Ella S. Bennet's Blog, page 22
March 23, 2021
Emily * Capitolo tre – prima parte
Dopo quell’incontro, per un po’ Wood smise di pensare a Miss Harrison, complice un viaggio a Londra, dove rivide alcuni conoscenti e fra questi lady Glennbourne, un’amica affascinante e vedova, con cui trascorse del tempo in modo molto piacevole.
Mentre la seconda sera finivano di cenare in casa di lei, in Brook Street, la donna lo sorprese: «Stamattina, pensando al nostro appuntamento, mi sono chiesta perché non siete ancora sposato.»
Lui, con tono leggero, le rispose: «Vi state forse proponendo?»
Lady Glennbourne scosse il capo: «Siete tra i miei amici preferiti ma non rinuncerei alla mia libertà nemmeno per voi.» Gli sorrise, appena maliziosa. «Riflettevo solo che sareste un buon partito per una signorina, magari una disposta a muoversi da questa nostra umida Inghilterra per accompagnarvi nei luoghi esotici dove trascorrete tanto tempo.»
«Finora non ho sentito il bisogno di una moglie, non più di quanto voi sentiate quello di un marito.»
Lei rise: «Avete detto “finora”: dunque qualcosa è cambiato negli ultimi tempi?»
«Naturalmente no. È solo un modo di dire.»
«Naturalmente» ripeté lei. Bevve un sorso di vino poi, continuando a mangiare il dessert, domandò: «Cosa pensate di questo dolce? Il mio cuoco ama sperimentare e di solito lo fa con successo.»

Era una sorta di semifreddo alla panna aromatizzata all’arancia su uno strato di biscotti sbriciolati e spruzzati di un liquore dolce, guarnito con bucce di arancia candite e polvere di cioccolata, apparentemente simile al Boodle Orange Fool servito nell’omonimo club, ma con delle sfumature decisamente originali.
«Avete ragione, è delizioso. Ma non quanto voi.»
Lei rise ancora gustando il complimento. Poco dopo lo prese per mano e lo condusse nelle sue stanze, dove, comodamente seduti sul divano dalla tappezzeria verde chiaro, conversarono in intimità prima di passare a qualcosa di più romantico.
Gli abitanti di Sethgrave Park incrociarono, e in modo piuttosto ingombrante per così dire, di nuovo la strada di Wood il giorno seguente, l’ultimo del suo breve soggiorno nella capitale, quando un membro del club, parlando del più e del meno, gli chiese se conoscesse un certo Davies, anch’egli proprietario di una tenuta nel Hertfordshire.
«È un mio vicino, ma non ci frequentiamo. So però che viene spesso a Londra.»
«Trovavo infatti improbabile che aveste dei rapporti. Mi hanno parlato di lui giusto ieri. Ha sperperato tutto quello che possedeva fra gioco e scommesse.»
«Ho sentito anch’io qualcosa del genere» osservò Wood.
«Adesso la sua situazione è disperata, pare che debba un bel po’ di denaro anche a Cox.»
«Non vorrei davvero essere questo Davies. Si dice che i metodi di Cox per riscuotere i debiti siano particolarmente sgradevoli» intervenne un secondo gentiluomo.
«Personaggio discutibile, per non dire di peggio» concluse un altro.
Su quell’affermazione convennero tutti i presenti prima di dedicarsi a una partita a carte.
Più tardi, rientrando a casa, Wood ripensò a quel breve dialogo e scoprì di essere preoccupato per Miss Harrison, cosa assurda visto che non la conosceva nemmeno. Del resto era ovvio che si chiedesse cosa le sarebbe accaduto se davvero Davies aveva dei debiti con Cox. Era al corrente della fama di quest’ultimo e non si trattava di una buona fama: era il proprietario di diverse bische non autorizzate ma tollerate, in cui oltre al gioco d’azzardo donne giovani e carine offrivano compagnia agli avventori -Wood nutriva seri dubbi sulla spontaneità di quelle offerte -. Inoltre si diceva che trattasse anche altri generi di affari, tutti loschi. In definitiva era un delinquente, più che un avventuriero, come invece lui stesso amava descriversi.
Così, l’immagine di lei a cavallo riprese a passargli nella mente più spesso di quanto sarebbe stato logico e lo stesso le parole di lady Glennbourne: “una signorina disposta a muoversi da questa nostra umida Inghilterra”.
Era comunque giunto il momento di esserle presentato.
March 19, 2021
Emily * Capitolo due – terza parte
Wood tornò più volte a cavalcare lungo il confine fra la sua tenuta e Sethgrave Park con lo scopo di incontrare ancora la giovane vicina. Pensava a lei più spesso di quanto ritenesse logico, considerato il fatto che l’aveva appena intravista, ma non aveva molto da fare e assecondare la propria curiosità era un modo per passare il tempo. Era ben più strano che si trovasse a immaginarla come compagna di viaggio, e questo solo perché montava indossando vesti maschili.

Non sapeva neppure che viso avesse, solo che era bionda, perché quando l’aveva trovata lunghe ciocche sfuggivano dal copricapo che avrebbe dovuto nasconderle. Forse se avesse constatato che l’opinione di Buntbury era corretta e che davvero non era attraente, avrebbe smesso di soffermare il pensiero su di lei.
Quando finalmente la incrociò di nuovo, Miss Harrison camminava tenendo il cavallo per le briglie, i capelli, stavolta non coperti dal cappello, rilucevano sotto i raggi del sole e il suo passo era armonioso, nonostante il corpo fosse infagottato in calzoni e camicia troppo grandi.
Nell’udirlo arrivare la ragazza si voltò e, dopo averlo fissato per un istante, balzò in sella e si allontanò in fretta. Lui frenò l’istinto di seguirla, ripetendosi che non aveva motivo di interessarsi a lei. Ma quel giorno, sia pure per breve tempo, aveva visto bene il volto della giovane: sotto la chioma dorata grandi occhi castani illuminavano lineamenti regolari. Un viso forse non propriamente bello ma tutt’altro che insignificante, a suo parere. Un viso che continuò ad apparirgli nella mente di quando in quando, un’immagine che passava leggera come una nuvola portata dal vento.
March 17, 2021
Emily * Capitolo due – seconda parte
Più tardi, con sorpresa di Thomas, l’insolita amazzone si insinuò nei suoi pensieri e così, mentre dopo mangiato beveva un ottimo brandy con lord Buntbury, gli chiese se sapesse qualcosa della ragazza.
Lui annuì: «Da meno di un anno Davies ospita una nipote rimasta orfana, Miss Emily Harrison. I primi tempi rimaneva sempre in casa poi ha cominciato a girare per la tenuta a cavallo, montando come un uomo.»
«Non sapevo che Davies avesse dei fratelli.»
«Miss Hamilton è la figlia di una sorellastra; il padre era povero ma di una famiglia rispettabile. Temo che la ragazza non abbia guadagnato molto dall’avere Davies come tutore.»

«Anche se siamo in campagna una signorina di buona famiglia dovrebbe tenere un comportamento adeguato. Come mai lo zio le lascia tanta libertà?»
«Per quanto ne so, finora si è disinteressato di lei, è noto anche a voi che tipo di persona sia, non si preoccupa certo della sua reputazione. Inoltre continua a trascorrere lunghi periodi a Londra come ha sempre fatto e la nipote rimane da sola con la servitù – due donne e il vecchio stalliere.»
«Voi conoscete Miss Harrison?»
«Qualche mese fa invitai a cena Davies e lui mi chiese il permesso di portarla con sé. A mio parere è una ragazza appena graziosa, quasi insignificante. In tutta la sera avrà pronunciato si e no una decina di frasi, compresi i saluti. Credo che abbia una ventina d’anni, Davies dovrebbe trovarle un marito.» fece una pausa per bere n sorso. «Immagino che non sia facile perché lei non ha un soldo e lui nemmeno, ha dilapidato tutto al gioco e in alcuni investimenti sbagliati.»
«Dubito che fra le conoscenza di Davies vi siano giovanotti adatti alla nipote» non poté evitare di commentare Wood.
«Avete ragione. Se combinerà un matrimonio lo farà solo per un suo tornaconto. E in quel caso temo che non sarebbe un buon affare per lei»
Tacquero per qualche istante, poi Buntbury iniziò a parlare di cavalli, uno dei suoi argomenti favoriti, ma la sua osservazione di poco prima sarebbe tornata in mente a Thomas più di una volta nei giorni a seguire.
March 16, 2021
Emily * Capitolo due – prima parte
Fu in un giorno di maggio che Mr Thomas Wood, durante la cavalcata quotidiana, si imbatté in Emily. Fu l’incontro di un momento, la visione di una figura su un cavallo al galoppo passata a pochi metri da lui, ma ebbe modo lo stesso di intuire, più che di vedere, che gli abiti maschili celavano una fanciulla. Incuriosito, voltò il cavallo per seguirla ma non lo fece, non avrebbe avuto senso. Probabilmente si trattava della figlia di un fattore o di un fittavolo, a una signorina di buona famiglia non sarebbe stato permesso un comportamento simile. Lord Buntbury, il suo vicino, gli avrebbe potuto fornire informazioni su di lei quando quella sera lo avrebbe visto a cena.

Thomas Wood aveva da poco compiuto trentaquattro anni e riteneva, senza falsa modestia, di essere un uomo di successo. Benché fosse soltanto il figlio di un signorotto di campagna e si dedicasse al commercio, la ricchezza che aveva accumulato gli garantiva da tempo una cordiale accoglienza in molti ambienti, anche fra quelli considerati più esclusivi, procurandogli relazioni che coltivava più che altro perché utili alle sue attività. Fino da giovane aveva dimostrato fiuto per gli affari e ormai ne intratteneva di floridi, soprattutto con paesi lontani. Aveva viaggiato molto e da ogni luogo e incontro aveva imparato molto. Amava l’arte ma non la vita di città.
Non aveva più una famiglia, avendo perso i genitori mentre era lontano, e pochi mesi dopo di loro era morta anche la sorella maggiore, insieme al bambino che stava tentando di mettere al mondo. I suoi rapporti con il cognato, già limitati quando lei era in vita, erano cessati dopo che questi si era risposato.
Tre anni prima aveva acquistato Dacres Hall e da allora vi trascorreva quasi tutti i mesi che rimaneva in Inghilterra. Conosceva superficialmente i suoi vicini, quanto bastava per scambiare qualche invito e frequentare – con moderazione – la società del luogo. Di quando in quando ospitava uno dei pochi che considerava amici. Fermarsi per qualche tempo, per quanto nemmeno allora trascurasse i suoi affari, gli dava quasi l’impressione di stare in ozio e questo di giorno in giorno accresceva il suo desiderio di ripartire e gli suggeriva idee per nuove imprese.
Quel pomeriggio, dopo l’incontro fugace con Emily, Thomas Wood continuò la sua passeggiata. Era arrivato da due giorni nel Hertfordshire e quella era la sua prima cavalcata, quella che avrebbe apprezzato di più: presto, lo sapeva, il soggiorno a Dacres Hall lo avrebbe annoiato, come sempre. Il tempo era incerto ma non tanto da minacciare pioggia e tornò a casa dopo aver gustato a lungo odori e colori della campagna.
March 13, 2021
Tempesta e Bonaccia: romanzo senza eroi – Marchesa Colombi * Le mie letture
*** Attenzione: Nell’articolo riporto la trama quasi completa ***
Il romanzo è stato pubblicato nel 1877 e si sente che ha ben più di un secolo di vita, soprattutto per il modo di narrare (il punto di vista, il diario, le lettere) e per come si rapportano i personaggi fra di loro, oltre che – un poco – per il linguaggio. La psicologia dei personaggi, l’evolversi dei loro sentimenti, i loro cambiamenti sono invece ben dipinti.
Il racconto è sempre in prima persona anche se l’io narrante cambia: la prima parte è narrata dal protagonista maschile, la seconda da quello femminile, o meglio è la trascrizione del diario (“Giornale di Fulvia”) di lei, inviato all’altro personaggio. La parte finale ha ancora come io narrante il protagonista maschile che sul finire legge una lettera che Fulva gli ha inviato.
Il romanzo è una storia d’amore o, forse meglio, di amori. Amori vissuti da persone che commettono errori e hanno debolezze, per questo, penso, nel titolo è specificato “romanzo senza eroi”.

Massimo, trent’anni, avvocato, è l’amante di Vittoria Prandi, la moglie di un suo amico, da quattro anni. Non ha alcun rimorso nei confronti dell’amico per questo tradimento fino a che dopo aver conosciuto Fulvia, una cantante lirica, si invaghisce di lei e il legame con Vittoria inizia a parergli ingiusto e sleale, tanto che scrive all’amante che è meglio reciderlo.
Quando dichiara il suo sentimento a Fulvia lei ammette di ricambiarlo ma gli dice anche che fra loro non potrà esserci niente e con una lunga lettera gli spiega che è già fidanzata, con un giovane tedesco, Welfard (che lei chiama Gualfardo mentre Massimo lo cita come Welfard), direttore d’orchestra e suo maestro di canto, divenuto anche amico del padre.
Benché mantenere il rapporto su un piano completamente platonico o quasi non sia facile, i due ci riescono, direi più per l’impegno di Fulvia, e quando il lavoro di lei la porta in un’altra città decidono di non vedersi più ma tenere acceso il loro affetto scambiandosi lettere.
Però, prima di tornare a Torino (dove vivono il padre e il fidanzato) da dove poi ripartirà per altri teatri, Fulvia si ferma qualche giorno a Milano per rivedere Massimo, mentendo sul motivo di questa sosta al padre e al fidanzato. Questi, che si era recato a Milano per farle una sorpresa, scopre che lei si incontra con Massimo; all’arrivo a Torino Fulvia si rende conto che Welfard sa che lei ha mentito e il giorno seguente gli confessa di essere innamorata di un altro, rompendo così il fidanzamento. Subito dopo il padre di lei si sente male, da tempo è malato di cuore ed è giunto agli ultimi giorni di vita; l’assenza di Welfard, a cui vuole bene e su cui conta per non lasciare sola la figlia, gli creano preoccupazione e ansia e Fulvia scrive al giovane chiedendogli di fingere che siano ancora fidanzati. Il comportamento premuroso di Welfard con suo padre induce Fulvia a ricredersi sui propri sentimenti fino a comprendere di essere innamorata di lui e non di Massimo: di quest’ultimo l’aveva attratta la “maschia bellezza, l’espansiva impetuosità del suo carattere, i suoi entusiasmi”. Convinta che Welfard non l’ami più, lascia però che lui continui a crederla innamorata dell’altro; così, dopo il funerale, di cui si occupa ancora Welfard, i due non si vedono più. Poco dopo la morte del padre, Fulvia riceve una lettera di Massimo che le confessa:
Credevo di poter ancora amare e mi sono ingannato. L’amore per me può essere tutt’al più, come voi dicevate, un episodio tempestoso. «Ho lungamente lottato fra la ripugnanza ad ingannarvi, e la paura di darvi un dolore. «Perdonatemi e compiangetemi! Darei dieci anni della mia vita per sapervi felice. «Spero per voi nel tempo, nella lontananza, e più più ancora nell’effetto morale che la mia condotta deve fare sul vostro animo. «Perdonatemi!
Fulvia, comunque delusa, brucia le sue lettere e accetta una scrittura per New York. Durante il viaggio per Genova scopre per caso Massimo con una donna, sua moglie e questo “distrugge il passato”.

Ciò nonostante, mesi dopo, tornata in Italia, Fulvia invia il proprio diario a Massimo, accompagnato da una lettera in cui gli spiega che ha deciso di suicidarsi: salirà con altri alpinisti sul Monte Bianco e simulerà un incidente (per non dare scandalo con un suicidio). Lui, preoccupato, si precipita a Chamounix, da dove è stato spedito il plico con il diario e la lettera ma non trova Fulvia e nessuno ha sentito parlare di disgrazie sul Monte Bianco. Tornato a Milano riceve un’altra lettera da Fulvia, che gli racconta che ha cambiato idea e non si è tolta la vita, anzi l’ha ritrovata: Welfard, che senza mostrarsi l’aveva seguita in America e poi di nuovo in Europa, era salito anch’egli sul Monte Bianco e nel rifugio in cui entrambi dovevano pernottare si erano parlati e confessati il reciproco amore.
Come forse si può notare, la storia ha un andamento ondeggiante, Massimo ama (o così suppone) Vittoria ma la lascia appena si invaghisce di Fulvia ma anche nei confronti di lei l’attrazione non è costante, anche perché è costretto ad accontentarsi di qualche bacio, tanto che poi confessa di non amarla e si sposa:
Quell’amore contrastato, che avevo combattuto in me stesso per rispetto all’onestà di lei, mi aveva fatto riflettere ai pericoli de’ miei amori, a slanci impetuosi e fuggevoli.—Era tempo di mettermi al sodo. Avevo trent’anni. Se Fulvia fosse stata libera avrei sposato lei. Ma era vincolata ad un altro, e voleva condannarmi pel resto de’ miei giorni alla parte burlesca d’un amante epistolare.—Ne sposai un’altra.
Da parte sua Fulvia scrive a Massimo del fidanzato;
… mi ama, e merita d’essere adorato. Sono io che non l’amo più, perché non l’amo più; perché l’amore non è eterno che in casi eccezionali; l’amore può cessare; il suo carattere era troppo freddo per rispondere alle mie aspirazioni; e la sua freddezza ha spento l’ardore che le sue prime parole d’affetto m’avevano acceso nel cuore, ecco la prosa.
Poi, però, si rende conto che non è così, che quell’amore c’è ancora o che è rinato.
Un andamento ondeggiante, quindi, e molto realistico: i sentimenti sono spesso così, all’inizio c’è indecisione, timore ma anche entusiasmo, aspettativa; poi si consolidano, a volte, oppure rimangono incompleti e alla fine si spengono.
I due personaggi principali sono mostrati con tutte le loro incertezze e difetti – di certo Massimo ha una buona dose di egoismo – e questo li rende molto realistici; per l’approfondimento psicologico il romanzo è dunque molto moderno.
Personaggi
Massimo (Max) Guiscardi, 30 anni, il protagonista maschile
Marchesa Vittoria Prandi, sua amante da quattro anni
Marchese Ernesto Prandi, marito di Vittoria e amico di Massimo
Giorgio Albeni, amico di Massimo e innamorato di Fulvia
Fulvia Zorra, cantante lirica, conosciuta da Giorgio e da lui presentata a Massimo
Welfard/Gualfardo Herbert, direttore d’orchestra, maestro di canto di Fulvia e suo fidanzato, tedesco
Pietro Zorra, padre di Fulvia
Maria Antonietta Torriani
(Novara, 1º gennaio 1840 – Milano, 24 marzo 1920) è stata una scrittrice italiana. Con lo pseudonimo di Marchesa Colombi entrò nella storia del romanzo popolare e del femminismo. (da Wikipedia)
March 9, 2021
Emily * Capitolo uno – quinta parte
Timothy si accorse di un cambiamento nell’umore della ragazza e riuscì a indurla a confidarsi.
«Sono una persona semplice e non mi intendo di buone maniere ma non credo che sia conveniente, Miss, che voi incontriate questo giovanotto. Anzi, non va bene per niente» commentò dopo il racconto di Emily.
«Siamo solo amici» replicò lei arrossendo e instillando così nello stalliere il sospetto che le cose fossero diverse.
«Dovrebbe chiedere a vostro zio il permesso di vedervi. Se non lo fa non si comporta da gentiluomo a mio parere.»
«Suvvia Timothy, non c’è niente di male nell’incontrare qualcuno per caso.»

L’uomo sospirò, sapevano entrambi che il caso non c’entrava più, ma lui non aveva l’autorità di proibirle niente e in fondo era contento per lei se quell’amicizia la rallegrava; non poteva però non temerne le conseguenze e, promettendole che non ne avrebbe parlato con Mr Davies, la esortò alla prudenza.
In una radura sul confine fra la proprietà di Mr Davies e quella del barone Buntbury c’erano le rovine di una vecchia costruzione in pietra; quei resti diventarono presto il posto preferito dei due giovani: lì si incontravano, lì si lasciavano un messaggio sotto un certo sasso quando non potevano vedersi.
E fu lì che un pomeriggio William baciò Emily.
Poiché lui mormorò: «Siete così dolce, così cara. Mi piace parlare con voi» e giusto poco prima le aveva raccontato i suoi progetti: «Fra due anni al massimo il lavoro per lord Buntbury mi avrà consentito di mettere da parte abbastanza denaro per sposarmi. Desidero una famiglia ma voglio poter dare a mia moglie e ai miei figli una certa agiatezza», quel bacio ebbe per Emily il valore di una dichiarazione.
Così da quel giorno la giovane cominciò a immaginare il proprio futuro come moglie di Mr Marshall, amministratore apprezzato di lord Buntbury. Vedeva il cottage in cui avrebbero abitato, i bambini che avrebbero avuto… Benché non ne avessero ancora parlato insieme era certa che i sogni di William fossero simili ai suoi e che il giovane intendesse condividere il proprio avvenire con lei.
Probabilmente non sarebbe stato facile ottenere l’approvazione dello zio, ma era un problema che avrebbero affrontato al momento opportuno. E poi in fondo le mancavano solo due anni per diventare maggiorenne e allora sarebbe stata libera di unirsi in matrimonio a chi avesse voluto.
March 4, 2021
Emily * Capitolo uno – quarta parte
Era un pomeriggio di aprile quando Timothy, osservandola mentre sellava la giumenta, la rimproverò: «Mr Davies dovrebbe saperlo, Miss, se continuate a uscire da Sethgrave Park da sola. Le signorine di buona famiglia non lo fanno.»
«Vi prego, non diteglielo, tanto vedete che non si cura di me. Cosa volete che gli importi quello che faccio? Non posso rinunciare a cavalcare. Non traditemi.»
«Non avete nemmeno un abito adatto» borbottò ancora lui.
Emily, infatti, indossava vesti maschili e montava come un uomo, sia perché Timothy le aveva insegnato così, sia perché il suo guardaroba non contemplava un abbigliamento da amazzone e non era il caso di chiedere allo zio di acquistarne uno. Aveva trovato dei calzoni e una camicia rovistando in soffitta e li aveva riadattati alle sue misure, trovando utile per la prima volta l’arte del cucito che aveva sempre detestato ma dovuto imparare a padroneggiare fino da piccola.
«È meglio così, secondo me. Se qualcuno mi vede da lontano non si rende conto che sono una ragazza.»
«Non allontanatevi più, però.»
«Promesso.»
Non volendo dispiacere all’unica persona che si preoccupava per lei, Emily rimase entro i limiti di Sethgrave Park, rassegnandosi a percorrere più volte lo stesso percorso. Quando giunse ai confini della tenuta, vide poco oltre un giovane che camminava tenendo per le briglie un sauro e fermò la giumenta. Nell’udire il rumore del suo cavallo l’uomo si voltò e non nascose il suo stupore nel comprendere che, nonostante gli abiti maschili e il berretto che nascondeva buona parte dei lunghi capelli biondi, aveva davanti a sé una ragazza. Le sorrise e lei fece altrettanto.

«Permettete che mi presenti, signorina. Sono William Marshall, da alcuni giorni sono stato assunto dal barone Buntbury per aiutare e poi sostituire il suo amministratore» le disse avvicinandosi con un piccolo inchino.
Si trovava infatti sul terreno del barone, uno dei vicini di Mr Davies che Emily aveva conosciuto qualche mese prima, quando lo zio, in uno dei rari momenti in cui si ricordava della sua esistenza, l’aveva portata con sé a fargli una visita. Era vedovo e aveva due figlie sposate che vivevano in altre contee. Una persona tranquilla che le aveva rivolto solo frasi di circostanza.
Non era appropriato che lei si intrattenesse con un giovanotto che per giunta nessuno le aveva presentato, anzi che si era presentato da solo, forse credendola la figlia di un fattore, ma la voce di Mr Marshall era gradevole e il suo aspetto attraente, così Emily, arrossendo appena, rispose: «Sono Miss Emily Harrison, Mr Davies è mio zio.»
«Vi prego di scusarmi, avrei dovuto immaginare che foste voi. Lord Buntbury mi ha detto che siete a Sethgrave Park da pochi mesi.»
«Sì, dall’autunno scorso. Da quando sono morti i miei genitori.»
«Mi dispiace per la vostra perdita.»
«Vi ringrazio.»
«Vi trovate bene qui nel Hertfordshire?»
«Abbastanza.»
Parlare con uno sconosciuto era qualcosa di nuovo per Emily, fino a che aveva vissuto con i genitori aveva frequentato con loro alcune famiglie con figli e figlie più o meno della sua stessa età ma mai si era trovata da sola con uno dei ragazzi. Luna si mosse, avvertendo la sua incertezza e lei si affrettò ad accomiatarsi: «Sono contenta di avervi conosciuto, Mr Marshall, ma adesso devo andare. Buona giornata.»
«Buona giornata anche a voi. Spero di rivedervi presto.»
«Cavalco spesso» mormorò lei voltando la giumenta e avviandosi verso la villa.
Sua madre non avrebbe approvato che si fosse fermata a conversare con un giovanotto ma le era sembrato scortese non rispondere. Incerta sull’opportunità di instaurare un rapporto con Mr Marshall, per tutta la settimana successiva evitò di tornare nella zona del parco che confinava con la tenuta del barone. Infine si convinse che non ci fosse niente di male se l’avesse incontrato ancora per caso e se avesse scambiato con lui qualche parola come è d’uso fra buoni vicini.
Così, approfittando della libertà garantita dalla solitudine e dall’assenza di Mr Davies, Emily si vide più volte con Mr Marshall e fra i due nacque una certa amicizia. Presto divennero l’uno per l’altra solo William ed Emily. Momenti di confidenza si alternavano ad altri di imbarazzo, mentre lei raccontava dei suoi genitori e lui della propria famiglia.
«Ho quattro sorelle minori, tutte più piccole di me. La maggiore ha diciannove anni.»
«Proprio come me. Ma neppure voi siete molto più vecchio.»
«Cinque anni più di voi. È stata una fortuna per me che lord Buntbury avesse bisogno di un nuovo amministratore.»
«Questo lavoro vi piace?»
«Senz’altro. Quando avrò imparato quel che mi serve dall’amministratore attuale, sarò in grado di occuparmi degli affari del barone. Gestirò per lui la tenuta, è un’occupazione di responsabilità e averla ottenuta alla mia età non è poco.»
«Avete ragione ma di sicuro lord Buntbury vi ha scelto per le vostre capacità.»
March 2, 2021
Emily * Capitolo uno – terza parte
L’atteggiamento di Mr Davies non cambiò una volta che Emily si fu stabilita a Sethgrave Park; l’uomo, dopo averle presentato le due donne che si occupavano della casa, una governante con mansione anche di cuoca e una cameriera tuttofare entrambe di mezza età, rispettivamente Mrs Lether e Peggy, si disinteressò quasi del tutto di lei e riprese subito la sua abitudine di trascorrere molto tempo a Londra, lasciando la giovane sola con le persone di servizio.
Mrs Lether e Peggy non gradirono la novità: la presenza di Emily, nonostante le sue scarse pretese, aveva aumentato un poco il loro lavoro e, soprattutto, impediva loro di considerarsi quasi padrone della casa durante le lunghe assenze di Mr Davies.
Dopo una settimana dal suo arrivo la ragazza scoprì che c’era un altro membro della servitù, oltre al valletto di Mr Davies, che comunque era sempre con lui quando si assentava dal Hertfordshire; si trattava dell’anziano Timothy, che aveva funzione di stalliere ma anche di giardiniere e di uomo di fatica.

Per i primi mesi Emily rimase indifferente a tutto, anche all’astio delle due donne nei suoi confronti. Il suo umore si intonava a Sethgrave Park, che era una grande villa cadente dall’atmosfera cupa che si rischiarava un poco solo nelle ore di sole. Con il passare del tempo quell’apatia iniziò a dissolversi e la ragazza scoprì che la solitudine le donava qualcosa che non aveva immaginato: la libertà. Cominciò ad apprezzarla e a viverla: poteva scegliere come trascorrere il tempo, quante ore dedicare alla lettura – anche se purtroppo i libri a sua disposizione erano pochi – quante a camminare all’aria aperta. I suoi genitori, una coppia della piccola nobiltà terriera di scarsi mezzi, erano stati sempre molto rigorosi per quanto riguardava la sua educazione e intransigenti verso ogni errore, pertanto la sua infanzia e adolescenza erano state segnate dai divieti e dagli obblighi. L’assenza – da intendersi in tutti i sensi – dello zio e di altri adulti che si occupassero di lei le consentì di capire che poteva vivere anche in un modo diverso da come le avevano fatto credere, che quanto l’avevano costretta a imparare non era tutto e nemmeno la verità assoluta. Non che lì, a Sethgrave Park potesse fare chissà che cosa ma scoprire che quella possibilità esisteva fu comunque una rivelazione.
Apprezzava quella solitudine e quando Mr Davies soggiornava a Sethgrave Park non vedeva l’ora che se ne andasse di nuovo, anche perché la sua vicinanza la metteva a disagio.
Così la nuova Emily, ignorando l’insegnamento ricevuto secondo cui i rapporti con la servitù dovevano limitarsi a un’educata distanza, un pomeriggio, circa tre mesi dopo il suo arrivo, andò a cercare Timothy. L’uomo stava strappando erbacce da una delle aiuole più vicine alla casa in cui erano coltivate delle piante di rose non molto rigogliose; al suo avvicinarsi alzò gli occhi e lei gli chiese quello che desiderava da un po’: «Quando finirete questo lavoro potreste mostrarmi i cavalli dello zio?»
L’altro la squadrò sospettoso poi, ritenendo di non poter rifiutare, brontolò un assenso e, interrompendo la sua attività, la precedette verso la stalla, un’ampia costruzione adatta ad accogliere ben più di due animali ma ormai cadente e con una parte di tetto bisognosa di riparazioni.
Lì dentro l’uomo cambiò un poco i suoi modi, come se la vista delle due bestie affidate alle sue cure suscitasse in lui una sorta di tenerezza, che Emily colse nella sua voce quando le spiegò: «Lei è Luna, la giumenta; lui è Marte, da giovane era molto agile e resistente ma adesso è buono solo per qualche passeggiata tranquilla.»
Erano entrambi bai, il pelo del più vecchio un poco più chiaro. La ragazza si avvicinò, prima che Timothy potesse dirle di non farlo. Parlò piano rivolta prima alla giumenta, allungando un braccio verso il suo muso, aspettando che lei andasse incontro alla sua mano per carezzarla. Nello stesso modo, poco dopo, fece conoscenza con Marte, mentre lo stalliere, stupito per come i suoi cavalli rispondevano a quella persona per loro sconosciuta, l’osservava attento.
«Non abbiamo mai avuto dei cavalli, a casa. Mi sarebbe piaciuto ma non potevamo permetterceli» spiegò Emily, continuando a passare la mano sul collo dei due animali.
Dopo quel giorno una visita nella stalla divenne per la giovane un piacere quasi quotidiano e il sentimento di diffidenza che Timothy provava si attenuò fino a scomparire: se i cavalli le concedevano la loro fiducia, avrebbe potuto farlo anche lui. Così strinse con Emily una sorta di amicizia, quella che gli consentiva il suo carattere ombroso e riservato, fino al punto di insegnarle a montare.
Questo fu per Emily un grande regalo, un modo meraviglioso di trascorrere il tempo con gli animali che amava molto. Imparò in fretta a cavalcare, perché era qualcosa che aveva sempre desiderato e perché, evidentemente, le veniva naturale. Ben presto lo stalliere smise di accompagnarla, anche se ogni volta l’ammoniva: «Siate prudente e rimanete all’interno della tenuta.»
Emily rispondeva di sì ma qualche volta si avventurava anche oltre i confini, un po’ troppo angusti, della proprietà dello zio. Quando galoppava in sella a Luna le pareva che tutto fosse possibile e nello stesso tempo sentiva che solo quel momento e quel correre nel vento significavano qualcosa.
February 26, 2021
Emily * Capitolo uno – seconda parte
Mr Davies, sulla quarantina e dall’aspetto di un gentiluomo, si presentò alla canonica una settimana dopo il funerale. L’incontro con la nipote fu freddo e sbrigativo, con sollievo di Emily non l’abbracciò: «Mi duole conoscerti in un’occasione tanto triste per te.»
Emily annuì e non le sfuggì che l’altro aveva evitato di dichiararsi anche lui triste; la cosa però non le dispiacque, preferiva non condividere il proprio dolore con quello sconosciuto e apprezzò che non fingesse per lei un affetto che di certo non provava.
«Sarò felice di averti con me» aggiunse, come se si fosse accorto di doverlo dire.

«Mia moglie ha aiutato Miss Harrison a preparare i suoi bagagli, vostra nipote sarà pronta a partire quando riterrete opportuno» si intromise Mr Otwortson che aveva assistito al dialogo.
«Vi ringrazio. Andremo via domattina.»
Emily represse un «no», non voleva andare da nessuna parte con quell’uomo, ma era consapevole di non avere alternativa. Lo zio non somigliava affatto alla madre, né nel viso né nell’atteggiamento ma questo le fu di conforto, per quanto non capisse perché.
Il pastore accompagnò Mr Davies alla locanda in cui avrebbe alloggiato per la notte, non essendoci abbastanza posto per ospitarlo nella canonica.
Appena rientrò, la moglie lo assalì con le sue domande: «Allora? Che pensate di lui? Che vi ha raccontato?»
«Ha eluso le mie domande, ma ha detto di avere una governante nella sua dimora, ha una tenuta che si chiama Sethgrave Park.»
«E poi?»
«Niente altro.»
«Allora significa che ha qualcosa da nascondere.»
«O forse solo che è una persona riservata.»
La moglie scosse il capo: «Siete un ministro di Dio, avrebbe dovuto rassicurarvi maggiormente sulla sorte della nipote.»
«Mia cara, non dovreste vedere misteri ovunque. Del resto noi non siamo niente per quella ragazza, mentre lui è il fratellastro della madre.»
Mrs Otwortson si alzò e camminò fino alla finestra per poi tornare a sedere: «Quell’uomo non mi piace. E sapete che la mia prima impressione è sempre corretta.»
«Auguriamoci che stavolta invece sia sbagliata, per il bene di Miss Harrison.»
Il mattino seguente, senza nemmeno fermarsi al cimitero per un ultimo saluto alla sorella, Mr Davies portò via Emily e i suoi bagagli, sulla carrozza a noleggio con la quale era arrivato.
«Promettete che mi scriverete» disse Mrs Otwortson congedandosi dalla ragazza. Lei rispose di sì ma dubitava che l’avrebbe fatto. La donna era stata gentile con lei e prima lo era stata con sua madre, solo che Emily preferiva lasciarsi tutto dietro le spalle, tanto non avrebbe potuto riavere niente della vita vissuta fino a quel momento. Per quanto né il padre né la madre avessero avuto un carattere affettuoso erano stati il suo riferimento, gli adulti da cui prendere esempio e che le indicavano la strada da percorrere, anche se non sempre trovava piacere nel seguire tutte le regole che le avevano imposto. Le sarebbero mancati molto.
Mentre andavano verso il Hertfordshire, con suo sollievo, lo zio scambiò con lei solo poche frasi, quelle essenziali riguardo gli aspetti pratici del viaggio. Non una parola di conforto. Lei fu contenta per i suoi silenzi.
February 24, 2021
Emily * Capitolo uno – prima parte
Ho ripreso a lavorare sulla storia di Emily, il risultato è e sarà un racconto con maggiore approfondimento della trama e dei personaggi, perché proprio questi mi hanno chiesto maggiore attenzione e spazio. Non so con che cadenza pubblicherò i vari capitoli…
Con il funerale era finito tutto, pensò Emily, guardando allontanarsi le poche persone intervenute. Ogni traccia materiale dei suoi genitori era ormai sotto terra. Rabbrividì, era stata un’estate insolitamente fredda e il mese di settembre non era certo migliore, molte coltivazioni erano rovinate e molti allevatori avevano subito perdite, come era successo alla sua famiglia. Probabilmente per quello e per altri motivi che non le erano chiari e di cui in quel momento non le importava niente doveva lasciare la casa in cui aveva vissuto; sarebbe stata affidata al fratellastro della madre, Mr Davies, un parente di cui aveva scoperto l’esistenza in quel frangente perché non era mai stato a trovarli e nessuno le aveva mai parlato di lui.
«Venite Emily» la sollecitò Mrs Otwortson. La donna, nonostante la corporatura imponente si mosse svelta e la ragazza la seguì senza parlare. Sarebbe stata ospite sua e del marito, alla canonica, fino all’arrivo dello zio.
«Domani vi aiuterò a preparare le vostre cose, così quando giungerà Mr Davies sarete pronta» le disse Mrs Otwortson camminando. «Siete proprio sicura di non conoscerlo?»
Miss Emily Harrison scosse il capo, non sapeva niente di lui e non aveva voglia di parlare. Mrs Otwortson continuò comunque a chiacchierare, convinta di distrarre in quel modo la giovane.

Più tardi, dopo che Emily si fu ritirata in camera, ripeté al marito i propri dubbi: «Questo Mr Davies sarà in grado di prendersi cura di una fanciulla come Miss Harrison? Sua madre non ha mai nemmeno accennato al fatto di avere un fratellastro, di sicuro non correva buon sangue fra loro.»
«È il suo parente più prossimo, forse l’unico ed è stata una fortuna aver trovato fra i documenti di Mr Harrison la lettera che ci ha rivelato la sua esistenza. Provvedere alla nipote è suo compito.»
«E se non fosse un gentiluomo? Magari non è una persona raccomandabile ed è per questo che la sorella lo ha tenuto lontano dalla famiglia.»
«Speriamo che non lo sia, mia cara» rispose Mr Otwortson quietamente.
La moglie sospirò: «Un vero peccato che una ragazza tanto educata e graziosa, perché è davvero graziosa con quei capelli biondi e i tratti così fini, sia anche troppo povera. Sua madre avrebbe dovuto seguire il mio consiglio e cercarle un marito già più di un anno fa. Ha compiuto i diciannove, adesso, è quasi una zitella. E dovrà far passare il periodo di lutto prima di mostrarsi in società, sempre che lo zio possa portarla in società, e allora sarà ancora più vecchia e se lui non potrò assegnarle una dote nessuno chiederà di sposarla.»
Mr Otwortson non replicò, in parte perché d’accordo con Mrs Otwortson, in parte per non darle modo di aggiungere troppo altro, anche se non riteneva Miss Harrison tanto vecchia. Era dispiaciuto per la ragazza ma non vedeva l’ora di affidarla a chi di dovere. Non aveva avuto figli e di questo si rammaricava ma non desiderava occuparsi di quelli degli altri, non più di quanto gli spettasse in virtù del ruolo che risopriva.
«Dove vive Mr Davies?» chiese ancora Mrs Otwortson.
«Nel Hertfordshire, come vi ho detto. Non so altro.»
Mrs Otwortson sospirò di nuovo: «Quando arriverà dovete chiedergli come conta di condursi con la piccola Emily e cosa intende fare per lei.»
«Dovete decidere, mia cara, se la ragazza è vecchia o piccola» osservò il pastore divertito.
«Non prendetevi gioco di me. S’intende che è giovane per vivere con uno scapolo, anche se suo zio. Dovete accertarvi che Mr Davies si comporti secondo le convenienze.»
«Farò il possibile» promise, con l’intento di arginare le preoccupazioni, peraltro giustificate, della moglie. Evitò di sottolineare che lo zio sarebbe stato libero di decidere a suo piacimento, qualunque fosse l’opinione sua o di Mrs Otwortson.