Emily * Capitolo cinque – seconda parte

Emily ebbe fortuna, la diligenza passò poco dopo che lei aveva raggiunto la fermata.

Ce l’aveva fatta: era in viaggio per la capitale e non riusciva a credere che fosse stato così facile. Seduta fra gli altri passeggeri fu però presto assalita dalla paura di incontrare lo zio una volta arrivata a Londra: lui l’avrebbe cercata di sicuro. Ciò nonostante, ad ogni sosta era impaziente di ripartire: le pareva che le persone intorno a lei sospettassero che stava fuggendo e che avrebbero potuto in qualche modo tradirla e non vedeva l’ora che il viaggio finisse.

Circa a metà strada il ricordo di William e di come si era ingannata su di lui la colse all’improvviso e si impose di scacciarlo, costringendosi a non piangere. Lui non valeva le sue lacrime. Si era illusa che provasse qualcosa per lei e aveva attribuito a certe sue frasi un significato che non avevano. I suoi baci erano stati solo un inganno. Sospirò piano per non farsi notare e si sforzò di guardare fuori dal finestrino, a cui, purtroppo, non era molto vicina. I campi scorrevano intorno alla carrozza e il rumore delle ruote sembrava ricordarle che era sola e che doveva cavarsela contando sulle proprie forze e basta, in quel momento e sempre. “Lo farò”, si ripromise. Poi, via via che si avvicinava alla città, i suoi pensieri si concentrarono sulla necessità di trovare un alloggio e un lavoro.

Quando scese dalla diligenza, dopo quasi cinque ore, le parve di essere in un altro mondo. Aveva immaginato Londra simile al paese in cui aveva vissuto e a quello vicino a Sethgrave Park, solo un po’ più grande, ma non era così. Doveva avere un’espressione davvero smarrita, visto che la donna che era seduta accanto a lei durante il viaggio le chiese: «Mai stata a Londra?»

Emily scosse il capo.

«Dove dovete andare? Posso indicarvi la strada.»

«Sapete dove sia una locanda per dormire?»

L’altra la guardò con un misto di sospetto e indulgenza: «Una locanda non va bene per una signorina sola. Non avete parenti che possano ospitarvi?»

Emily scosse il capo: «Non conosco nessuno a Londra. Sono venuta per trovare un lavoro.»

«Forse posso aiutarvi. Vicino a dove abito credo che ci sia una stanza in affitto.»

«Purché non costi troppo…»

«Non è una zona di lusso» la rassicurò la donna con un sorriso amaro.

Emily la seguì: forse la fortuna, dopo averle consentito di giungere senza problemi nella capitale, era ancora dalla sua parte.

Camminarono per un po’, fra case e alcuni negozi. Le strade erano sporche e alquanto maleodoranti. La ragazza si guardava intorno cercando di memorizzare il percorso, si era già resa conto che non sarebbe stato facile imparare a orientarsi in quella grande città.

«Ecco, domandate lì» disse la sua compagna indicandole un portone in un palazzo dall’aspetto dimesso, in una zona altrettanto poco gradevole. Emily la ringraziò e si avviò decisa ma al momento di alzare la mano esitò. Si strinse nello scialle e serrò le labbra come se avesse dovuto compiere lo sforzo di sollevare un grosso peso. Infine raddrizzò le spalle e bussò.

Le aprì un’anziana, dall’aria arcigna, che non la invitò a entrare e la squadrò con diffidenza a causa della mancanza di un bagaglio; riuscì comunque a trovare un accordo con lei per affittarle la stanza. La cifra non era molto alta ma l’alloggio che la donna le mostrò non la valeva: era piccolo, spoglio e sporco. Emily tentò una protesta ma l’altra alzò le spalle mostrandole la porta: «Se non vi va bene…»

Era quasi il tramonto e si trovava in una città che non conosceva: Emily non poteva cercare un altro alloggio, certo non in quel momento, così pagò l’affitto di due settimane come anticipo che la padrona pretese e poi finalmente rimase sola. Sedette sul letto, respirò profondamente e tirò fuori dalla borsa il pezzo di pane che aveva preso la mattina durante la colazione: la sua cena. Dopo contò il denaro che le era rimasto: come temeva le sarebbe bastato solo per un paio di giorni, avrebbe dovuto impegnare la spilla. Al mattino avrebbe chiesto alla padrona della stanza dove fosse un ufficio presso cui lasciare il proprio nome nella speranza che qualcuno le proponesse un lavoro e avrebbe comprato un giornale per leggere gli annunci con le offerte di lavoro. La prospettiva di parlare di nuovo con quella donna sgradevole non le andava molto ma non aveva un’alternativa.

Per la stanchezza si addormentò subito, nonostante la scomodità del letto e le preoccupazioni per il futuro; di nuovo fece molti sogni. Quando si svegliò, le immagini oniriche, forse le ultime, erano ancora vive nella sua mente. Si stava preparando per le nozze con William, aveva indossato l’abito ordinato da Mrs Dixon e, mentre qualcuno le acconciava i capelli, entrava nella stanza Peggy con una lettera per lei e un sorriso malevolo sulle labbra. «Da parte di Mr Marshall» le diceva consegnandole un foglio ripiegato e sigillato. Emily lo apriva ma non c’era scritto niente e lei comprendeva che William se n’era andato. Il sogno proseguiva ma non ricordava come. La cosa strana, rifletté, era che nello scoprire l’abbandono di William si era quasi sentita sollevata.

Il sollievo durò ben poco, la prospettiva di abitare in quella stanza squallida e di dover percorrere le vie in cui aveva camminato la sera precedente non era piacevole. Il villaggio di Corscombe era molto più accogliente e meno triste di quel quartiere. Aveva trascorso una sola notte a Londra e già le mancava la campagna… Ad ogni modo non sarebbe tornata indietro, avrebbe affrontato le difficoltà e ce l’avrebbe fatta.

Ripetendosi quelle parole per darsi coraggio si preparò per uscire e mettersi alla ricerca di un lavoro.

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Published on June 17, 2021 09:47
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