Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 121

March 21, 2018

"Originali o plagiari, romanzieri di noi stessi"


Ha scritto Ortega Y Gasset: “originale o plagiario, l’uomo è il romanziere di se stesso”.  In questo post, su questo blog, mi tocca fare la recensione di un libro che, guarda caso, è nato in questo spazio virtuale nell’arco di un paio di decenni di scritture digitali. Mi riferisco al libro di cui vedete l’immagine di copertina qui a fianco. 
Mettiamo subito in chiaro cosa si debba intendere con quelle due parole usate per descrivere l'uomo che scrive, il "romanziere" di se stesso. Cos'è, o cosa debba chiamarsi esattamente "originale" e  cosa "plagiario". 
Ho scritto in questo libro che Adamo fu il primo uomo a sapere che tutto quello che diceva, non era stato già detto da nessuno. Fu lui, infatti, a cominciare a pensare e a sentire il bisogno di comunicarlo agli altri. Questa, credo, sia essenzialmente la ragione per la quale tutti siamo portati a scrivere. Non può esserci vita senza che ogni essere vivente non senta la spinta, la necessità, il bisogno di comunicare. 
Del resto, tutti gli elementi che ci circondano, tutte quelle sostanze di cui sembriamo essere fatti, anche "quelle di cui sono fatti i sogni”, tutto ciò che chiamiamo "Natura", comunica con noi in continuazione. Dobbiamo, dovremmo essere noi a capire, ricevere, trasmettere e condividere quanto merita di essere condiviso. Con migliaia e migliaia di anni alle spalle, civiltà dopo civiltà, lingue su lingue, se si è onesti con se stessi e con gli altri, potrei dire con T. S. Eliot che "tutta la nostra conoscenza ci porta più vicini alla nostra ignoranza". 
Ma se credessi in una affermazione del genere, smentirei la ragione per la quale ho sentito il bisogno di scrivere questo libro. E qui mi viene da citare un altro aforisma che mi sorprendo spesso a ricordare: "Ogni uomo è un libro, ogni libro è un uomo". Che libri siano! allora, da essere scritti e letti. Spero chi lo leggerà potrà trovare nelle sue pagine un motivo ed una ragione in più per convincersi che, nella infinita biblioteca del mondo, ogni uomo ha il suo posto. Sta a lui decidere e sapere come scriverlo.
Ci sono diversi elementi, comunque, che caratterizzano questo mio libro. Mi rendo conto che fare la recensione, o quanto meno scrivere di un proprio libro, è una cosa quanto meno insolita. Posso essere facilmente accusato di esibizionismo, narcisismo ed anche presunzione. Ci sarebbero tutte le buone ragioni per dirlo. Sono sicuro che dopo la presentazione del libro e la sua messa in rete o sul mercato, ci sarà sempre qualcuno che troverà il modo di esternare critiche e commenti del genere, stroncature o quant'altro possa essere espressione di legittima critica. Il fatto è dietro la stesura di questo libro si nascondono anche altre ragioni che meritano di essere conosciute. 
La prima di queste ragioni è di grande attualità. Stiamo vivendo l'ingresso in una nuova ed importante rivoluzione, quella che un filosofo italiano, naturalizzato britannico, ha chiamato in un suo recente libro: "La quarta rivoluzione: la infosfera". Dopo le prime tre, quella di Copernico, di Darwin e di Freud, arriva quella della "infosfera".  Floridi scrive: 
"Stiamo accettando l'idea di non essere i soli e unici Robinson Crusoe su un'isola bensì "Inforgs", organismi informazionali reciprocamente connessi in un ambiente (infosfera) che condividiamo con altri organismi sia naturali sia artificiali, che processano informazioni logicamente e autonomamente.  Ma "inforgs" non fa rima con "cyborgs": questa quarta rivoluzione, lungi dal supporre un'umanità geneticamente modificata, è contemporaneamente causa ed effetto del cambiamento della «nostra concezione di cosa significhi essere umani»". 

La seconda ragione si basa sulla considerazione che tutto in rete nasce digitale, in modo aperto e condiviso, in una realtà che poggia su qualcosa che assume un nome che, nonostante le sue origini, non ha niente di massiccio, concreto, materiale. La parola è "piattaforma digitale". Google è la piattaforma di riferimento sulla quale nasce il più potente motore di ricerca che l'uomo abbia mai inventato, e che ormai passa sotto il nome di "grande fratello". Un esempio ed una logica, evidente conseguenza di quella "infosfera" di cui scrive il filosofo Floridi. Su questa piattaforma risiede questo blog e questa mia storia.
La terza ragione per scrivere questo libro rientra in quella strana logica che spesso porta la nostra esistenza a chiamarla "coincidenze significative". Senza addentrarmi nel ginepraio di analisi junghiane, legate a sincronicità e coincidenze di fatti ed eventi, dirò soltanto che la nostra vita è costellata di eventi che consideriamo coincidenze. La coincidenza indica due o più eventi che avvengono insieme (co-incidenza). Accadono due, o più, fatti collegati tra loro, ma in modo non causale, ossia senza rapporto di causa-effetto. Possono essere azioni, fatti, sogni, ricordi. I termini della relazione che creano una coincidenza possono essere molto differenti tra loro, ma ugualmente importanti.   Alcune di queste coincidenze assumono ai nostri occhi importanza, suscitano il nostro interesse e non le consideriamo “semplici coincidenze”, ma vi intravediamo un significato. 
Come definire, allora, il fatto che l'autore di questo libro sia il figlio di un tipografo che ha avuto nel corso di una lunga attività lavorativa nell'arte tipografica anche il padre dell'editore del suo libro? Che poi questo padre sia stato anche a sua volta tipografo il quale fece una riedizione della storia della Città di Sarno la quale era stata stampata decenni prima dal padre di questo blogger, e che questo blogger sia stato quel giovane apprendista che portava le bozze di quel libro? 
Che pensare poi del fatto, (sempre puramente casuale?), che durante la preparazione di questo libro la moglie dell'editore, figlio di quello stampatore, a sua volta allievo di quel tipografo, si sia trovata candidata in un movimento politico fondato su una piattaforma digitale la quale l'avrebbe poi eletta Senatrice al Parlamento per il territorio della Città di Sarno?  Una piattaforma digitale simile a quell'altra piattaforma  sulla quale questo blogger ha scritto le sue memorie. 
Due piattaforme che segnalano non solo grossi cambiamenti sociali, umani e politici, ma sono anche il segno di un cambiamento epocale in quell'ambiente che, come abbiamo visto innanzi, il filosofo Luciano Floridi ha chiamato "infosfera". Possono tutte queste situazioni essere chiamate soltanto coincidenze? Non assumono, forse, anche il significato di un diverso modo di intendere l'evoluzione della realtà?  Sono soltanto "coincidenze significative" oppure abbiamo bisogno di nuovi mezzi e diversi sistemi per leggere la realtà?
A questi interrogativi, credo, cerca di dare una risposta, nel suo piccolo, questo libro che non ha nessuna ambizione accademica, nessun interesse speculativo, nè tanto meno velleità culturali. Intende soltanto essere, per un "dinosauro" quale questo blogger si ritiene di essere, l'occasione di una testimonianza scritta su di un antico territorio quale quello della Valle dei Sarrasti. Vuole, altresì, segnalare la necessità per ognuno di noi di scrivere messaggi significativi e di cambiamento nel libro che tutti siamo chiamati a scrivere durante le giornate della nostra esistenza. Originali o plagiari, siamo tutti destinati ad essere "romanzieri" di noi stessi.

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Published on March 21, 2018 13:14

March 14, 2018

Elogio del cervello: Stephen Hawking



Il 14 marzo dell'anno 2018 il mondo ha perso una delle più brillanti menti scientifiche della storia moderna dell'umanità. Stephen Hawking nacque l'8 gennaio del 1942 nello stesso giorno che segnava il trecentesino anniversario di un altro genio della scienza umana, Galileo Galilei (1564-1642). 
Nonostante quella terribile diagnosi di sclerosi amiotrofica laterale (ALS) all'età di 21 anni, con il verdetto di vivere soltanto un paio di anni, Hawking ha potuto trascorrere una vita estremamente produttiva. Nonostante la tremenda invalidità fisica, la sua vita intellettiva è stata estremamente intensa. 
Come ebbe modo dire in un suo scritto, "la perdita dell'uso delle mie mani, mi ha costretto a viaggiare nell'universo della mia mente". Grazie a questi suoi fantastici viaggi, Hawking ha contribuito allo studio sui buchi neri, sul Big Bang, sulla relatività generale, la fisica quantistica, la cosmologia, per dire solo alcuni dei suoi contributi ai rami delle scienze. 
Per 30 anni, all'università di Cambridge, sulla cattedra che fu di Sir Isaak Newton, ha scritto sette libri e ha collaborato ad altri cinque. Il suo libro "Breve storia del tempo" del 1992 ha venduto circa dieci milioni di copie. Un ricordo personale desidero esprimere in occasione della scomparsa di questo grande cervello, imprigionato in un fisico condannato dalla malattia. Emily Dickinson ebbe modo di scrivere questi versi a riguardo: 
Il Cervello - è più esteso del Cielo -Perché - mettili fianco a fianco -L’uno l’altro conterràCon facilità - e Te - in aggiunta -Il Cervello è più profondo del mare -Perché - tienili - Azzurro contro Azzurro -L’uno l’altro assorbirà -Come le Spugne - i Secchi - assorbono -
Il Cervello ha giusto il peso di Dio -Perché - Soppesali - Libbra per Libbra -Ed essi differiranno - se differiranno -Come la Sillaba dal Suono ----The Brain - is wider than the Sky -For - put them side by side -The one the other will containWith ease - and You - beside -The Brain is deeper than the sea -For - hold them - Blue to Blue -The one the other will absorb -As Sponges - Buckets - do -
The Brain is just the weight of God -For - Heft them - Pound for Pound -And they will differ - if they do -As Syllable from Sound -
Il cervello, è appunto la chiave di tutto. Quando ero un giovane studente infermiere, nell'altro secolo e millennio, in quello ospedale scomparso a nord di Londra, diventato "derelict place" del tempo, avevamo molti pazienti nelle sue stesse condizioni fisiche. Li accudivamo e li aiutavamo a vivere senza che molti di essi non sapessero nemmeno che esistevano. Cerebrolesi totali assenti a se stessi ed al mondo. Mi sono chiesto per anni come questa grande mente potesse continuare a manifestarsi in quel corpo tanto deformato. 
1. Sulla vita«Per quanto difficile possa essere la vita, c'è sempre qualcosa che è possibile fare. Guardate le stelle invece dei vostri piedi».
«Siamo solo una specie evoluta di scimmie su un pianeta minore di una stella media. Ma siamo in grado di capire l’universo. Questo ci rende qualcosa di molto speciale».
«La vita sarebbe tragica se non fosse divertente».
2. Su Dio e la religione«Servirsi di Dio come di una risposta alla domanda sull’origine delle leggi equivale semplicemente a sostituire un mistero con un altro».
«C’è una fondamentale differenza tra la religione, che è basata sull’autorità, e la scienza, che è basata su osservazione e ragionamento. E la scienza vincerà perché funziona».
3. Sui buchi neriEinstein sbagliò quando disse: "Dio non gioca a dadi". La considerazione dei buchi neri suggerisce infatti non solo che Dio gioca a dadi, ma che a volte ci confonde gettandoli dove non li si può vedere.
4. Sull'intelligenza«Considero il cervello come un computer che smetterà di funzionare quando i suoi componenti si guastano. Non c’è paradiso né aldilà per i computer rotti. L’aldilà una favola per le persone che hanno paura del buio».
«Le persone silenziose sono quelle che hanno le menti più rumorose».
«Non ho idea del mio quoziente. Le persone che si vantano del proprio quoziente intellettivo sono dei perdenti».
5. Sulla malattia«Le mie aspettative sono state ridotte a zero quando avevo 21 anni. Tutto da allora è stato un bonus. È quando le aspettative sono ridotte a zero che si apprezza veramente ciò che si ha».
6. Sugli extraterresti«Se gli alieni dovessero venire a farci visita, il risultato sarebbe come quando Colombo sbarcò in America: in quell’occasione non andò bene ai nativi americani».
«La vita sarebbe tragica se non fosse divertente».
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The greatest enemy of knowledge is not ignorance, it is the illusion of knowledge.
We are just an advanced breed of monkeys on a minor planet of a very average star. But we can understand the Universe. That makes us something very special.
The whole history of science has been the gradual realization that events do not happen in an arbitrary manner, but that they reflect a certain underlying order, which may or may not be divinely inspired.
Intelligence is the ability to adapt to change.
We are all different, but we share the same human spirit. Perhaps it’s human nature that we adapt and survive.
However bad life may seem, there is always something you can do and succeed at. Where there’s life, there’s hope.
Mankind’s greatest achievements have come about by talking and its greatest failures by not talking. It doesn’t have to be like this. Our greatest hopes could become reality in the future. With the technology at our disposal, the possibilities are unbounded. All we need to do is make sure we keep talking.
It surprises me how disinterested we are today about things like physics, space, the universe and philosophy of our existence, our purpose, our final destination. Its a crazy world out there. Be curious.
I am just a child who has never grown up. I still keep asking these “how” and “why” questions. Occasionally, I find an answer.
[Hawking’s advice to his children] One, remember to look up at the stars and not down at your feet. Two, never give up work. Work gives you meaning and purpose, and life is empty without it. Three, if you are lucky enough to find love, remember it is there and don’t throw it away.
Keeping an active mind has been vital to my survival, as has been maintaining a sense of humor.
If we find the answer to that (why the universe exists), it would be the ultimate triumph of human reason. For then we would know the mind of God.
We are each free to believe what we want and it is my view that the simplest explanation is there is no God. No one created the universe and no one directs our fate. This leads me to a profound realization. There is probably no heaven, and no afterlife either. We have this one life to appreciate the grand design of the universe, and for that, I am extremely grateful.
I regard the brain as a computer which will stop working when its components fail. There is no heaven or afterlife for broken down computers; that is a fairy story for people afraid of the dark.
There is a fundamental difference between religion, which is based on authority, [and] science, which is based on observation and reason. Science will win because it works.
Government works best under the glare of public scrutiny. Absent such scrutiny, abuses occur.
Aggression, humanity’s greatest vice, will destroy civilization.
We are in danger of destroying ourselves by our greed and stupidity. We cannot remain looking inwards at ourselves on a small and increasingly polluted and overcrowded planet.
It is a waste of time to be angry about my disability. One has to get on with life and I haven’t done badly. People won’t have time for you if you are always angry or complaining.
Try to make sense of what you see and wonder about what makes the universe exist. Be curious, and however difficult life may seem, there is always something you can do, and succeed at. It matters that you don’t just give up.
We now know that our galaxy is only one of some hundred thousand million that can be seen using modern telescopes, each galaxy itself containing some hundred thousand million stars.
It is hard to imagine how free will can operate if our behavior is determined by physical law, so it seems that we are no more than biological machines and that free will is just an illusion.
Some people would claim that things like love, joy and beauty belong to a different category from science and can’t be described in scientific terms, but I think they can now be explained by the theory of evolution.
If a star were a grain of salt, you could fit all the stars visible to the naked eye on a teaspoon, but all the stars in the universe would fill a ball more than eight miles wide.
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Published on March 14, 2018 07:20

March 3, 2018

Il libro che non si finisce mai di leggere

Sono milioni i libri che non si finiscono, non finiamo mai di leggere. Molti non lo dicono, senza spiegarne il perchè. Tanti si limitano a dire che non l'hanno finito per varie ragioni. Altri, magari, lo danno per letto alla loro maniera, dicendone quello che pensano, limitandosi a ripetere ciò che hanno detto altri. 
Insomma, niente di male. Tutto rientra nel modo che ogni lettore ha di leggere un libro. Ci sono, poi, anche quelli che dicono di non aver finito di leggere quel libro perchè sentono sempre il bisogno, la necessità, avvertono l'importanza di rileggerlo in quanto in esso vi ritrovano sempre qualcosa di nuovo e di diverso. 
Questo può essere, ad esempio, il caso dei libri sacri come per la Bibbia. Non è da considerarsi questo un semplice un libro, ma una vera e propria biblioteca, non a caso suddivisa nel Vecchio e nel Nuovo Testamento. Ma, anche se si finisce di leggerlo, questo come altri libri, sono continuamente riletti per ragioni che vanno ben aldilà di una tradizionale lettura. 
Quella scrittura, nel momento della lettura e rilettura, diventa quanto mai ripetitiva e si trasforma in preghiera monologante. Non intendo entrare in questo particolare aspetto della lettura legato alla preghiera che abbisogna di ben altro approccio. Desidero in questo post parlare di un mio libro in prossima uscita, nato e cresciuto in gran parte digitale, una vera e propria costola di questo blog vecchio ormai di due decenni, riportato in cartaceo e pubblicato in una tradizionale edizione cartacea. 
Chi avrà tra le sue mani questo volume, inizierà la lettura cominciando a sfogliare le sue pagine, scorrere i vari articoli con la possibilità di interrompere la sua lettura ed entrare nella lettura in rete semplicemente digitando al suo pc, tablet o smartphone gli eventuali accessi che il libro propone. Le novanta "unità di lettura" di cui è formato il libro, come si può vedere scorrendo il suo indice, sono soltanto una occasione di lettura che può essere estesa, allungata, approfondita in quella estensione digitale che la Rete permette. 
Ecco perchè ho detto sin dagli inizi di questo post che questo è un tipico libro che il lettore avrà la possibilità di non finire mai di leggere. Nella creazione di questo libro ho dovuto necessariamente selezionare soltanto un certo numero di articoli, recensioni, appunti, note e osservazioni pubblicate nel corso degli anni sul blog e altrove. Intendo così dimostrare, in maniera semplice ed evidente, come il cartaceo e il digitale possono/devono procedere insieme, in sinergia verso un futuro che sarà sempre di più destinato ad essere diverso da quello che stiamo vivendo. 
"La politica non capisce il digitale ed è un grave problema. Il digitale sta plasmando l’ambiente in cui viviamo. Non è più solo una dimensione della comunicazione. Chi lo costruisce fa la politica di quello spazio. Ma in questo spazio la politica non c’è. Lo Stato è assente. È solo uno spazio aziendale. E così la politica perde una grande occasione di migliorare la società ... Si tratta di entrare in una nuova fase dell’umanità. Una in cui si prenda consapevolezza dell’impossibilità di continuare a sfruttare il pianeta e riempirlo di oggetti. Il digitale permette di approcciare meglio la possibilità di sganciare il capitalismo dal consumismo. Perché crea la precondizione di un’economia che funziona molto meglio per il ventunesimo secolo. Ma tutto questo mi sembra del tutto assente nel dibattito politico attuale."

Così ha scritto Luciano Floridi, docente di filosofia ed etica dell'informazione all’University of Oxford e Direttore del "Digital Ethics Lab" dell' "Oxford Internet Institute". Ho riportato la sua importante ed autorevole opinione in un mio post precedente qui al link. Lo leggano i nostri uomini politici, gli intellettuali, gli operatori economici e chiunque altro ha a cuore la crescita morale, economica ed intellettuale del nostro Paese.
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Published on March 03, 2018 07:08

February 26, 2018

La Regina innamorata dell'italiano

L'articolo
Ho letto una lunga e dotta recensione di Luigi Sampietro su "Il Sole 24Ore" di domenica 25 febbraio riguardante un libro appena uscito in America. Si occupa della nota passione di una regina inglese per l'italiano, come lingua non come persona: Elisabetta I Tudor, regina d'Inghilterra e d'Irlanda, dal 17 novembre 1558 fino alla sua morte 1603. 

Si tratta della sua corrispondenza in lingua italiana, lettere che gettano una nuova ed esclusiva luce sui suoi interessi, non solo politici, ma anche linguistici e culturali. Si tratta di documenti accompagnati da introduzione e commento sui contenuti di grande interesse storico, politico e diplomatico. La nostra lingua era la lingua della diplomazia del tempo, come di gran parte della cultura europea. 
Il Professore Carlo M. Bajetta, il curatore del libro, ha lavorato per anni in ricerche su documenti sconosciuti e segreti in un periodo storico che è stato soprannominato "il mito di Gloriana", riferito a Elisabetta I.  Il recensore sul giornale italiano ha chiuso il suo articolo con questa conclusione che ripropongo alla lettera: 
"E' un libro per topi di biblioteca che, insieme alla trascrizione e traduzione dei testi, alcuni olografi, altri di mano diversa da quella della regina, ma tutti quanti, quando non si tratta di brogliacci o minute, recanti la sua firma, rivela al lettore profano l'insospettabile mondo in cui si muovono paleografi e codicologi, (si chiamano cosi!), filologi e archivisti. Gente che, anche se non sembra, fa in realtà parte del jet set: oggi qui, il prossimo mese a Londra, poi Washington e Chicago; e sulla via del ritorno, Vienna, prima di tornare a riseppellirsi in una delle nostre biblioteche. I manoscritti sparsi nel mondo sono frammenti di una storia infinita, e i nostri valorosi studiosi vanno e vengono, in cravatta a doppiopetto, al modo in cui si muovono le spie".
Come si fa a non rimanere meravigliati e ancora di più interessati a saperne di più su questo libro? In altri tempi, l'unico modo possibile sarebbe stato quello prenotare il volume ad una libreria, aspettare l'arrivo, oppure andarlo a leggere in una fornita ed aggiornata biblioteca di una grande città europea. 
Condizione indispensabile sarebbe stata sempre, comunque, la conoscenza della lingua inglese, allo stesso modo con il quale, Elisabetta regina di un impero, che sotto il suo regno il sole avrebbe avuto difficoltà a tramontare, ai suoi tempi già si muoveva con grande abilità e disinvoltura nella nostra lingua. 
Mi è bastato, in questa nostra epoca digitale, solo una rapida e sensata digitazione sulla tastiera del mio pc per chiedere a Google un concreto aiuto. 
I suoi algoritmi mi hanno rapidamente rimandato a questo PDF del "Journal of Early Modern Studies" per saperne di più. Il libro, a dire il vero non è alla portata di tutte le tasche come si può vedere su Amazon. Poco meno di novanta euro non è somma di poco conto. 
Questa semplice, forse banale e anche venale considerazione mi porta a pensare quanto possa essere costosa ed anche elitaria la cultura. Mi è facile così comprendere anche il senso di quella citazione finale della recensione di Sampietro che ho fatto e che mi ha dato l'idea di questo post. 
Quei "paleografi e codicologi, filologi e archivisti ... valorosi studiosi che vanno e vengono, in cravatta a doppiopetto, al modo in cui si muovono le spie" fanno parte di un mondo che della cultura fa un'arte che concorre a creare un capitale, oltre che umano e culturale, anche di economia e finanza. Allora, figuriamoci, poi, oggi!
Nel XXI secolo, come ieri al tempo di Elisabetta I, la regina innamorata dell'italiano, aveva un fine anche squisitamente pratico. Quella "terragna concretezza" di cui parlava il mio indimenticabile maestro di lingua e di cultura inglese all'I.U.O. Fernando Ferrara.
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Published on February 26, 2018 08:21

February 25, 2018

'68 - Sessantotto


L’anno maledetto che dura da quanti anni?  Scorrono negli algoritmi di google i ricordi, i festeggiamenti, i rimpianti, i sogni, le delusioni, le follie, le imprecazioni, tutti gli "amarcord" possibili e immaginabili a destra come a sinistra. Ma, attenzione a queste coordinate, non c'è da fidarsi. 
La destra di allora non è quella di oggi, allo stesso modo di come la sinistra del '68 non ha nulla a che vedere con quella di oggi. E me pareva! sono passati cinquanta anni, meglio se diciamo mezzo secolo, lo spazio ha una dimensione più dignitosa, se pensiamo a quello che è a distanza di tanti anni il nostro Paese e di riflesso il mondo. 
Ma, poi, ditemi: esiste ancora una destra che sia destra ed una sinistra che sia sinistra? Sono convinto che Giorgio Gaber scriverebbe oggi la sua famosa canzone sostituendo solamente qualche termine. Ma la confusione, l'imbroglio, l'illusione sarebbero gli stessi di sempre, oggi come ieri, ieri come domani. Me li sento sul groppone questi cinquanta anni. 
Ricordo un motto, uno dei tanti, che apparvero sulla stampa allora. Questo veniva dalla sorella Francia. "Ceder un peu, c'est capituler beaucoup", questo era lo slogan che illuminava tutti. Lo portai in giro all'università in qualche convegno e per poco non mi buscai delle sprangate. La rivista si chiamava niente di meno che "Europa", ad essa collaborava o la dirigeva, non ricordo bene, Giulio Andreotti. 
A quei tempi, all'Europa, a portata di mano, si preferiva la Cina che era considerata sempre più vicina. Come vedete, i ricordi fanno un ben strano ed imprevedibile effetto. Fanno emergere dal profondo cose che devono essere tenute in fondo, perchè devono essere considerate come se non fossero mai esistite. Nel '68 non c'era Internet, c'era il telefono a gettoni, ma la reazione era sempre in agguato. 
Tutto come oggi, mi pare, alla vigilia della chiamata elettorale. Sembra che tutto scorra e accada come se nulla fosse accaduto. Ma io come lo ricorderò, allora, questo maledetto/benedetto sessantotto? Ho pescato in rete questo brano che riportai in un blog defunto e che vi ripropongo. Non vi dico di chi è perchè sono più che sicuro che se dico il nome, qualcuno che, nonostante la caduta dei muri e del comunismo cinese che si è trasformato in capitalismo comunista, la scomparsa di Mao e la sua rimandata beatificazione, è ancora e sempre  "sessantottino", pronto a chiamare "fascista" chi non la pensa come lui.
"Il 68 non è un avvenimento. Non fu una guerra, non fu una rivoluzione, non ha rovesciato il potere. Non ci furono morti né prigionieri. Il ì68 fu il virus di un’epoca riassunto nella superstizione di una cifra. Quel numero è il codice di accesso di una mentalità. Il '68 non designa un evento, di per sé vago e modesto, ma sintetizza un clima e un passaggio. Come esistono i non luoghi, ci sono pure i non eventi. Dopo il '68 i padroni sono rimasti padroni, anche se hanno cambiato metodi e stili. I potenti sono rimasti potenti. I politici sono rimasti una casta, con i suoi privilegi e intrighi. Comandano sempre più le elite dei tecnocrati, che non devono nemmeno rispondere agli elettori. I ricchi sono sempre più ricchi, i poveri non sono sempre più poveri ma il divario tra loro si allarga. Il comunismo è crollato, il sistema capitalistico si è fatto globale. La rivoluzione sognata dal '68 non ha rovesciato gli assetti di potere, i rapporti di classe, ma i valori e i costumi ... 
Il simbolo del '68 è un’intrepida ragazza dai capelli corti, issata sulle spalle dei compagni che sventola una bandiera vietnamita. E’ il santino della Rivoluzione francese e la Statua della Libertà. Quell’icona, che fece innamorare milioni di coetanei riempiendoli di passione ideale, ha una storia diversa dalla mitologia che ci è stata trasmessa. Per cominciare, non è il simbolo del maggio francese perché è una ragazza inglese. Non è poi un prototipo della rivoluzione antiborghese perché si tratta di un’aristocratica, la contessina Caroline de Benderne." 
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Published on February 25, 2018 10:08

February 24, 2018

Digitale e politica. Ma cosa significa veramente digitale?


Il figlio del tipografo






























"La politica non capisce il digitale ed è un grave problema, ecco perché. Il digitale sta plasmando l’ambiente in cui viviamo. Non è più solo una dimensione della comunicazione. Chi lo costruisce fa la politica di quello spazio. Ma in questo spazio la politica non c’è. Lo Stato è assente. È solo uno spazio aziendale. E così la politica perde una grande occasione di migliorare la società.
 
C’è una certa incapacità dei nostri politici, non solo italiani, di comprendere le novità che si accompagnano alla trasformazione digitale. Non ne colgono le profondità. E così perdono – perdiamo noi tutti – una possibilità di facilitare la soluzione alle grandi sfide del nostro tempo. 
Il grande tema della politica digitale non può essere trattato come un extra. Come un’appendice ad altri temi. Liquidabile dalla politica con un “abbiamo aperto la pagina Facebook, facciamo le consultazioni via mail”. Vedo questo approccio anche in Gran Bretagna, in Francia. È un trascurare o un travisare la realtà: ne deriva un gran pasticcio.  
Chi trascura il digitale è cieco alla realtà di oggi. Chi lo travisa, riduce la trasformazione digitale a un fatto di mera comunicazione. Sarebbe meglio non averlo capito piuttosto che trattarlo o comprenderlo a metà. Ossia trattare il digitale in politica con strumenti vecchi, che vanno da Gutenberg a McLuhan. In Italia ci sono politici che parlano di economia senza parlare di economia digitale. Di lavoro senza lavoro digitale. 
Questo significa trascurare il fenomeno. Se lo travisano invece parlano di internet come qualcosa che si aggiunge alla televisione. In politica – a seconda che la forza sia conservatrice o progressista – si passa quindi da chi del tutto ignora il fenomeno a chi lo travisa, senza passare dall’averlo capito. 
Che cosa non ha capito la politica nel digitale. Da capire c’è che lo spazio in cui viviamo ora è uno spazio digitale. Il digitale sta plasmando l’ambiente in cui viviamo. Non è più solo una dimensione della comunicazione.  
Chi lo costruisce fa la politica di quello spazio. Ma in questo spazio la politica non c’è. Lo stato è assente. È solo uno spazio aziendale, commerciale (e su questo non uso un’accezione negativa). Questo significa che l’Italia si ritroverà con un governo, qualunque sia, che non avrà colto una delle più grandi sfide del 21esimo secolo. Ossia quale sarà il design di una società matura in questo contesto, che è intriso di digitale. 
È un errore parlare del digitale mettendolo sullo stesso piano delle altre sfide, come il “global warming” e la “diseguaglianza economica”. Questo perché risolvendo la sfida del digitale riusciremmo a semplificare tutte le altre sfide. Per esempio: l’ineguaglianza sociale. Andrebbe meglio se riuscissimo a distribuire in modo più equo i vantaggi del digitale.  
Oppure: è impensabile pensare di risolvere le questioni dell’educazione senza affrontare la sfida del digitale. Ancora: qui in Gran Bretagna, con la Brexit, si parla molto della questione della nuova frontiera da costituire in Irlanda. E si discute della possibilità di farlo con il digitale (geolocalizzazione, videocamere intelligenti, etc.).  
Ma nessun politico ha pensato a come affrontare il derivante problema della gestione dei dati. Va fatto oggi, non rimandato. Nel digitale si potrebbe trovare una soluzione intelligente a un problema da 21esimo secolo, che in passato avremmo affrontato solo con muri fisici e filo spinato. 
Perché capire il digitale aiuta la politica a migliorare la società. In altre parole, più filosofiche: in via trascendentale, i politici dovrebbero capire che c’è una gerarchia nel modo in cui arrivano queste sfide. Non parlo di gradi di gravità ma di concatenazione delle soluzioni. Se risaliamo alla condizione di soluzione dei problemi, troviamo all’origine il digitale.  
Non voglio caricare il digitale del ruolo di panacea di tutti i mali. Ma bisogna vederlo come una strada maestra da imboccare per rendere molte altre difficoltà più facili da gestire e da risolvere. Si pensi al capitalismo. Lo abbiamo sempre associato al consumismo, ma non è detto che debba essere ancora così.  
Il capitalismo è basato sul diritto alla proprietà, sulle regole di mercato, sulla competizione, sulla ricerca del profitto. Funziona molto bene nel creare ricchezza, ma molto male nel farlo in modo equo e sostenibile.  
Una nuova via è associare il capitalismo all’economia verde (sostenibile) e blu (digitale). Economia dell’esperienza, della "sharing economy". Dove il valore non è più nel produrre/consumare cose. Ma è nella qualità della vita. Da un’economia basata sul consumo di cose possiamo passare a un’economia dei servizi, del benessere, dell’esperienza. 
Si tratta di entrare in una nuova fase dell’umanità. Una in cui si prenda consapevolezza dell’impossibilità di continuare a sfruttare il pianeta e riempirlo di oggetti. Il digitale permette di approcciare meglio la possibilità di sganciare il capitalismo dal consumismo. Perché crea la precondizione di un’economia che funziona molto meglio per il ventunesimo secolo. Ma tutto questo mi sembra del tutto assente nel dibattito politico attuale."
Così ha scritto Luciano Floridi, docente di filosofia ed etica dell'informazione all’University of Oxford e Direttore del Digital Ethics Lab dell'Oxford Internet Institute. 
AGENDA DIGITALE
Cosa significa veramente digitale?
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Published on February 24, 2018 07:48

February 23, 2018

Elogio degli animali



Impazza in questo Bel Paese l’amore per gli animali. Ci sono diversi partiti che si richiamano ad una politica animalista, per così dire. Aprono negozi per l’assistenza agli animali, vendita di prodotti, trattamenti di bellezza e quanto altro possa rendere sopportabile vivere da animali in compagnia di esseri chiamati “umani”. 
Lasciatemi dire che io ho sempre ritenuto e pensato che “più conosco gli uomini, più amo gli animali”, specialmente quando vedo come gli uomini trattano gli animali. Non sempre bene, checchè ne pensino e dicano tanti che amano postare sui "social" implacabilmente immagini di cani, gatti, asini, cavalli ed altri animali abbandonati, malmenati, torturati o anche uccisi. 
Ho letto che sono milioni e milioni in Italia gli animali costretti a vivere sotto il controllo degli uomini, meglio dire uomini e donne, inclusi i bambini. Non sempre è un’esistenza tranquilla e corretta. In diverse occasioni ho avuto modo di segnalare episodi di “animalisti” i quali, sono tanto “animali” da lasciarli rinchiusi nel loro appartamento, costretti ad abbaiare per ore ed ore, ogni qualvolta sentono scendere e salire persone per le scale del palazzo. 
Spesso, fino a notte inoltrata, gli inquilini sono costretti a sopportare lamenti, guaìti e abbaii per i quali soltanto la protezione degli animali, oppure il responsabile di una scomparsa  “igiene mentale” del condominio potrebbe fare qualcosa. C’è chi invece, avendo un pezzetto di terreno recintato nel parco del condominio crede opportuno lasciare l’animale in presunta libertà in quello spazio che, a ragion veduta, gli sta stretto. 
Mi spiego: il cane di cui sto parlando è un giovane ed intelligente animale il quale, a furia di andare avanti e indietro in quei due-tre metri quadri dalla mattina alla sera, inclusa la notte, a volte sembra impazzire letteralmente. Ogni qualvolta vede passare qualcuno abbaia come un forsennato. Stessa cosa accade se vede i gatti che si aggirano per il parco, i quali, da quei furboni che sono, non si curano proprio di lui. 
Poi gli uccelli, i colombi che non mancano mai,  quando gli volano in testa e intorno, tra gli alberi, lo provocano continuamente. Se vi aggiungete il richiamo di altri cani che, in spazi simili, in quel parco fanno la stessa cosa, avrete la visione di quanto questa “orchestra animale” possa essere consolante a sentirsi, sia di giorno che notte, d’estate quanto d’inverno. 
Ti capita di essere svegliato sistematicamente alle quattro del mattino con un improvviso abbaiare, senza poter capire il perchè. Io ho escogitato un espediente per farlo calmare: dal piano di sopra gli faccio il bagno con un secchio di acqua, lui cerca riparo e la smette. Ora, però la cosa non funziona più. Mi riconosce e scappa. All'inizio credeva che fosse mia moglie che lo vizia con qualche biscottino. Ha imparato la cosa, quando apro il balcone per fargli la doccia, si accorge che sono io, e fa in tempo a ripararsi.
Appena sente aprire e scorrere la tenda, guarda verso l’alto per assicurarsi se sono io che gli propongo la doccia per calmarlo, oppure mia moglie per viziarlo. Se deve scappare o aspettare. Quando poi vede noi due passargli accanto nel parco, manifesta tutta la sua meraviglia: non sa se abbaiare o giocare, visto che i soggetti lo trattano in maniera diversa. 
Un cane senza dubbio intelligente, molto più intelligente di chi si ostina a tenerlo rinchiuso in un recinto, tra le sue giornaliere “miserie”, senza che lo portino mai a fare una passeggiata in giro, prigioniero non tanto del suo destino ma della stupidità umana. Ecco perchè, continuo a dire che: “più conosco gli uomini, più amo gli animali”.
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Published on February 23, 2018 09:10

February 21, 2018

Review: Invecchiare on-line. Sfide e aspettative degli anziani digitali

Invecchiare on-line. Sfide e aspettative degli anziani digitali Invecchiare on-line. Sfide e aspettative degli anziani digitali by Simone Carlo
My rating: 3 of 5 stars

Mi aspettavo di più da questo libro che ho letto in versione cartacea. L'ho trovato piuttosto "confusing" nel senso che l'autore mette sul tavolo tutto quanto doveva mettere ma poi alla fine non sono riuscito ad assaporare, per così dire, il gusto di "invecchiare on-line".
Mi pare evidente che un lettore come me, nato, cresciuto ed "imparato" in una tipografia tradizionale post gutenberghiana, in un piccolo paese della provincia meridionale italiana, si aspettava che la "sua" vecchiaia non venisse presa in esame soltanto da un punto di vista meramente mercantile, ma anche in maniera evolutiva.
Considerare, infatti, questa stagione della vita come una "diseguaglianza" e quindi una delle cause del "digital divide", mi pare una forzatura per non dire di più. Tutti i momenti, i giorni, i mesi e gli anni suonano disuguaglianze per ognuno di noi, quindi i divari ineluttabili.
Negli anziani è un fatto biologico contro il quale nulla si può fare. Bisogna per questa ragione considerare che un anziano ha dietro di se, sulle sue spalle, un percorso che lo ha formato e al quale non tanto facilmente sarà disposto a rinunziare.
Nel mio caso, ad esempio, tutto nacque sul tipometro della tipografia paterna sul quale imparai a leggere mettendo in linea i caratteri mobili. Una distanza lunare da quella che è la realtà di mia nipote la quale, a soli tredici anni, ragiona con me direttamente in video dal suo cellulare, su Skype o in "hangout" su Google.
Io ci sono arrivato nell'arco di mezzo secolo. Lei ci è nata dentro. Io so che tutta la rete della Informazione Tecnologica non è altro che un infinito "ipertesto", tante entità digitali fatte di "bits e Bytes", destinate a crescere rigenerandosi, colmando differenze e divari, ma nello stesso tempo creandone di nuove e diverse.
Un processo inarrestabile di cui non sappiamo come finirà. Tutto destinato ad "invecchiare" ed allo stesso tempo "rinnovarsi", in nome un divenire destinato a non avere mai fine. Il mezzo sarà sempre di più il messaggio, come aveva previsto McLuhan, ma chi comunicherà non sarà mai lo stesso.
Un discorso molto complesso e difficile da proporsi in questa sede. Non a caso ho assegnato a questo libro tante etichette, tutte piuttosto contrastanti, ma convergenti su quella realtà, quanto mai "liquida" che è la realtà digitale. Ci saranno sempre rischi e benefici nel digitale, così come ci sono sempre stati in ogni processo esistenziale sottoposto a continui cambiamenti.
Gli anziani di oggi, potranno anche essere i rappresentanti delle moderne diseguaglianze digitali, alla stessa maniera di come la mia tredicenne nipotina che dialoga con me su Skype, sarà destinata ad essere una "anziana digitale" della seconda metà del ventunesimo secolo.
Io, "figlio di un tipografo" del secolo e millennio scorsi, ho detto la mia in un libro di prossima uscita nel quale le scritture digitali sono diventate cartacee e queste sono destinate a continuare a vivere in digitale, in un divenire senza fine. Non mancate di leggerlo!
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Published on February 21, 2018 08:50

February 20, 2018

La fine dell'elegia inglese e l'arrivo del WI FI

Un'antica stampa della Chiesa 
"I pinnacoli e le guglie che si elevano dalle chiese britanniche, la maggioranza in stile gotico e quindi particolarmente adatte, saranno usate per installarvi ripetitori di segnali di telefonia cellulare e segnali Wi-Fi nelle più remote aree rurali del Paese. Questo il frutto di un accordo tra il governo britannico e la Chiesa d'Inghilterra in base al quale "anche un edificio del XV secolo potrà aiutare a rendere la Gran Bretagna piu pronta al futuro" ha spiegato il ministro per la Cultura ed il Digitale, Matt Hancock. 
In totale la Chiesa d'Inghilterra ha 16.000 luoghi di culto dispersi nelle campagne che sono per la loro architettura i luoghi ideali per installare ripetitori di qualsiasi tipo di segnale a bassissimo impatto visivo (al posto di mostruose torri alte decine di metri). Ad oggi ci sono già oltre 120 chiese impiegate in questo modo. 
Oltre al governo britannico e alle società di telefonia e web anche la Chiesa è contenta dell'intesa perché tornerà a svolgere un ruolo chiave nelle comunità in ogni contea, come ha riconosciuto Stephen Cottrell, vescovo di Chelmsford nell'Inghilterra sud-orientale: "Incoraggiare le chiese a migliorare la connettività aiuterà ad affrontare due dei più grandi problemi delle aree rurali: l'isolamento e la sostenibilita'".

Le immagini che scorrono qui di seguito riguardano una chiesa "dismessa", come si legge nella foto sulla tabella che i visitatori trovano all'ingresso. Siamo a Marlborough, nella regione inglese del Wiltshire, un piccolo paese di grande tradizione storica e culturale. Oggi ospita uno dei più accreditati collegi delle Isole Britanniche. Durante l'estate è sede di una rinomata "Summer School" famosa a livello internazionale. A poca distanza dal campus, questa chiesa medioevale, risalente al 15mo secolo, è stata riconvertita, trasformata in un bene comune sociale. L'operazione WI FI di cui si parla nel comunicato stampa testimonia, ancora una volta, se ve ne fosse bisogno, di quello che si intende per "pragmatismo" su quelle isole che vanno sotto il nome di Isole Britanniche. Gente di poca fede, forse, ma dotata di molto senso pratico. 
Questa decisione non è piaciuta a molti. Forse perchè non si hanno tutti gli elementi per conoscere lo stato dei luoghi, la loro storia e poter poi giudicare, alla luce non di un passato che ci tocca tutti. Ma riguarda anche il modo di credere moderno, che non è più quello del medioevo. Una decisione del genere non è stata per niente gradita a chi la considera non solo una operazione malinconica, ma  addirittura "tragica". 
Per chi lo pensa e lo scrive, infatti, significa che "se i campanili non sono più credibili, chi sente il richiamo del sacro si rivolge ai minareti". Così ha scritto lo scrittore fondamentalista cattolico che va sotto il nome di Camillo Langone in un suo articolo. Lo ripropongo a chi legge per dare il giusto inquadramento a questa operazione di natura chiaramente sociale, culturale ed anche, lo si può dire, digitale. Certamente non anti-religiosa, come la vuole intendere Langone. 


L'avviso all'ingresso della Chiesa di Marlborough, è diventata un "trust", uno strumento giuridico con valore sociale.

L'altare centrale
 La navata centrale diventata un ristorante
Sala per esposizioni e mostre


Lo shop L'ingresso
"Meno male che non è la Chiesa cattolica, la Chiesa d'Inghilterra. Ma gli anglicani sono pur sempre grosso modo cristiani, e dispiace vederli ridotti così. È successo che, grazie a un accordo, pinnacoli, guglie e campanili delle chiese facenti capo all'arcivescovo di Canterbury diventeranno ripetitori telefonici. Tutti contenti, pare. Le società di telecomunicazioni, che risparmieranno la spesa di strutture apposite. Il governo, che ha voluto l'intesa e fa niente che si senta odore di conflitto di interessi lontano un miglio (la gerarchia anglicana è sottomessa alla politica fin dalla sua origine scismatica: sopra Canterbury c'è Buckingham Palace). E infine il clero, che così immagina di agganciarsi alla modernità, almeno a sentire l'entusiastica dichiarazione del vescovo di Chelmsford: «Incoraggiare le chiese a migliorare la connettività aiuterà ad affrontare due dei più grandi problemi delle aree rurali, l'isolamento e la sostenibilità». 
Peccato che con tali parole Stephen Cottrell, questo il suo nome, ha dimostrato di voler servire il mondo anziché Dio. Gesù Cristo non ha fondato la Chiesa per risolvere i problemi dell'isolamento e della sostenibilità. Le chiese non sono state costruite per offrire un pulpito ai padroni di internet. I campanili non sono stati innalzati per trastullare con i siti porno i maschi dei dintorni. «Il tempio è sacro perché non è in vendita» ha scritto Ezra Pound che soggiornò proprio nell'Inghilterra rurale e proprio per godere del suo isolamento, condizione spesso artisticamente proficua (fosse vissuto al tempo della connessione perpetua invece dei Cantos avrebbe magari scritto Ti voglio bene come il poeta-youtuber Francesco Sole). 
Le chiese sono chiese quando non sono in affitto, quando non si paga il biglietto, e penso alla triste sorte delle cattedrali (stavolta cattoliche) profanate dal turismo e dalle casse all'ingresso. Gesù nella sua vita terrena è stato violento solo una volta, alla vista dei mercanti nel Tempio. Faccio notare che anche quegli antichi commercianti ebrei, proprio come le società telefoniche di oggi, fornivano servizi utili e graditi (cambiavano la valuta necessaria per le offerte, vendevano gli animali necessari per il culto...). Eppure Gesù li cacciò a sferzate in nome del rispetto che si deve alla casa di Dio. 
Capisco che il concetto di purezza sia difficile da far entrare nella testa di chi appartiene a una Chiesa fondata per ragioni di potere e di letto e affondata nel sangue delle mogli di Enrico VIII, assassinate dal medesimo con la benedizione degli arcivescovi dell'epoca. Poi però non ci si deve stupire se i banchi si svuotano, se i fedeli in vent'anni si sono dimezzati (ormai gli anglicani sono solo il 15% degli inglesi), se 2mila parrocchie hanno meno di dieci praticanti ognuna. La decisione della Chiesa d'Inghilterra sa di resa, e nessuno si aggrega a una religione che ha smesso di testimoniare. Questa storia sembra soltanto malinconica ma invece è tragica: se i campanili non sono più credibili chi sente il richiamo del sacro si rivolge ai minareti."
Si potrebbe anche condividere quanto scrive Camillo Langone riferendosi alla storia inglese, ma non credo che con questo saremmo in grado di spiegare non solo l'emorragia dei praticanti anglicani, visto e considerato che la Chiesa Cattolica Apostolica Romana non se la passa poi tanto meglio. La "resa" di cui parla lo scrittore non è soltanto religiosa, è anche morale, sociale e culturale. Ed è comune.
Ne sa qualcosa il direttore della Civiltà Cattolica, il gesuita padre Antonio Spadaro, così tanto vicino a Papa Francesco, nonchè inventore di quella nuova teologia, che guarda caso è stata chiamata "Cyberteologia": Verso una «cyberteologia»? L’intelligenza della fede nel tempo della Rete, tutto un programma ed un attivismo per affrontare non solo il cambiamento, ma per costruire anche un nuovo futuro alla fede ed al modo di pensare la trascendenza. 
Non conosco il parere di padre Antonio Spadaro sull'accordo stipulato tra il governo britannico, gli operatori telefonici e la Chiesa d'Inghilterra. Certamente non potrà essere negativo per lui vedere spuntare sui pinnacoli e sulle guglie delle migliaia di chiese inglesi, accanto al simbolo della Croce, l'antenna del WI FI. Anche una antenna WI FI potrà 
" ... riportare il respiro sfuggente nel corpo, la voce dell'Onore ridare alla polvere silenziosa, o la Lusinga lenire l'orecchio gelido e sordo della Morte". 

Questi sono i versi di una poesia che fu il manifesto del movimento romantico inglese nel settecento, la famosa "Elegia scritta in un cimitero campestre" di Thomas Gray, non a caso sistemato sempre intorno ad una chiesa. La preghiera continuerà ad essere sempre la stessa, anche via WI FI. Del resto, anche dal minareto si eleva un canto di fede ...



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Published on February 20, 2018 10:03

February 18, 2018

Review: Il lato (ancora più) oscuro del digitale: Nuovo breviario per (soprav)vivere nell'era della Rete

Il lato (ancora più) oscuro del digitale: Nuovo breviario per (soprav)vivere nell'era della Rete Il lato (ancora più) oscuro del digitale: Nuovo breviario per (soprav)vivere nell'era della Rete by Andrea Granelli
My rating: 4 of 5 stars

Educare non è addestrare. Ed è vero. Qui in Italia abbiamo il Ministero della Pubblica Istruzione. Altrove questo ministero si chiama "Ministry of Education". "Istruire" sta per "mettere dentro", "educare" significa "far venire fuori". La sfida della cultura digitale è non solo una sfida tecnica, ma sopratutto culturale. Servono nuove e diverse competenze umanistiche, vale a dire la capacità di concettualizzare, astrarre, riflettere, pensare in maniera critica, avere una mentalità indiziaria e di ricerca, la capacità di dare il senso alle cose. Tutto questo serve per impadronirsi della rivoluzione digitale. Ci sarà modo di tornare su questo argomento ...

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Published on February 18, 2018 14:06

MEDIUM

Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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