Ella S. Bennet's Blog, page 19
June 29, 2021
Daniel Deronda – George Eliot * citazione #3
(titolo originale “Daniel Deronda” pubblicato nel 1876; edizione italiana da me letta del 2018, traduzione di Sabina Terziani, Fazi Editore)

I genitori si stupiscono dell’ignoranza dei figli anche dopo aver impiegato i mezzi più collaudati e costosi per concretizzarla; i mariti e le mogli si stupiscono della perdita di un affetto che non hanno fatto nulla per conservare; e tutti noi tendiamo a stupirci se i nostri vicini non ci ammirano. E così succede che la verità ci sembra altamente improbabile, ma la verità è qualcosa di diverso dalle pigre e abitudinarie combinazioni prodotte dai nostri desideri.
June 24, 2021
Daniel Deronda – George Eliot * citazione #2
Tentare di descrivere un essere umano è stupido: come si può raccontarlo tutto in una volta? Quando ci viene presentato qualcuno possiamo soltanto cominciare a conoscerne l’apparenza, poi potremo completare l’impressione in innumerevoli circostanze e incontri successivi. Riconosciamo l’alfabeto, ma non siamo sicuri della lingua. Menziono i dettagli che Gwendolen notò quel giorno alla luce di un contrasto al quale si era preparata e che la portarono a considerare, nei primi momenti dell’incontro, che dopotutto quell’uomo non era per niente ridicolo.

June 22, 2021
Emily * Capitolo sei – prima parte
A Londra Wood si occupò di sistemare i debiti di Davies, incaricando il suo amministratore di trattare con Cox, e si recò dal suo notaio di fiducia per dare disposizioni che tutelassero la futura moglie nel caso in cui fosse rimasta vedova. Si procurò poi la licenza speciale per il matrimonio e fece rinnovare l’arredamento di alcune stanze della sua residenza di Mount Street nel modo che gli parve più indicato per accogliere una giovane donna.
Voleva infatti che Miss Harrison si trovasse a proprio agio con lui e in quella che sarebbe stata la loro casa; le poche volte che si erano incontrati si era mostrata poco disposta a intrattenersi con lui e Wood si augurava che quell’atteggiamento nei suoi confronti fosse dovuto a timidezza e non a ostilità. Ad ogni modo lo avrebbe scoperto presto: appena rientrato a Dacres Hall le avrebbe fatto visita.

Forse la sua decisione era stata avventata ma non se ne pentiva. La ragazza gli piaceva davvero, non era stato solo per proteggerla da Cox che aveva chiesto la sua mano: lo attraeva il suo modo di fare e di cavalcare, desiderava il suo corpo snello dalle curve morbide. Immaginava di poter instaurare con lei una sorta di amicizia simile a quella che lo univa a lady Glennbourne, un rapporto fatto di confidenza e intimità, ma più profondo perché lei sarebbe stata sua moglie.
Stava indugiando in quelle fantasie quando, all’improvviso, si sorprese a porsi per la prima volta una sgradevole domanda: e se le cavalcate di Miss Harrison nella tenuta avessero avuto una meta precisa, un incontro con un amante? Gli aveva dato l’impressione di essere una fanciulla riservata e introversa ma aveva goduto di un’eccessiva libertà a causa delle assenze dello zio, che non si era preoccupato di fornirle nemmeno una dama di compagnia per salvare le apparenze. Avrebbe potuto approfittare di quell’assenza per intrecciare una relazione. Infastidito si chiese perché non ci avesse pensato subito. Tornò con la memoria all’ultimo incontro nel parco e a come lei fosse chiaramente in imbarazzo: forse aveva davvero un appuntamento, per questo non aveva gradito la sua compagnia.
Alzò le spalle. Non era la prima volta che le sue scelte lo mettevano in una posizione che sarebbe stato un eufemismo definire scomoda e certo non sarebbe stata l’ultima. Fino a quel momento era sempre riuscito a volgere a suo favore quasi ogni circostanza ed era fiducioso che anche in quel caso non avrebbe fallito. Nonostante ciò non riuscì a liberarsi da un senso di disagio all’idea che la sua fidanzata avesse un amante o – peggio ancora – un innamorato. In quel caso l’avrebbe sposata lo stesso?
Dopo un paio di giorni dal suo arrivo nella capitale Wood ricevette un biglietto da lady Glennbourne; l’amica, avendo saputo della sua presenza a Londra, lo invitava a una serata musicale. Era un ricevimento per poche persone, preceduto da una cena informale al termine della quale i due trovarono il modo per conversare un poco senza che nessuno potesse udirli. Wood confidò allora a lady Glennbourne del proprio imminente matrimonio.
«Non posso crederci» esclamò subito lei. «Dopo quello che avevate affermato solo pochi giorni fa. Devo pensare a un colpo di fulmine oppure che abbiate compromesso una signorina?»
Lui sorrise: «Né l’una né l’altra cosa, ho solo cambiato idea all’improvviso. Si tratta comunque solo di un matrimonio combinato.» Nel dire così si sentì ingiusto nei confronti di Miss Harrison, non la sposava per amore ma certo non solo per convenienza, ma subito i recenti dubbi su una possibile relazione della ragazza tornarono a infastidirlo.
La sua espressione rifletté qualcosa di quei pensieri e l’amica lo guardò con aria dubbiosa: «Siete molto reticente e questo mi induce a pensare che mi stiate nascondendo qualcosa.» Con un gesto della mano lo fermò prima che potesse ribattere e proseguì: «Va bene così, ho sempre apprezzato la vostra discrezione ed è doveroso che la manteniate nei confronti della vostra futura moglie.»
«Ve la farò conoscere presto.»
«Naturalmente.» Avvicinò un poco il viso a quello di Wood: «Anch’io ho una confidenza da farvi. Temo di essermi innamorata.»
«È un problema?»
«Forse. Non mi era mai successo. Al contrario di voi posso testimoniare che il colpo di fulmine esiste, ne sono stata vittima pochi giorni dopo la vostra ultima visita. E potrei finire con lo sposarmi.»
«Lui vi ama?»
«Sì» mormorò in un soffio. Poi riprese con voce più sicura: «Stasera non c’è, è fuori città. Non vi dirò il suo nome, per ora.»
Wood assentì con un cenno del capo: «Spero che vi renda felice.»
Il concerto stava per iniziare e le offrì il braccio per andare a sedere nella sala allestita per l’occasione, un’ampia stanza molto accogliente, dalla tappezzeria pastello, quadri e specchi alle pareti e nei quattro angoli statue in stile classico che rappresentavano le stagioni. Wood si immerse nella musica ma presto il suo pensiero andò a Miss Harrison – Emily – e alla prospettiva allettante di farle scoprire il piacere. Questa volta ignorò di proposito l’eventualità che lei non fosse dello stesso avviso e ogni altro sospetto.
June 18, 2021
Agatha Christie – Gli elefanti hanno buona memoria * Le mie letture
(titolo originale “Elephants Can Remeber” pubblicato nel 1972; edizione italiana da me letta del 1985, traduzione Diana Fonticoli)
In questo romanzo Poirot è già in là con gli anni e nel mondo occidentale molti giovani sono capelloni e si drogano: siamo agli inizi degli anni Settanta. Anche la scrittrice Ariadne Oliver è più anziana, ma sempre energica e battagliera, nonché molto curiosa.

A una cena per scrittrici e scrittori famosi Ariadne viene avvicinata dalla signora Burton-Cox che le chiede se sa come sono effettivamente morti, parecchi anni prima, i genitori di Celia Ravenscroft, figlioccia della scrittrice e fidanzata con Desmond, il figlio della donna. All’epoca l’evento era stato archiviato come un caso di omicidio e suicidio, ma la donna vorrebbe sapere chi dei due coniugi ha ucciso l’altro prima di uccidersi a vicenda.
Ariadne rifiuta di indagare per conto della donna, ma fa suo il desiderio di scoprire la verità su quella disgrazia del passato, anche perché la madre di Celia era una sua amica, compagna di scuola. Per prima cosa parla con Celia, poi si rivolge a Poirot per un aiuto. E così, insieme, i due scavano nel passato, ascoltando i ricordi delle persone che all’epoca erano state vicine alla coppia o si erano occupate del caso, confidando nel fatto che gli elefanti hanno buona memoria e possono perciò fornire informazioni e dettagli utili per capire come erano andate davvero le cose. La frase sugli elefanti ritorna più volte nel romanzo, pronunciata da questo e da quello, quasi come un leitmotiv.
E così, di elefante in elefante (la scrittrice e il piccolo belga chiamano così le persone con cui parlano) i due raccolgono opinioni e testimonianze di fatti più e meno connessi con la morte dei coniugi Ravenscroft e Poirot – insolitamente poco compiaciuto di sé – giunge a scoprire la verità, rivelandola, oltre che ad Ariadne, alla sua figlioccia, Celia e a Desmond.
Di solito non prediligo le indagini riferite a delitti avvenuti nel passato, ma questo romanzo mi è piaciuto (ri-piaciuto) molto; gli indizi sono rivelati lentamente (si può intuire senza troppe difficoltà almeno una parte della verità) ed è intrigante accompagnare la scrittrice nei suoi colloqui con le persone collegate a quella doppia morte. L’ironia è pacata anche se presente qua e là.
Insomma, un altro bel giallo della regina Agatha.
June 17, 2021
Emily * Capitolo cinque – seconda parte
Emily ebbe fortuna, la diligenza passò poco dopo che lei aveva raggiunto la fermata.
Ce l’aveva fatta: era in viaggio per la capitale e non riusciva a credere che fosse stato così facile. Seduta fra gli altri passeggeri fu però presto assalita dalla paura di incontrare lo zio una volta arrivata a Londra: lui l’avrebbe cercata di sicuro. Ciò nonostante, ad ogni sosta era impaziente di ripartire: le pareva che le persone intorno a lei sospettassero che stava fuggendo e che avrebbero potuto in qualche modo tradirla e non vedeva l’ora che il viaggio finisse.
Circa a metà strada il ricordo di William e di come si era ingannata su di lui la colse all’improvviso e si impose di scacciarlo, costringendosi a non piangere. Lui non valeva le sue lacrime. Si era illusa che provasse qualcosa per lei e aveva attribuito a certe sue frasi un significato che non avevano. I suoi baci erano stati solo un inganno. Sospirò piano per non farsi notare e si sforzò di guardare fuori dal finestrino, a cui, purtroppo, non era molto vicina. I campi scorrevano intorno alla carrozza e il rumore delle ruote sembrava ricordarle che era sola e che doveva cavarsela contando sulle proprie forze e basta, in quel momento e sempre. “Lo farò”, si ripromise. Poi, via via che si avvicinava alla città, i suoi pensieri si concentrarono sulla necessità di trovare un alloggio e un lavoro.

Quando scese dalla diligenza, dopo quasi cinque ore, le parve di essere in un altro mondo. Aveva immaginato Londra simile al paese in cui aveva vissuto e a quello vicino a Sethgrave Park, solo un po’ più grande, ma non era così. Doveva avere un’espressione davvero smarrita, visto che la donna che era seduta accanto a lei durante il viaggio le chiese: «Mai stata a Londra?»
Emily scosse il capo.
«Dove dovete andare? Posso indicarvi la strada.»
«Sapete dove sia una locanda per dormire?»
L’altra la guardò con un misto di sospetto e indulgenza: «Una locanda non va bene per una signorina sola. Non avete parenti che possano ospitarvi?»
Emily scosse il capo: «Non conosco nessuno a Londra. Sono venuta per trovare un lavoro.»
«Forse posso aiutarvi. Vicino a dove abito credo che ci sia una stanza in affitto.»
«Purché non costi troppo…»
«Non è una zona di lusso» la rassicurò la donna con un sorriso amaro.
Emily la seguì: forse la fortuna, dopo averle consentito di giungere senza problemi nella capitale, era ancora dalla sua parte.
Camminarono per un po’, fra case e alcuni negozi. Le strade erano sporche e alquanto maleodoranti. La ragazza si guardava intorno cercando di memorizzare il percorso, si era già resa conto che non sarebbe stato facile imparare a orientarsi in quella grande città.
«Ecco, domandate lì» disse la sua compagna indicandole un portone in un palazzo dall’aspetto dimesso, in una zona altrettanto poco gradevole. Emily la ringraziò e si avviò decisa ma al momento di alzare la mano esitò. Si strinse nello scialle e serrò le labbra come se avesse dovuto compiere lo sforzo di sollevare un grosso peso. Infine raddrizzò le spalle e bussò.
Le aprì un’anziana, dall’aria arcigna, che non la invitò a entrare e la squadrò con diffidenza a causa della mancanza di un bagaglio; riuscì comunque a trovare un accordo con lei per affittarle la stanza. La cifra non era molto alta ma l’alloggio che la donna le mostrò non la valeva: era piccolo, spoglio e sporco. Emily tentò una protesta ma l’altra alzò le spalle mostrandole la porta: «Se non vi va bene…»
Era quasi il tramonto e si trovava in una città che non conosceva: Emily non poteva cercare un altro alloggio, certo non in quel momento, così pagò l’affitto di due settimane come anticipo che la padrona pretese e poi finalmente rimase sola. Sedette sul letto, respirò profondamente e tirò fuori dalla borsa il pezzo di pane che aveva preso la mattina durante la colazione: la sua cena. Dopo contò il denaro che le era rimasto: come temeva le sarebbe bastato solo per un paio di giorni, avrebbe dovuto impegnare la spilla. Al mattino avrebbe chiesto alla padrona della stanza dove fosse un ufficio presso cui lasciare il proprio nome nella speranza che qualcuno le proponesse un lavoro e avrebbe comprato un giornale per leggere gli annunci con le offerte di lavoro. La prospettiva di parlare di nuovo con quella donna sgradevole non le andava molto ma non aveva un’alternativa.
Per la stanchezza si addormentò subito, nonostante la scomodità del letto e le preoccupazioni per il futuro; di nuovo fece molti sogni. Quando si svegliò, le immagini oniriche, forse le ultime, erano ancora vive nella sua mente. Si stava preparando per le nozze con William, aveva indossato l’abito ordinato da Mrs Dixon e, mentre qualcuno le acconciava i capelli, entrava nella stanza Peggy con una lettera per lei e un sorriso malevolo sulle labbra. «Da parte di Mr Marshall» le diceva consegnandole un foglio ripiegato e sigillato. Emily lo apriva ma non c’era scritto niente e lei comprendeva che William se n’era andato. Il sogno proseguiva ma non ricordava come. La cosa strana, rifletté, era che nello scoprire l’abbandono di William si era quasi sentita sollevata.
Il sollievo durò ben poco, la prospettiva di abitare in quella stanza squallida e di dover percorrere le vie in cui aveva camminato la sera precedente non era piacevole. Il villaggio di Corscombe era molto più accogliente e meno triste di quel quartiere. Aveva trascorso una sola notte a Londra e già le mancava la campagna… Ad ogni modo non sarebbe tornata indietro, avrebbe affrontato le difficoltà e ce l’avrebbe fatta.
Ripetendosi quelle parole per darsi coraggio si preparò per uscire e mettersi alla ricerca di un lavoro.
June 15, 2021
Georgette Heyer – Sylvester * Le mie letture
(pubblicato nel 1957, edizione da me letta del 2004 ed. Arrow Books)
Il titolo completo è Sylvester or The Wickled Uncle, cioè Lo zio malvagio, e la malvagità – presunta – di Sylvester è uno dei due cardini del romanzo; l’altro è la schiettezza – che spesso rasenta l’impudenza – di Phoebe, l’eroina.
Il duca di Salford, Sylvester, appunto, decide di prendere moglie, anche se ha già un erede nella persona del nipote di cinque anni, Edmund, figlio di Harry, il suo gemello morto da quasi quattro anni. Parla della propria intenzione con la madre, a cui vuole molto bene e a cui dimostra sempre gentilezza, pazienza e affetto. Le racconta di aver individuato cinque signorine che soddisfano i requisiti che si aspetta di trovare in una moglie e le descrive brevemente le possibili candidate, nessuna delle quali, però, ritiene perfettamente corrispondente ai suoi gusti. La madre non è contenta di sentire il figlio così distaccato nei confronti delle cinque signorine e ancora meno della richiesta di scegliere per conto suo che lui le fa. Sylvester le dice che di solito le madri programmano i matrimoni per i propri figli e lei ribatte che ne aveva pianificato uno solo, quando lui aveva otto anni, con una bambina di tre. Poi gli spiega chi sia la giovane in questione: è Miss Phoebe Marlow, figlia di lord Marlow e della sua prima moglie, che era una sua grande amica, tanto che la nonna di Phoebe, lady Ingham, è la madrina proprio di Sylvester. Dopo qualche tempo il duca decide di accettare un invito nella tenuta di lord Marlow per conoscerne la figlia.

Dal canto suo Phoebe, che ha già vissuto la sua prima Stagione londinese e in quell’occasione è stata presentata al duca, non ha alcuna intenzione di sposarlo, ritenendolo un uomo arrogante e per niente interessato a lei. Phoebe ama cavalcare e andare a caccia e si occupa delle stalle ogni volta che il padre è assente; parla schiettamente e scrive: un suo romanzo (che narra vicende avventurose molto improbabili) sta per essere pubblicato. Peccato che per l’eroe negativo la giovane si sia ispirata proprio al duca di Salford, che a lei è sembrato arrogante e disinteressato agli altri e che nella finzione risulti facilmente riconoscibile.
La rinnovata conoscenza fra Sylvester e Phoebe non vene apprezzata da nessuno dei due, nelle loro brevi conversazioni si scambiano frecciatine e la ragazza vede confermata la pessima opinione che ha di lui e non perde occasione di fargli notare quanto sia arrogante. Il desiderio di evitare un matrimonio che le pare inevitabile la induce a fuggire per chiedere ospitalità alla nonna che vive a Londra, aiutata in questo dall’amico d’infanzia, il coetaneo Tom Orde, il figlio dello squire, un ragazzo dall’indole moto pratica e la testa sulle spalle.
Naturalmente la fuga ha dei risvolti inaspettati che fanno sì che Phoebe abbia modo di rivedere e conoscere meglio, suo malgrado, Sylvester.
La vicenda si complica quando esce – anonimo – il romanzo di Phoebe: presto molti sospettano che sia lei l’autrice e, per quanto lei continui a negarlo, si trova comunque nel mezzo di uno scandalo. La nonna di Phoebe decide di condurla a Parigi insieme a Tom Orde, ma il viaggio si svolge in modo decisamente inatteso…
Insomma, una trama ricca di colpi di scena che portano a situazioni spesso da commedia; il tono è arguto e ironico, come nei migliori romanzi della Heyer (anche se non ho potuto apprezzare a pieno tutte le sfumature avendolo letto in inglese).
I personaggi sono tutti tratteggiati con precisione, incluso il nipote di Sylvester, Edmund, un bambino dalle idee molto chiare, e anche sua madre, che si lamenta con tutti del duca in quanto “zio cattivo”, affermando che non gli interessa del nipote, non gli importa se può farsi male e perfino che non avrebbe voluto occuparsene, frase effettivamente pronunciata da Sylvester sull’onda del dolore quando era morto il fratello ma non rispondente a verità.
Molto dolce la duchessa, la madre di Sylvester; amico leale Tom Orde, così descritto:
Era un giovane simpatico, robusto piuttosto che alto, con un volto fresco e aperto, modi spontanei e tanto buon senso…
Un altro personaggio, per l’importanza che riveste nella storia, si può considerare anche il romanzo che Phoebe, già autrice quando era ragazzina di fiabe per le sorelle, scrive al ritorno dalla stagione londinese, durante la quale ha evidentemente attinto molte idee per la sua storia, dal titolo “L’erede perduto”; benché sia ricco di assurdità ha delle caratteristiche che lo rendono interessante, tanto da pubblicarlo:
PersonaggiPhoebe aveva scoperto in se stessa un dono per i ritratti umoristici e non aveva perso tempo a Londra.
Sylvester Rayne, Duke of Salford
Harry Rayne, gemello di Sylvester, morto da quasi quattro anni
Elizabeth, duchessa di Salford madre di Sylvester e Harry
Ianthe Rayne, vedova di Harry
Edmund Rayne, cinque anni, figlio di Harry
Button, nurse di Edmund
sir Nugent Fotherby, innamorato di Ianthe
Honorable Phoebe Marlow, diciannove anni
Miss Sibylla Battery, istitutrice delle figlie di lord Marlow
Thomas Orde, amico d’infanzia di Phoebe, figlio dello Squire
la vedova Lady Ingham, nonna materna di Phoebe
Verena Ingham, prima moglie di lord Marlow e figlia di lady Ingham, morta quando Phoebe non aveva ancora quindici giorni
June 14, 2021
Daniel Deronda – George Eliot * citazione #1
Questo brano mi ricorda tanto un famoso incipit…
Alcuni dei miei lettori reputeranno senz’altro incredibile che la gente costruisse prospettive matrimoniali sulla semplice voce che uno scapolo di belle speranze sarebbe presto stato a portata di mano, e si rifiuteranno di crederci giudicandolo un mero sbocco di bile. Saranno pronti a sostenere che né loro né i loro cugini di primo grado hanno menti tanto sfrenate, e che la natura umana non contempla né nutre simili pensieri perché è consapevole che potrebbero rivelarsi illusori. Tuttavia, converrebbe osservare che qui non si narra nulla che riguardi la natura umana in generale: la storia, allo stadio attuale, riguarda soltanto un ristretto numero di persone in un angolo del Wessex; persone la cui reputazione era inattaccabile e che, la mia posizione posizione mi permette di affermarlo con orgoglio, erano in buoni rapporti con esponenti di rango.

June 9, 2021
Emily * Capitolo cinque – prima parte
Il mattino seguente giunse a Sethgrave Park Mrs Dixon, la sarta che lo zio aveva incaricato di provvedere al guardaroba di Emily e al suo abito da sposa, secondo le disposizioni di Mr Wood.
«Il tuo fidanzato vuole che tu sia elegante, perciò non badare spese, scegli le cose più belle e più costose» aveva detto Mr Davies alla nipote prima di lasciare la tenuta per un breve viaggio. Al silenzio di lei aveva scosso il capo borbottando: «Proprio non capisci la fortuna che hai avuto.»
Mrs Dixon era una donna magra sui cinquant’anni, vestita di grigio e dal viso simpatico anche se non bello; l’assistente che l’accompagnava era giovane, con i capelli rossi e una spruzzata di lentiggini sulle guance. Le due donne, con modi cordiali e gentili, presero le misure di Emily, le mostrarono modelli e alcuni tessuti e l’aiutarono a fare le sue scelte. Lei si sforzò di recitare il ruolo di fidanzata ma non riuscì a mostrare altro che un tiepido interesse per tutto ciò che vedeva.
«Purtroppo non ho con me delle pezze che sarebbero molto adatte alla vostra carnagione» disse infine la sarta. «Vorrei mostrarvi qualcos’altro che ho in negozio e che potrebbe valorizzare i vostri colori. Torneremo domani, Miss Harrison.»
La ragazza vide l’occasione di cui aveva bisogno per recarsi in paese e si affrettò a proporre: «Potrei venire io, se volete.»
Mostrò per la prima volta un po’ di entusiasmo e la sarta sorrise: «Sarebbe davvero gentile da parte vostra, perché abbiamo pochi giorni per cucire i vostri vestiti e risparmieremmo tempo prezioso se non lasciassimo di nuovo il laboratorio.»

«A domani, allora» promise Emily salutando le due donne; l’assenza dello zio era un’opportunità troppo allettante per non approfittarne: se lui fosse stato a Sethgrave Park non le avrebbe permesso di muoversi di lì.
Trascorse il resto della giornata cercando di immaginare cosa avrebbe dovuto fare una volta giunta nella capitale; per prima cosa avrebbe cercato un alloggio e un lavoro. Quando viveva con i genitori aveva sentito parlare di agenzie che procuravano un impiego e si sarebbe rivolta a una di queste. Non aveva nessuna esperienza, ma sapeva cucire e tenere in ordine una casa: forse qualcuno avrebbe avuto bisogno dei suoi servizi.
Si addormentò tardissimo e sognò molto; quando si svegliò aveva lo stomaco chiuso ma si costrinse a buttare giù la colazione perché non sapeva quando avrebbe potuto mangiare di nuovo.
Infine salì sul calesse guidato da Timothy, diretta alla volta del paese. Era eccitata e spaventata nello stesso tempo, stava per prendere in mano il suo futuro e non aveva un vero progetto. Sapeva solo che voleva lasciare la tenuta e sparire, in modo che lo zio e Mr Wood non la rintracciassero. Dopo la partenza di Mr Davies aveva frugato nello studio e aveva sottratto qualche sterlina, anche se si era sentita terribilmente in colpa, ma doveva pagare la diligenza e poi mantenersi a Londra fino a che non avesse trovato un lavoro o avesse impegnato la spilla appartenuta a sua madre, unico gioiello che possedesse. Non aveva idea di quanto costasse la vita nella capitale e quanto avrebbe dovuto spendere per un alloggio e si augurava che il poco denaro che aveva preso fosse sufficiente.
Purtroppo non aveva potuto portare con sé del bagaglio per non insospettire la governante e la cameriera che l’avrebbero di sicuro guardata uscire e poi non voleva che nemmeno Timothy capisse le sue intenzioni: probabilmente non le avrebbe impedito di fuggire e avrebbero potuto accusarlo di averla aiutata. Per fortuna era estate e non le sarebbero serviti vestiti pesanti per un po’.
Lo stalliere fermò il calesse davanti al negozio della sarta e mentre Emily scendeva le disse: «Vado a fare delle commissioni per Mrs Lether. Tornerò a prendervi fra un po’, Miss.»
«Va bene Timothy, a più tardi.»
Da quando lo zio aveva promesso la sua mano a Mr Wood, Emily si era trovata costretta a nascondere il proprio stato d’animo e perfino a mentire e per lei non era stato per niente facile, si era sentita costantemente a disagio. Eppure doveva aver recitato abbastanza bene se nessuno aveva il minimo sospetto delle sue intenzioni. Sospirò e si sforzò di non pensare alle difficoltà che l’aspettavano in città, voleva sembrare allegra e frivola a Mrs Dixon e, soprattutto, fare in fretta.
Varcò la soglia della bottega e subito la lavorante che aveva conosciuto il giorno prima le andò incontro: «Miss Harrison, accomodatevi. Chiamo subito Mrs Dixon.»
Poco dopo Emily e la sarta erano circondate di pezze di vari colori, seta e mussola, una novità per la ragazza che, nonostante tutto, trascorse in modo piacevole il tempo nel laboratorio e apprezzò davvero alcune delle stoffe che le vennero mostrate, provando perfino un lieve rammarico al pensiero che non avrebbe mai sfoggiato gli abiti eleganti che stava ordinando; scelse tessuti e modelli, approvando tutti i suggerimenti di Mrs Dixon con qualche esclamazione di stupore sincero. Riuscì a finire in poco più di un’ora e rifiutò con una scusa l’offerta di attendere Timothy nel laboratorio.
Una volta in strada si affrettò ad allontanarsi poi chiese a un’anziana donna dove fermava la diligenza per Londra e si diresse a quella volta.
June 3, 2021
Daphne Du Maurier – Mia cugina Rachele * Le mie letture
(titolo originale “My cousin Rachel”, pubblicato nel 1951; trad. Ida e Luciano Mercatali, versione italiana dell’agosto 1955, I edizione I libri del Pavone, Mondadori)
Un romanzo terribile. Non nel senso che si un brutto romanzo, al contrario.
Terribile perché fino dalle prime pagine comunica al lettore ansia e dubbio. Per me almeno è stato così, tanto che ho dovuto centellinare la lettura (a parte le ultimo sessanta pagine che ho divorato per capire cosa sarebbe successo) e sospenderla e alternarla ad altre.
Magistrale, Daphne Du Maurier nel tenere altissima la tensione: ogni episodio, ogni frase sembrano indicare l’approssimarsi di un evento drammatico.

Philip Ashley, rimasto orfano da piccolo, vive con il cugino Ambrose, suo tutore, scapolo, nella tenuta di questi, in Cornovaglia. Fra i due c’è affetto e accordo. Quando Philip è ormai adulto Ambrose si reca in Italia per motivi di salute, lasciando il giovane a occuparsi della tenuta, e dopo alcuni mesi gli scrive di essersi sposato, con Rachele, una lontana parente rimasta vedova e con lei si stabilisce temporaneamente a Firenze, nella villa che la donna ha ereditato dal precedente marito, prima di rientrare in Inghilterra.
In successive lettere Ambrose racconta di sentirsi male, di stare sempre peggio, ha terribili emicranie e afferma di essere sorvegliato dalla moglie. Philip, preoccupato, si mette in viaggio per raggiungerlo e verificare la situazione ma al suo arrivo Ambrose è morto e la vedova è partita.
Philip torna nella tenuta covando un profondo odio per la vedova di Ambrose ma quando, un po’ di tempo dopo, questa si reca da lui per portargli gli effetti personali di Ambrose, piano piano cambia la sua opinione su di lei fino ad esserne completamente affascinato. Non è chiaro se la donna ricambia l’affetto di Philip, quanto lo ricambi o se invece cerchi solo di approfittare della situazione. E questo non è chiaro, soprattutto, nemmeno allo stesso Philip, che tenta in tutti i modi di comprendere quali siano i sentimenti di Rachele. Ma i dubbi e i sospetti si intrecciano sempre di più ai momenti sereni e il rapporto fra i due è complicato.
Ad ogni modo, poiché il romanzo è narrato in prima persona da Philip, non sappiamo cosa sente e pensa davvero Rachele né conosciamo i pensieri degli altri personaggi, fra cui Nick Kendall, il padrino e tutore di Philip (divenuto tale dopo la morte di Ambrose e fino ai venticinque anni del giovane), sua figlia Louise, il maggiordomo Seecombe.
Come ho scritto all’inizio la scrittrice fa capire, fino dalle prime parole, che nella storia che ci sta raccontando c’è qualcosa che non va, forse addirittura un delitto: nella prima pagina Philip ricorda che, quando aveva sette anni, Ambrose lo aveva condotto a vedere il corpo di un assassino, impiccato; lui era terrorizzato, ma si era mostrato indifferente, anche se dopo aveva dovuto dare di stomaco. È questa un’immagine che induce da subito nel lettore una sensazione di angosciosa attesa, sensazione che è acuita, poco dopo da frasi come:
Il fatto è che la vita bisogna viverla e sopportarla. Il problema è come viverla.
…
Nessuno potrà mai indovinare il pesante fardello che porto sulle spalle; nessuno saprà mai che ogni giorno, assillato dal dubbio, io mi pongo una domanda alla quale non so dare una risposta. Rachele era innocente o colpevole? Forse lo saprò soltanto nell’altra vita.
E poi ancora:
Ambrose diciotto anni fa si avviò giù per questo viale e io lo rincorsi. Può darsi che avesse la stessa giacca che indosso io ora. Questa vecchia giacca alla cacciatora, con i gomiti in pelle. Sono diventato così simile a lui che potrei essere il suo fantasma. I miei occhi sono i suoi, i miei lineamenti sono i suoi. … Be’, era ciò che desideravo. Essere come lui…

May 31, 2021
Emily * Capitolo quattro – quinta parte
Emily attese con ansia una risposta di William; ogni giorno che passava accresceva la sua angoscia e mille timori le si affacciavano alla mente. Forse stava male? Aveva perso il lavoro? Non aveva trovato il biglietto e quindi ancora non sapeva niente? Forse stava studiando una soluzione da proporle che non fosse la fuga che lei aveva ipotizzato.
Dormiva poco e male, le sembrava che il tempo scorresse in modo insopportabilmente lento ma anche che si avvicinasse in modo troppo veloce alla data delle sue prossime nozze.
Infine il messaggio arrivò.
«Miss.»
La voce di Timothy la sorprese mentre, il quarto mattino dopo il fidanzamento, tentava di leggere in giardino, seduta sull’unica panchina in pietra ancora degna di questo nome. Alzò la testa, l’uomo le stava porgendo una lettera.
«Uno stalliere di lord Buntbury ha portato questa per voi, Miss.»
Aspettò che Timothy la lasciasse sola, benché fremesse di impazienza. Nella fretta di leggere lacerò la carta ma, appena il suo sguardo si posò sul foglio, sbiancò e subito dopo arrossì.
Gentile amica,
problemi che non posso ignorare mi chiamano a casa presso la mia famiglia. Devo perciò allontanarmi da qui e non so se e quando tornerò.
Porto nel cuore il ricordo delle ore piacevoli trascorse insieme a voi e vi auguro di trovare la felicità che meritate.
W

Non poteva credere a quelle parole e le occorse un po’ prima di riuscire ad accettare il loro significato. William era partito senza di lei, non sarebbero fuggiti insieme. Ancora più dell’essere stata abbandonata la feriva il modo in cui lui le si era rivolto: frasi di circostanza fredde ed educate, nemmeno un cenno alla sua situazione né un rimpianto per non poterla aiutare.
Aveva sbagliato e si era illusa: lui non l’aveva mai amata, non aveva provato per lei altro che amicizia, di sicuro tiepida visto come si accomiatava, senza nemmeno dirle addio di persona, preferendo affidarsi alla penna e con parsimonia di vocaboli e ancor più di sentimenti. Come aveva potuto essere tanto sciocca da non capire che quell’amore esisteva solo nella sua fantasia? Era stata terribilmente ingenua nell’aver creduto di essere ricambiata e nell’aver perciò pensato che fuggire insieme fosse un desiderio condiviso.
Dunque lo zio aveva ragione, nessuno l’avrebbe aiutata.
Davvero non le restava che sposare Mr Wood? Forse, se la delusione provata nello scoprire che William non era innamorato di lei non l’avesse avvilita tanto, avrebbe potuto prendere quel matrimonio in considerazione, ma nel suo stato d’animo vide Wood come un orco malvagio. E non gli perdonava il fatto che si fosse accordato con lo zio come se lei fosse un oggetto e non una persona, senza nemmeno accennarle questa sua intenzione.
Decise perciò che sarebbe fuggita, contando solo sulle proprie forze. E in fretta, Mr Wood sarebbe tornato presto.
Dove rifugiarsi, sola e senza denaro? Forse il solo luogo in cui avrebbe potuto nascondersi era Londra: in una grande città trovare una ragazza insignificante sarebbe stato difficile. La capitale era abbastanza vicina a Sethgrave Park e questo era un vantaggio perché avrebbe impiegato poco tempo a raggiungerla, anche se per lo stesso motivo probabilmente lo zio avrebbe capito che l’aveva scelta come meta. Per quanto si sforzasse, comunque, non le venne un’idea migliore. Quindi era lì che sarebbe andata.
Doveva trovare il modo per raggiungere il paese, da dove avrebbe preso la diligenza per Londra.