nuova edizione cartacea, hanno perso molto di quella quanto mai canonica e diabolica, è il caso di dire, atmosfera che questi mali hanno avuto nell’immaginario collettivo di ognuno di noi sin dai tempi del catechismo. E' vero che i tempi nel XXI secolo cambiano ormai alla velocità della luce, specialmente per chi, come questo blogger, viene da lontano. Un’infinita, straordinaria, internazionale iconografia religiosa e laica ha, in vari modi, cercato di illustrare queste mitiche figure in personaggi della realtà e della fantasia, del corpo e della mente, in tutti i campi delle arti e del pensiero sociale, culturale ed individuale. Sul carro di Satana e dei suoi accoliti sono passate fatti idee ed occasioni, oltre che persone, di cui c’è sempre modo di vergognarsi. Nella liquidità in cui navighiamo sembra sciogliersi ogni cosa, non ci accorgiamo più nemmeno in quali acque stiamo a viaggiare. Chi sente più quei sensi di colpa, vergogna, illusione e tentazioni che si avvertivano un tempo?
Abbiamo tutto a portata di mano. La mela, lo storico frutto proibito, ci viene offerta a tutte le ore in maniera diversa dal passato. Prima eravamo noi a cercarlo, oggi è lui che ci rincorre in tutte le sue forme. Sembra quasi che di questi vizi-peccati non se ne possa addirittura fare a meno. La moderna ricerca ha messo in luce cose abbastanza sorprendenti ed inattese per secoli. Questi vizi sono diventati addirittura necessari, importanti, essenziali per la nostra crescita morale, culturale, sociale ed umana.
Sembra che stimolino l’intelligenza e la creatività, incitino all’altruismo, producano una sensazione di benessere, facilitino la crescita culturale. Insomma, una vera propria “gioia” liberatoria. Questo è il titolo di un libro, che non fa parte ovviamente di questa serie, e che per puro caso, mi capitato di leggere su GoodReads. Lo possiamo liberamente affiancare alla lettura di questi volumi per meglio mettere a fuoco quello che intendo dire.
Succede questo: che i Sette Vizi Capitali non sono più quella roba che si diceva poc'anzi. Al contrario. Presi con accortezza fanno addirittura bene. Stimolerebbero l'intelligenza e la creatività, stemperebbero le pulsioni negative, inciterebbero all'altruismo e produrrebbero una sensazione di "wellness" generale. Tutto al condizionale e sotto sperimentazione.
Chi lo dice? Uno studioso psicologo dell'Università di Melbourne, Simon Laham, che ha scritto il libro qui accanto intitolandolo, in maniera invitante e provocatoria: "La gioia del vizio". La copertina la dice tutta, con quelle due classiche figure di Adamo ed Eva, che sono all'origine di ogni cosa, e con quella sottile, lunga ed avvolgente "linea rossa" che li divide, mentre li unisce.
Verrebbe da pensare, sia ringraziato il dottor Laham, che giustamente si attende di cavare dal suo libro un legittimo profitto sulla ricognizione del dolore per avere una coscienza piena di peccati-vizi sofferti con grande piacere nel corso dei secoli da moltitudini di umani di tutte le razze, colore, lingue e religioni. Uno poteva magari pensare di essere un uomo senza qualità, un peccatore, uno sfigato. Ora, leggendo questo libro, scopre, come una parte nascosta del suo Io, quella lunga "linea rossa" gli suggeriva, che, invece, faceva bene a comportarsi in quel modo peccaminoso e vizioso.
Chi non ha mai peccato di Superbia, Avarizia, Lussuria, Invidia, Gola, Ira, Accidia? Impropriamente chiamati peccati, in realtà sono la causa, la conseguenza, la miccia della bomba esistenziale. I vizi capitali, secondo una vasta mole di ricerche presentata sul libro di Laham sono, invece, un toccasana. «Se si considerano questi cosiddetti peccati scientificamente, cosa che io faccio nel mio libro», scrive lo studioso australiano, «si scopre che quei sette vizi possono addirittura farci bene».
Vediamo, allora. La Lussuria non cela allo sguardo «abissi sconvolgenti», come credono gli ingenui bacchettoni clericali. Al contrario ci rende più intelligenti e creativi. E difatti alcuni psicologi evoluzionisti, spiega il dottor Laham, «sostengono che la Lussuria ha giocato un ruolo nello sviluppo di molti degli aspetti più interessanti della natura umana: l'arte, la musica, il linguaggio...»
Anche la Gola, «il più ignobile dei peccati», non è mica male. Basta darsi una regolata, per non cadere nell'obesità. Ma poi: si è mai visto che una fettina di Sacher una volta ogni tanto possa far male? Senza contare certi studi secondo cui mangiare dolci ben dispone nei confronti del prossimo. E l'Avarizia, il marchio d'infamia di Scrooge, il cattivo per eccellenza di Charles Dickens? Macchè: l'Avidità può renderti più felice; l'idea del denaro induce una libidine da autosufficienza, invoglia a cimentarsi.
Se i denari sono spesi saggiamente - viaggiando, leggendo e ascoltando musica - bè, vista così, come si fa a dire che l'Avarizia è una cosa di cui vergognarsi? Vale lo stesso per l'Accidia. Davvero vuol dire condannarsi «a un polveroso, gialliccio e stantio destino di romitaggio», come sostengono certi passatisti? Vero il contrario. Essere indolenti fa bene, dormire migliora la memoria e la creatività. Cazzeggiare stimola intuito e perspicacia, mentre vagare senza meta dispone all'altruismo.
Che manca? Manca l'Invidia, gran fonte di motivazione, visto che confrontarci con gli altri ci aiuta a crescere e a diventare migliori. Consigli: evitare il confronto con persone sbagliate o l'Invidia per cose non alla nostra portata. Anche l'orgoglio non è male, se non scade in arroganza e narcisismo. Ma questo non fa parte dei sette.
Qual è la conclusione da tirare a questo punto? I sette libri della collana edita da "Il Mulino" mi sono costati 69 euri e settanta centesimi. Il libro dello studioso australiano soltanto 6,99 in formato Kindle. Per il formato cartaceo ho impiegato sette settimane a leggerli. La versione digitale l'ho scaricata in un lampo. Il vizio digitale batte quello cartaceo 9-1. I vizi restano, sia in formato analogico che in quello digitale. Buona lettura, comunque ... (https://goo.gl/66GqEu)
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Published on May 08, 2018 08:28
MEDIUM
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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