Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 103

December 10, 2019

Il "velo" di Iside e una "botta di vita"


GASPAR VAN WITTEL, CALLED GASPARE VANVITELLI (Amersfoort 1652/3 — Roma 1736)Napoli, veduta della Riviera di Chiaia, olio su tela, 75,7 x 174,8 cm





Mia moglie ed io siamo andati alla ricerca del tempo passato sperando di ritrovarlo, per non considerarlo “perduto”, alla maniera di Proust. Non so se l’abbiamo davvero “ritrovato”. Possiamo dire che l’abbiamo trovato “cambiato” e, a fatica, non sempre l’abbiamo “riconosciuto”.
Questa è la sintesi di uno strano viaggio che abbiamo fatto in quattro giorni: 1969–2019 è un arco di tempo che sfonda il mezzo secolo. Un tempo quanto mai maturo ed opportuno per tirare le somme di una vita e cercare di dare ad essa un senso quanto più possibile opportuno.
L’occasione ce l’ha offerta il “ Corriere della Sera” con Napoli e oltre, un Viaggio dentro la bellezza e la storia che si è svolto dal quattro all’otto dicembre. Un caso strano a dir poco, (di cui mi sono reso conto soltanto dopo), ha voluto che in questi stessi giorni, cinquanta anni fa 1969, cadesse anche il ricordo della inaugurazione della nuova sede di una libreria a Napoli, al numero 43 di Via Mezzocannone, denominata “Intercontinentalia”.
Una diramazione napoletana di quella antica tipografia che portava il nome di “Arti Grafiche M. Gallo & Figli” fondata negli anni venti del secolo e millennio trascorsi, da mio nonno Michele e dai suoi figli a Sarno, in provincia di Salerno, nell’antica Valle dei Sarrasti. Chi legge potrà accedere in “open access” su Internet Archive ad un libro che ho scritto di recente e capire come si diventa un “dinosauro digitale” che legge e scrive al “Corriere”.
Ma non è stato soltanto questo a spingerci, certamente in maniera del tutto inconsapevole, a prendere parte a questo evento. Lo possiamo riportare anche quelle misteriose “coincidenze parallele” che a volte caratterizzano la vita degli uomini. Qualche settimana prima, infatti, nella pagina dei lettori coi quali il Direttore colloquia ogni lunedì, era apparsa sul giornale una mia lettera a proposito di un articolo che Luciano Fontana aveva scritto la settimana precedente.
Fontana scriveva della imprevedibile trasformazione che sta per prendere l’nformazione nel mondo della comunicazione contemporanea. Nel mio piccolo gli confidavo le mie impressioni da dinosauro digitale quale sono diventato. Chi vuole può leggere questa lettera al link per comprendere a pieno in quale preciso contesto è caduta questa esperienza di vita.
Spero di non avere annoiato chi legge. E’ stato necessario ricostruire questa rete di eventi e concordanze senza la quale è difficile comprendere quanto sto per narrare. Mi sono ricordato a tal proposito di una leggenda che narra la storia di quella che dovrebbe essere la tomba di Iside, l’antica divinità egizia, vicino Menfi. Una statua ricoperta da un velo nero, con alla base incisa una iscrizione sulla quale si leggevano questi pensieri:
“Io sono tutto ciò che fu, ciò che è, ciò che sarà e nessun mortale ha ancora osato sollevare il mio velo.”
Sotto quel velo si nascondevano tutti i misteri ed i saperi del passato. Mia moglie ed io abbiamo pensato agli anni trascorsi in questa realtà napoletana, ripercorrendo il tempo vissuto nel programma di questo viaggio:
“Gli stucchi dorati, gli affreschi e l’imponente platea del San Carlo, il più antico teatro lirico d’Europa. Le ombre cariche di mistero della Neapolis sotterrata da cui emerge il calore natalizio dei presepi, nei vicoli sempre affollati del centro storico. La Cappella Sansevero con il suo Cristo Velato e le affascinanti vicende, tra realtà e leggenda, fiorite intorno alla figura di Raimondo De Sangro. E poi le tracce del tempo che si è fermato nella magnifica Pompei come nella misteriosa Ercolano. Il sito archeologico di Oplontis, con la Villa di Poppea. La Reggia di Portici e le meravigliose ville del “Miglio d’oro”. E, infine, la magnificenza del Palazzo Reale di Caserta, l’opera di Luigi Vanvitelli, patrimonio mondiale dell’Unesco.”
Non tutto veniva detto nel programma, a dire il vero. Bisogna dire che Antonio Castaldo, giovane e brillante giornalista in forza alla redazione online del giornale, aveva in serbo altre sorprese, come ad esempio la non prevista ed esclusiva visita ad una Biblioteca davvero straordinaria.
Ma come?, vivete a pochi passi da questi luoghi, li conoscete quasi tutti, non solo per averli visitati ed anche studiati, e vi unite ad un gruppo di sconosciuti viaggiatori milanesi che nulla o poco sanno di tutta questa misteriosa ed affascinante bellezza e vengono qui per conoscerla? Legittima considerazione che ci siamo noi stessi posta, confermataci da diversi partecipanti del gruppo quando ci siamo conosciuti al loro arrivo alla Stazione Centrale di Napoli.
Abbiamo così avuto la prova che davanti alla bellezza e alla profondità di molte opere, di certi luoghi ed eventi, come quelli descritti nel programma, ci si rende conto che siamo di fronte ad una realtà che sfugge alla coscienza ordinaria se non la si vive dal di dentro e di persona.
Amelia ed io ci siamo trovati nella felice condizione di ri-viverla mentre la condividevamo con degli sconosciuti che la vedevano per la prima volta. Ma noi sapevamo bene che quel mondo era cambiato, anche se non tutto era “perduto”. Noi volevamo assaporare quella che qualcuno ha chiamato “una botta di vita”, quando la vita sembra voglia darti soltanto “botte”.
Per avere accesso a questa realtà è necessario attraversare non solo gli strati opachi della materia fisica, ma anche quelli nebulosi della materia psichica. Una condizione della mente che abbiamo tutti dovuto affrontare ad esempio, davanti ai calchi di quei poveri resti fuggiti in riva al mare ad Ercolano, nel vano tentativo di salvarsi dalla furia del vulcano.

Ci aveva avvisato Francesca Leone, la nostra instancabile, brava, giovane, qualificata ed intelligente guida. Quella che vedevamo e vivevamo in quel momento non era soltanto apparenza ma realtà, mentre cercavamo di sollevare il “velo di Iside” e di comprendere il senso di una natura primordiale che continua a sfuggirci.

Che dire poi dei momenti ri-vissuti mentre attraversavamo “Spaccanapoli”, in cammino verso San Gregorio Armeno, per la visita all’ottocentesco laboratorio di pastori antichi e moderni Ferrigno? Scopri e fotografi un pronipote del titolare, seduto a smanettare sulla sua playstation/iPad al centro di un salone affollato di muti ed attoniti classici pastori.
Il giovane Leone alla playstationPassi davanti alla Chiesa di Santa Chiara e ti ritornano in mente le notti trascorse a dormire, da “clandestino”, in una stanzetta del monastero, per favorire agli esami un amico studente, poi “smonacato”, quando indossavo le vesti di borsista ricercatore all’I.U.O.
Volgi un rapido sguardo al quarto piano dell’Orientale e ti ricordi di quando in quell’aula del seminario di anglistica incontrai per la prima volta quella che poi sarebbe diventata l’altra “metà del cielo” (come sapemmo in quegli anni il “compagno rosso” Mao chiamava le donne). Ci conoscemmo studiando Sir Walter Scott …
Ma Via Mezzocannone è stata davvero un pugno nello stomaco durante questo “viaggio”. Mentre la percorrevamo, in compagnia della gentile e professionale Tour Leader Paola Peracino, insieme agli altri partecipanti, ti accorgi che il tempo è davvero “perduto”, dopo di essere stato “violentato”.
Dove sono finite tutte quelle grandi e piccole librerie, copisterie, cartolerie ed anche una piccola tipografia? Editori e librai come Guida, Morano, Le Edizioni Scientifiche, realtà trasformate in “mangerie” inglesi, francesi o arabe che siano. Già in via San Biagio dei Librai avevo notato la scomparsa degli antichi “cartari” napoletani come Lubrano e Diaferia.
Scomparse le linotipie e tutto il variegato mondo che ruotava intorno a quella realtà che, fino a pochi anni fa, si chiamava “Arti Grafiche”. Al numero 43 il tempo si è fermato, ma soltanto nella fotografia che vedete qui di seguito. Il tempo è davvero “perduto”. Tutto era cambiato. Il “Velo di Iside” era caduto.
Fratelli Gallo, Dicembre 1969, “Intercontinentalia”, Via Mezzocannone 43, Napoli
Il “velo” è la parola chiave di un’altra indimenticabile esperienza che abbiamo vissuto in questo viaggio nel tempo. Ed è quello del “Cristo velato” di Giuseppe Sanmartino nella Cappella Sansevero. Una visita privata iniziata su appuntamento alle 18,30 in esclusiva per i lettori del “Corriere”, durata oltre un’ora e mezza. Abbiamo avuto modo conoscere il misterioso mondo di un altrettanto misterioso personaggio della Napoli storica.
Nessuno è mai riuscito a disvelare quel marmoreo “velo” di mistero che ricopre da sempre quel corpo di Cristo al centro della piccola Cappella. Mentre le soffuse e pensose parole della nostra guida Francesca scorrevano nelle nostre orecchie attraverso gli auricolari, incombeva su tutti noi la insostenibile leggerezza della materia fisica di cui erano fatte quelle “forme” che ci circondavano con il loro silenzio.
Una condizione sia della mente che dello spirito contribuiva a rendere insopportabile anche la inadeguatezza delle nostre supposte conoscenze. Tutto si riduceva in una parola sempre inaccettabile per chi crede di poter comprendere anche tutto ciò che è destinato a rimanere un mistero. Dopo quasi due ore, quando siamo usciti da quel luogo, è stato spontaneo dire col Poeta: “uscimmo fuori a riveder le stelle” per riprovare il gusto di una “botta di vita”.
Ma non posso non ricordare anche un altro straordinario momento del viaggio quando Antonio Castaldo, grazie ai suoi contatti umani professionali, ci ha comunicato che saremmo andati a fare una visita fuori programma, grazie anche a fortunate coincidenze. Una visita ad una biblioteca che ha avuto di recente il riconoscimento di Biblioteca Nazionale: la Biblioteca dei Girolamini. Non un’altra qualsiasi biblioteca, bensì uno scrigno di tesori ed anche un gioiello d’arte e cultura di inestimabile valore.Antonio Castaldo e il Prof. Vito De Nicola responsabile del complesso del Girolamini
Un vero e proprio “colpo” giornalistico, ancora più importante perchè si tratta di una biblioteca che è stata di recente al centro della cronaca giudiziaria in quanto spogliata da migliaia di volumi da un suo ex direttore. Faceva parte del gruppo di visitatori in viaggio da Milano anche una persona che aveva avuto modo di lavorare su questo fatto di cronaca che ha avuto anche una vasta risonanza internazionale. Un “affaire” non solo e non tanto dal mero gusto bibliomaniacale, quanto per il suo aspetto criminale.
Una sentenza definitiva a sette anni di reclusione per peculato ed associazione a delinguere, un furto perpretato da parte di un direttore diventato un personaggio infedele alla sua missione e a quella dei libri. Ma anche un’occasione si può dire fortunata per questa Biblioteca nella quale abbiamo avuto modo di “sentire” il profumo del sapere e della conoscenza: l’opportunità di diventare una Biblioteca Nazionale, un luogo simbolico che va oltre la sventura, un luogo di storia e di amore per i libri.
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Desidero fare un’ultima considerazione finale su questo viaggio che mia moglie ed io abbiamo fatto con tanti nuovi amici venuti da Milano per conoscere Napoli e parte della sua storia. Napoli non è una città ma un “Continente” di difficile esplorazione e conoscenza. Nei giorni di permanenza in città siamo stati ospitati all’Hotel Santa Lucia di fronte Castel dell’Ovo ed alla Bersagliera. Nell’immagine di copertina che ho scelto per questo post appare una bella pittura che ho visto durante la visita alla Reggia di Caserta che ha concluso il viaggio. Il dipinto riproduce il luogo preciso dove oggi c’è questo grande albergo. Una “botta di vita” per far cadere il “velo di Iside”.
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Published on December 10, 2019 00:11

November 29, 2019

Novanta e passa primavere ... Auguri Gino!



Siamo in autunno, è vero, ma la vita è fatta di tante primavere e quelle della poesia non dovrebbero mai finire. Ogni mattina, quando lo trovo al bar a scorrere le pagine del giornale, vedo un "giovane" che tra le parole della cronaca rincorre la sua identità, cercando di dare un senso ai suoi anni in una realtà, una nazione, un paese, una frazione di mondo (Episcopio) che non lo riconosce più. 
Quasi sempre lo vedo al tavolo con tra le mani un foglio ed una penna, pronto a prendere nota e appunti di ciò che legge. Un pensiero, una frase, un articolo, una notizia, un giornalista, un politico o uno scrittore che lo hanno colpito. L'altra mattina, sul foglio aveva trascritto un lungo elenco di parole che non poteva comprendere perchè erano parole in inglese. 
Era arrabbiatissimo, non riusciva a capire perchè si dovesse usare questa lingua per dire cose, idee o fatti che possono benissimo essere dette usando l'italiano. Mi dimostrò che pur non conoscendo questa lingua, dal contesto aveva intuito il senso. Volle accertarsi con me se avesse capito bene. 
Lui, il mastro manovale, muratore, imbianchino, nato novanta anni fa, (appena compiti), entra nel novantunesimo anno l'otto dicembre. Con la sola terza elementare, è diventato pittore, poeta, scrittore, si chiede, continua a chiedersi come e perchè lo sia diventato. Alle Falde del Monte Saro, continua a scrivere nel libro della sua vita e continua a chiedersi il perchè. 
Lascerà la grossa valigia contenente i suoi tanti quadernoni zeppi di scritture nelle mani di suo figlio Gaetano a futura memoria di un tempo che non ha saputo riconoscerlo. Dal suo ultimo quadernone ho "rubato" le tre composizioni che seguono. 
RACCONTERO'Ci sono quelli che del ricordo,dicono, non si deve mai parlare.Io, con questi sono in disaccordo,nel ricordo, per me, è viaggiare.
Di qual viaggio? mi dirà qualcuno,ed io a costoro dirò tutto,racconterò ad essi, uno ad uno,di nostra vita fino a che il lutto,
dicendo loro: amici miei cari,nella vita vissuta, tutti noiandati, chi per terra chi per mari,
avremmo tante cose da dir poi.E chi non vive i propri ricordi,di vivere allora se ne scordi.
PASSATEMPOSpesso quest'anni miei li ricordotornando a quelli della gioventù,e dico che la vita in questo mondoè solo passatempo e nulla più.
Però, mi dico pure che pensareè una qualità che porta male,infatti c'è chi questo non sa faree crede che per questo lui più vale.
A tutto questo dio, poi pensando,chi è che della vita stabilisce,per dire poi, mi sto preparando,
la vita buona prima che finisce? Io, che credo tutto è destinato,dico che bene e male sta nel fato.
QUEI SENTIERILi cerco ma non trovo quei sentieri,quando, con altri sotto il ciel sereno,si andava saltellando. Sembra ieri,giocando, sorridendo senza meno.
Poi venne duro, freddo, il mio invernoe tutto rovinò il grande gelo,il tempo si cambiò, divenne infernoe di quel tempo non rimane un pelo.
Or quei sentieri non ci sono piùsono scomparse le siepi di more,tutto nero, pure il cielo blu
che di sereno non ha più coloree quell'inverno, giunto all'improvviso,ha fatto inferno il mio paradiso.
Drop here!
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Published on November 29, 2019 02:35

November 24, 2019

Il "momento Machiavellico"

Cosa fare per rendere più democratica questa nostra attuale società, sempre più interconnessa, come mai è stata prima nella sua storia?

Questo sembra essere l’interrogativo al quale tenta di rispondere il breve saggio tascabile pubblicato da Laterza a firma di due studiosi napoletani di Scienza politica: Mauro Calise e Fortunato Musella.

Breve sì, ma quanto mai esaustivo ed interessante libro che va al cuore del maggior problema della democrazia contemporanea. Problema limitato non solo alla politica della nostra realtà italiana, ma che riguarda quella dell’intera democrazia occidentale.

Una società sempre più interconnessa, che può anche ottenere accessi e successi esistenziali, ma ha bisogno di maggior controllo per non cadere in gravi eccessi. Scusate il gioco di parole, ma è sempre questo acronimo C.A.C. a venir fuori, (Connessione-Accesso-Controllo) quando lo coniai una ventina di anni fa, nella dissertazione finale che scrissi alla conclusione di un corso all’Università di Londra su “Online Learning”.

L’analisi che fanno gli autori del libro è quanto mai preoccupata. Le due frasi finali con le quali concludono il loro lavoro sono, a mio modesto parere, amletiche e machiavelliche allo stesso tempo. Scegliete voi tra un grande e smaliziato drammaturgo (Shakespeare) ed un fine polemista, provocatore politico (Machiavelli) quello che pensate, leggendole:

“Grande è la confusione sotto il cielo. La situazione è eccellente”.

Il problema è: rifiutare o no la rete e cercare di utilizzarla nel modo giusto come mezzo di partecipazione a disposizione dei cittadini in maniera tale che ciascuno possa gestire da sè le proprie idee? Dodici sono i capitoli di questo libro in cui gli autori ci spiegano in maniera documentata ed ineccepibile come siamo stati e cosa siamo diventati.

Nel mio piccolo e nella mia pochezza intellettuale e culturale posso dire onestamente di essermi ritrovato nel viaggio che gli esimi professori di Scienza politica della “Federico II” di Napoli hanno fatto in questo loro lavoro.

Se non avessi lasciato le aule della scuola ormai da tempo, avrei costretto i miei studenti, in qualsiasi istituto di ordine e grado superiore o universitario, a comprare e studiare questo prezioso manuale.

Il viaggio che hanno fatto i due studiosi è un percorso di conoscenza che ha poggiato per secoli sul libro stampato a caratteri mobili, poi è passato ad un cammino in una realtà chiamata infosfera, mai vista, descritta e conosciuta prima.

Un magma fluido e manipolabile, elusivo ed illusivo, nel quale è facile perdersi senza una guida che da “Principe” possa essere diventato “Leader” alla ricerca del “Machiavellian moment” che è “quel tornante in cui un nuovo regime affronta per la prima volta il problema di preservare la stabilità dei suoi ideali e delle sue istituzioni”.

Grande resta la confusione, appunto! Ma la situazione è eccellente. Lo dicono loro e lo hanno detto anche molto bene. Da studiosi ed insegnanti di Scienza politica, spero sappiano trasmettere il messaggio anche ai loro studenti, e dare anche le chiavi per aprire le porte verso un futuro possibile.

Il Principe digitale by Mauro Calise Il Principe digitale
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Published on November 24, 2019 00:37 Tags: digitale, fortunato-musella, il-principe, machiavelli, mauro-calise

November 14, 2019

“The Mind is an Enchanting Thing”

November 15 — It’s the birthday of poet Marianne Moore, born in Kirkwood, Missouri (1887). She studied history, law, and politics at Bryn Mawr College, and though she didn’t major in science, she took some courses in biology and developed an appreciation for animals as well as an almost scientific precision in her use of language.
She started publishing her poems professionally in 1915, moved to New York City in 1918, and became friends with other poets, such as William Carlos Williams, Ezra Pound, Wallace Stevens, and T.S. Eliot.
She became something of a character among the literati of New York, appearing at parties in a black cape and tricorn hat. She favored the tricorn because it concealed the defects of her head, which she claimed resembled a hop-toad’s.
She was a great fan of sports, and wrote the liner notes for Cassius Clay’s spoken-word album, “I Am the Greatest!” (1963). She threw out the first pitch for the Yankees’ 1968 season, and soon after had the first of a series of strokes that would eventually claim her life in 1972. She once told a New York Times interviewer:
“I never knew anyone with a passion for words who had as much difficulty in saying things as I do. I seldom say them in a manner I like. Each poem I think will be the last. But something always comes up and catches my fancy.”
The Mind is an Enchanting Thing
is an enchanted thing
like the glaze on a
katydid-wing
subdivided by sun
till the nettings are legion.
Like Gieseking playing Scarlatti;
like the apteryx-awl
as a beak, or the
kiwi’s rain-shawl
of haired feathers, the mind
feeling its way as though blind,
walks with its eyes on the ground.
It has memory’s ear
that can hear without
having to hear.
Like the gyroscope’s fall,
truly unequivocal
because trued by regnant certainty,
it is a power of
strong enchantment. It
is like the dove-
neck animated by
sun; it is memory’s eye;
it’s conscientious inconsistency.
It tears off the veil; tears
the temptation, the
mist the heart wears,
from its eyes — if the heart
has a face; it takes apart
dejection. It’s fire in the dove-neck’s
iridescence; in the
inconsistencies
of Scarlatti.
Unconfusion submits
its confusion to proof; it’s
not a Herod’s oath that cannot change. The Poems of Marianne Moore by Marianne Moore The Poems of Marianne Moore
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Published on November 14, 2019 12:20 Tags: marianne-moore, mind, poetry

October 25, 2019

My "Private Eye" on the past

The very first edition of PRIVATE EYE was published on 25 October 1961.

Private Eye is a British fortnightly satirical and current affairs news magazine, founded in 1961. It is published in London and has been edited by Ian Hislop since 1986.

The publication is widely recognised for its prominent criticism and lampooning of public figures. It is also known for its in-depth investigative journalism into under-reported scandals and cover-ups.

Private Eye is Britain's best-selling current affairs magazine, and such is its long-term popularity and impact that many of its recurring in-jokes have entered popular culture.

The magazine bucks the trend of declining circulation for print media, having recorded its highest ever circulation in the second half of 2016. It is privately owned and highly profitable.

A deeply conservative institution, it has resisted moves to online content or glossy format: it has always been printed on cheap paper and resembles, in format and content, a comic as much as a serious magazine.

Both satire and investigative journalism have led to numerous libel suits: Ian Hislop is reportedly the most-sued man in English legal history.

It is well known for the use of pseudonyms by its contributors, many of whom have been prominent in public life - this even extends to a fictional proprietor, Lord Gnome.

Source: https://en.wikipedia.org

The very first edition of “Private Eye”, was published on 25 October 1961. I was in England at the time, I had come to England few days before as a student.

I lived with a family of Italian origins for a couple of weeks in Morden, a district and town located few miles southwest of central London.

I bought the first number of “Private Eye” at the Morden Tube Station newstand. I remember I had only few shillings left in my pocket and was struggling to find a work.

I was lucky enough to find one in a place where I would have never thought of living, working and studying for longer than two years.

A friend of mine, whom I had met by chance in the London Underground on the Northern Line, drove me to the place with his old MG Spyder car.

He didn’t know the itinerary, we used as a reference the Tube Stations to cross Greater London. South-north, from Morden to a place called Radlett, just outside a town founded by the Romans, called Verulamium.

It was a Hospital located at Harper Lane, Shenley. The facility has been known as “Harperbury Hospital” for 61 years and has been a fixture of the area's mental health scene since 1928.

It had two sister institutions, Shenley Hospital and Napsbury Hospital, within a few miles of its location was. The places are now “derelict places”, but the Roman town is still there: the City of St. Albans.

I remember I had, among the things I carried with me, also a copy of this notorious magazine. It was my “private eye” on a reality I had never thought it could exist.

Those were the days when in London the play “Beyond the Fringe” was on at the “Fortune Theatre”, earning such rave reviews that the prime minister himself has been tempted to come along and watch Peter Cook’s impression of him.

My friend Alfred took me to see the show. With my poor knowledge of the language, I could understand almost nothing, either of the language and of the satire. I also had with me a copy a forbidden book after a year of obscenity trial: “Lady Chatterley’s Lover”.

Those were “my private eyes” on my first English days which would have kept me company for the rest of my life.

Private Eye The First 50 Years by Adam Macqueen Private Eye The First 50 Years
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Published on October 25, 2019 00:33 Tags: english-memories, private-eye

October 24, 2019

Medium is the message



Medium is the message. Questo è il messaggio che mando ai lettori di UNIDEADIVITA. Mi trovate su MEDIUM
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Published on October 24, 2019 13:32

September 9, 2019

Io non sono un analfabeta digitale ...

Dataroom
Questo blog ha venti anni. Ma tutto era cominciato anche prima di accorgermi che l'idea di vita che fino ad allora avevo avuto e condotto stava cambiando. Scrissi un libro su un villaggio della Costa d'Amalfi, Novella, uno dei tredici che costituiscono quel Comune che va sotto il nome di Tramonti. Mi venne l'idea che era necessario "salvarlo". Il mio non era altro che un sentimento più che romantico. Da quelle parti ci ero nato. 

Erano i luoghi nei quali era vissuta e cresciuta mia madre, ma dai quali poi era fuggita. Ebbi modo di scriverne in diverse occasioni da blogger reincarnato, nato nel villaggio "capitale" ma cresciuto oltre i monti, in un'altra Valle, quella dei Sarrasti, nella Valle del Sarno. Il libro diede il nome al blog, ma avevo già imparato a pensare digitale sin da quando, ancora in servizio a scuola, (erano i tempi del Commodore 64), ebbi modo di entrare in quella nuova realtà che si stava prepotentemente affermando e che si chiamò dapprima ipertesto, poi Internet quindi Rete-Web. 
Sono passati, a pensarci bene, circa cinquanta anni, quasi mezzo secolo, quando in un corso durante una "Summer School" in Inghilterra, ebbi modo di incontrare per la prima volta una sigla che avrebbe poi dominato il mondo e ancora lo possiede: IT che sta per Information Technology. Correva l'anno 1987. 
La corretta distanza temporale che determina l'analfabetismo di cui si parla nell'articolo che ripropongo qui di seguito apparso oggi sul "Corriere della Sera" per merito di una grande giornalista che va sotto il nome di Milena Gabanelli. Un "copia e incolla" per confermare, sopratutto a me stesso, che non sono un "analfabeta digitale". Gli Italiani, con i loro politici hanno deciso di esserlo. 
Non dimentico i conflitti ed contrasti che ho avuto, durante gli anni dell'insegnamento linguistico nei vari istituti della Valle dei Sarrasti, a Sarno in particolare, sulla forte diversità di vedute del mondo e della sua evoluzione. I fatidici e fatali "fuochi fatui" degli anni della "contestazione", il qualunquismo dei singoli, docenti, politici e amministratori, il pressappochismo delle istituzioni, in una realtà locale che ha sempre preferito guardare indietro piuttosto che in avanti. Tutto documenta il suo analfabetismo di cui parla l'inchiesta.
Ancora oggi, pur dopo la caduta dei muri, delle utopie e delle ideologie, le istituzioni locali, politiche, scolastiche e sociali si ostinano a non guardare al futuro con occhi nuovi. L'invito a leggere ed ascoltare con attenzione le parole della giornalista Gambanelli è una buona occasione per comprendere il vero significato di questo analfabetismo. Lei parla e scrive su un giornale del Nord. Sarà capace il Sud di capire?
La società digitale è ormai realtà e nei prossimi anni il processo si intensificherà, considerati i cambiamenti radicali che si stanno mettendo in moto con la diffusione dell’Intelligenza artificiale, della robotica, della realtà aumentata, dei big data. Tutte innovazioni che impatteranno sul modo di lavorare e sulle professionalità del futuro. Con il 5G nasceranno le smart city, dove per far funzionare il sistema di reti integrate (ospedali, ambulanze, traffico urbano, nettezza urbana, servizi energetici, municipali ecc) occorrerà che tutti gli addetti dei vari settori sappiano dialogare con la tecnologia. 
Quartultimi in Europa Di fronte a questi cambiamenti il nostro Paese, pur avendo eccellenze, ha un ritardo drammatico. Secondo l’indice internazionale che misura il livello di competenze digitali, nel 2018 l’Italia si piazza quartultima fra i Paesi dell’Unione Europea, seguita solo da Bulgaria, Grecia e Romania. Una posizione che resta simile sia che si guardi alle competenze di base che a quelle specialistiche. La prima causa riguarda l’arretratezza del nostro sistema scolastico e formativo di base.

Il 70% della popolazione adulta ha poco peso sociale Secondo il PIAAC (l’Indice delle competenze degli adulti) «solo il 3,3% degli adulti italiani raggiunge alti livelli di competenza linguistica, contro l’11,8% della media dei 24 paesi partecipanti, e il 22,6% del Giappone, il Paese in testa alla classifica. Inoltre, solo il 26,4% ha un livello buono. Significa che il 70% della popolazione ha livelli di competenze inferiori in lettura e scrittura. Un dato molto preoccupante perché si traduce in maggiori probabilità di avere problemi di salute, nella convinzione di avere poco peso sul processo politico, nella non partecipazione alle attività associative e minor fiducia nel prossimo. Anche per quel che riguarda le competenze matematiche, solo il 4,5% degli adulti italiani raggiunge un livello alto.


Quanti non utilizzano internetLa seconda causa riguarda l’accesso e l’utilizzo della rete. Sul piano privato, resta bassa la percentuale di chi in Italia utilizza Internet regolarmente (69%). Un ritardo che si riflette poi sugli altri principali indicatori quali l’internet banking (con il 31% restiamo in posizioni di retrovia), l’e-commerce, la partecipazione ai social network, la lettura di quotidiani online, l’ascolto della musica. Restiamo indietro anche nell’’utilizzo dei servizi di e-government: nel 2018, soltanto il 13% ha sottoposto moduli digitali compilati all’amministrazione. La media europea è del 30%.


Il ritardo delle imprese Sul piano delle imprese le cose non vanno molto meglio. La percentuale di Pmi che vendono online è dell’8% (dopo di noi solo la Bulgaria). Spagna e Germania arrivano rispettivamente al 20% e al 23%. Entrando nello specifico, secondo il Centro Studi di Confindustria – che si basa sulle rilevazioni Istat – l’89% delle 67.000 piccole imprese manifatturiere, comprese fra i 10 e 49 addetti, sono ancora oggi analogiche o digitali imcompiute. Un dato impressionante e che certamente contribuisce a spiegare i nostri problemi di competitività. La situazione migliora solo nelle imprese con 250 e più addetti, dove quasi la metà delle imprese rientra negli «innovatori 4.0 ad alto potenziale». Sommando a questo dato anche i «possibili innovatori» si raggiunge l’88% del totale.


Ricadute sul mondo del lavoro Il problema non è solo la scarsa diffusione dei mezzi digitali. Ancora oggi solo un quarto dei lavoratori usa quotidianamente software da ufficio (elaborazione testi o fogli di calcolo), e, secondo la già citata indagine sulle competenze degli adulti (PIAAC), è dovuto al fatto che oltre il 40% dei lavoratori non è nelle condizioni di farne un utilizzo efficiente. Da notare poi che sussiste un differenziale di genere – a discapito delle donne – nell’uso di Itc e nell’accesso a Internet. Il ritardo nella preparazione digitale si ripercuote poi sul mercato del lavoro. Nonostante l’elevato tasso di disoccupazione giovanile (24%), la richiesta di nuove figure collegate proprio alla conoscenza digitale (robotic & automation manager, T expert ed engineer, cognitive computing expert) rimane in parte inevasa poiché questi profili professionali sono di difficile reperimento. Un vero paradosso che impedisce a molti giovani di sviluppare percorsi con sbocchi professionali certi.


Una congiura contro il futuroÈ in queste condizioni di squilibrio che l’Italia, secondo l’Ocse, produce il basso livello di competenze di buona parte della manodopera, che finisce poi per indebolire anche la domanda di lavoro qualificato da parte delle imprese e le spinge di conseguenza a non investire in innovazione. Una congiura contro il futuro. Per modificare una situazione, che di fatto costituisce un ostacolo allo sviluppo della nostra società, sono necessari interventi urgenti. Gli orientamenti generali sono quelli già indicati dall’Unione Europea a partire dal 2012. 
Digitalizzare scuola e insegnantiPer tradurli in linee operative concrete bisogna intervenire sul sistema «istruzione» con la digitalizzazione della scuola, ovvero sulla diffusione dell’impiego delle tecnologie digitali nei percorsi di insegnamento e apprendimento. Il presupposto è la digitalizzazione degli insegnanti. Per incentivare tale processo è necessaria anche l’introduzione di un patentino digitale obbligatorio per tutti i giovani che entrano nel mercato del lavoro, indipendentemente dalla qualifica o dalla funzione. 
La scuola dell’obbligo «digitale» Parallelamente, per i lavoratori, occorre avviare un piano nazionale per lo sviluppo delle competenze e delle abilità digitali attraverso gli strumenti della formazione continua, non solo estendendo il diritto di usufruire dei permessi di studio (ancora previsti dalla vecchia legge delle 150 ore) a tutti coloro che frequentano corsi che elevano il livello di competenza, ma anche prevedendo incentivi fiscali per i lavoratori e le aziende che si muovono in questa direzione. Per le fasce deboli (disoccupati, neet, anziani): creazione di un fondo nazionale per l’alfabetizzazione digitale che affidi ai Comuni il coordinamento per l’avvio di un’azione mirata a dotare le fasce deboli delle conoscenze digitali necessarie. Coinvolgendo in modo particolare le periferie e i gruppi sociali più fragili, che da soli non hanno la possibilità di accedere alla società digitale, e si avviano verso l’emarginazione. Con ricadute equivalenti all’analfabetismo.



9 settembre 2019 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Published on September 09, 2019 07:51

September 1, 2019

La "crociera" della vita


Mia Broderick su Instagram
Il quotidiano inglese The Guardian ci ha scritto su un articolo a tutto tondo, come si suole dire. Riguarda il lancio di una crociera che prevede la visita a sei continenti, 51 paesi, 112 porti e che durerà 245 giorni. Lo riprendo e mi diverto ad usarlo per fare un esercizio di scrittura creativa.

Ne faccio anche una faccenda personale, collegata al fatto che una giovane studentessa Americana, appena laureata, appartenente alla quarta generazione della mia parentela di famiglia oltre oceano, sta facendo in questi giorni il suo “backpacking” in Europa. Costa d’Amalfi è la sua attuale esperienza. Non sapete cos’è? Continuate a leggere e capirete.
Non sono un crocierista nè un marinaio. Sono un dinosauro, figlio del mio tempo. In acqua a stento mi tengo a galla, eppure il mare, da sempre, ha avuto sulla mia mente un fascino straordinario. Con il passare degli anni, è andato sempre più aumentando. Ho camminato più per terra che per mare o per aria, Ora che sono diventato digitale, posso continuare a farlo, anche se in altra maniera: sono anche un appassionato “websurfer”.
Alla Rete virtuale non so rinunciare, alla stessa maniera di questi crocieristi di cui parla il giornale inglese e della mia pro-pro-pro-nipote Irlandese-Americana Mia Broderick. Ma devo andare in ordine altrimenti non potrete capire il messaggio che intendo dare a questo mio post.

La mappa della crociera In questi giorni, a Londra Greenwich, sta per iniziare la più lunga crociera di tutti i tempi, un record nel libro dei Guinness. Un viaggio che è come una crociera della vita, che durerà non 80 giorni, quanto quelli descritti da Giulio Verne nel suo famoso libro.
Me lo ricordo il protagonista di quel libro Phileas Fogg, un uomo ricco, riservato, celibe e con abitudini regolari. La fonte del suo denaro era sconosciuta. Volle dimostrare con la sua scommessa che era possibile viaggiare intorno al mondo in 80 giorni. Un tempo breve, allora, oggi il giro del mondo lo si può fare in poche ore.
Eppure la crociera della compagnia norvegese dura ben 245 giorni, ma in condizioni molto diverse. La fantasia narrativa di un libro, che è stato un capolavoro della letteratura giovanile di un’epoca, viene superata dalla cronaca che ne fa il quotidiano britannico.
Non so quante volte ho letto il libro e visto il film. Mi ha fatto sognare quando ero ragazzino. L’unico mezzo di locomozione che conoscevo era quel treno che un tempo si chiamava “Circumvesuviana” che arrivava e nasceva da Sarno, la città della Valle dei Sarrasti.
I viaggiatori che saliranno a bordo della nave Viking Sun per fare l’intera crociera sono 54. Phileas Fogg non sarebbe stato solo durante il viaggio oggi, gli farebbero compagnia anche altri 930 crocieristi i quali si alterneranno in un viaggo il cui costo oscilla tra un minimo di 66,990 ed un massimo di 194,390 sterline. Fate voi il calcolo in euro.
Dalla Scandinavia ai Caraibi, dal Sud America al Sud Pacifico, dall’Australia, all’Asia, passando per l’Europa, facendo stop anche in Sardegna. Il più lungo itinerario mai fatto offrirà ai suoi ospiti 245 tipi di menu, dice un portavoce della compagnia di navigazione.
Gente, comunque, molto legata alle attività e ai viaggi di crociera, persone che manifestano apertamente la propria dipendenza oltre che alle possibilità economiche anche al desiderio di evadere, esplorare, conoscere. Se lo possono permettere. Vivere vale come una crociera.
Non sono solo milionari, quindi, anche gente comune, come afferma il direttore commerciale della società. Una tendenza verso la crocieristica diffusa in tutto il mondo, una vera e propria dipendenza che ha fatto enormemente crescere questa industria. 
Dimostra anche il grande desiderio di movimento, di libertà, di conoscenza che però by-passa la realtà dei luoghi visitati. Il contatto con le popolazioni dei paesi toccati è, infatti, ridotto al minimo, inesistente. 
Mia Broderick a Maiori
Quasi un rito di passaggio a quella realtà opposta della quale intendo ora parlare collegandomi al backpacking cui ho accennato innanzi e che la mia giovane nipote americana sta facendo da diverse settimane in Europa.

“La vita è un ponte. Attraversalo, ma non costruirvi alcuna casa” scriveva lo scrittore inglese Bruce Chatwin in un suo libro straordinario intitolato “Le vie dei canti” (1987). Un proverbio indiano, usato per comprendere la filosofia di vita dei “backpackers”.
Una parola inglese quasi intraducibile in italiano. Sta ad indicare tutti coloro i quali decidono di mettere il mondo in uno zaino sulle spalle. Non tutti viaggiano allo stesso modo. L’abbiamo visto con la crociera di cui ho parlato prima. Qui basta uno zaino in spalla e la voglia di partire alla scoperta, quasi come una sfida a se stessi. Verso la “crociera della vita”.
Sono sempre di più le persone che decidono di lasciare la propria casa per periodi medio-lunghi e trascorrere mesi o anni in giro per il globo terrestre adottando uno stile di vita a basso costo. Il che vuol dire soggiornare in ostelli, condividere spazi ed esperienze con tanti altri viaggiatori, utilizzare trasporti pubblici e acquistare biglietti di voli a basso costo per spostarsi da un luogo all’altro.
Il termine “backpacking” affonda le sue radici proprio nel tipo di “turismo”, una forma di viaggio internazionale economico e indipendente. Chi sono i “backpackers”? Cosa li spinge ad affrontare simili viaggi? Perchè decidono una cosa del genere? Proviamo a conoscerli da vicino e a capire come e perché un’avventura del genere può cambiare la vita.
Non vedrete mai “backpackers” soggiornare in alberghi lussuosi o aggregarsi a gruppi di turisti organizzati con relativa guida. Essere un backpacker significa seguire anche quella che è la filosofia del termine: ovvero incoraggiare lo sviluppo e l’importanza dell’individuo, superare le barriere linguistiche, organizzarsi indipendentemente e assaporare quello che è il gusto della libertà senza conformarsi alla massa.
La parola nasce all’inizio degli anni ’70 con i primi voli low-cost. Questo periodo determinò un grande cambiamento nel mondo del turismo: diventò comune per i giovani occidentali spostarsi verso il Sud-est asiatico e l’India, le rotte hippy d’allora.
In anni recenti questo fenomeno è diventato come un “rito di passaggio”, una specie di anno sabbatico che i ragazzi si prendono alla fine dell’università per dedicarsi al viaggio e all’esplorazione.
Questo sembra essere anche il caso della mia pro-nipote Mia Broderick che da Scituate, nello stato del Massachusetts, dopo di avere completato brillantemente il corso di studi alla Bryant University in “Business Administration”, ha iniziato a fare la sua “crociera” in Europa.
Non sono solo giovani laureati alla ricerca di un’esperienza significativa prima di approcciarsi al mondo del lavoro. Non c’è un’età limite per decidere di partire. E’ una questione di atteggiamento nei confronti della vita in generale. Da parte dei giovani è quasi come una sfida al futuro.
Il “backpacking” è ormai conosciuto in tutto il mondo, molto rilevante soprattutto nel Nord Europa, Australia, Nuova Zelanda e Canada. Tutti questi paesi agevolano i viaggiatori indipendenti con un’organizzazione accurata di ostelli e disposizioni per i viaggi low cost.
Essere “backpackers” è senz’altro un’esperienza che cambia il modo di vedere i beni materiali e permette di aprire i propri orizzonti. Per affrontarla ci vuole una dose di coraggio non indifferente. Non per tutti è facile pensare di partire da soli e sapere che le amicizie e le conoscenze che si fanno durante il tragitto possono durare un giorno, una settimana o un mese per poi finire con un “Ciao” che spesso è un addio.
I “backpackers” viaggiano soli, si incontrano e poi si dividono per seguire ognuno la propria strada con uno zaino pieno di vita. Laureata con il massimo dei voti, Mia Broderick, ha cominciato a girare l’Europa tutta sola. Ha appena 22 anni. Una giovane e bella ragazza che decide una cosa del genere, risponde ai miei classici e fatidici interrogativi scrivendo che:
People are always asking “why?”. La gente mi chiede sempre “perchè”? 
Why are you traveling? Why backpacking? Why now? Why alone? Why aren’t you afraid? 
Perchè viaggi? Perchè con zaino sulle spalle? Perchè ora? Perchè da sola? Perchè non hai paura?
 I usually respond with the typically answers of “I just graduated from university”, “I originally planned this trip with a friend”, “I always try to be aware of my surroundings” and so on and so forth.
Di solito rispondo: “Mi sono appena laureata, avevo programmato il viaggio con un’amica. Cerco di conoscere l’ambiente che decido di visitare e via dicendo. 
Often times I feel like responding with just “why not?”. Spesso rispondo soltanto: “Perchè no?” 
I have found these questions much more difficult to answer when speaking to those from the US, my own home country. I have found that many people have a hard time understanding why a 22 year old female would backpack through Europe solo, and how it’s possible.
 Mi è difficile rispondere quando parlo a persone degli Usa, del mio stesso Paese. Molte persone hanno difficoltà a capire perchè una ragazza di 22 anni decide di mettersi uno zaino sulle spalle e girare per l’Europa da sola. Come sia possibile una cosa del genere.
After 7 weeks of traveling, I’ve finally found the words to answer these questions.
 Dopo sette settimane di viaggio riesco finalmente a trovare le parole per dirlo.
This is why I’m traveling: ecco il perchè. 
Because life short. At any time and any place, life can be taken from us. No place on earth shelters us from death. No place on earth shelters us from danger, fear, or violence. It doesn’t get anymore simple than that. I travel now, while I am young, energetic, healthy. I travel now, when I have an entire lifetime ahead of me to use your the knowledge and lessons I have gained. I travel now to make friendships that can last decades. 
Perchè la vita è breve. In qualunque momento, in qualunque luogo la vita ci è può essere tolta. Non esiste alcun luogo sulla terra che ci possa dare rifugio e difenderci dal pericolo, dalla paura o dalla violenza. Questa è la verità. Viaggio ora che sono giovane, ho la forza di farlo, ho la salute. Viaggio ora perchè ho l’intera vita davanti per fare amicizie durature. 
Because the world has so much to see. There are countries and cities that I have never heard of, and there are many I will never see. But why not try to see as much as I can during my lifetime? There are endless opportunities to explore and to learn- history, culture, language. There is so much more in the world than our own circle and bubble.
 Perchè ci sono tante cose da vedere nel mondo. Ci sono paesi e città di cui non ho mai sentito parlare, altre che non vedrò mai. Perchè non provare subito, ora che sono in vita? Ci sono infinite opportunità da esplorare, imparare la storia, la cultura, la lingua. Ci sono più cose al mondo che nel nostro piccolo, ristretto ambiente in cui viviamo.
When you put yourself outside of your comfort zone, you suddenly begin to see just how much you are missing. It is far too easy to get caught up in your everyday routine. Once you see this, you don’t want to stop exploring. After my semester abrod, I can’t stop yearning to explore. 
Quando decidi di venire fuori dalle tue comodità, subito ti rendi conto di quante cose stai perdendo. E’ facile essere presi nella piccola routine quotidiana. Ma, una volta che ne sei fuori, non puoi smettere di esplorare. 
Because people are good. Despite what you will see in the news, most people are genuinely good. I have met some of the friendliest, kindest, strangest, craziest, compassionate people during these past 7 weeks. In my experience, the ratio of good to bad is about 2000:1. Just because someone is different from you, or has a contrasting viewpoint, does not mean they are bad. As difficult as it may be, listen to these people, as you may learn a lot from them. Find the good, and don’t let that 1 person stop you from moving forward. 
La ragione è semplice. La gente è buona. Nonostante quello che leggi nelle notizie, gran parte delle persone sono davvero buone. Ne ho incontrate di gentili, amichevoli, strane, pazze, compassionevoli in queste ultime sette settimane. Il rapporto tra bene e male è 2000:1. La ragione è semplice: il fatto che qualcuno è diverso da te, la pensa in maniera differente da te, non significa che questa persona sia cattiva. Per quanto possa essere difficile, dobbiamo ascoltare queste persone, possiamo imparare sempre qualcosa da esse, scoprire il bene, fare in modo che una sola singola persona non blocchi il tuo desiderio di andare avanti. 
Because there is an idea that money means happiness and success. That we should get good grades, attend college/university, land a good job, have a large house, and drive the nicest cars. And of course, work ourselves tired until we have enough money saved for retirement. 
C’è l’idea che il danaro sia successo e felicità, che dobbiamo avere buoni voti, frequentare la scuola o l’università, trovare un buon lavoro, possedere una grande casa, guidare belle macchine. 
Only then, we will have the freedom to travel. But, how much money is enough? Is the bar being raised higher and higher, thinking it will equate to happiness further down the line? I’ve learned to stop putting my current happiness aside for what I believe will be future happiness. The future is not guaranteed, the present is. Why not take a gap year, defer a semester, take a summer to travel, quit your job? Money does not make people happy or successful, your mindset and experiences do. 
Solo dopo di avere ottenuto tutto questo possiamo metterci in viaggio. L’asticella dei desideri tende a salire sempre di più, mentre il pensiero si abbassa. Ho imparato a fermare la mia attuale felicità e ho deciso si investire su quella futura. Il futuro non è garantito, ma il presente lo è. Perchè non prendere un anno sabbatico, ipotecare un semestre, fare una estate viaggiando, lasciare il lavoro? 
Because I need a challenge. My challenge for this trip is to learn to be content with being alone, to build my self confidence and love myself enough to be my own company, and to share myself with complete strangers. Have I ever traveled solo before? No. Is it a bit intimidating? Yes. Is there a lot of unknown? For sure. Therefore, challenge accepted. 
Perchè senti che hai bisogno di una sfida. La mia sfida in questo viaggio è quella di imparare ad essere sola, costruire la fiducia in me stessa, amandomi, tenendomi compagnia o in compagnia con gente sconosciuta. Ho mai viaggiato da sola prima? No, mai. C’è da aver paura? Si. Ho di fronte l’ignoto? Certamente, per questa ragione ho accettato la sfida.
So this is why I travel. Ecco il motivo di questo mio viaggiare. 
To break the cycle. Break the stigma. Break the expectations. Break the preconceived notions and stereotypes. 
Interrompere il cerchio. Lasciare il segno. Rompere le aspettative, i preconcetti e gli stereotipi. 
To be brave. Be ambitious. Be adventurous. Be bold. 
Essere coraggiosi. Ambiziosi. Avventurosi. 
To be me. Essere io.
Non saprei cosa aggiungere a questi pensieri che Mia mi ha inviato in una mail. Eppure è nostra ospite al piano di sopra. Non ne abbiamo parlato in maniera diretta. Ho avuto modo soltanto di consigliarle la lettura di un libro in cui l’autore mette sul tavolo il vero senso di questa esperienza: il senso del viaggo inteso come “crociera della vita”.
Il libro si intitola “Che ci faccio io qui?” scritto dall’inglese Bruce Chatwin. Uscito poco prima della sua scomparsa, lo scrittore raccolse, negli ultimi mesi prima della morte, quei pezzi dispersi della sua opera che avevano segnato altrettante tappe di una sola avventura, di tutta una vita intensa come un viaggio da fare a piedi.
Nel libro lo vediamo spuntare nei luoghi più disparati e fra le persone più opposte: al seguito di Indira Gandhi, mentre annota un diario esilarante o in visita da Ernst Jünger, alla ricerca dello yeti o in quartieri malfamati di Marsiglia, o in Africa mentre si scatena un colpo di Stato, a cena con Diana Vreeland o con Werner Herzog nel Ghana o con un geomante cinese a Hong Kong.
I numerosi lettori di Chatwin sanno che egli fu, prima ancora che un romanziere e un saggista, qualcuno sempre in viaggio in cerca di ogni possibile esperienza, con lo sguardo penetrante di chi vuole andare il più lontano possibile.
Con lui riscopriamo che il tema ricorrente del narratore in genere è quello del viaggiatore che si ferma a ricordare ciò che ha visto. Il timbro, l’asciuttezza, l’icasticità della prosa di Chatwin sono stati uno dei grandi e preziosi doni letterari degli ultimi decenni.
Proprio alla fine di queste pagine Chatwin ci svela, con un guizzo finale di mirabile teatralità, che dietro l’arte della sua prosa ha sempre operato un consiglio che una volta gli diede Noel Coward, «il Maestro»: «Non si lasci mai intralciare da preoccupazioni artistiche».
Anche io, da sempre, sono stato preso dalla frenesia del viaggio, a piedi, per terra e per aria. Solamente a tarda età sono riuscito ad andare in crociera accontentandomi del Mediterraneo. Per questa ragione farei volentieri quel viaggio intorno al mondo, su quella nave norvegese, alla maniera di Phileas Fogg.
Mia Broderick è comparsa improvvisamente da oltre mare, uscendo da quell’intrigato albero di famiglia Parziale-Gallo. “Oltre mare”, ho detto, meglio dire “oltre oceano”, come soleva dire mio cugino Jimmy Parziale, zio di Mia, per “vivere libero o morire” e per portare a termine la propria “crociera della vita”. Buon viaggio Mia!


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Published on September 01, 2019 07:11

June 22, 2019

L'inganno della verità

Il supplemento del “Corriere della Sera” dedicato alla cultura è una settimanale sfida a chi fa dei libri e della lettura due delle prime ragioni di “esseri umani”, capaci non solo di intendere e di volere, ma anche di “seguir virtute e canoscenza”.
Questo numero ha una copertina che si presenta con una vera e propria affermazione categorica. Al suo interno contiene una chiara provocazione per il lettore: affermare “nient’altro che la verità”.
Tutto nasce in occasione di una mostra di un’artista americana, Jenny Holzer, la quale espone i suoi lavori sul tema a Bergamo, nel Palazzo della Ragione. Nella presentazione che ne fa il settimanale si legge che le sue opere ci parlano appunto della “Verità” in rapporto con le varie voci nelle quali questa parola si trova a vivere la sua realtà sia linguistica che contenutistica: oppressione, guerra, potere, sesso, guerra, vita e morte, insomma.
L’artista intende usare la parola come un’arma rivoluzionaria per sfidare le convenzioni, i pregiudizi e le violenze. Dire la verità, rimane un atto rivoluzionario, si legge nella presentazione. Io, molto più modestamente, lo chiamerei un atto “utopistico”.
Gianni Rodari, citato per l’occasione, non credo si riferisse soltanto al suo e nostro Bel Paese quando scrisse, in uno dei suoi famosi aforismi poetici: “Nel paese della bugia la verità è una malattia”.
Nel “paese mondo” domina da sempre la menzogna, contro la quale si sono scatenate innumerevoli rivoluzioni in nome della verità. Continua ad uscire vincitrice la prima, mentre rimane sempre accesa la domanda “Quid est veritas?” ed inevasa la risposta.
Non intendo essere pessimista. Non è mia intenzione criticare l’opera artistica della Holzer. Mi piacerebbe visitare la sua mostra, ma Bergamo è lontana. Mi preme soltanto osservare che l’immagine scelta dalla redazione del settimanale è un vero e proprio pugno nello stomaco del lettore.
Quel colore in frantumi segnala purtroppo proprio la sconfitta di quella parola che sia la Redazione che l’Artista avevano intenzione di esaltare. Una mostra allestita in uno storico palazzo intitolato alla “Ragione” per affermare la “Verità” mi sembra davvero un paradosso. Temo che nella condizione umana la “Verità”continui ad essere un inganno.
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Published on June 22, 2019 08:07

June 20, 2019

Anatomia dello "scuorno"

Sfogliavo il "Corriere" stamattina dopo di avere letto la rubrica Il Caffè di Massimo Gramellini in prima pagina che parlava dell'avvocato napoletano il quale ha avuto la possibilità di conversare con il Presidente del Consiglio Conte "in mutande" sul suo balcone, cogliendo a volo l'occasione del suo passaggio da quelle parti a Napoli. 
Senza "scuorno", chiosava il giornalista, elencando diversi esempi di antica vergogna oggi superati, scrupoli del tempo andato. Non conoscevo ancora l'episodio sul quale poi, sfogliando lo stesso giornale, ho avuto modo di informarmi nelle pagine successive in una cronaca con le fotografie del protagonista, l'avvocato in mutande, e il Presidente Conte, in cravatta e giacca, ovviamente. 
Devo aggiungere anche, per la precisione, che, in terza pagina, il giornale aveva presentato ai lettori anche una istantanea del vice premier Salvini, ripresa da un settimanale, mentre anche lui indossa un paio di boxer verde militare e sta innaffiando le piante sul suo balcome di casa. 
Certamente il caldo di questi giorni ha costretto gran parte di noi a questo tipo di abbigliamento. Ogni occasione è buona, quindi, per pontificare sulla realtà della nostra condizione e su come siamo ridotti. "Un Paese in mutande", appunto, ha intitolato il suo pezzo Gramellini, a quanto pare non solo per il caldo. 
Ma la cosa non finisce qui perchè, continuando a sfogliare il giornale nelle pagine successive, quella con il numero sette, mi sono imbattuto nella foto che correda questo post. A tutta pagina appare questo giovane, ancora un ragazzino, che fa da modello, rivestito alla moda, inclusi i tatuaggi. Nessun nome della azienda, (ho ritagliato l'immagine) solo una successione di lettere, otto lettere in maiuscolo seguite da un numero. In alto a sinistra della foto un indirizzo web per per fare lo shopping. 
Lo confesso, sono rimasto perplesso per un attimo. Ho poi pensato di scrivere a Gramellini per esternare i miei pensieri. Gli ho scritto la lettera che segue, non prima però, ignorante di marketing e di moda come sono, ma sempre dinosauro curioso, per rendermi conto di cosa sia veramente lo "scuorno" al quale aveva fatto riferimento nel suo "caffè". 
E' una grande e diffusa azienda internazionale, molto alla moda, che ha vestito quel ragazzo nella immagine, trasformandolo in quello "scuorno" indecente. Le "mutande" dell'avvocato  sessantanovenne napoletano sono davvero un pudico vestimento. Non solo "pudico", ma anche economico, se date una occhiata ai prezzi di quei jeans, stivaletti, foulard e tatuaggi vari. 
Una pagina intera per pubblicizzare prodotti a quei prezzi, per un Paese che sarebbe "in mutande" senza "scuorno" mi fa davvero scompisciare dalle risate. C'è gente che arriva a comprare un paio di jeans stracciati a prezzo lunare, un paio di stivaletti marziani femminili per oltre mille e cinquecento euro e altre indecenze senza "scuorno".
Amare risate che riecheggiano sullo sfondo di una società che scivola nel baratro senza fondo nel quale anche il bravo giornalista, col suo giornale, ci sta facendo precipitare mentre sorseggiamo il nostro caffè comune. 
Intendiamoci, non ce l'ho con l'azienda che produce quei prodotti, nè tanto meno col giornale che deve incassare con la pubblicità, nè tanto meno con lo stesso Massimo Gramellini che ogni mattina mi aiuta ad affrontare un'altra giornata di vita nelle vesti di un dinosauro digitale. Sono i soldi che fanno girare il mondo. Lo sappiamo bene, da sempre.
Mi chiedo, soltanto, a questo punto dove inizia la vergogna di una società come quella attuale in questo Bel Paese e dove finisce tutto lo "scuorno" di cui abbiamo parlato. Meno male che il Presidente Conte era in cravatta e giacca. Ecco la lettera:
Caro Massimo, ho appena letto il suo "caffè" di stamattina sull'avvocato napoletano senza "scuorno" che in mutande conversa con il Presidente del Consiglio. Tutto condivisibile. Poi continuo a sfogliare il giornale e arrivo a pagina 7. Mi imbatto in una foto pubblicitaria, questa sì senza "scuorno". L'ha vista? Lo so, non pubblicherà mai questa mia osservazione. Lo "scuorno" ormai è diventato una norma. Un abbraccio e avanti tutta così. Antonio Gallo  (classe '39 lettore da sempre del Corriere)

Non credo che al giornale pubblicheranno la mia lettera. Vi farò sapere ...

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Published on June 20, 2019 09:01

MEDIUM

Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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