Rachele Riccetto's Blog, page 24
July 4, 2023
IL MIO OMICIDIO – KATIE WILLIAMS

Voto: 8/10
Edito: Bollati Boringhieri
Louise ha trent’anni, un marito e una figlia di pochi mesi quando viene uccisa.
Il suo è stato il quinto omicidio commesso dal serial killer Edward Early e, grazie all’intervento del pubblico e delle celebrità, dei media e dei famigliari delle vittime, il governo decide di riportarle in vita attraverso il programma della Commissione di Replicazione: vengono create delle copie esatte delle donne, dei cosiddetti cloni, con i loro ricordi e tutto il loro passato, per poter donare loro un futuro.
E così Lou può tornare a casa, da Silas e da Nova, e ricominciare la sua vita perfetta.
Ma la sua vita era davvero così perfetta?
C’è un borsone nascosto nel suo armadio a rammentarle la verità, ci sono i ricordi dei mesi difficili dopo la nascita di Nova, ci sono i dubbi e i segreti e le menzogne. E così Lou decide di voler capire meglio sé stessa e ciò che è accaduto, e per farlo ha bisogno di parlare con Edward Early.
Un thriller classico, ma non troppo.
Ci sono cinque vittime, il killer è già stato arrestato, e allora cosa ci resta?
Ambientato in un futuro non troppo distante, la storia ha la possibilità di sforare leggermente nella fantascienza. Non ci sono tecnologie mai sentite né altri aspetti particolarmente eccezionali dal punto di vista tecnico: macchine che si guidano da sole, telefoni integrati negli occhiali, videogiochi e lavori in VR; la parte più importante la gioca ovviamente la clonazione.
E mi è piaciuto molto il modo in cui ne parla Williams, con le donne che devono riadattarsi al proprio corpo, non hanno i ricordi dei giorni immediatamente precedenti alla loro morte, ed ho subito collegato queste immagini a ciò che devono affrontare le persone che sopravvivono ad un evento traumatico e violento.
Ovviamente in questo caso il trauma è elevato all’ennesima potenza, trattandosi di morte, ma per il resto credo che Williams stesse cercando di affrontarlo nel modo più realistico possibile, come si affrontano traumi fisici e psicologici nella realtà, e ci sia riuscita alla perfezione.
Alla stessa maniera, vengono affrontati molti temi importanti: la depressione post partum, la maternità, la famiglia, e in un certo senso anche la gravidanza surrogata. Ogni argomento viene trattato in maniera molto naturale e vera, umana; ci sono sofferenze a cui Lou non sa dare un nome o di cui non vuole parlare, periodi che cerca di dimenticare per riuscire ad andare avanti; ci sono dolori che attraversa con impeto per uscirne più forte, e piccole felicità che fanno sì che tutto il resto abbia un senso.
Anche la fascinazione per i serial killer da parte del pubblico (e l’ossessione mescolata al desiderio di vendetta delle vittime) viene affrontata in maniera interessante.
Lo stile di Williams è chiaro e scorrevole, il ritmo narrativo crescente ci tiene incollati alle pagine e i personaggi creati sono ben caratterizzati, ognuno con i propri tratti distintivi.
Ho letto alcune recensioni in cui la sua prosa veniva descritta come “frammentata”, ma io l’ho trovata molto fluida e coinvolgente (ma non avendo letto la versione originale, non so se sia tutto merito della traduttrice Prinetti, che comunque si merita i miei complimenti); la prosa rappresenta alla perfezione i pensieri e le sensazioni di una donna alla ricerca della verità, che si ritrova a vivere la propria vita e, al tempo stesso, la vita di un’altra persona.
William ha trovato una soluzione davvero originale per parlare di temi delicati e importanti, nascondendoli fra dialoghi divertenti e alcuni aspetti più classici dei thriller.
Un libro che aveva mille possibilità di compiere il passo sbagliato, ma per fortuna non lo fa mai; poco dopo la metà, quando ci avviciniamo alla risoluzione del mistero, temevo davvero di dover abbassare la valutazione per il più classico dei cliché, e invece Williams ci conduce fino alla fine per una strada diversa e intrigante, seguendo un percorso più “pacato” ma di grande impatto.
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July 2, 2023
VOLEVO SOLO SALUTARTI – RAFFAELE SCIANNIMANICO

Edito: PubMe
Grazie a Raffaele per avermi inviato una copia del suo romanzo!
Il protagonista di questo romanzo è un ragazzo di trent’anni, che vive una vita spenta, non ha un buon rapporto con i genitori e si è laureato in ritardo in una facoltà che non faceva per lui, ha perso degli amici e suo fratello lo tormenta da sempre, non trova niente che riesca a motivarlo o un lavoro che riesca a coinvolgerlo.
Un giorno, però, dopo aver incontrato un misterioso uomo vestito di nero, ha la possibilità di ricominciare, di tentare di cambiare la sua vita: si ritrova così nel proprio corpo di bambino, alle elementari, ma con la coscienza di un adulto, e questa volta è intenzionato a far andare tutto nella maniera giusta.
Può salvare Alice, la ragazzina timida con cui non aveva stretto proprio un rapporto d’amicizia ma con la quale amava parlare dei propri problemi nella vita precedente, cercando di allontanarla dalle mani del patrigno violento; può salvare il suo rapporto con Michele, il suo migliore amico, che ha perso di vista per diversi anni; può salvare Giuseppe, il ragazzino bullizzato vittima di un gravissimo incidente; può salvare Elia, il suo amico cresciuto senza le giuste attenzioni famigliari, violento e distruttivo, destinato ad un futuro tetro; può creare un rapporto migliore con la propria famiglia; può creare un futuro migliore per sé stesso, agendo presto per migliorare la propria salute fisica e costruendosi un futuro più luminoso.
Ma le cose sono davvero così semplici? Si può cambiare un evento passato senza ripercussioni future?
Questo romanzo di Sciannimanico affronta un argomento molto interessante, e lo fa con una storia ben pensata e coinvolgente.
Tutte le vicende, narrate in prima persona dal protagonista, si collegano bene fra loro, creando una maglia fitta che intreccia passato e futuro, errori da evitare e l’inevitabilità del destino.
Ragionando sull’importanza delle azioni delle persone, della volontà e dell’imprevedibilità del caso, questo romanzo ci accompagna in un viaggio che scava all’interno del protagonista, in cerca di grandi risposte.
La prima parte del romanzo, quella che racconta la vita attuale del protagonista, è purtroppo un po’ troppo confusionaria, con troppi salti temporali che possono confondere il lettore; nella seconda parte, con il protagonista nei panni di un bambino di 10 anni, riusciamo a comprendere meglio anche la prima parte e ad entrare nel susseguirsi di eventi.
Mi è piaciuto il fatto che l’autore non sia incappato in un terribile errore (orrore) che incombeva all’inizio di questo viaggio temporale: il protagonista, un trentenne nel corpo di un bambino, durante tutta la sua crescita, “resiste” alle “avances” delle sue coetanee; può sembrare una cosa stupida e ovvia ma, purtroppo, non lo è, e questo è stato un grande punto a favore.
D’altro canto, ci sono stati un paio di punti negativi (una dodicenne che cita Buddha e il fatto che una donna vittima di violenza domestica venga ripetutamente incolpata delle violenze di cui sua figlia è vittima da parte dello stesso uomo…ehm, no) che hanno un po’ bilanciato le cose.
I personaggi sono abbastanza interessanti, ognuno con le propria voce, e Sciannimanico non ha approfondito soltanto l’aspetto psicologico del protagonista, ma anche di chi gli sta intorno (purtroppo ricadendo anche in qualche cliché).
L’aspetto peggiore del romanzo, purtroppo, è lo stile: una quantità davvero esagerata di refusi ed errori grammaticali, intramezzata dall’utilizzo di termini più inusuali e ricercati e non amalgamati al resto dello stile, che hanno reso a tratti la lettura poco scorrevole e quasi tentennante, che un buon lavoro di editing avrebbe potuto correggere facilmente.
Davvero un peccato, perché la storia è interessante, letteralmente fino all’ultima pagina, con un finale che potrebbe essere considerato “negativo” per la storia, ma che ho apprezzato parecchio.
In generale è una storia carina, che affronta anche temi delicati e incuriosisce il lettore fino alla fine e lo spinge anche a porsi le stesse domande che si pone il protagonista, portandolo ad immedesimarsi con lui, rovinata purtroppo da una scrittura poco curata.
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June 29, 2023
IL SERPENTE OUROBOROS – E. R. EDDISON

Voto: 8/10
Edito: (Fanucci) Castelvecchi
È una notte come tante altre e Lessingham, dopo aver salutato sua moglie, si è ritirato nella Camera del Loto.
Improvvisamente, viene raggiunto da un uccello, un piccolo rondicchio, che lo invita a seguirlo a bordo di un cocchio trainato da un ippogrifo, verso il pianeta Mercurio.
Ed è proprio qui che si svolgono tutti i fatti: questo pianeta è diviso fra tante nazioni (Witchland, Demonland, Impland, Pixyland, le Isole Foliot) e abitato da tante razze (Demoni, Streghe, Fate, Ghoul, Goblin), e la guerra è ormai alle porte.
Re Gorice XI, sovrano di Witchland, si dichiara Re di Demonland e richiede un attimo di sottomissione da parte dei Signori di quella nazione. Questi si rifiutano e propongono un incontro di lotta fra il re e lord Goldry Bluszco, per giungere ad una soluzione una volta per tutte.
E così, dopo lo scontro, non volendo accettare la sconfitta, le Streghe mostrano il loro vero volto: attraverso la magia oscura rapiscono Goldry, fatto che porterà suo fratello Lord Juss a partire alla sua ricerca e darà definitivamente il via alla guerra.
Un fantasy eroico come non se ne scrivono più, questo romanzo è stato pubblicato nel 1922 ed è arrivato in Italia soltanto nel 1992, restando comunque abbastanza sconosciuto da allora.
Ed è davvero un peccato! Questa è un’opera fantastica!
All’interno della storia succede di tutto: grandi battaglie e sortilegi, tradimenti politici e benedizioni divine, lunghi viaggi su montagne maledette e scontri navali; ci sono uomini e animali leggendari, ippogrifi e bestie mostruose, natura impervia e grandi città.
La struttura dell’opera è semplicemente grandiosa, perché Eddison ha costruito, strato dopo strato, un romanzo che prende spunto da (e si rifà a) tantissime altre opere: dai grandi miti norreni alle saghe islandesi, da Shakespeare all’Iliade e l’Odissea, dalle leggende assire ai miti greci, racconti di viaggio del XIV secolo e l’Eneide. Ci sono tantissimi riferimenti e citazioni (il tutto spiegato magnificamente alla fine del libro con delle note), ci sono mille mondi racchiusi in questo.
La prosa di Eddison è molto poetica ed evocativa, altisonante e barocca, ma non risulta pesante.
Ho letto moltissime recensioni del libro, ed una delle lamentate più comuni in quelle negative riguardava lo stile complesso e a tratti “borioso”, prolisso e lento (e vorrei soltanto chiedere come sia possibile che quelle stesse persone non si lamentino della stessa cosa ne “La compagnia dell’anello”, che ho dovuto abbandonare 2 volte prima di riuscire a portare a termine); non ho letto l’opera in inglese, e posso solo immaginare quanto sia volutamente convoluta, ma ho trovato la traduzione italiana (i miei complimenti a Bernardo Cicchetti) assolutamente magnifica, ricca e densa, adeguata ad una storia di questo tipo.
Una storia che può sembrare frammentata all’inizio, ma che piano piano ricollega tutti i pezzi e ci mostra un quadro d’insieme ricco e dettagliato, pieno di strategie militari e politica, tradimenti e fratellanza, amori e rancori, il tutto condito con ironia e sagacia.
I personaggi, soprattutto i Demoni, assomigliano per la maggior parte ai grandi eroi dei poemi epici (anche nel modo in cui vengono descritti fisicamente), pieni di grandi sentimenti e grandi ideali.
Le Streghe sono “i cattivi”, ma anche loro sono ben caratterizzati e non incarnano semplicemente quel ruolo, ma si mostrano nelle mille sfaccettature dell’uomo.
Ci sono scontri sanguinosi e violenti, ma Eddison sa sempre quando è il momento di fermarsi per descrivere la bellezza della natura o la dolcezza di un sentimento.
Il finale è l’epitome del serpente Ouroboros che si morde la coda.
Senza spoiler, dirò soltanto che, appena terminato, il libro mi aveva lasciato quasi l’amaro in bocca. Ma poi ci ho pensato, e ci ho riflettuto ancora un po’, e credo sia il finale perfetto per il concetto del serpente e per i personaggi stessi.
Una lettura davvero interessante e coinvolgente, poetica e grandiosa.
Sarà un piacere ritornare sulle vette del Koshtra Belorn o sotto le mura di Carce.
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June 27, 2023
LE OTTO MONTAGNE – PAOLO COGNETTI

Voto: 7/10
Edito: Einaudi
Pietro è un ragazzino nato e cresciuto in città, in una Milano opprimente, grigia, che racchiude tutta la sua vita. Poi un’estate i suoi genitori decidono di partire per la montagna, questa passione che condividono e che li ha sempre uniti, da quando erano ragazzi, questa passione che è rimasta nonostante una tragedia di gioventù.
E così giungono a Grana, un minuscolo paesino ai piedi del Monte Rosa, dove torneranno anno dopo anno per quei mesi di vacanza.
E lì Pietro conosce Bruno, dodicenne anche lui, che si occupa del pascolo delle vacche. Tra i due nasce un’amicizia vera, profonda, che coinvolge tutta la famiglia; insieme giocano e passeggiano, si riscoprono bambini e si immagino già grandi, vagano fra i pascoli e la montagna, fra case abbandonate e vecchi mulini.
Bruno entra a far parte della famiglia, creando forti legami con tutti e tre i componenti.
Pietro si allontana da suo padre e la sua improvvisa scomparsa lo obbliga a tornare su quella montagna, a ripercorrere strade mai dimenticate, a ritrovare Bruno. Nonostante si siano un po’ persi con il passare degli anni, sono sempre lì, indipendentemente l’uno dall’altro, l’uno per l’altro, costruiscono insieme una casa, si riconoscono uomini su quella montagna.
Le perdite e le nascite, le gioie e i dolori li riportano sempre lì, insieme. Anche quando Pietro comincia la sua vita un po’ nomade, in giro per il mondo, vive in Nepal, ma per Bruno torna sempre indietro.
E fino alla fine, quella montagna resterà lì, a ricordare tutto ciò che è stato.
Un libro con un bel messaggio, questo di Cognetti. L’uomo, la montagna, l’umanità, la grandiosità della natura, i silenzi fra due persone, i silenzi sulle cime.
L’amicizia gioca un ruolo fondamentale, questa famiglia non di sangue ma di scelta, questo legame che, nel bisogno, ci fa attraversare tutto il mondo.
Un po’ romanzo di formazione, un po’ viaggio interiore e un po’ peregrinare per il mondo, alla ricerca della pace, del proprio percorso, della libertà, della vita.
Quello fra Bruno e Pietro è un bel rapporto, due bambini che si conoscono, due ragazzi che si osservano da lontano, due uomini che si riscoprono fratelli, uniti fino alla fine (ma l’aveva già fatto anche De Carlo); la potenza e l’immensità della natura, il rumore attutito dei passi sulla neve o nei boschi, il silenzio dell’uomo che della montagna ne ha fatto la propria casa e il mondo intero, tutto risuona nella maniera giusta, come un’eco trasportata dal vento, fra le valli e le gole (ma Rigoni Stern lo faceva meglio).
Il punto debole di questo romanzo è la sua storia, mascherata magistralmente dalla penna di Cognetti; le parole giuste, le pause giuste, quei silenzi che tanto ama per i suoi personaggi, tutto per tentare di infondere un po’ di magia in una storia un po’ banale, un po’ scontata, già sentita.
È un peccato, davvero, avrei voluto amare questa storia con tutto il cuore, ma è un bel pacchetto che contiene una manciata di neve.
Bruno è l’uomo che vuole vivere sulla montagna, che non parla, che vuole vivere isolato dal resto del mondo: tesoro mio, capisco e condivido pienamente il tuo sogno, ma come personaggio sei un po’ passato; Pietro vagabondo che fa i documentari sull’Himalaya è qualcosa di così poco coerente e sensato che, lo ammetto, forse ho perso qualche passaggio ascoltando l’audiolibro, e quasi lo spero, perché altrimenti non si spiega.
È un romanzo piacevole, scritto in maniera dolce e un po’ sognante, malinconica, in uno stile coinvolgente e pieno, ricco, senza risultare pesante.
La storia che racconta, però, non è all’altezza della sua penna.
Forse è il mio solito problema con gli audiolibri, mi distraggo troppo facilmente e non riesco a seguire bene la storia; fra qualche anno tornerò volentieri fra quei sentieri, quei passi di montagna, queste pagine.
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June 25, 2023
LA NUOVA RACCOLTA DI RACCONTI DI EMILIA TESTA
Salve a tutti!
Oggi ho il piacere di presentarvi la nuova raccolta di racconti di Emilia Testa, edita Giovane Holden Edizioni, che mi è stata gentilmente inviata dall’autrice, pubblicata ad aprile 2023.

La sinossi dei cinque macro racconti è ascrivibile a un cammino, diradato e faticoso, nel mondo femminile, nei rapporti tra donne.
È l’amore, l’amicizia, il fattore che muove le varie storie. Anche quando l’amore è quella nota disturbante, inattesa, che diventa conflitto tra natura e ragione, che irride al nostro io indistruttibile e non lascia alternative al vivere, come nel racconto “Il caso Valeria M.”, dove anche un “ti amo” può vibrare alla stregua di un epitaffio.
Ne “La rabbia di Ester” l’amore si rivela effimero, e la Dulcinea tanto sognata non riesce a dare amore. Allora può succedere di sentirsi inutili, come succede a Ester, che perde il senno, e in sfregio alla pietà, all’etica, la disdegnata fragilità della sua gioventù la porta a rivendicare solo il diritto alla rabbia.
In “Marta o il grande boh” la ricerca della propria identità sessuale, sempre evocata ma mai realizzata del tutto, ha l’urgenza di un diario, mescolato a una realtà dura e tagliente. Ma c’è sempre una parte di noi che non vogliamo uccidere del tutto, ed è proprio quella che può portarci a una piccola rivoluzione interiore, a intraprendere un viaggio. Come fa Marta, con stupefacente onestà e sensibilità.
Spesso l’adolescenza, età in bilico tra il sole e l’uragano, diventa il malessere della felicità, soprattutto quando ti senti in balia delle decisioni dei “grandi”, come avviene in “Il sogno di Laura”, dove la nostalgia di un recente passato trova nuovi appigli di speranza in un volto nuovo, sconosciuto. Perché spesso le persone che appaiono nella nostra vita sono un segno, parlano certo, ma soprattutto indicano.
Ma l’amore può essere anche incanto, una visione riconoscibile lungo i chilometri ripetitivi e noiosi di un’anima inquieta. Come accade alla protagonista de “L’incanto di Roberta”: un volto, un sorriso, la fa incespicare in un sogno. E allora la vita aspira a divenire sinfonia di dolcezza, e traccia sentieri incrociati, oltre i petali appassiti degli anni.

BIO: Emilia Testa è nata a Napoli e ha studiato Cinema e Drammaturgia presso il DAMS di Bologna. Vive a
Ravenna, dove collabora, come visual merchandising, con diverse aziende di moda.
Ha avuto riconoscimenti in numerosi concorsi, fra cui “Concorso Nazionale Poesie al bar”, nel 2019, a
Ravenna con la poesia Redenzione, classificata al secondo posto, Concorso “Città viva Ostuni”, nel 2020 con
la poesia Il futuro del passato, “Premio Nazionale Alessio Di Giovanni”, Agrigento, nel 2020, col racconto La
mia Atlantide, classificatosi al terzo posto, “Concorso Strani giorni”, Alfonsine (Ra), 2020, col racconto In
bilico, dove è risultata vincitrice al primo posto, “Premio Letterario Clepsamia 2020”, col racconto L’incanto,
dove si è classificata prima, Concorso Internazionale “Stabia in versi”, 2021, dove si è classificata vincitrice per la sezione narrativa.
Molti suoi lavori figurano in prestigiose antologie poetiche.
Nel 2021 ha pubblicato la silloge poetica La logica del cuore, con la casa editrice Dantebus, poesie d’amore “al femminile”, per abbattere il muro dei pregiudizi sull’ amore tra donne.
Non vedo l’ora di leggere questi racconti e di parlarne con voi.
Presto la recensione!
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June 22, 2023
GRAND SEARAS. IL SEGRETO PALESE – MARCO DOTTA

Edito: Bookabook
Grazie a Marco per avermi inviato una copia del suo romanzo!
Fulgis è uno spirito errante, un’entità incorporea che vaga in un’infinita prateria luminosa, pieno di gioia e spensieratezza.
Poi, all’improvviso, il suo mondo muta: tutto si fa più cupo, si riempie di figure minacciose e, senza sapere come, si ritrova in possesso di un corpo fisico.
Giunto in mezzo ad un campo di battaglia, viene rincorso da un misterioso guerriero ma, all’ultimo secondo, incontra il viandante Novael, che lo salva dalla valle dei miraggi.
Inizia così una nuova avventura per lui, nel Grand Searas, fra nuove amicizie e scontri violenti, dove Fulgis dovrà imparare a conoscere sé stesso e a collaborare con gli uomini e le donne dei clan che vogliono opporsi a Radrian di Ligradis e al suo esercito che minaccia le terre del Canthello.
Questo è il primo romanzo di Dotta, e contiene molte idee interessanti.
Mi è piaciuta molto la sua teoria secondo cui lo spirito dell’uomo si trova sempre in uno dei tre stadi (gloria/furia/caos), e questo influenza tutte le azioni. Per esempio, c’è un episodio in cui i protagonisti vengono attaccati da alcuni cervi entrati in contatto con una fonte di furia, che aveva destabilizzato i loro spiriti, e mi ha ricordato molto lo spirito-cinghiale trasformato in un demone all’inizio de “La principessa Mononoke” di Miyazaki.
Alla stessa maniera, alla fine (senza fare troppi spoiler), mi è piaciuto il punto in cui Fulgis osserva un’altra guerriera salvare un ragazzo corrotto dal potere attraverso la tecnica della retrocessione dello spirito.
Però, questo è il primo romanzo di Dotta, e si sente.
Le idee sono molte, ma poco sviluppate. Sembra più che altro un abbozzo, una serie di eventi che si rincorrono senza entrare mai nei particolari, e così non abbiamo neanche la possibilità di affezionarci ai protagonisti o di emozionarci per ciò che gli succede.
I rapporti tra Fulgis e gli altri personaggi sono un po’ troppo superficiali, e non comprendiamo l’attaccamento eccessivo che il protagonista prova nei loro riguardi.
Fulgis stesso, il narratore della storia, è una voce scostante e debole, che non presta attenzione a ciò che dicono gli altri personaggi e non si cura di ciò che gli accade intorno, e molte (troppe) volte le spiegazioni di fatti e teorie vengono liquidate con frasi come “non saprei dire cosa successe”, “non ricordo”, “non sono sicuro”, che spezzano il ritmo della narrazione e ci impediscono di comprendere più a fondo la storia.
Interessante, però, il viaggio che Fulgis intraprende per conoscersi, partendo praticamente da zero, senza passato e con un futuro misterioso di fronte.
La penna di Dotta è scorrevole ed evocativa, ma purtroppo i buchi nella trama trasformano la lettura in un viaggio accidentato. Un punto di partenza che mostra il potenziale dell’autore, un primo passo verso qualcosa di più sostanzioso.
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Grand Searas. Il segreto palese
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June 20, 2023
DOVE NON MI HAI PORTATA. MIA MADRE, UN CASO DI CRONACA – MARIA GRAZIA CALANDRONE

Voto: 8/10
Edito: Einaudi
Il 24 giugno 1965 una bambina di otto mesi viene ritrovata abbandonata nel parco di Villa Borghese.
Nei tre giorni successivi, i corpi di una donna e di un uomo riaffiorano dal Tevere, una lettera viene consegnata alla redazione del giornale “Unità” e dei bagagli vengono ritrovati incustoditi.
La bambina abbandonata è Maria Grazia Calandrone; i due corpi appartenevano a sua madre, Lucia Galante, e (presumibilmente) a suo padre, Giuseppe Di Pietro; nella lettera, concisa e senza tentennamenti, Lucia spiega con poche parole la loro difficile situazione, rivendica la piccola Maria Grazia, chiede aiuto e compassione (per sé e per la figlia) e dichiara gli intenti della coppia; nei pochi bagagli abbandonati, tutti i loro averi.
Ma la storia di questo libro comincia molto prima, comincia il giorno della nascita di Lucia, e piano piano, a fatica, con dolore e dubbi e un po’ di immaginazione, ricostruisce tutta la sua vita, tutti i suoi 29 anni.
Lo ammetto, non conoscevo Calandrone prima di leggere questo libro, e ho scelto di leggerlo non per la trama (che cerco sempre di evitare) ma per la sua candidatura al Premio Strega di quest’anno.
Ho avuto incontri “poco fortunati” con i candidati di quest’anno, ma ho deciso di fare un ultimo tentativo.
Ed eccolo, alla fine, il fiore nascosto che sboccia pagina dopo pagina.
Lette le prime due pagine del libro, un pensiero mi ha attraversato la mente: “quanta prosa in questa poesia”. E Calandrone è effettivamente una poetessa, cosa che scopro ora e che mi sembra semplicemente evidente.
Nella sua prosa non c’è scampo, non c’è spazio di manovra, non c’è modo di sfuggire alle immagini che prendono vita di fronte ai nostri occhi. Con uno stile molto denso e al tempo stesso arioso e lucido, Calandrone ci mostra tutto ciò che ha scoperto, ci descrive tutto ciò che ha provato, ci fa immaginare tutto ciò che potrebbe essere stato, con la stessa forza della realtà concreta dei fatti.
Partendo dalla nascita di Lucia, seguiamo i suoi passi nel piccolo paesino di Palata, la sua difficile vita coniugale, il suo innamoramento, le sue fughe, la sua voglia di vivere, il suo desiderio di amare, la sua ineluttabile fine.
Con voce quasi sussurrata, Calandrone raccoglie testimonianze e congetture, ipotesi e accadimenti, ricuce insieme (poche) vecchie foto e voci di paese, e dipinge un quadro di amore e solitudine, sofferenza e sogni.
Il fatto che si tratti di una storia vera, rende la storia quanto più cruda possibile; il fatto che a raccontarla sia la figlia della coppia, in più poetessa, rende la narrazione quanto più struggente possibile.
La prima metà del libro è lenta, fa mille giri e ricollega i fili del destino che ha unito Giuseppe, un cinquantenne sopravvissuto alla guerra in Africa, a Lucia, una ventenne che sognava una vita diversa.
Le loro vicende sono arricchite da resoconti storici del nostro Paese, ciò che attraversava l’Italia in quegli anni, guerra e morte, rinascita e povertà, discriminazioni e voglia di vivere.
Anche non conoscendo la trama e la vita dell’autrice, scopriamo presto, da accenni e dettagli, cos’è successo poco dopo la nascita di Maria Grazia.
Ma è dalla seconda metà del romanzo che la storia si fa più incalzante, più sofferta, narrata con un ritmo più sostenuto che ci trascina, come un fiume in piena, senza scampo, fino all’ultima pagina.
Calandrone riporta stralci di articoli di giornale e dichiarazioni, calcola tempi di percorrenza e servizi postali, vaglia tutte le teorie possibili: il suicidio, l’omicidio, l’incidente, il desiderio di sopravvivere intrinseco del corpo che lotta contro il bisogno disperato dell’animo di farla finita.
Non posso neanche immaginare quanto sia stato doloroso scavare in questo passato, e quanto straziante sia parlarne. Tutti i sentimenti che emergono dal tono quasi distaccato (per quanto possibile) di Calandrone risultano vividi e brillanti, cocenti.
Una storia che è, sì, amara per la sofferenza ma dolce per la speranza di una vita migliore. Un gesto d’amore per una madre che ha cercato di fare tutto il possibile per la propria figlia.
Metà indagine e metà ipotesi, il tutto raccontato con uno stile quasi lirico, ricercato e poetico, che arricchisce ancora di più un’opera davvero toccante.
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Dove non mi hai portata. Mia madre, un caso di cronaca
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DOVE NON MI HAI PORTATA. MIA MADRE, UN CASO DI CRONACA – MARIA GRAZIA CALANDRONE

Voto: 8/10
Edito: Einaudi
Il 24 giugno 1965 una bambina di otto mesi viene ritrovata abbandonata nel parco di Villa Borghese.
Nei tre giorni successivi, i corpi di una donna e di un uomo riaffiorano dal Tevere, una lettera viene consegnata alla redazione del giornale “Unità” e dei bagagli vengono ritrovati incustoditi.
La bambina abbandonata è Maria Grazia Calandrone; i due corpi appartenevano a sua madre, Lucia Galante, e (presumibilmente) a suo padre, Giuseppe Di Pietro; nella lettera, concisa e senza tentennamenti, Lucia spiega con poche parole la loro difficile situazione, rivendica la piccola Maria Grazia, chiede aiuto e compassione (per sé e per la figlia) e dichiara gli intenti della coppia; nei pochi bagagli abbandonati, tutti i loro averi.
Ma la storia di questo libro comincia molto prima, comincia il giorno della nascita di Lucia, e piano piano, a fatica, con dolore e dubbi e un po’ di immaginazione, ricostruisce tutta la sua vita, tutti i suoi 29 anni.
Lo ammetto, non conoscevo Calandrone prima di leggere questo libro, e ho scelto di leggerlo non per la trama (che cerco sempre di evitare) ma per la sua candidatura al Premio Strega di quest’anno.
Ho avuto incontri “poco fortunati” con i candidati di quest’anno, ma ho deciso di fare un ultimo tentativo.
Ed eccolo, alla fine, il fiore nascosto che sboccia pagina dopo pagina.
Lette le prime due pagine del libro, un pensiero mi ha attraversato la mente: “quanta prosa in questa poesia”. E Calandrone è effettivamente una poetessa, cosa che scopro ora e che mi sembra semplicemente evidente.
Nella sua prosa non c’è scampo, non c’è spazio di manovra, non c’è modo di sfuggire alle immagini che prendono vita di fronte ai nostri occhi. Con uno stile molto denso e al tempo stesso arioso e lucido, Calandrone ci mostra tutto ciò che ha scoperto, ci descrive tutto ciò che ha provato, ci fa immaginare tutto ciò che potrebbe essere stato, con la stessa forza della realtà concreta dei fatti.
Partendo dalla nascita di Lucia, seguiamo i suoi passi nel piccolo paesino di Palata, la sua difficile vita coniugale, il suo innamoramento, le sue fughe, la sua voglia di vivere, il suo desiderio di amare, la sua ineluttabile fine.
Con voce quasi sussurrata, Calandrone raccoglie testimonianze e congetture, ipotesi e accadimenti, ricuce insieme (poche) vecchie foto e voci di paese, e dipinge un quadro di amore e solitudine, sofferenza e sogni.
Il fatto che si tratti di una storia vera, rende la storia quanto più cruda possibile; il fatto che a raccontarla sia la figlia della coppia, in più poetessa, rende la narrazione quanto più struggente possibile.
La prima metà del libro è lenta, fa mille giri e ricollega i fili del destino che ha unito Giuseppe, un cinquantenne sopravvissuto alla guerra in Africa, a Lucia, una ventenne che sognava una vita diversa.
Le loro vicende sono arricchite da resoconti storici del nostro Paese, ciò che attraversava l’Italia in quegli anni, guerra e morte, rinascita e povertà, discriminazioni e voglia di vivere.
Anche non conoscendo la trama e la vita dell’autrice, scopriamo presto, da accenni e dettagli, cos’è successo poco dopo la nascita di Maria Grazia.
Ma è dalla seconda metà del romanzo che la storia si fa più incalzante, più sofferta, narrata con un ritmo più sostenuto che ci trascina, come un fiume in piena, senza scampo, fino all’ultima pagina.
Calandrone riporta stralci di articoli di giornale e dichiarazioni, calcola tempi di percorrenza e servizi postali, vaglia tutte le teorie possibili: il suicidio, l’omicidio, l’incidente, il desiderio di sopravvivere intrinseco del corpo che lotta contro il bisogno disperato dell’animo di farla finita.
Non posso neanche immaginare quanto sia stato doloroso scavare in questo passato, e quanto straziante sia parlarne. Tutti i sentimenti che emergono dal tono quasi distaccato (per quanto possibile) di Calandrone risultano vividi e brillanti, cocenti.
Una storia che è, sì, amara per la sofferenza ma dolce per la speranza di una vita migliore. Un gesto d’amore per una madre che ha cercato di fare tutto il possibile per la propria figlia.
Metà indagine e metà ipotesi, il tutto raccontato con uno stile quasi lirico, ricercato e poetico, che arricchisce ancora di più un’opera davvero toccante.
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Dove non mi hai portata. Mia madre, un caso di cronaca
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June 18, 2023
THE GIRL WHO FELL BENEATH THE SEA – AXIE OH

Voto: 6/10
Edito: Hoddet & Stoughton (eng) / Oscar Mondadori Vault (ita)
Ogni anno le tempeste arrivano, terribili e devastatrici, a simboleggiare la furia del Dio del Mare.
Ed ogni anno una ragazza, la più bella o la più talentuosa, viene gettata tra le onde per placare la sua ira per qualche mese ancora, fino all’anno successivo.
Ma quando è il turno di Shim Cheong, Mina vede la sofferenza negli occhi di Joon, suo fratello, innamorato della ragazza destinata al sacrificio. E allora Mina prende il coraggio a due mani, si getta nel mare ed arriva nel mondo degli spiriti, nel palazzo del Dio del Mare, che si rivela essere un ragazzo vittima di un sonno incantato.
Il filo rosso del destino unisce la mano di Mina a quella del Dio, ma c’è qualcosa di strano nell’aria.
Un essere umano ancora in vita non può restare a lungo nel mondo degli Spiriti, e Mina ha soltanto un mese per trovare il modo di mettere fine una volta per tutte alle tempeste distruttrici, e troverà spiriti e demoni disposti ad aiutarla.
Le premesse per un avvincente YA c’erano tutte: un retelling della mitologia coreana, un mondo in fondo al mare, draghi e spiriti e divinità, una copertina semplicemente meravigliosa…eppure questo libro non funziona. Non funziona per niente.
Lo stile è semplice, quasi infantile, e per qualche motivo l’autrice ha sentito il bisogno di spiegare nei minimi dettagli il minimo significato di ogni avvenimento/scoperta, senza concedere al lettore neanche un secondo per ragionare su una qualsiasi informazione, rendendo così la lettura priva di emozioni.
In questa storia succedono molte cose, forse troppo.
Appena inizia il libro, dopo appena qualche pagina, Mina decide di sacrificarsi prendendo il posto di Shim Cheong, e si capisce che dovrebbe essere un grande momento pieno di patos: ma noi non conosciamo Mina né nessun altro personaggio della storia, quindi il tutto risulta sottotono e ci lascia piuttosto indifferenti.
Nonostante il romanzo sia relativamente breve, è pieno di scoperte e avvenimenti, tutto accade velocemente e niente ha un profondo impatto. Più la storia avanza, più le cose si fanno confuse e melodrammatiche, senza un vero motivo, senza scavare a fondo.
Troppi incontri fortuiti, troppe risoluzioni rapide.
I personaggi stessi sono piatti, non hanno spessore, non hanno carisma. Mina è una ragazzina che agisce impulsivamente e il suo love interest, Shin, è il tipico ragazzo da YA, descritto come enigmatico e intrigante, ma in realtà sta semplicemente lì a fulminare tutti con lo sguardo e perde la memoria dopo ogni grande evento, quindi non lo definirei prettamente “utile”. (E più volte viene descritto come “alto, non troppo terrificante e leale”. Più di una volta. QUESTA è UNA DESCRIZIONE?!)
Il tema del “filo rosso del destino” può essere davvero interessante, se sviluppato nella maniera giusta, ma non come scusa per far dichiarare amore eterno a due adolescenti dopo neanche un mese di conoscenza.
I personaggi secondari sono praticamente intercambiabili fra loro, divisi in gruppetti: le divinità (buone e cattive); Namgi e Kirin, due ragazzi che tentano di aiutarla; Mask, Dai e Miki, tre spiriti che tentano di aiutarla (e la cui vera identità, almeno per due di loro, si poteva intuire da pagina 5).
Il worldbuilding è confuso: da una parte siamo in fondo al mare ma dopo due pagine ce ne dimentichiamo completamente, perché questa cosa non viene mai più nominata; dall’altra, ci sono elementi interessanti che si perdono completamente nella confusione generale.
Lo stile è piatto, senza musicalità, senza la poesia di cui avrebbe avuto tanto bisogno.
Una storia che poteva essere interessante, con del potenziale, che purtroppo sembra scritta frettolosamente, toccando molti punti in maniera superficiale.
Un peccato davvero, perché una copertina così bella si meritava una storia grandiosa. Mi sembra di aver partecipato ad una puntata di “Catfish”.
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The girl who fell beneath the sea (eng)
La ragazza che cadde in fondo al mare (ita)
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June 15, 2023
VARDØ: DOPO LA TEMPESTA – KIRAN MILLWOOD HARGRAVE

Voto: 8/10
Edito: Neri Pozza
Durante la vigilia di Natale del 1617, a Vardø, una piccola isola della Norvegia, gli uomini si preparano come sempre per andare a pescare.
Si occupano delle barche, delle reti, e si preparano ad affrontare la natura.
E mentre si trovano in mare, in un battito di ciglia, una tempesta si scatena su di loro, le onde li inghiottono, e tutto finisce in un attimo mortale.
Così le donne si ritrovano improvvisamente da sole, senza padri e mariti e fratelli, a doversi occupare della terra e della pesca e di ogni minimo aspetto della vita. Fra loro la giovane Maren, a cui il mare ha strappato il fratello, il padre e il promesso sposo, che ora si ritrova intrappolata fra il dolore della cognata e il risentimento della madre.
Riescono così a sopravvivere per un po’, finché quel nuovo equilibrio non viene distrutto dall’arrivo del nuovo sovrintendente, Absalom Cornet, nome noto nella caccia alle streghe, e la sua giovane moglie, Ursula, inesperta del mondo e della vita.
E così, mentre Absalom tenta con tutte le sue forze e la sua fede di scacciare il demonio da quella terra dove i barbari lapponi vivono con i bianchi, Ursa scoprirà di avere dentro di sé l’amore e la forza necessari per sopravvivere.
Hargrave ce l’ha fatta, e non potrei essere più felice.
L’anno scorso avevo letto il suo retelling YA sulle spose di Dracula e, per quanto avessi apprezzato il suo stile, purtroppo nel complesso l’opera non era riuscita a convincermi.
Ma per fortuna ho deciso di darle una seconda possibilità.
Questo è un romanzo più adulto, dolce e sofferente, profondo e tempestoso come il mare.
Lo stile di Hargrave è migliorato, è diventato ancora più evocativo ed emozionante, si insinua come il vento fra i monti e ci scuote come le onde imponenti, ci trascina nel fango e ci riempie le narici con l’odore del grasso di balena, ci porta sull’orlo della scogliera per farci osservare gli orrori di un passato ancora troppo vicino e poi ci culla con la dolcezza di un canto.
La storia delle protagoniste di Vardø è di fantasia, ma le ambientazioni storiche e geografiche in cui i fatti si svolgono sono assolutamente vere. Ed è proprio da quelle atrocità che prende forza questa storia, che riesce a far emozionare il lettore fino all’ultima pagina.
Dalle pagine di questo romanzo storico risuona con forza la voce collettiva del paese, di tutte le donne che soffrono e combattono e resistono, a contrastare le voci degli uomini, più isolate ma nelle quali si nota comunque la sicurezza e l’arroganza del potere.
La caratterizzazione dei personaggi è buona, ma soltanto per le due protagoniste: Maren ed Ursa crescono e cambiano, scoprono nuovi aspetti di sé stesse e ne rinascono più forti; gli altri sono un po’ più statici, ma comunque interessanti e ben descritti.
Questa è una storia di vita e di morte, di passione e tenerezza, di accettazione e scoperta, di odio e rancore, di chi non si arrende e chi prova a ribellarsi.
La lettura è fluida e coinvolgente, la voce di Hargrave ci sommerge e ci trascina fra correnti gelide fino a quella spiaggia maledetta, ci spezza il cuore e prende di diritto il suo posto fra le crepe.
INIZIO SPOILER
Sì, è vero, il finale ricade nel tropo letterario in cui la relazione tra due donne non raggiunge il “vissero per sempre felici e contente” ma il finale è dolce, amaro, contrito, sentito, triste al punto giusto (e stiamo comunque parlando del 1600, non capisco esattamente cosa si aspettassero i lettori), quindi lo accetto come realistico e giusto, anche se col cuore dolorante.
FINE SPOILER
E anche il primo pianto per colpa di un libro per quest’anno me lo sono assicurato.
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