Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 10
May 21, 2025
Lucrezio scrisse ...
Da questo punto di vista le prospettive c'erano e continuano ad esserci. È vero, la prospettiva cambia radicalmente se spostiamo il focus dall'individuo alla trasmissione della conoscenza e delle idee.
Lucrezio parlava dell'esperienza soggettiva della morte, dell'annullamento della coscienza individuale. In quel contesto, la morte è davvero "nulla" perché non c'è più un "noi" che possa esperirla.
Ma per i libri, per le idee, la morte assume una forma diversa, come giustamente si osserva: il sonno. Un periodo di latenza, di inattività apparente. Il libro rimane chiuso, l'idea dimenticata, ma potenzialmente ancora esistente, pronta a essere riscoperta.
Risveglio. La rilettura, la riscoperta, la citazione. In quel momento, l'idea "si risveglia" e torna a vivere nella mente di un nuovo lettore, influenzando il suo pensiero e potenzialmente il corso della storia.
Da questa prospettiva, le opere di Lucrezio stesso ne sono un esempio lampante. Per secoli sono state "dormienti", dimenticate o conosciute solo attraverso frammenti. Il loro "risveglio" nel Rinascimento ha avuto un impatto enorme sulla filosofia, la scienza e la letteratura, cambiando il corso della comprensione del mondo.
Quindi, se consideriamo la morte non come la fine dell'esistenza individuale, ma come un periodo di oblio per le creazioni intellettuali, allora il potenziale di un "risveglio" futuro offre una prospettiva potente.
Questa prospettiva implica diverse cose. L'importanza della preservazione. La cura dei libri, degli archivi, delle opere d'arte diventa fondamentale per garantire che le idee non vadano perdute per sempre e abbiano la possibilità di "risvegliarsi".
La natura dinamica della conoscenza. La comprensione non è statica. Idee che in un certo momento storico possono sembrare superate o irrilevanti, in un altro contesto possono acquisire un nuovo significato e portare a nuove intuizioni.
La "vita" delle idee. Le idee, una volta formulate, acquisiscono una sorta di vita propria, indipendente dal loro creatore. Possono viaggiare nel tempo e nello spazio, influenzando generazioni diverse.
È un modo bellissimo di guardare al lascito intellettuale.
Lucrezio ci ha lasciato un'opera che, nonostante la sua visione materialistica della morte individuale, continua a "vivere" e a stimolare il pensiero a distanza di secoli. In questo senso, per le sue idee, la morte non è stata la "nulla" di cui parlava per l'individuo, ma un lungo sonno dal quale si è risvegliato per continuare a illuminare le nostre menti.

May 20, 2025
La “fine”, il “fine” e i “fini” della Conoscenza con l’arrivo di AI

“The Ends of Knowledge: Outcomes and Endpoints Across the Arts and Sciences”, curato da Rachael Scarborough King e Seth Rudy, è un’opera accademica pubblicata da Bloomsbury Academic. Si tratta di una raccolta di saggi che riunisce studiosi, attivisti e lavoratori della conoscenza per esplorare una domanda fondamentale dell’Illuminismo: quali sono gli “ends” della conoscenza?
Il termine “ends” in inglese ha una duplice valenza, indicando sia gli scopi (telos) che le conclusioni (terminus), un’ambiguità che il libro sfrutta per analizzare come diverse discipline affrontano queste dimensioni nell’era dell’intelligenza artificiale (IA) e dell’economia della conoscenza. Il volume è strutturato in quattro sezioni tematiche, ciascuna con saggi che riflettono su come i campi accademici concepiscono i loro “ends”.
Queste sezioni sono: Unificazione. Include saggi su fisica, studi letterari, informatica, biologia e digital humanities, esplorando punti di convergenza tra discipline. Accesso. Si concentra su come la conoscenza viene resa accessibile, con contributi su legge, giornalismo, pedagogia e arti liberali. Utopia. Indaga futuri ideali o potenziali distopie, includendo un capitolo sull’IA. Concetti. Esamina idee fondamentali, con saggi su studi performativi, storia, studi afroamericani e studi culturali.
Il libro risponde a crisi accademiche attuali, come pressioni economiche, istituzionali, politiche e culturali, aggravate da eventi come la pandemia COVID-19 e il cambiamento climatico.
Distinzione tra “End”, “Ends”, “Fine” e “Fini”. Per comprendere il tema centrale, è essenziale distinguere i termini utilizzati. In inglese, “end” può significare: la fine, la conclusione (terminus), ad esempio, “la fine di un progetto”. Lo scopo, il fine (telos), ad esempio, “il fine della ricerca è scoprire la verità”. “Ends” è il plurale, quindi può riferirsi a più conclusioni (ad esempio, “le fine di diversi esperimenti”) o a più scopi (ad esempio, “gli scopi della conoscenza includono educare e innovare”).
In italiano, “fine” indica principalmente la conclusione, la terminazione, ad esempio, “alla fine del progetto”. “Fini” è il plurale di “fine”, ma nel contesto del libro, potrebbe essere meglio tradotto come “scopi” per catturare il significato di telos, ad esempio, “i fini della conoscenza sono molteplici”.
Il libro sembra usare “ends” principalmente per enfatizzare gli scopi, ma include anche riflessioni sulle conclusioni, come evidenziato nell’introduzione, che collega “terminus” e “telos”. Questa ambiguità è parte del suo appeal intellettuale, invitando i lettori a riflettere su entrambi gli aspetti.
Impatto dell’Intelligenza Artificiale. L’arrivo dell’IA, come discusso nel capitolo “The Ends of Artificial Intelligence” di Hong Qu, collocato nella sezione Utopia, solleva questioni profonde sugli scopi e le conclusioni della conoscenza. La sezione Utopia implica che l’IA sia vista come un campo con potenziale utopico, ad esempio, per risolvere problemi complessi, migliorare la qualità della vita o automatizzare compiti, ma anche con rischi distopici, come la perdita di controllo, l’uso eticamente discutibile o la sostituzione di lavori umani.
L’IA potrebbe ridefinire gli scopi della conoscenza, rendendo obsolete certe forme di sapere umano (ad esempio, analisi dati manuali) e creando nuovi campi, come l’etica dell’IA o l’IA generativa. Potrebbe anche ampliare gli scopi, come migliorare l’accesso alla conoscenza attraverso strumenti di apprendimento automatico. L’IA potrebbe portare a conclusioni come la singolarità tecnologica, dove l’IA supera l’intelligenza umana, o alla obsolescenza di certe discipline.
Tuttavia, queste conclusioni sono dibattute e incerte, come evidenziato in discussioni accademiche recenti. Il libro, quindi, riflette il dualismo intrinseco dell’IA: un mezzo per raggiungere scopi umani, ma anche una forza che potrebbe portare a conclusioni indesiderate, come la perdita di autonomia o nuove forme di disuguaglianza.
Uno dei punti di forza di “The Ends of Knowledge” è il suo approccio interdisciplinare, che permette di vedere temi comuni e differenze tra campi diversi. Come molte raccolte di saggi, la qualità può variare, con alcuni contributi che potrebbero offrire insight profondi e altri più superficiali.
E’ importante valutare la profondità, ma i curatori, entrambi professori associati di inglese (Seth Rudy a Rhodes College e Rachael Scarborough King all’Università della California, Santa Barbara), hanno selezionato un gruppo di esperti, suggerendo un alto standard.
Il libro è particolarmente rilevante per il contesto attuale, affrontando crisi accademiche e pressioni esterne, come discusso in un evento accademico del 2022. È una lettura essenziale per chi è interessato al futuro dell’accademia, al ruolo della tecnologia nella produzione di conoscenza e alle basi filosofiche dell’indagine disciplinare.
“The Ends of Knowledge” stimola una riflessione profonda sugli scopi e le conclusioni della conoscenza nell’era dell’IA. La distinzione tra “end” e “ends”, e tra “fine” e “fini”, è centrale per comprendere il suo messaggio: con l’IA, dobbiamo chiederci non solo cosa vogliamo raggiungere, ma anche quali saranno le conseguenze ultime delle nostre scoperte. È un contributo importante al discorso accademico, anche se alcune conclusioni restano aperte e dibattute, riflettendo la complessità del tema.

La conoscenza è l’unica ricchezza che, quando condivisa, si moltiplica.
Il vero segno della conoscenza non è l’accumulo, ma la capacità di discernere ciò che conta.
Ogni risposta genera nuove domande: questa è la vera natura della conoscenza.
Il saggio non è colui che sa tutto, ma colui che sa quanto poco sa.
La conoscenza è una fiamma, non un vaso da riempire.
Più profonda la conoscenza, più ampia la visione.
Non c’è peso nella conoscenza, ma leggerezza nel comprenderla.
La conoscenza è la bussola che guida l’anima nel mare dell’esistenza.
Dubita di chiunque pretenda di avere tutta la conoscenza: la verità è un orizzonte che si sposta.
Il primo passo verso la conoscenza è ammettere la propria ignoranza.
La conoscenza senza saggezza è un’arma senza mira.
Non è ciò che sai, ma ciò che fai con ciò che sai, che definisce la tua conoscenza.
Cerca la conoscenza come cercheresti l’aria per respirare.
La conoscenza è un viaggio senza fine, non una destinazione.
La conoscenza rende liberi, ma solo la saggezza indica la direzione della libertà.[image error]
May 19, 2025
“Ciascuno con i propri pensieri”

L’amica Gaetana Mazza ha postato la poesia che segue su FB. E’ di Nadezhda Slavova, una poetessa a me del tutto sconosciuta. Da una rapida ricerca in rete ho raccolto la sua identità. Ho poi chiesto alla mia agente AI di commentarla. In tempo reale mi ha dato la sua risposta. Confesso che non avrei saputo fare di meglio nel tempo che la “sua” Intelligenza Artificiale ha impiegato. Mi sono limitato a dire soltanto “stupenda”. Alcuni dicono che AI sia stupida, altri un pericolo, un incubo. Altri una minaccia, altri ancora, un problema, la possibile fine dell’umano. Come giustamente proclama il titolo della poesia “Ciascuno con i propri pensieri”. Per ora, io che sono “umano”, non posso fare altro che testimoniare.
Ciascuno con i propri pensieri
Un giorno
guarderemo il mare
in silenzio,
ciascuno con i propri pensieri,
tutti e due
con la stanchezza della corsa immane
di cui poco rimane o forse chissà …
un giorno guarderemo l’immenso del mare,
non chiedendo più niente
e, semplicemente, aspetteremo il cielo
venire da noi
mentre il vento fischierà dolcemente
un motivo che distrae i gabbiani
ancora affamati
che vivono dentro di noi.
(Nadezhda Slavova)
Il senso di questa poesia mi pare intriso di una profonda riflessione sul tempo, sulla vita e sulla quiete che si spera di raggiungere. Vediamola strofa per strofa:
“Un giorno / guarderemo il mare / in silenzio, / ciascuno con i propri pensieri,”: Questa prima parte introduce un futuro, un momento di pausa e contemplazione. Il mare, spesso simbolo di vastità e eternità, sarà osservato in silenzio. Il fatto che ognuno abbia i “propri pensieri” suggerisce una individualità che persiste anche nella condivisione di questo momento.
“tutti e due / con la stanchezza della corsa immane / di cui poco rimane o forse chissà …”: Qui emerge la fatica della vita, descritta come una “corsa immane”. C’è un senso di consunzione, di qualcosa che sta svanendo (“poco rimane”), ma anche un velo di incertezza (“o forse chissà …”) che lascia aperta la possibilità che qualcosa di quella corsa permanga, magari sotto forma di esperienza o ricordo. Il “tutti e due” implica una condivisione di questa stanchezza, un percorso di vita affrontato insieme.
“un giorno guarderemo l’immenso del mare, / non chiedendo più niente / e, semplicemente, aspetteremo il cielo / venire da noi”: Questo verso sottolinea un raggiungimento di una fase in cui non ci sono più richieste o desideri pressanti. L’azione si fa passiva, un’attesa serena che il “cielo” (che può simboleggiare la pace, la trascendenza, o semplicemente la fine) venga incontro. C’è un senso di accettazione e di abbandono al corso degli eventi.
“mentre il vento fischierà dolcemente / un motivo che distrae i gabbiani / ancora affamati / che vivono dentro di noi.”: L’immagine del vento che fischia dolcemente crea un’atmosfera di tranquillità. I “gabbiani ancora affamati” che “vivono dentro di noi” sono una metafora potente. Essi rappresentano i desideri insaziabili, le ansie, le pulsioni che continuano ad esistere interiormente, anche in un momento di apparente quiete. Il vento, con la sua melodia, ha la funzione di distrarre queste “fame” interiori, offrendo un momentaneo sollievo.
In sintesi, la poesia di Nadezhda Slavova dipinge un quadro di un futuro in cui, dopo la fatica della vita, si giunge a un momento di silenziosa contemplazione di fronte all’immensità del mare. Non ci sono più richieste, solo un’attesa pacifica della fine, mentre interiormente persistono le “fame” della vita, che vengono dolcemente distratte dalla melodia del vento. È una riflessione sulla ciclicità della vita, sulla stanchezza che essa comporta e sulla speranza di una quiete finale, pur con la consapevolezza che alcune dinamiche interiori rimangono vive.[image error]
May 18, 2025
Non rompete le scatole!

Le “scatole nel cervello” (o “boîtes” in francese) a cui si riferisce Paul Valéry sono una metafora utilizzata dal poeta e filosofo francese per descrivere l’organizzazione della mente umana. Questo concetto emerge principalmente dai suoi “Quaderni”, dove esplora il funzionamento del pensiero, la creatività e la coscienza. Ecco una sintesi del significato:
Compart-mentalizzazione delle funzioni mentali. Valéry immagina il cervello come un insieme di “scatole” separate, ognuna dedicata a un’attività specifica (memoria, percezione, emozioni, analisi razionale). Questa separazione permette alla mente di gestire la complessità del pensiero organizzando le informazioni in moduli distinti.
Conscio e inconscio. Le “scatole” potrebbero rappresentare anche la divisione tra processi consci e inconsci. Valéry era affascinato dal modo in cui idee ed emozioni emergono dall’interazione tra queste aree, spesso al di fuori del controllo razionale.
Creatività e sintesi. Per Valéry, il lavoro artistico o intellettuale richiede di “aprire” queste scatole e ricombinarne i contenuti. La creatività nasce dalla capacità di collegare elementi apparentemente distanti, come un poeta che fonde immagini e concetti da compartimenti mentali diversi.
Frammentazione dell’io. Le scatole simboleggiano anche la natura non unitaria dell’identità. Valéry sosteneva che il “sé” sia un insieme di ruoli e processi in competizione, non un’entità monolitica.
Esempio pratico. Nella poesia, una “scatola” potrebbe contenere sensazioni visive, un’altra strutture metriche. Il poeta attinge a entrambe, creando versi che uniscono ritmo e immagine.
Fonti di riferimento - I “Cahiers” (1894–1945), dove Valéry analizza sistematicamente la mente. - Saggi come “Introduction à la méthode de Léonard de Vinci” (1895), che paragona il genio alla gestione di “strumenti mentali” organizzati.
Le “scatole” sono una metafora dell’architettura mentale, utile per comprendere come Valéry concepisse l’equilibrio tra ordine e caos nel pensiero creativo. Ecco spiegato il proverbio: “Non rompete le scatole!” Se volessimo giocare con l’associazione potremmo dire che “Rompere le scatole” nel linguaggio comune significa “disturbare l’ordine mentale” di qualcuno, interferendo con le sue “scatole” interiori, come quelle descritte da Valéry. In questo senso, il proverbio potrebbe essere reinterpretato in chiave quasi filosofica: “non disturbare l’equilibrio delle mie facoltà mentali!”, un monito a rispettare la complessità organizzata della mente.
In altre lingue esistono metafore simili per esprimere fastidio. In inglese: “Don’t get on my nerves” (non toccarmi i nervi) o “Stop poking my brain” (smettila di stuzzicarmi il cervello). In spagnolo: “No me toques las pelotas” (letteralmente simile all’italiano).
La somiglianza è fortuita, ma come spesso accade con le parole, le metafore possono incrociarsi in modi inaspettati. Valéry parlava di scatole astratte, il proverbio italiano di scatole concrete (e triviali), ma entrambi usano l’immagine della “scatola” come simbolo di qualcosa di fragile, personale e da proteggere. Un bel caso di serendipità linguistica!
[image error]Pensare, scrivere e leggere da Papa

Papa LeoneXIV è un pensatore acuto. Lui le parole le mette tutte sulla carta. Le scrive, non parla a braccio. Non improvvisa, non ciarla, non sentenzia. Lui "disarma" le sue parole. Chi lo ha criticato perché legge, non ha capito niente. Leone XIV non recita. L’idea di "disarmare" le parole è davvero potente e risuona profondamente con la nostra capacità di usare il linguaggio sia per costruire che per distruggere.
Quando parla di “disarmare” le parole, non credo intenda certo privarci della capacità di comunicare. Piuttosto, immagino che si riferisca a liberare le parole dal loro potenziale distruttivo, dalla loro capacità di ferire, manipolare e creare divisioni. Consideriamo come spesso le parole vengono usate come vere e proprie armi. Insulti e diffamazioni.
Feriscono direttamente l'autostima e la reputazione di una persona. Menzogne e propaganda. Manipolano la verità per raggiungere scopi spesso egoistici o dannosi per la collettività. Giudizi affrettati e pregiudizi. Creano barriere tra le persone e alimentano l'odio. Linguaggio violento e aggressivo. Si Incita alla rabbia e può persino sfociare in violenza fisica.
Disarmare le parole, quindi, significherebbe intraprendere un percorso di consapevolezza e responsabilità nel nostro modo di comunicare. Implicherebbe scegliere con cura le parole. Essere consapevoli dell'impatto che possono avere sugli altri. Cercare di comprendere il significato profondo dietro le parole altrui, al di là delle nostre interpretazioni. Promuovere un dialogo costruttivo. Utilizzare le parole per costruire ponti, risolvere conflitti e condividere idee in modo pacifico.
Riconoscere il potere delle parole. Comprendere che il linguaggio plasma la nostra realtà e influenza i nostri pensieri e le nostre azioni. Disarmare le parole non significa renderle inefficaci, ma indirizzare la loro forza verso la costruzione di un'esistenza più umana, basata sul rispetto, sulla comprensione e sulla collaborazione. Invece di "grugniti" e "guaiti" “lamenti” o “imprecazioni”, ostilità di ogni genere.
Dobbiamo aspirare a un linguaggio che nutre l'anima e rafforzi i legami tra noi. Desidero qui approfondire il pensiero di Papa Leone XIV, il suo modo di fare comunicazione. Mi baserò sulle informazioni al momento disponibili riguardo alle sue posizioni, discorsi e azioni, con particolare attenzione al concetto di “fare la differenza” nel ricorrente ambito della comunicazione moderna tutta “sociale”.
Un processo che parte dalla riflessione propria del pensare, passa attraverso la scrittura e la successiva lettura, culminando in una relazione umana responsabile e coerente, accompagnata dall’impegno a mantenere la parola data. Ci sarà modo e tempo di esplorare e verificare il suo pensiero in modo strutturato, evidenziando come si manifesta in ambiti chiave come la dottrina, la comunicazione, la pace, l’educazione e il rapporto con la modernità.
Bisogna costruire un pensiero riflessivo. Il pensiero di Papa Leone XIV sembra proprio voler distinguersi per la sua natura metodica e ponderata, come emerge anche dall’analisi grafologica della sua scrittura. L’analisi della scrittura di Papa Leone XIV, basata sulle informazioni disponibili fino al 18 maggio 2025, offre uno spaccato interessante della sua personalità e del suo stile comunicativo.
Sebbene non siano stati pubblicati esempi visivi concreti di suoi manoscritti, come note o firme, due analisi grafologiche autorevoli, condotte da Candida Livatino (Mediaset Tgcom24, 14 maggio 2025) ed Evi Crotti (Corriere della Sera, 16 maggio 2025), forniscono dettagli significativi sui tratti della sua scrittura manuale.
Da un’analisi dettagliata, integrando le osservazioni delle due esperte, contestualizzandole con il ruolo del Papa, la scrittura di Leone XIV è caratterizzata da lettere molto piccole, ordinate e ben definite, come riportato da entrambe le grafologhe. La dimensione minuta indica una personalità riflessiva, analitica e razionale. Suggerisce introspezione, attenzione ai dettagli e una mente abituata a ponderare ogni aspetto prima di agire.
Questo tratto si allinea con il concetto di “pensare prima di parlare”, evidenziando un approccio metodico e controllato. La piccolezza delle lettere può anche riflettere una certa riservatezza o umiltà, qualità coerenti con il suo stile sobrio e il desiderio di non apparire protagonista, come notato da Vito Mancuso (vitomancuso.it, 9 maggio 2025).
La minuziosità si traduce nella sua preferenza per testi scritti preparati con cura, come il discorso programmatico letto dalla loggia delle benedizioni il giorno dell’elezione (Vatican News, 8 maggio 2025), evitando interventi a braccio per garantire chiarezza e precisione. La scrittura scorre in maniera fluida sul rigo di base, senza brusche interruzioni o irregolarità, con un ritmo costante (Mediaset Tgcom24).
La fluidità denota spontaneità, socievolezza e naturalezza nella comunicazione. Indica una personalità capace di adattarsi agli interlocutori e di costruire relazioni autentiche, come sottolineato da Livatino, che descrive il Papa come “socievole e spontaneo”. Questo tratto riflette la sua abilità di “comunicare” in modo efficace, rendendo i suoi messaggi accessibili e calorosi, pur mantenendo un tono formale.
La scorrevolezza suggerisce anche un equilibrio tra emozione e razionalità, evitando impulsività. Questo si manifesta nei suoi discorsi, come quello agli operatori della comunicazione (Vatican News, 12 maggio 2025), dove invita a “disarmare le parole” con un linguaggio empatico e dialogante, capace di costruire ponti. Livatino segnala e annota una “forte pressione sul foglio”, che indica una traccia marcata e ben definita (Mediaset Tgcom24).
Si rivela così determinazione, fermezza e convinzione nelle proprie idee. È il segno di una personalità decisa, che porta avanti i propri obiettivi con tenacia, ma senza arroganza. Questo tratto si collega al concetto di “mantenere la parola e procedere”, suggerendo che il Papa è coerente e affidabile nelle sue promesse. La pressione sul foglio può anche indicare un’energia interiore significativa, canalizzata in modo controllato.
La determinazione si riflette nella sua scelta del nome “Leone XIV”, in omaggio a Leone XIII, e nel suo impegno per la giustizia sociale, come espresso nel discorso alla Fondazione Centesimus Annus (Catholic News Agency, 14 maggio 2025), dove sottolinea il ruolo dei poveri nell’insegnamento sociale.
Livatino nella sua analisi evidenzia il “prolungamento dell’astina finale in linea retta di alcune lettere”, un dettaglio che denota attenzione nella valutazione degli interlocutori (Mediaset Tgcom24). I prolungamenti lineari suggeriscono un atteggiamento analitico e selettivo nei confronti delle persone, con una capacità di valutarne la sincerità e le intenzioni. Questo tratto indica una personalità che, pur essendo socievole, non si concede facilmente e studia con attenzione chi ha di fronte.
È coerente con l’idea di “leggere”, lettura intesa come comprensione profonda della realtà e delle persone. Questo si vede nella sua diplomazia, come nell’incontro con il Corpo Diplomatico (Vatican News, 18 maggio 2025), dove promuove un dialogo “sincero” e “senza contese”, mostrando una capacità di leggere le dinamiche internazionali con lucidità. Crotti, analizzando il messaggio lasciato al santuario di Genazzano il 9 maggio 2025, descrive una grafia “ascendente verso destra” (Corriere della Sera, 16 maggio 2025).
L’inclinazione indica estroversione, calore umano e una predisposizione a stabilire rapporti interpersonali affettuosi. Questo tratto, unito alla dimensione minuta, suggerisce un bilanciamento tra introspezione e donazione operativa. Il Papa alterna momenti di riflessione solitaria a un’apertura calorosa verso gli altri. È un aspetto che rafforza la sua capacità di “comunicare” in modo empatico, come evidenziato da Crotti, che lo descrive come “empatico, umile e riflessivo”.
In un contesto papale l’ascendenza si manifesta nel suo primo Regina Coeli (Vatican News, 11 maggio 2025), dove si rivolge ai giovani con entusiasmo, invitandoli a non avere paura delle vocazioni, con un tono che unisce autorevolezza e calore. C’è sempre una ricerca di ordine e di regolarità. Entrambe le analisi sottolineano un rigo di base regolare e una scrittura ordinata, senza elementi caotici o avventati (Gaeta.it, 14 maggio 2025; Mediaset Tgcom24).
Questo ordine grafico riflette una mente strutturata, metodica e pragmatica, che privilegia la ponderatezza. L’assenza di tratti impulsivi o disordinati indica un controllo emotivo e una propensione a decisioni ben ponderate. Questo tratto si collega al concetto di “pensare” e “scrivere” come fasi preliminari di un processo comunicativo responsabile. La regolarità si traduce nel suo approccio programmatico, come nel discorso ai Cardinali (Vatican News, 10 maggio 2025), dove delinea una visione chiara per una Chiesa sinodale e missionaria, senza improvvisazioni.
Non mancano tratti ironici e una flessibilità comunicativa. Livatino nota una “vena ironica” che emerge dalla scrittura, accompagnata da una capacità di cambiare registro, passando da toni seri a toni più leggeri (Mediaset Tgcom24). Crotti aggiunge che la scrittura riflette una comunicazione flessibile, capace di adattarsi agli interlocutori (Corriere della Sera). L’ironia indica un’intelligenza vivace e una capacità di alleggerire le situazioni, rendendo la comunicazione più umana e accessibile.
La flessibilità comunicativa suggerisce un’abilità di adattare il tono al contesto, mantenendo autenticità. Questo si collega al concetto di “comunicare” in modo che il messaggio sia ricevuto con fiducia.
L’ironia e la flessibilità si notano nel suo invito a “disarmare le parole” durante l’udienza agli operatori della comunicazione, dove usa un linguaggio diretto ma mai aggressivo, alternando richiami morali a toni incoraggianti.
L’analisi grafologica della scrittura di Papa Leone XIV, pur limitata dall’assenza di esempi visivi, rivela una personalità riflessiva, empatica, determinata e flessibile, che utilizza la scrittura come strumento di comunicazione ponderata e responsabile. I tratti minuti, fluidi e ordinati, uniti a una pressione decisa e a un’inclinazione calorosa, riflettono un Papa che “fa la differenza” attraverso un approccio metodico, dialogante e coerente, in linea con la sua missione di pastore universale.
Citazioni:[image error]
Mediaset Tgcom24, 14 maggio 2025
Corriere della Sera, 16 maggio 2025
Gaeta.it, 14 maggio 2025
Vatican News, 8–18 maggio 2025web:6,9,14,15,18
AgenSIR, 17 maggio 2025
Catholic News Agency, 14 maggio 2025
Vito Mancuso, 9 maggio 2025
Wikipedia, 2 agosto 2005
Visconti.it, 10 aprile 2023
May 17, 2025
La Babele di Borges
La Biblioteca di Babele descrive un universo sotto forma di un'immensa e forse infinita biblioteca, composta da innumerevoli gallerie esagonali. Ogni esagono contiene lo stesso numero di scaffali e di libri.
La caratteristica sconcertante è che ogni libro è composto dallo stesso numero di pagine, righe e lettere, utilizzando un alfabeto di base (solitamente 25 simboli, tra cui lettere, spazio e punteggiatura).
Da questa premessa apparentemente semplice, Borges sviluppa un'idea dalle implicazioni filosofiche e letterarie profondissime:
Contiene tutto ciò che può essere espresso: Poiché ogni possibile combinazione di questi simboli è presente in qualche libro, la biblioteca contiene ogni verità e ogni menzogna, ogni storia scritta o che potrà mai essere scritta, ogni variazione di ogni testo.
La stragrande maggioranza dei libri sono sequenze insensate di lettere. Trovare un libro con un significato compiuto diventa un'impresa quasi impossibile, una ricerca disperata in un mare di rumore.
Gli abitanti della biblioteca sono condannati a una ricerca infinita di un significato, di un ordine in questo caos. Alcuni credono nell'esistenza di un "Libro Totale" che contenga la chiave di tutti gli altri, mentre altri si abbandonano alla disperazione o a culti superstiziosi.
La Biblioteca di Babele può essere interpretata come una potente metafora dell'universo stesso, con la sua apparente infinità e la sfida umana di trovarvi un senso sulla natura della conoscenza.
Il racconto è narrato dal punto di vista di un bibliotecario anziano, che riflette sulla natura della biblioteca, sulla disperazione e le speranze dei suoi abitanti. Il tono è spesso malinconico e filosofico, intriso di un senso di smarrimento e di infinita possibilità.
La Biblioteca di Babele è molto più di un semplice racconto di fantascienza. È un'esplorazione vertiginosa dei limiti della conoscenza umana, della natura del linguaggio e dell'enigma dell'esistenza.
Babele & Goodreads
Biblioteca cartacea: Questa è la biblioteca tradizionale che la maggior parte di noi immagina. È un luogo fisico che ospita una vasta collezione di libri, riviste, giornali e altri materiali stampati su carta. Il fascino di sfogliare le pagine, l'odore della carta antica... un'esperienza sensoriale unica!
Biblioteca digitale: Qui il focus si sposta sul contenuto elettronico. Libri digitali (eBook), riviste online, banche dati, archivi digitalizzati... tutto accessibile tramite computer, tablet o smartphone. La comodità di avere un'immensa quantità di informazioni a portata di clic è innegabile.
Biblioteca reale: Questo termine, in realtà, è spesso usato come sinonimo di biblioteca cartacea o biblioteca fisica. Indica proprio l'esistenza di uno spazio tangibile dove i libri sono conservati e consultati.
Biblioteca virtuale: Questo concetto è molto simile a quello di biblioteca digitale, ma spesso enfatizza maggiormente l'aspetto dell'accesso remoto e la potenziale assenza di una sede fisica centrale. Le risorse sono distribuite su reti e accessibili online.
Biblioteca ideale: Questa è una nozione più astratta e personale. Potrebbe rappresentare la biblioteca perfetta per un individuo, con tutti i libri, le risorse e i servizi desiderati, organizzati nel modo più congeniale. Varia enormemente da persona a persona!
È interessante notare come questi "tipi" non siano sempre categorie rigidamente separate. Molte biblioteche oggi sono ibride, combinando collezioni cartacee con un'ampia offerta di risorse digitali e servizi online. Questo permette di sfruttare i vantaggi di entrambi i mondi, offrendo agli utenti una gamma più ampia di opzioni per l'accesso all'informazione e alla cultura.
Penso alla biblioteca di Babele, quella pensata da Borges ...

A proposito di letture e lettori: è vero che il lettore ideale legge per trovare domande?
Pensateci un attimo: un libro ben scritto non si limita a fornire informazioni, ma solleva dilemmi, esplora ambiguità e presenta personaggi e situazioni complesse che spesso non hanno soluzioni semplici. Un lettore che cerca solo conferme alle proprie idee rischia di sorvolare su queste sfumature, perdendo la ricchezza del testo.
Al contrario, il lettore che "legge per trovare domande" è attivo, si impegna con il materiale in modo critico e riflessivo. Si chiede:
Perché questo personaggio agisce in questo modo?
Quali sono le implicazioni di questa affermazione?
Come si collega questo tema con la mia esperienza o con il mondo che conosco?
Quali sono le domande che questo testo mi pone su me stesso, sulla società, sulla vita?
Questo tipo di lettura trasforma l'esperienza da passiva a dinamica. Non si tratta solo di assorbire informazioni, ma di avviare un dialogo interiore con l'autore e con il testo stesso. Le domande che emergono dalla lettura possono portare a nuove riflessioni, a ulteriori approfondimenti e, in definitiva, a una comprensione più profonda del mondo e di sé stessi.
Certo, anche trovare risposte può essere gratificante e utile. Ma la vera scintilla della lettura spesso si accende quando un testo ci spinge a mettere in discussione le nostre certezze e ad esplorare l'ignoto attraverso nuove domande.
Credo che ci sia molta verità nell'affermazione che il lettore ideale legge per trovare domande. È un segno di una mente aperta, curiosa e desiderosa di apprendere e crescere attraverso l'esperienza della lettura.


May 16, 2025
Un “Leone” in Vaticano e le “coincidenze di Dio”

E’ passato oltre un secolo e un “Leone” è tornato in Vaticano. Non è solo un sogno fatto da Rolando Mattei (alias di Matteo Orlando) quando si risvegliò al nuovo giorno:
“Con un fremito incerto … Roma, eterna e immobile, si stava svegliando … aprì gli occhi di colpo … aveva l’impressione che il mondo intero fosse passato sopra nel sonno … nessuna sirena papale, nessuna Guardia Svizzera in allerta, nessuna folla raccolta a pregare … Il cupolone era lontano, saldo e immutato. Si sedette sul letto, le mani nei capelli. I frammenti si rincorrevano nella mente come fantasmi confusi: il Conclave drammatico, l’elezione di Leone XIV, il suo volto austero affacciato alla Loggia delle Benedizioni.” (Capitolo XVIII — La dura realtà)
Il romanzo “Il sigillo del Leone” di Matteo Orlando è un’opera autopubblicata su Amazon, ufficialmente rilasciata il 4 maggio 2025 in concomitanza con l’inizio del Conclave del 2025, che avrebbe eletto il nuovo Pontefice. Il libro, un “fanta-romanzo” di 108 pagine, ha suscitato grande attenzione per la sua sorprendente coincidenza con l’elezione di Papa Leone XIV, avvenuta l’8 maggio 2025, e per il suo contenuto che sembra anticipare eventi reali, alimentando speculazioni su una possibile natura “profetica” dell’opera.
Matteo Orlando, giornalista pubblicista iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Veneto dal 2005, docente di Religione Cattolica nelle scuole superiori, siciliano di nascita e veneto d’adozione, ha una formazione in Giurisprudenza e Teologia Spirituale. Autore di saggi su mafie e demonologia cattolica, con “Il sigillo del Leone” debutta nella narrativa.
L’idea del romanzo nasce, secondo quanto dichiarato dall’autore, il 1° maggio 2025, durante una riflessione serale in occasione della festa di San Giuseppe Lavoratore. Orlando afferma di aver scritto il libro in tempi record: due ore di lavoro il 2 maggio, con rifiniture il 3 maggio, e pubblicazione su Amazon il 4 maggio, pochi giorni prima dell’inizio del Conclave (7 maggio 2025).
La rapidità di scrittura, revisione e pubblicazione, con prefazione di Paolo Gulisano e postfazione di Marco Tosatti, ha contribuito a generare curiosità e sospetti su una possibile premeditazione o ispirazione straordinaria.
“Il sigillo del Leone” narra l’elezione di un Papa immaginario, Leone XIV, un pontefice anglofono, descritto come coraggioso, fermo nella dottrina cattolica tradizionale, ma amabile nello stile. Il romanzo si ambienta il 13 maggio 2025, quando il Conclave elegge questo Papa, il cui nome richiama Leone XIII (autore della Rerum Novarum) e Leone I Magno, simbolo di difesa dell’ortodossia.
La figura di Leone XIV è controrivoluzionaria, lontana dal papato mediatico e spettacolare degli ultimi decenni, e incarna un ritorno a una Chiesa contemplativa, rigorosa e fedele al magistero tradizionale. Il Papa immaginario si distingue per scelte radicali, come l’imposizione della talare nera per i sacerdoti (pena la sospensione), annunciata nel suo primo Motu Proprio intitolato De Dignitate Sacerdotalis Habitús.
Il libro si presenta come un mix di narrativa avvincente e riflessione teologica, ponendo una domanda centrale: Leone XIV sarà un Papa di transizione o la salvezza per una Chiesa in crisi? L’opera è descritta come un “manifesto spirituale”, un appello a un rinnovamento della Chiesa non in senso modernista, ma attraverso una purificazione e un ritorno alla Tradizione.
La prefazione di Paolo Gulisano sottolinea il “ritorno all’essenziale”, mentre la postfazione di Marco Tosatti evidenzia l’importanza del sacerdozio come guida in tempi di confusione. Il romanzo ha ricevuto elogi per la sua intensità narrativa e spirituale, con recensioni che lo descrivono come un’opera che “si legge come un romanzo e fa riflettere come un saggio”.
La coincidenza tra il nome del Papa immaginario (Leone XIV) e quello scelto dal cardinale Robert Francis Prevost, eletto Papa l’8 maggio 2025, ha generato un’ondata di speculazioni. Alcuni, nella “galassia complottista”, hanno ipotizzato un piano premeditato o una regia occulta, mentre Matteo Orlando ha definito tali coincidenze “Dio-incidenze”, negando qualsiasi intento profetico.
La rapidità di pubblicazione e la precisione di alcuni dettagli (come la provenienza anglofila del Papa e il suo profilo dottrinale) hanno alimentato dibattiti, con domande su come l’autore potesse sapere in anticipo il nome del Pontefice. Il libro ha scalato le classifiche di Amazon, posizionandosi tra i bestseller nella categoria Libri, grazie al suo successo immediato e alla risonanza mediatica.
Orlando ha ribadito la natura ispirata ma non profetica del suo lavoro.
Impatto culturale e spirituale. “Il sigillo del Leone” si colloca in un momento di grande tensione nella Chiesa cattolica, descritto come uno dei più delicati della sua storia recente. Il romanzo risponde al desiderio di milioni di cattolici per un Papa che superi le divisioni tra conservatori e modernisti, proponendo una visione di Chiesa austera, fedele alla Verità e distante dalla “società liquida postmoderna”.
La scelta del nome Leone XIV da parte del cardinale Prevost, interpretata come un omaggio a Leone XIII e alla dottrina sociale della Chiesa, ha amplificato l’interesse per il libro, visto da alcuni come un’anticipazione della direzione del nuovo pontificato.
Da segnalare diverse coincidenze misteriose. Oltre al nome del Papa, una lettera pubblicata su Il Foglio il 7 maggio 2025, firmata da un certo “Vincenzo Agostini”, aveva anticipato l’elezione di Leone XIV, citando il Monte Athos come fonte. Questo ha alimentato teorie su possibili “segni” o influenze esterne.
Alcuni utenti su Amazon e X hanno espresso dubbi sulla veridicità delle tempistiche di scrittura, suggerendo che il libro potesse essere stato preparato con largo anticipo, molti hanno amplificato la visibilità del libro, definendolo “profetico” e sottolineando la sua coincidenza con l’elezione reale.
“Il sigillo del Leone” di Matteo Orlando è un romanzo che, nato come un esercizio narrativo ispirato, si è trasformato in un fenomeno culturale e spirituale per la sua straordinaria coincidenza con l’elezione di Papa Leone XIV. Più che un semplice racconto, è un invito a riflettere sul futuro della Chiesa, sul ruolo del Papa e sulla necessità di un ritorno all’essenziale in un’epoca di crisi. La sua rapida ascesa e le discussioni che ha generato ne fanno un caso editoriale unico, sospeso tra narrativa, teologia e, per alcuni, mistero.
[image error]May 15, 2025
Fantascienza, psicologia, storia e riflessione sull’identità umana

“Spaceman of Bohemia”, in italiano pubblicato come “Il cosmonauta” da Guanda, è il sorprendente romanzo d’esordio di Jaroslav Kalfař, uno scrittore ceco emigrato negli Stati Uniti a quindici anni. Il libro è un’originale miscela di fantascienza, introspezione psicologica, storia e riflessione sull’identità, che trascende i confini del genere per offrire una narrazione profonda e avvincente. Un libro che ho letto tutto d’un fiato e per giunta in inglese. E’ in vendita per meno due euro.
La trama segue Jakub Procházka, un astrofisico ceco che diventa il primo astronauta del suo paese, incaricato di una missione suicida verso Venere per studiare una misteriosa nube di polvere cosmica. La Repubblica Ceca, in cerca di riscatto e identità dopo il crollo del blocco sovietico, vede in Jakub un eroe nazionale. Tuttavia, il viaggio nello spazio si trasforma presto in un’odissea interiore.
Lontano dalla Terra, Jakub affronta la solitudine, il deteriorarsi del suo matrimonio con la moglie Lenka e i fantasmi del passato, in particolare il peso delle colpe del padre, un collaborazionista comunista. A complicare il tutto, l’incontro con Hanuš, un’enigmatica creatura aliena, forse reale, forse frutto della sua mente, che lo accompagna in conversazioni filosofiche su amore, vita, morte e… pancetta.
Jaroslav Kalfař intreccia abilmente diversi registri narrativi. La fantascienza è solo un pretesto. Il cuore del romanzo risiede nell’esplorazione della psiche di Jakub e nella riflessione sulla storia ceca, con richiami a figure come Jan Hus e l’orologiaio Hanuš z Růže, creatore dell’orologio astronomico di Praga. La narrazione alterna momenti di ironia, malinconia e tensione, con un linguaggio ricco e suggestivo che cattura sia l’immensità del cosmo sia le “piccolezze” dell’animo umano.
Il romanzo si distingue per il suo tono unico, descritto da critici come un incrocio tra “2001: Odissea nello spazio” e l’introspezione di Milan Kundera, con un pizzico di umorismo kafkiano. Tra i punti di forza c’è la capacità di Kalfař di bilanciare il personale e l’universale. La lotta di Jakub per riconciliarsi con il proprio passato riflette il desiderio di un’intera nazione di ridefinirsi. L’alieno Hanuš, con il suo mix di saggezza e curiosità, aggiunge un elemento surreale che rende la storia indimenticabile.
Alcuni lettori potrebbero trovare la narrazione non lineare e i passaggi introspettivi un po’ lenti, soprattutto se si aspettano un romanzo di fantascienza più tradizionale con maggiore enfasi sull’azione. Ma “Spaceman of Bohemia” è un’opera ambiziosa e toccante, che parla di solitudine, redenzione e del bisogno di connessione umana, sullo sfondo di un cosmo tanto vasto quanto misterioso.
È una lettura consigliata non solo agli amanti della fantascienza, ma a chiunque apprezzi una storia che sa essere al contempo divertente, profonda e struggente. Un esordio letterario che, come ha scritto “The Times”, “può essere la rampa di lancio per una carriera stratosferica”.
Jakub Procházka, il protagonista, è un personaggio complesso e sfaccettato, la cui evoluzione narrativa riflette temi universali come l’identità, la colpa, la solitudine e il desiderio di redenzione. Astrofisico ceco e primo astronauta del suo paese, incarna il conflitto tra aspirazioni personali e il peso delle aspettative collettive, mentre il suo viaggio nello spazio diventa una metafora per un’esplorazione interiore profonda.
Jakub è un uomo segnato dal passato, sia personale che storico. Cresciuto nella Repubblica Ceca post-comunista, porta sulle spalle l’eredità del padre, un collaborazionista del regime che ha commesso atrocità durante l’occupazione sovietica. Questo stigma familiare lo perseguita, rendendolo un outsider nella società ceca e alimentando in lui un desiderio di riscatto.
La missione spaziale verso Venere, che accetta nonostante i rischi, è per Jakub un’opportunità di ridefinirsi come eroe nazionale e di superare il disonore paterno. Tuttavia, le sue motivazioni non sono puramente altruistiche: c’è un sottofondo di ambizione personale e il bisogno di dimostrare il proprio valore, a se stesso e agli altri.
Jakub è anche spinto da un senso di dovere verso la Repubblica Ceca, una nazione in cerca di affermazione globale dopo decenni di oppressione. La sua missione, finanziata da un programma spaziale ceco improbabile e improvvisato, simboleggia il desiderio collettivo di emergere dall’ombra della storia. Tuttavia, questo ruolo di “eroe” diventa un fardello, poiché Jakub si rende conto che il suo sacrificio potrebbe essere più un gesto propagandistico che un atto di vero eroismo.
Jakub è un personaggio profondamente umano, definito da un mix di forza e vulnerabilità. È intelligente, riflessivo e determinato, come dimostrato dalla sua carriera accademica e dalla sua capacità di affrontare una missione pericolosa. Tuttavia, è anche tormentato dall’insicurezza e dal senso di colpa. La sua introspezione rivela un uomo che lotta per conciliare chi è con chi vorrebbe essere. La solitudine dello spazio amplifica queste tensioni, spingendolo a confrontarsi con i suoi fallimenti, in particolare il deterioramento del suo matrimonio con Lenka, la moglie che ha lasciato sulla Terra.
Il rapporto con Lenka è cruciale per comprendere Jakub. Il loro amore, inizialmente intenso, si sgretola sotto il peso delle sue ambizioni e della distanza fisica ed emotiva. Jakub si rende conto troppo tardi di aver trascurato Lenka, e questo rimpianto diventa un’ossessione durante la missione. La sua incapacità di comunicare con lei dallo spazio sottolinea la sua tendenza a isolarsi, un tratto che emerge anche nei flashback della sua infanzia, quando si chiudeva in se stesso per affrontare il trauma familiare.
L’incontro con Hanuš, la creatura aliena che potrebbe essere reale o un’allucinazione, segna un punto di svolta per Jakub. Hanuš funge da specchio per la sua psiche, costringendolo a esaminare le sue paure e i suoi desideri più profondi. Attraverso conversazioni filosofiche, spesso tinte di umorismo (come l’ossessione di Hanuš per la pancetta), Jakub riflette su temi universali: il significato della vita, la mortalità e il bisogno di connessione. Hanuš lo spinge a mettere in discussione il suo ruolo di “eroe” e a considerare se il suo sacrificio valga davvero il costo personale.
Il rapporto tra Jakub e Hanuš si sviluppa come un dialogo socratico, alternando momenti di introspezione profonda a scambi ironici e surreali. Hanuš appare a Jakub in un momento di estrema vulnerabilità, quando l’isolamento dello spazio e il senso di fallimento personale (soprattutto riguardo al matrimonio con Lenka) lo stanno consumando.
La creatura si presenta come una sorta di guida cosmica, ma non è un mentore tradizionale: è curioso, provocatorio e spesso irriverente, ponendo domande scomode che costringono Jakub a confrontarsi con le sue paure e contraddizioni. Hanuš assume diversi ruoli nel corso della storia.
Compagno nella solitudine. In un ambiente sterile e infinito, Hanuš offre a Jakub una presenza, reale o immaginaria, che rompe la monotonia e il silenzio. La sua compagnia, pur bizzarra, diventa un’ancora per la sanità mentale di Jakub.
Filosofo e provocatore. Hanuš spinge Jakub a riflettere su questioni esistenziali, come il significato della vita, la mortalità e il valore delle connessioni umane. Domande come “Perché gli umani si aggrappano al dolore?” o “Cosa rende la tua vita degna di essere vissuta?” costringono Jakub a scavare nel proprio passato e nelle sue motivazioni.
Specchio del subconscio. Molte delle osservazioni di Hanuš riflettono i pensieri repressi di Jakub. Ad esempio, quando Hanuš insiste sull’importanza dei ricordi legati al cibo o all’amore, sembra incarnare il rimpianto di Jakub per Lenka e per i momenti semplici della vita terrestre che ha sacrificato per la missione.
L’umorismo è un elemento chiave della loro interazione. L’ossessione di Hanuš per la pancetta, che Jakub trova inizialmente assurda, diventa un simbolo della nostalgia per la Terra e per le piccole gioie quotidiane. Questi momenti leggeri bilanciano l’intensità delle loro conversazioni filosofiche, rendendo il rapporto più umano e accessibile.
Impatto su Jakub. Hanuš è fondamentale per l’evoluzione di Jakub. Prima del suo arrivo, Jakub è intrappolato in un ciclo di autocommiserazione e negazione, incapace di affrontare il peso del passato (l’eredità del padre collaborazionista) o il fallimento del suo matrimonio. Hanuš lo costringe a guardare dentro di sé, smantellando le sue difese. Ad esempio, quando Hanuš “legge” i ricordi di Jakub, come scene della sua infanzia o momenti con Lenka, Jakub è costretto a rivivere emozioni che aveva represso, come la vergogna, il rimorso e l’amore.
Questo processo è doloroso ma catartico. Hanuš aiuta Jakub a riconoscere che la sua missione, inizialmente vista come un atto di redenzione, è anche un’evasione dalle sue responsabilità personali. Attraverso le loro conversazioni, Jakub inizia a capire che il vero eroismo non risiede nel sacrificio pubblico, ma nell’accettazione di sé e nel tentativo di riparare i legami spezzati, anche se potrebbe essere troppo tardi per Lenka.
Un momento cruciale è quando Hanuš sfida Jakub a considerare il valore della sua vita al di là della missione. Questo lo porta a rivalutare le sue priorità, passando da un’ossessione per il riscatto nazionale a un desiderio più intimo di riconnessione umana. Sebbene Hanuš scompaia verso la fine del romanzo, il suo impatto persiste. Jakub emerge dalla missione con una nuova consapevolezza di sé, più umile e aperto alla possibilità di un futuro, anche in un universo incerto.
Significato simbolico. Hanuš non è solo un personaggio, ma un simbolo carico di significato. Il suo nome richiama Hanuš z Růže, l’orologiaio medievale che contribuì all’orologio astronomico di Praga, un riferimento che lega la creatura alla storia ceca e al tema del tempo.
Come l’orologio, che misura il movimento celeste, Hanuš rappresenta una connessione tra Jakub e l’infinito, ma anche un promemoria della finitezza della vita umana. Inoltre, la sua natura aracnoide evoca l’idea di un tessitore di storie o destini, che intreccia i fili della memoria e dell’identità di Jakub.
A livello tematico, il rapporto con Hanuš esplora il bisogno umano di dialogo e comprensione. In un universo vasto e indifferente, Hanuš offre a Jakub ciò che la missione e la società ceca non possono: un’interazione autentica, priva di aspettative o giudizi. Che sia reale o immaginario, Hanuš rappresenta la capacità della mente umana di trovare significato anche nelle circostanze più estreme.
Il rapporto tra Jakub e Hanuš è il cuore emotivo e filosofico di Spaceman of Bohemia. È una relazione che sfida le convenzioni della fantascienza, trasformando un incontro alieno in un’esplorazione profonda della psiche umana. Hanuš, con il suo mix di saggezza cosmica e umorismo terreno, funge da guida, provocatore e compagno, aiutando Jakub a navigare la solitudine dello spazio e il caos interiore.
La loro interazione, intrisa di ambiguità e ricca di significato, rende il romanzo un’opera unica, che invita a riflettere sul potere della connessione, reale o immaginaria, nel dare senso alla nostra esistenza. Hanuš è molto più di un personaggio, è un simbolo poliedrico che arricchisce Spaceman of Bohemia di significati profondi.
La sua natura ambigua, reale o allucinazione, e il suo ruolo narrativo lo rendono una figura densa di implicazioni, che si intrecciano con i temi del romanzo: identità, memoria, tempo, solitudine e la ricerca di senso in un universo vasto. Ecco i principali livelli di simbolismo associati a Hanuš:
Hanuš come specchio della psiche di Jakub. Hanuš funge da riflesso del subconscio di Jakub, incarnando i suoi pensieri repressi, le sue paure e i suoi desideri. La sua apparizione avviene in un momento di estrema vulnerabilità, quando Jakub è isolato nello spazio, alle prese con il rimpianto per il matrimonio fallito con Lenka e il peso del passato familiare. La capacità di Hanuš di “leggere” i ricordi di Jakub — come scene della sua infanzia o momenti con Lenka — suggerisce che potrebbe essere una proiezione della sua mente, un meccanismo per elaborare traumi e rimorsi.
Simbolicamente, Hanuš rappresenta la voce interiore di Jakub, quella parte di sé che non può ignorare. La sua insistenza su temi come l’amore, il dolore e il significato della vita costringe Jakub a confrontarsi con ciò che ha evitato: la colpa per le azioni del padre collaborazionista, la responsabilità per il distacco da Lenka e il vuoto delle sue ambizioni eroiche. L’ossessione di Hanuš per la pancetta, un cibo legato ai ricordi d’infanzia di Jakub, sottolinea questo legame con il subconscio, simboleggiando la nostalgia per la semplicità e la connessione umana che Jakub ha sacrificato per la missione.
Hanuš e il tempo: il legame con l’orologiaio. Il nome Hanuš richiama Hanuš z Růže, l’orologiaio medievale associato all’orologio astronomico di Praga, un capolavoro che misura il tempo e i movimenti celesti. Questo riferimento non è casuale: Hanuš, come l’orologio, simboleggia il tempo in tutte le sue dimensioni — personale, storico e cosmico. Per Jakub, il tempo è una forza opprimente: il passato (l’eredità del padre) lo perseguita, il presente (la missione) lo isola, e il futuro (il destino della sua relazione con Lenka) è incerto. Hanuš, con la sua prospettiva atemporale di essere cosmico, invita Jakub a considerare il tempo non come un peso, ma come un’opportunità per riconciliarsi con se stesso.
L’orologio astronomico, che rappresenta l’armonia tra l’uomo e il cosmo, riflette anche la missione di Jakub: esplorare l’ignoto per trovare un posto nell’universo. Tuttavia, mentre l’orologio è un simbolo di ordine, Hanuš introduce il caos e l’ambiguità, suggerendo che il senso della vita non si trova in strutture rigide, ma nell’accettazione dell’incertezza. Simbolicamente, Hanuš è il tessitore del tempo di Jakub, che lo aiuta a intrecciare i fili del passato e del presente per immaginare un futuro possibile.
Hanuš come tessitore di storie e destini. La forma aracnoide di Hanuš evoca l’immagine di un ragno che tesse una tela, un simbolo potente di creazione e connessione. In molte culture, il ragno è associato alla narrazione e al destino, come Anansi nella mitologia africana o le Moire nella tradizione greca. Hanuš, con le sue conversazioni filosofiche e la sua capacità di “tessere” i ricordi di Jakub in un dialogo coerente, agisce come un narratore della vita del protagonista. La sua tela è la storia di Jakub, un intreccio di momenti dolorosi e significativi che lo aiutano a trovare un senso nella sua esistenza.
Questo simbolismo si collega al tema dell’identità ceca, un altro “tessuto” che Jakub cerca di comprendere. La Repubblica Ceca, come Jakub, è un paese che tenta di riannodare i fili di un passato traumatico (l’occupazione sovietica) per costruire un futuro. Hanuš, con la sua prospettiva esterna, rappresenta una voce universale che trascende i confini nazionali, spingendo Jakub a vedere la sua storia personale come parte di un arazzo più grande.
Hanuš come simbolo dell’ignoto cosmico. Come entità aliena, Hanuš incarna l’ignoto, sia in senso scientifico che esistenziale. La sua presenza sfida le certezze di Jakub, un astrofisico abituato a cercare risposte razionali. La missione verso Venere, che studia una nube di polvere cosmica misteriosa, è già di per sé un viaggio nell’incertezza; Hanuš amplifica questa dimensione, ponendo domande che non hanno risposte definitive. Simbolicamente, rappresenta l’immensità dell’universo e l’umiltà necessaria per accettarne i misteri.
La sua natura aracnoide, con occhi multipli e arti tentacolari, richiama l’idea di un essere che vede e abbraccia molteplici prospettive, in contrasto con la visione limitata di Jakub. Questo lo rende un simbolo della complessità del cosmo, che non può essere ridotto a equazioni o ambizioni umane. La sua possibile non-esistenza (come allucinazione) rafforza questo simbolismo: l’ignoto non è solo esterno, ma anche interno, radicato nelle profondità della mente umana.
Hanuš e la connessione umana. Nonostante la sua natura aliena, Hanuš è paradossalmente il simbolo della connessione umana che manca a Jakub. In un romanzo permeato dalla solitudine — quella dello spazio, dell’isolamento sociale di Jakub come figlio di un collaborazionista, e della distanza da Lenka — Hanuš offre un’interazione autentica. Le sue conversazioni, spesso tinte di umorismo (come il suo amore per la pancetta), riportano Jakub alla semplicità delle relazioni umane, fatte di condivisione e comprensione reciproca.
Simbolicamente, Hanuš rappresenta il bisogno universale di dialogo e appartenenza. Che sia reale o immaginario, la sua presenza dimostra che anche nell’isolamento più estremo, la mente umana cerca — o crea — connessioni per sopravvivere. La sua scomparsa verso la fine del romanzo, quando Jakub inizia ad accettare se stesso, suggerisce che Hanuš ha completato il suo ruolo: non era solo un compagno, ma un ponte verso l’autoconsapevolezza.
Hanuš è un simbolo straordinariamente ricco, che opera su più livelli: è lo specchio del subconscio di Jakub, il tessitore del suo destino, l’incarnazione del tempo e dell’ignoto cosmico, e un promemoria del bisogno umano di connessione. La sua ambiguità, reale o immaginario, profondo o giocoso, lo rende una figura unica, che eleva Spaceman of Bohemia oltre la fantascienza tradizionale.
Attraverso Hanuš, Jaroslav Kalfař esplora la complessità dell’esistenza umana, suggerendo che il significato non si trova nelle risposte definitive, ma nel coraggio di porsi domande, anche di fronte all’infinito. Hanuš, con la sua tela di ricordi e riflessioni, tesse non solo la storia di Jakub, ma anche quella di chiunque cerchi di trovare un posto nell’universo.
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