Emily * Capitolo uno – terza parte
L’atteggiamento di Mr Davies non cambiò una volta che Emily si fu stabilita a Sethgrave Park; l’uomo, dopo averle presentato le due donne che si occupavano della casa, una governante con mansione anche di cuoca e una cameriera tuttofare entrambe di mezza età, rispettivamente Mrs Lether e Peggy, si disinteressò quasi del tutto di lei e riprese subito la sua abitudine di trascorrere molto tempo a Londra, lasciando la giovane sola con le persone di servizio.
Mrs Lether e Peggy non gradirono la novità: la presenza di Emily, nonostante le sue scarse pretese, aveva aumentato un poco il loro lavoro e, soprattutto, impediva loro di considerarsi quasi padrone della casa durante le lunghe assenze di Mr Davies.
Dopo una settimana dal suo arrivo la ragazza scoprì che c’era un altro membro della servitù, oltre al valletto di Mr Davies, che comunque era sempre con lui quando si assentava dal Hertfordshire; si trattava dell’anziano Timothy, che aveva funzione di stalliere ma anche di giardiniere e di uomo di fatica.

Per i primi mesi Emily rimase indifferente a tutto, anche all’astio delle due donne nei suoi confronti. Il suo umore si intonava a Sethgrave Park, che era una grande villa cadente dall’atmosfera cupa che si rischiarava un poco solo nelle ore di sole. Con il passare del tempo quell’apatia iniziò a dissolversi e la ragazza scoprì che la solitudine le donava qualcosa che non aveva immaginato: la libertà. Cominciò ad apprezzarla e a viverla: poteva scegliere come trascorrere il tempo, quante ore dedicare alla lettura – anche se purtroppo i libri a sua disposizione erano pochi – quante a camminare all’aria aperta. I suoi genitori, una coppia della piccola nobiltà terriera di scarsi mezzi, erano stati sempre molto rigorosi per quanto riguardava la sua educazione e intransigenti verso ogni errore, pertanto la sua infanzia e adolescenza erano state segnate dai divieti e dagli obblighi. L’assenza – da intendersi in tutti i sensi – dello zio e di altri adulti che si occupassero di lei le consentì di capire che poteva vivere anche in un modo diverso da come le avevano fatto credere, che quanto l’avevano costretta a imparare non era tutto e nemmeno la verità assoluta. Non che lì, a Sethgrave Park potesse fare chissà che cosa ma scoprire che quella possibilità esisteva fu comunque una rivelazione.
Apprezzava quella solitudine e quando Mr Davies soggiornava a Sethgrave Park non vedeva l’ora che se ne andasse di nuovo, anche perché la sua vicinanza la metteva a disagio.
Così la nuova Emily, ignorando l’insegnamento ricevuto secondo cui i rapporti con la servitù dovevano limitarsi a un’educata distanza, un pomeriggio, circa tre mesi dopo il suo arrivo, andò a cercare Timothy. L’uomo stava strappando erbacce da una delle aiuole più vicine alla casa in cui erano coltivate delle piante di rose non molto rigogliose; al suo avvicinarsi alzò gli occhi e lei gli chiese quello che desiderava da un po’: «Quando finirete questo lavoro potreste mostrarmi i cavalli dello zio?»
L’altro la squadrò sospettoso poi, ritenendo di non poter rifiutare, brontolò un assenso e, interrompendo la sua attività, la precedette verso la stalla, un’ampia costruzione adatta ad accogliere ben più di due animali ma ormai cadente e con una parte di tetto bisognosa di riparazioni.
Lì dentro l’uomo cambiò un poco i suoi modi, come se la vista delle due bestie affidate alle sue cure suscitasse in lui una sorta di tenerezza, che Emily colse nella sua voce quando le spiegò: «Lei è Luna, la giumenta; lui è Marte, da giovane era molto agile e resistente ma adesso è buono solo per qualche passeggiata tranquilla.»
Erano entrambi bai, il pelo del più vecchio un poco più chiaro. La ragazza si avvicinò, prima che Timothy potesse dirle di non farlo. Parlò piano rivolta prima alla giumenta, allungando un braccio verso il suo muso, aspettando che lei andasse incontro alla sua mano per carezzarla. Nello stesso modo, poco dopo, fece conoscenza con Marte, mentre lo stalliere, stupito per come i suoi cavalli rispondevano a quella persona per loro sconosciuta, l’osservava attento.
«Non abbiamo mai avuto dei cavalli, a casa. Mi sarebbe piaciuto ma non potevamo permetterceli» spiegò Emily, continuando a passare la mano sul collo dei due animali.
Dopo quel giorno una visita nella stalla divenne per la giovane un piacere quasi quotidiano e il sentimento di diffidenza che Timothy provava si attenuò fino a scomparire: se i cavalli le concedevano la loro fiducia, avrebbe potuto farlo anche lui. Così strinse con Emily una sorta di amicizia, quella che gli consentiva il suo carattere ombroso e riservato, fino al punto di insegnarle a montare.
Questo fu per Emily un grande regalo, un modo meraviglioso di trascorrere il tempo con gli animali che amava molto. Imparò in fretta a cavalcare, perché era qualcosa che aveva sempre desiderato e perché, evidentemente, le veniva naturale. Ben presto lo stalliere smise di accompagnarla, anche se ogni volta l’ammoniva: «Siate prudente e rimanete all’interno della tenuta.»
Emily rispondeva di sì ma qualche volta si avventurava anche oltre i confini, un po’ troppo angusti, della proprietà dello zio. Quando galoppava in sella a Luna le pareva che tutto fosse possibile e nello stesso tempo sentiva che solo quel momento e quel correre nel vento significavano qualcosa.