Ella S. Bennet's Blog, page 18
August 8, 2021
Prossime letture #15
Fra le letture che ho in programma ci sono questi due – praticamente – classici che, in realtà, sono in parte riletture:
“Gli uccelli” di Daphne Du Maurier (libro che contiene due racconti lunghi), una rilettura.
“I Watson – Lady Susan – Sandition” i tre romanzi incompiuti (purtroppo) di Jane Austen; per “I Watson” si tratta di una rilettura.
Presto, penso, i miei commenti.


August 4, 2021
Agatha Christie – La sagra del delitto * Le mie letture
(titolo originale “Dead Man’s Folly” pubblicato nel 1956; edizione italiana da me letta del 1957, traduzione Paola Franceschini)
Questo romanzo inizia con una telefonata da parte di Ariadne Oliver, la scrittrice di gialli, a Hercule Poirot. Nel sentire dalla centralinista il nome della donna
Poirot inarcò le sopracciglia. Alla sua memoria riaffiorò un ricordo: capelli grigi alla colpo-di-vento,… un profilo aquilino…
e poco dopo, quando Ariadne chiede all’investigatore se si ricorda di lei:
«Ma naturalmente, Madame. Chi potrebbe dimenticarvi?»
«Bé, qualche volta succede» disse la signora Oliver. «Molto spesso, anzi. Credo di non avere una personalità molto spiccata. O forse dipende dal fatto che cambio sempre pettinatura. Tutto questo però non c’entra. Spero di non interrompervi in pieno lavoro.»
Così, in queste poche righe, un lettore che non ha finora incontrato Ariadne Oliver può farsi subito un’idea del tipo…

A parte ciò la telefonata dà inizio alla vicenda gialla: la scrittrice chiede a Poirot di raggiungerla subito nel Devonshire, a Nassecombe, nella residenza Nasse House, perché “ha bisogno” di lui ma non può spiegargli il motivo perché teme che qualcuno possa sentire le sue parole. Il piccolo belga comprende di dover andare.
La signora Oliver mette Poirot al corrente dei suoi timori: durante la Caccia all’Assassino da lei organizzata nell’ambito della sagra paesana che si svolgerà l’indomani potrebbe essere compiuto un vero omicidio. Perché lo pensa? Sono sensazioni, intuizioni a indurla a crederlo, niente di più concreto: è per questo che ha chiesto aiuto all’investigatore. Per consentirgli di avere un quadro della situazione per prima cosa gli racconta come ha ideato la caccia e poi lo porta a conoscere gli abitanti di Nasse House e le altre persone che si occuperanno di gestire le varie attività della sagra.
(fra le altre cose scopriamo che Poirot prende il tè con pochissimo latte e quattro zollette di zucchero)
Naturalmente il delitto paventato da Ariadne Oliver avviene e, naturalmente, Poirot individua il colpevole. Si tratta di un romanzo in cui “niente è come sembra”, o per lo meno poco è quello che sembra. Una trama ben congegnata, con indizi sparsi qua e là per comprendere come sono andate le cose. La signora Oliver porta con sé, come sempre, una ventata di leggerezza e di ironia (autoironia?); per esempio, a poche pagine dalla fine, quando lei è tornata a casa, Poirot le telefona e lei si rallegra per questa chiamata che le offre la scusa per non andare a fare un discorso sul tema “Come scrivo i miei libri”:
«Oh, Madame, non dovete per causa mia rinunciare…»
«Macché rinunciare!» esclamò gioiosamente la signora Oliver. «Avrei fatto una figura da stupida. Cosa si può dire, infatti, sul modo come uno scrive libri? Che prima pensa a qualcosa e che quando l’ha pensato deve sedersi e scriverlo. È tutto qui. Non avrei impiegato più di tre minuti, poi il discorso avrebbe avuto termine e tutti sarebbero rimasti seccati.»
E, come sempre – almeno per i gialli che ho riletto – anche in questo romanzo c’è, sia pure molto marginale, una vicenda rosa..
Personaggi
Ercole Poirot (traduzione un po’ datata, evidentemente)
Ariadne Oliver, scrittrice di romanzi gialli
sir George Stubbs, proprietario di Nasse House
lady Hattie Stubbs, sua moglie
Amy Folliat, precedente proprietaria di Nasse House
Marlene Tucker, ragazza che deve interpretare il cadavere nella Caccia all’Assassino
Alec e Sally Legge, villeggianti; Sally deve fare la maga durante la sagra
la signora Masterton
il capitano Warburton
Amanda Brewis, governante-segretaria a Nasse House
July 25, 2021
Emily * Capitolo sette – prima parte
Emily camminava veloce, diretta alla casa di Miss Simpson, presso cui da alcuni giorni lavorava. Miss Simpson era una sarta che serviva le mogli di commercianti, medici, più in generale le donne appartenenti a quella che si poteva definire piccola borghesia. Aveva con sé una dozzina di lavoranti più e meno esperte ed Emily era l’ultima arrivata, quella con la paga più bassa e a cui toccavano tutti i compiti meno importanti e più antipatici. Era comunque un lavoro che le consentiva di pagare la misera stanza in cui alloggiava e acquistare il cibo appena sufficiente per sopravvivere. Aveva intenzione di cercare qualcosa di meglio, ma lo avrebbe fatto di lì a qualche mese, prima doveva ambientarsi un po’ in quella grande città, così diversa dai luoghi che aveva conosciuto. Ad ogni modo riteneva di essere stata molto fortunata a trovare un lavoro pochi giorni dopo il suo arrivo.

La sera rientrava stanca e questo l’aiutava a non tornare troppo spesso con la mente a William e alla delusione provata o allo zio e alla paura che la trovasse e la punisse. Mr Davies era di certo furioso con lei che aveva mandato all’aria i sui piani e probabilmente lo era anche Mr Wood. Nonostante ciò non era pentita della sua fuga, anzi.
Entrando nel laboratorio Emily si avvide che c’era un’insolita agitazione. Molly, una delle altre ragazze, le mormorò: «Miss Simpson ha promesso di consegnare gli abiti della signora Gray in anticipo di una settimana, dovremo lavorare fino a tardi nei prossimi giorni.»
La previsione della giovane si rivelò esatta e la sera successiva Emily fu perfino obbligata da Miss Simpson a trattenersi più delle altre: «Siete troppo lenta, è solo colpa vostra se non avete ancora finito l’orlo che vi ho assegnato. Detrarrò il costo delle candele dalla vostra paga, così forse imparerete a fare di più.»
Lei non protestò, quel lavoro le era necessario. In realtà si impegnava anche se detestava cucire e ancora di più farlo alla scarsa luce della candela. Era stata una fortuna che sua madre l’avesse costretta a imparare a usare ago e filo e a ricamare. Ricordò quanto le erano pesate le ore trascorse in quelle attività, sotto il controllo severo di Mrs Harrison, mentre cercava di distrarsi immaginando i luoghi lontani di cui leggeva nei libri, volumi presi di nascosto dalla libreria paterna perché non le era consentito scegliere le proprie letture, dato che ben poche erano considerate dai genitori adatte a una fanciulla. Sospirò piano sbirciando le compagne riordinare e uscire dietro Miss Simpson.
A tradimento nella penombra le apparve il viso di William. Si affrettò a scacciare quel ricordo, mentre le lacrime le salirono agli occhi. Se li stropicciò con il pugno, non poteva rischiare di macchiare l’abito che aveva in mano. Piangere non aveva senso, non amava più il giovane. Quello che la feriva era l’inganno, l’abbandono. E poi le pesava la solitudine. A Sethegrave Park aveva avuto l’amicizia di Timothy, i cavalli e il giardino di cui occuparsi. A Londra il timore di venire scoperta la induceva a non dare confidenza alle altre lavoranti che, comunque, non cercavano di avvicinarla perché avvertivano in lei qualcosa di diverso. Nel silenzio si chiese come sarebbe stato essere la moglie di Mr Wood ma si rispose subito che non voleva saperlo. La sua presenza la turbava, anche se non si trattava di vera e propria paura e certo non era ripugnanza, sensazioni che invece le suscitava la sola vista di Mr Cox. In realtà il vicino sarebbe stato un uomo attraente se i suoi occhi chiari non fossero stati tanto freddi. Comunque lui non le avrebbe perdonato di essere fuggita. Scosse piano il capo, imponendosi di smetterla con quelle inutili riflessioni, aveva fatto la sua scelta e doveva solo concentrarsi sul movimento delle dita, sui punti che dovevano essere piccoli, precisi, perfetti, invisibili. Nell’esiguo chiarore della fiammella si udiva solo il lieve frusciare del filo nel tessuto, un rumore ritmico, quasi ipnotico.
Infine poté andarsene. Era ormai buio e per strada c’erano poche persone. Si incamminò con piacere, era un sollievo muoversi dopo tante ore trascorse sempre nella stessa posizione con l’ago in mano e lo sguardo fisso sull’abito che stava orlando. I pensieri sembravano più leggeri all’aria aperta e perfino il futuro le apparve meno incerto. Aveva già un lavoro e una stanza a cui tornare e di sicuro con il tempo avrebbe migliorato la sua situazione
A un tratto sentì un rumore di passi rapidi dietro di sé ma quando capì di essere in pericolo era già troppo tardi per tentare di fuggire. Braccia forti l’afferrarono in modo rude, strappandole un grido di dolore. Qualcuno esclamò: «Piano, idioti, non dovete farle male» ed Emily, sgomenta, riconobbe la voce dello zio: era riuscita a trovarla e l’avrebbe condotta a Sethgrave Park per sposare Mr Wood.
«Muovetevi, la carrozza di Cox è dietro l’angolo» sibilò Davies.
Quelle parole stupirono e spaventarono Emily più di quanto già non fosse; si stava chiedendo cosa c’entrasse quell’orribile uomo quando si trovò qualcosa di morbido e umido sul viso mentre qualcuno continuava a stringerla da dietro le spalle. Tentò di liberarsi ma si sentiva sempre più debole e subito dopo perse conoscenza.
July 19, 2021
Agatha Christie – La domatrice * Le mie letture
(titolo originale “Appointment with death” pubblicato nel 1938; edizione italiana da me letta del 1975, traduzione Enrico Piceni)
Un’anziana e ricca donna che tiranneggia la famiglia (una figlia, tre figliastri e la moglie del maggiore di questi) in modo insopportabile è la vittima, quasi predestinata, come suggerisce il titolo originale, la cui traduzione è proprio “Appuntamento con la morte”.
Poirot, scavando nella psicologia dei personaggi coinvolti e in quella della defunta, trova comunque chi e perché l’ha uccisa. Naturalmente.

Di certo il lettore non può che provare una certa solidarietà con l’assassino, o meglio con i familiari che quella morte rende finalmente liberi di vivere la propria vita. In effetti non si vede l’ora che la crudele signora Boynton venga fatta fuori..
A parte queste considerazioni morali, non si può infatti che essere d’accordo con Poirot che nessuno può ergersi a giudice di un altro essere umano, il romanzo è molto interessante. L’omicidio avviene circa a metà della storia e l’indagine è lineare: Poirot parla con tutti i possibili testimoni, evidenzia i punti salienti desunti dai vari racconti e le incongruenze et voilà, serve la soluzione come suo solito. Ed è una soluzione che soddisfa il lettore, almeno ha soddisfatto me.
Molta psicologia, dunque, e molta tensione: la maggior parte dei personaggi è al limite della sopportazione, a causa della dittatura della vecchia signora Boynton che si diverte a torturarli moralmente dominando le loro vite (non per niente prima di sposare il ricco signor Boyton era direttrice di una prigione). L’ambientazione è, come spesso accade nei gialli di questa scrittrice, esotica: i fatti si svolgono infatti fra Gerusalemme e Petra, luoghi la cui calda temperatura non sarebbe adatta allo stato di salute della signora Boynton. Insieme alla famiglia Boynton si trovano altri turisti: Jefferson Cope, amico della famiglia, due medici, Sarah King e Theodore Gerard, lady Westholme e Annabel Pierce. Tutti e cinque queste persone hanno un ruolo rilevante nella vicenda.
Mi pare perfino inutile dire che è una storia condotta magistralmente, Agatha Christie difficilmente delude.
Prima di iniziare la rilettura dei suoi romanzi non ricordavo che in tutti (almeno in tutti quelli che ho finora riletto) ci fosse un elemento rosa, almeno una coppia che alla fine si trova o ritrova: anche questo è un elemento rassicurante, no?
Malizioso, direi, è l’inizio de “La domatrice”: Poirot ode dalla finestra della propria stanza dell’hotel che dà sul Mar Morto questa frase: «Tu capisci bene, vero, che bisogna ucciderla?» e questo gli fa tornare alla mente un aneddoto:
Strane parole da udirsi, per un investigatore come Hercule Poirot nella sua prima notte di permanenza a Gerusalemme. “Decisamente, dovunque io vada c’è qualcosa che viene a rammentarmi il delitto” mormorò… Ma continuò a sorridere, pensando a un aneddoto che gli avevano raccontato su Anthony Trollope, il romanziere. Trollope si trovava su un transatlantico, quando udì due passeggeri che discutevano la trama di un suo prossimo romanzo pubblicata da un giornale.
“Mi sembra ottima” diceva uno dei due. “Però dovrebbe far morire quella noiosa vecchia…”
Con un largo sorriso il romanziere si era allora rivolto ai due: !Vi sono obbligato, signori” aveva detto. “Vado ad ammazzarla immediatamente!”
Personaggi
Hercule Poirot
colonnello Carbury che chiede a Poirot di investigare sulla morte della signora Boynton che sembrerebbe naturale ma che certi elementi fanno ritenere un omicidio
la signora Boynton (americana)
i suoi figliastri: Lennox Boynton, Raymond Boynton, Carol Boynton
Nadine Boynton moglie di Lennox
Ginevra Boynton figlia della signora Boynton
Jefferson Cope amico (americano) della famiglia Boynton
Theodore Gerard famoso medico francese
Sarah King giovane dottoressa inglese
lady Westholme membro del parlamento
Annabel Pierce turista
July 18, 2021
Emily * Capitolo sei – terza parte
Wood suonò per convocare Reggin, il maggiordomo: «Mandate qualcuno a Sethgrave Park per accompagnare qui lo stalliere, un certo Timothy. Badate però che non se ne accorga nessuno, Mr Davies non deve saperlo.»
L’altro annuì e uscì per assolvere il compito.
Lo studio di Dacres Hall era una stanza molto diversa da quella di Davies: luminosa, con due ampie finestre e la tappezzeria chiara, dall’atmosfera rilassante grazie anche ai due dipinti che ritraevano paesaggi di prati e colline. I mobili, benché scuri, davano una sensazione di calore. Seduto dietro alla scrivania, Wood si versò un sorso di brandy. Osservando il liquido ondeggiare nel bicchiere tornò a chiedersi dove fosse Miss Harrison e con chi. Marshall – se era davvero con lui – l’avrebbe sposata o si sarebbe solo approfittato di lei? Qualcosa gli diceva che era sola, ma forse era più una speranza che una convinzione. Ad ogni modo doveva accertarsene e trovarla il prima possibile, le insidie per una ragazza sola erano molte. Più il tempo passava più si sentiva in parte responsabile per la sua fuga: prima di partire per la capitale avrebbe dovuto spiegarle che quasi certamente lo zio aveva in serbo per lei progetti ben peggiori di un matrimonio a cui, comunque, non l’avrebbe costretta.

Quando Reggin tornò con lo stalliere, Wood stava controllando dei conti; aveva infatti iniziato da un po’ a dedicarsi a quel lavoro perché continuare a porsi domande a cui non sapeva rispondere era inutile e non favoriva una soluzione. I numeri avevano il potere di calmarlo, accentravano la sua attenzione distogliendola da tutto il resto e gli consentivano di riacquistare lucidità e decisione.
«Grazie per essere venuto» disse al vecchio che gli stava davanti in una posa deferente e orgogliosa nello stesso tempo.
Timothy apparve stupito per quell’esordio, le rare volte che Davies si rivolgeva a lui certo non lo ringraziava. Si inchinò in segno di assenso.
«Devo ritrovare Miss Harrison e forse voi potete aiutarmi. L’avete accompagnata dalla sarta, giusto? E l’avete vista entrare nel negozio?» chiese Wood diretto.
«Sissignore. Sono tornato dopo due ore, come avevamo fissato. Ho aspettato un po’ poi ho bussato e allora mi hanno detto che era già uscita.» Lo stalliere parlava lentamente e a voce bassa, cercando le parole, non intimidito ma prudente.
«L’avete cercata, immagino.»
«Ho pensato che mi fosse venuta incontro e ho girato per tutto il paese. Poi ho capito.»
Aveva pronunciato l’ultima frase quasi fra sé ma Wood le colse e lo fissò: «Che cosa avete capito?»
L’altro esitò, evidentemente incerto se fidarsi di lui o no.
«Non voglio fare del male a Miss Harrison, ma temo che possa trovarsi nei guai. Se sapete qualcosa parlate» insistette Wood. Al silenzio dello stalliere domandò ancora: «Si vedeva con un giovanotto di nome Marshall. Forse è fuggita con lui?»
«No» esclamò infine Timothy deciso.
«Come fate a esserne certo?»
«Un servitore di lord Buntbury mi ha dato un biglietto per lei. Glielo ho portato e dopo Miss Emily era molto triste.»
Il racconto sembrava concordare con quello di Davies, rifletté Wood.
«Secondo voi potrebbe essere tornata dove viveva con la famiglia?»
«Non aveva più nessuno in quel paese.»
«Potrebbe aver preso la diligenza per Londra?»
«La diligenza era già passata quando ho iniziato a cercare Miss Emily» ammise Timothy.
Dunque era molto probabile che la ragazza fosse andata proprio nella capitale: doveva muoversi in fretta, si disse Wood, prima che le capitasse qualcosa o che sparisse in uno dei quartieri malfamati abitati da ogni sorta di delinquenti e disperati. E poi doveva trovarla prima di Davies.
«Che farete?» chiese lo stalliere interrompendo i suoi pensieri.
«La cercherò, Londra non è il luogo adatto per una signorina.»
L’altro rimase in silenzio e Wood lo congedò: «Potete andare, adesso. Non riferite a Mr Davies di questo colloquio.»
Timothy si avviò verso la porta. Sulla soglia si fermò e, voltatosi, aggiunse: «La sera prima che Mr Cox partisse, lui e Mr Davies hanno discusso. Hanno nominato più volte Miss Emily. Mr Cox non è una brava persona.»
«No, non lo è. Troverò Miss Harrison prima di loro. State tranquillo.»
«Domattina partirò di nuovo per Londra» annunciò Wood poco dopo a Reggin. «Avvisate Jenkins di preparare il mio bagaglio.»
Nella capitale aveva svariate conoscenze su cui contare per ritrovare la ragazza, era solo questione di tempo. Sperava solo che non le accadesse qualcosa prima di riuscirci. Riprese a occuparsi dei registri, per il momento aveva fatto tutto ciò che gli era possibile da Dacres Hall.
Più tardi si cambiò per andare da Buntbury; il barone, appena saputo che era tornato, aveva infatti reclamato la sua compagnia invitandolo a cena. Si annoiava e apprezzava conversare con lui. Anche Wood di solito trascorreva volentieri qualche ora con il vicino, ma quella sera ne avrebbe fatto a meno, aveva accettato solo perché avrebbe potuto scoprire qualche altra cosa su quel Marshall. Fra una chiacchiera e l’altra il barone non si fece pregare per parlare del suo ex dipendente.
«Un giovanotto promettente. Ha imparato in fretta, a quanto mi ha riferito Mr Jonas. Era pronto per sostituirlo.»
«E perché vi ha lasciato, allora?»
«Ha ricevuto un’eredità. Non una cifra molto cospicua, ma abbastanza da indurlo a tentare la sorte mettendo su qualcosa di suo. Gli auguro buona fortuna, anche se la sua partenza mi crea dei problemi. Mr Jonas sperava proprio di ritirarsi e non vorrei doverlo trattenere troppo a lungo.» Si interruppe. «Voi conoscete per caso qualcuno che possa prendere il suo posto?»
«Forse il mio amministratore potrebbe aiutarvi. Gliene parlerò appena possibile.»
«Vi ringrazio.»
Dunque tutto confermava le parole di Davies, almeno per quanto riguardava Marshall. Rimaneva comunque il dubbio se il giovane fosse insieme a Miss Harrison o no. Se, come Wood sperava, lei fosse stata sola avrebbe avuto buone probabilità di convincerla a sposarlo. Era sicuro di avere delle buone carte ma non imbattibili, Miss Harrison aveva dimostrato di avere più carattere di quanto aveva immaginato. La sua fuga lo aveva sorpreso ma anche intrigato e il suo interesse per lei si era acuito: la conosceva appena e la cosa più logica sarebbe stata quella di lasciarla perdere ma più diventava difficile avvicinarla e più sentiva che cercarla e conquistarla sarebbe valsa la pena. Il ricordo improvviso di lei a cavallo vestita da uomo gli provocò una fitta di desiderio e rafforzò i suoi propositi.
July 17, 2021
Julia Quinn -Il duca e io (Bridgerton #1) * Le mie letture
(titolo originale “The Duke and I” pubblicato nel 2000; edizione italiana da me letta del 2020, traduzione di Milena Fiumali, Mondadori)
Questo è il primo di una serie di otto romanzi dedicati alla famiglia Bridgerton. Otto come il numero di fratelli e sorelle Bridgerton, ciascuno dei quali è protagonista di un romanzo, come si può vedere dallo schema sottostante, riportato all’inizio di ciascuno dei romanzi.

La protagonista di questa storia è la maggiore delle figlie di Violet ed Edmund, visconti Bridgerton. Daphne.
La ragazza è alla sua terza stagione e la madre preme perché trovi finalmente un marito, una situazione comune a molte eroine di romanzi rosa regency (e non solo). Daphne vorrebbe trovare un gentiluomo che fosse almeno gradevole, ma nessuno dei – pochi – che ha chiesto la sua mano risponde almeno a questo requisito. Quando conosce Simon, il nuovo duca di Hastings, grande amico di suo fratello Anthony, appena rientrato da un lungo viaggio all’estero, scopre di avere con lui un’intesa particolare; anche lui desidera sfuggire alle madri che vorrebbero fargli sposare le proprie figlie e suggerisce a Daphne di fingersi reciprocamente interessati.
Naturalmente la finzione si trasforma, con varie peripezie, in realtà, fino all’happy end.
Come si può notare la trama non è particolarmente originale, anzi, ma il romanzo è piacevole da leggere; abbastanza ironico e divertente. Direi che certi dialoghi e comportamenti risultino un poco troppo moderni, ma – ripeto – la storia è gradevole e se non si cerca una rigorosa precisione storica va bene.
Come mi pare che sia un’abitudine distintiva della Quinn all’inizio di ogni capitolo c’è un brano “tratto” da – in questo caso – una rivista di “cronache mondane”, che funge come una sorta di introduzione su quello che sarà il contenuto del capitolo.
Ad esempio, dopo i l prologo (che racconta l’infanzia di Simon) il primo capitolo si apre con questo articolo sulla famiglia Bridgerton:
I Bridgerton sono la famiglia più prolifica dell’alta società. Tale peculiarità è encomiabile anche se si può ritenere banale la scelta dei nomi fatta a suo tempo dall’ormai defunto visconte e dalla viscontessa per i loro figli: Anthony, Benedict, Colin, Daphne, Eloise, Francesca, Gregory e Hyacinth. Avere metodo è cosa meritoria, ma si pensa che dei genitori intelligenti riescano a ricordare il nome dei propri figli anche senza metterli in ordine alfabetico.
Quando si incontrano nella stessa stanza, la viscontessa e i suoi otto discendenti, si potrebbe temere di vederci doppio, o triplo, o peggio. Infatti l’Autore di questo articolo non ha mai visto una collezione di fratelli così simili fisicamente. Anche se non ha mai avuto il tempo di prendere nota del colore dei loro occhi, ha constatato che tutti e otto hanno la stessa struttura e gli stessi folti capelli castani. Dato che non ha avuto nemmeno un figlio dai colori più intriganti, bisognerà avere compassione per la viscontessa quando dovrà maritare con unioni vantaggiose la sua prole. Tuttavia vi sono dei pregi nell’avere dei figli così simili tra loro perché così nessuno può dubitare della legittimità della loro nascita.
Ah, gentile Lettore, il vostro devoto Autore si augura che ciò avvenga in tutte le famiglie numerose…
da «Le cronache mondane di Lady Whistledown»
26 aprile 1813

Londra, 1813. Simon Arthur Henry Fitzranulph Basset, nuovo duca di Hastings ed erede di uno dei titoli più antichi e prestigiosi d’Inghilterra, è uno scapolo assai desiderato. A dire il vero, è letteralmente perseguitato da schiere di madri dell’alta società che farebbero di tutto pur di combinare un buon matrimonio per le loro fanciulle in età da marito. E Simon, sempre alquanto riluttante, è in cima alla lista dei loro interessi.
Anche la madre di Daphne Bridgerton è indaffaratissima e intende trovare il marito perfetto per la maggiore delle sue figlie femmine, che ha già debuttato in società da un paio d’anni e che rischia di rimanere – Dio non voglia! – zitella.
Assillati ciascuno a suo modo dalle ferree leggi del “mercato matrimoniale”, Daphne e Simon, vecchio amico di suo fratello Anthony, escogitano un piano: si fingeranno fidanzati e così saranno lasciati finalmente in pace. Ciò che non hanno messo in conto è che, ballo dopo ballo, conversazione dopo conversazione, ricordarsi che quanto li lega è solo finzione diventerà sempre più difficile. Quella che era iniziata come una recita sembra proprio trasformarsi in realtà. Una realtà tremendamente ricca di passione e coinvolgimento…
La Serie Bridgerton (da Wikipedia)Il duca e io (The Duke and I) (2000)
Il visconte che mi amava (The Viscount Who Loved Me) (2000)
La proposta di un gentiluomo (An Offer From a Gentleman) (2001)
Un uomo da conquistare (Romancing Mister Bridgerton) (2002)
A sir Phillip con amore (To Sir Phillip, With Love) (2003)
Amare un libertino (When He Was Wicked) (2004)
Tutto in un bacio (It’s In His Kiss) (2005)
Il vero amore esiste (On the Way to the Wedding) (2006)
Felici per sempre (The Bridgertons: Happily Ever After) (2013)
L’autrice
Julia Quinn (New York 1970), laureata in Storia dell’arte ad Harvard, è autrice di decine di romanzi pluripremiati e tradotti in più di 30 lingue, tra cui l’amatissima serie Bridgerton, su cui è basata l’omonima serie Netflix. Dal 2010 fa parte del Romance Writers of America’s Hall of Fame.
Altri romanzi di Julia Quinn che ho letto:
Julia Quinn -Il duca e io * Le mie letture
(titolo originale “The Duke and I” pubblicato nel 2000; edizione italiana da me letta del 2020, traduzione di Milena Fiumali, Mondadori)
Questo è il primo di una serie di otto romanzi dedicati alla famiglia Bridgerton. Otto come il numero di fratelli e sorelle Bridgerton, ciascuno dei quali è protagonista di un romanzo, come si può vedere dallo schema sottostante, riportato all’inizio di ciascuno dei romanzi.

La protagonista di questa storia è la maggiore delle figlie di Violet ed Edmund, visconti Bridgerton. Daphne.
La ragazza è alla sua terza stagione e la madre preme perché trovi finalmente un marito, una situazione comune a molte eroine di romanzi rosa regency (e non solo). Daphne vorrebbe trovare un gentiluomo che fosse almeno gradevole, ma nessuno dei – pochi – che ha chiesto la sua mano risponde almeno a questo requisito. Quando conosce Simon, il nuovo duca di Hastings, grande amico di suo fratello Anthony, appena rientrato da un lungo viaggio all’estero, scopre di avere con lui un’intesa particolare; anche lui desidera sfuggire alle madri che vorrebbero fargli sposare le proprie figlie e suggerisce a Daphne di fingersi reciprocamente interessati.
Naturalmente la finzione si trasforma, con varie peripezie, in realtà, fino all’happy end.
Come si può notare la trama non è particolarmente originale, anzi, ma il romanzo è piacevole da leggere; abbastanza ironico e divertente. Direi che certi dialoghi e comportamenti risultino un poco troppo moderni, ma – ripeto – la storia è gradevole e se non si cerca una rigorosa precisione storica va bene.
Come mi pare che sia un’abitudine distintiva della Quinn all’inizio di ogni capitolo c’è un brano “tratto” da – in questo caso – una rivista di “cronache mondane”, che funge come una sorta di introduzione su quello che sarà il contenuto del capitolo.
Ad esempio, dopo i l prologo (che racconta l’infanzia di Simon) il primo capitolo si apre con questo articolo sulla famiglia Bridgerton:
I Bridgerton sono la famiglia più prolifica dell’alta società. Tale peculiarità è encomiabile anche se si può ritenere banale la scelta dei nomi fatta a suo tempo dall’ormai defunto visconte e dalla viscontessa per i loro figli: Anthony, Benedict, Colin, Daphne, Eloise, Francesca, Gregory e Hyacinth. Avere metodo è cosa meritoria, ma si pensa che dei genitori intelligenti riescano a ricordare il nome dei propri figli anche senza metterli in ordine alfabetico.
Quando si incontrano nella stessa stanza, la viscontessa e i suoi otto discendenti, si potrebbe temere di vederci doppio, o triplo, o peggio. Infatti l’Autore di questo articolo non ha mai visto una collezione di fratelli così simili fisicamente. Anche se non ha mai avuto il tempo di prendere nota del colore dei loro occhi, ha constatato che tutti e otto hanno la stessa struttura e gli stessi folti capelli castani. Dato che non ha avuto nemmeno un figlio dai colori più intriganti, bisognerà avere compassione per la viscontessa quando dovrà maritare con unioni vantaggiose la sua prole. Tuttavia vi sono dei pregi nell’avere dei figli così simili tra loro perché così nessuno può dubitare della legittimità della loro nascita.
Ah, gentile Lettore, il vostro devoto Autore si augura che ciò avvenga in tutte le famiglie numerose…
da «Le cronache mondane di Lady Whistledown»
26 aprile 1813

Londra, 1813. Simon Arthur Henry Fitzranulph Basset, nuovo duca di Hastings ed erede di uno dei titoli più antichi e prestigiosi d’Inghilterra, è uno scapolo assai desiderato. A dire il vero, è letteralmente perseguitato da schiere di madri dell’alta società che farebbero di tutto pur di combinare un buon matrimonio per le loro fanciulle in età da marito. E Simon, sempre alquanto riluttante, è in cima alla lista dei loro interessi.
Anche la madre di Daphne Bridgerton è indaffaratissima e intende trovare il marito perfetto per la maggiore delle sue figlie femmine, che ha già debuttato in società da un paio d’anni e che rischia di rimanere – Dio non voglia! – zitella.
Assillati ciascuno a suo modo dalle ferree leggi del “mercato matrimoniale”, Daphne e Simon, vecchio amico di suo fratello Anthony, escogitano un piano: si fingeranno fidanzati e così saranno lasciati finalmente in pace. Ciò che non hanno messo in conto è che, ballo dopo ballo, conversazione dopo conversazione, ricordarsi che quanto li lega è solo finzione diventerà sempre più difficile. Quella che era iniziata come una recita sembra proprio trasformarsi in realtà. Una realtà tremendamente ricca di passione e coinvolgimento…
La Serie Bridgerton (da Wikipedia)Il duca e io (The Duke and I) (2000)
Il visconte che mi amava (The Viscount Who Loved Me) (2000)
La proposta di un gentiluomo (An Offer From a Gentleman) (2001)
Un uomo da conquistare (Romancing Mister Bridgerton) (2002)
A sir Phillip con amore (To Sir Phillip, With Love) (2003)
Amare un libertino (When He Was Wicked) (2004)
Tutto in un bacio (It’s In His Kiss) (2005)
Il vero amore esiste (On the Way to the Wedding) (2006)
Felici per sempre (The Bridgertons: Happily Ever After) (2013)
L’autrice
Julia Quinn (New York 1970), laureata in Storia dell’arte ad Harvard, è autrice di decine di romanzi pluripremiati e tradotti in più di 30 lingue, tra cui l’amatissima serie Bridgerton, su cui è basata l’omonima serie Netflix. Dal 2010 fa parte del Romance Writers of America’s Hall of Fame.
Altri romanzi di Julia Quinn che ho letto:
July 5, 2021
Agatha Christie * I romanzi con Ariadne Oliver
Di seguito l’elenco dei romanzi che hanno fra i personaggi che investigano la scrittrice di gialli Ariadne Oliver e che per ora ho riletto. Di conseguenza questo è un articolo in progress, aggiungerò via via titoli.
Spesso in queste storie è presente anche Hercule Poirot, quindi gli stessi titoli si possono trovare anche nell’articolo Agatha Christie * I romanzi con Hercule Poirot.
Ecco ad ogni modo la lista dei romanzi, con l’anno di pubblicazione:
Carte in tavola (1936)
Fermate il boia (1951-1952)
La sagra del delitto (1956)
Un cavallo per la strega (1961)
Gli elefanti hanno buona memoria (1972)




July 2, 2021
Emily * Capitolo sei – seconda parte
Wood tornò nel Hertfordshire dopo poco più di una settimana. Come Davies aveva immaginato aveva un regalo per Emily ma, quando si recò a Sethgrave Park per incontrarla, fu ricevuto dallo zio da solo, benché avesse richiesto espressamente di vedere la fidanzata nel biglietto che aveva inviato di prima mattina.
Davies camminava avanti e indietro per lo studio e mostrò un certo imbarazzo nel giustificare l’assenza della nipote, tanto che dopo qualche tentativo di nascondere la verità sbottò: «Quell’ingrata è fuggita, approfittando della fiducia che riponevo in lei. Ed è riuscita a non lasciare tracce.» Fece per imprecare ma si trattenne. «Comunque la sto cercando e presto la riporterò qui per voi.»
«Miss Harrison è andata via? Quando? Spiegatevi» esclamò Wood senza lasciare all’altro il tempo di proseguire.

«Qualche giorno fa è andata in paese dalla sarta e dopo è sparita. Quando lo stalliere che l’aveva accompagnata ha finito con le sue commissioni ed è tornato a prenderla lei non c’era più. Se non mi fossi assentato le avrei proibito di uscire dalla tenuta, ma avevo un impegno urgente e sono dovuto partire. La piccola vipera non si è lasciata scappare l’occasione.»
«Perché non mi avete avvisato subito?» lo accusò Wood.
«Non sapevo dove raggiungervi.»
«Bastava inviare una lettera a Dacres Hall, il maggiordomo me l’avrebbe fatta avere. Siete sicuro che sia fuggita? Non potrebbe esserle capitato qualcosa?»
Davies scosse il capo: «Un rapimento o un incidente? Non c’è stato nessun evento del genere.» Tacque per poi aggiungere, quasi a se stesso: «Temo che quel Marshall mi abbia preso in giro, intascandosi le mie sterline e poi portando via mia nipote.»
Wood lo afferrò per il bavero: «Chi diavolo è Marshall?»
«Un giovanotto che lavorava per lord Buntbury. Emily a volte lo incontrava quando usciva a cavallo» rispose l’altro cercando di liberarsi.
Wood lo lasciò con una spinta che lo fece quasi barcollare.
Dunque l’intuizione, o meglio il sospetto, che la ragazza avesse un innamorato era giusta. Per quanto la notizia non lo avesse colto di sorpresa, si adirò, soprattutto con il suo interlocutore, e faticò a controllarsi: «State dicendo che vostra nipote aveva una relazione che mi avete taciuto?»
«No di certo» balbettò precipitosamente Davies, cosa che indusse Wood a non credergli. «Era solo un’amicizia, una sciocca infatuazione giovanile, una cosa senza importanza» spiegò ancora l’altro.
«Allora perché dite che questo Marshall potrebbe aver portato via Miss Harrison?» lo incalzò Wood facendoglisi di nuovo più vicino.
«Per essere sicuro di non avere problemi ho offerto al giovanotto una parte della generosa somma che mi avete dato per provvedere ai bisogni di Emily affinché sparisse e non vedesse più mia nipote. Lui ha accettato senza fare storie, tanto che ho pensato che lo avevo pagato troppo e avrei potuto risparmiare almeno metà dei soldi. Invece potrebbe avermi ingannato e avere usato il denaro per fuggire con lei.»
«E voi avete ingannato me, non parlandomi di questa storia.»
La rabbia di Wood si era fatta gelida e la sua voglia di picchiare Davies quasi incontenibile. Gli pareva improbabile che quel Marshall tenesse così poco a Emily da scambiarla con qualche centinaio di sterline.
«Se sono andati via insieme probabilmente si sono diretti a Gretna Green e ormai il matrimonio è stato celebrato» concluse seccamente.
L’altro obiettò: «Mi sono informato. Sulle strade per la Scozia nessuno ha visto una coppia che somigliasse a Emily e a Marshall.»
Wood non replicò. Non era un problema suo cosa avesse fatto Miss Harrison e con chi. Non lo era più. La ragazza evidentemente non voleva sposarlo e questo era quanto. Quella constatazione lo ferì, come se lei lo avesse tradito, benché, ovviamente, le cose non stessero affatto in quel modo. Subito dopo si disse che in fondo era meglio così, aveva evitato il matrimonio fino a quel momento e l’aspetto sentimentale non gli era mancato. Perché avrebbe dovuto cambiare e rischiare? Miss Harrison gli aveva fatto un piacere uscendo dalla sua vita.
La voce di Davies interruppe quelle riflessioni: «Non temete, la ritroverò e le darò una lezione. E anche a quel Marshall, se mi ha imbrogliato. E se invece fosse da sola la riporterò da voi.»
Sembrava indispettito e smanioso di vendetta.
Wood gettò alcuni fogli sulla scrivania: «Se vi preoccupate per i vostri debiti ecco i documenti che attestano che sono stati saldati. Non dovete cercarla per me, lasciatela stare.»
Così dicendo uscì dalla stanza e dalla casa, non senza cogliere uno strano lampo nello sguardo di Davies. Ripreso il cavallo galoppò verso Dacres Hall, cercando di non pensare al dialogo appena scambiato. Avvertì in tasca l’ingombro della scatolina contenente il braccialetto che aveva comprato per Emily: lei non l’avrebbe indossato e nemmeno visto.
Per quanto si sforzasse, nemmeno con l’avanzare della giornata riuscì a togliersi la ragazza dalla mente, continuava a chiedersi dove fosse. Ripetersi che non erano più affari suoi non serviva. E poi c’era qualcosa a proposito di Davies che lo infastidiva, solo che non capiva cosa. Rivisse un’altra volta tutta la conversazione avuta con lui e alla fine comprese quale fosse il dettaglio che lo disturbava: era l’espressione fugace e quasi impercettibile apparsa sul viso dell’uomo quando gli aveva detto che non gli importava più di sposare sua nipote ma che aveva già pagato i suoi debiti. C’era avidità in quello sguardo scaltro e Wood si rese conto che Davies aveva intenzione di ottenere un ulteriore guadagno da Miss Harrison e che molto probabilmente l’avrebbe cercata per poi procedere con il suo piano iniziale, venderla a Cox.
Strinse i pugni. Non poteva permetterlo. Anche se il destino di lei non lo riguardava più, doveva impedire allo zio di farle del male.
Dove poteva essere andata? Davies aveva controllato le vie per la Scozia senza trovare alcun indizio del passaggio recente di una giovane coppia. Decise perciò di puntare su una fuga solitaria, anche perché nel caso opposto lei sarebbe già diventata Mrs Marshall e un suo intervento sarebbe stato inutile: a quel punto nessuno avrebbe più potuto nuocerle.
Pensare a lei insieme al vice amministratore di Buntbury era sgradevole. Molto. Wood comprese che quella che aveva creduto una moderata attrazione era invece qualcosa di più profondo e che, nonostante tutto, non era disposto a tirarsi indietro, a meno che non fosse ormai troppo tardi e Miss Harrison non fosse già la moglie del giovanotto.
Forse, se avesse proposto le nozze alla ragazza prima di accordarsi con Davies, lei gli avrebbe parlato di quel Marshall. O forse no. In tutti i casi, benché motivato dall’urgenza di proteggerla, lui si era comportato come se stesse concludendo un affare, ammise, ignorando i sentimenti e i desideri di lei: non c’era da stupirsi che si fosse risentita e avesse preferito fuggire. Poteva solo sperare che fosse sola.
Sospirò frustrato e si impose di abbandonare pensieri, dubbi e recriminazioni: non servivano a niente. Era il momento di agire.
Doveva recuperare al più presto qualche informazione per capire come e per dove Miss Harrison fosse fuggita. Forse avrebbe potuto parlare con la sarta. No, meglio con lo stalliere.
July 1, 2021
Daniel Deronda – George Eliot * Le mie letture
(titolo originale “Daniel Deronda” pubblicato nel 1876; edizione italiana da me letta del 2018, traduzione di Sabina Terziani, Fazi Editore)
Un romanzo impegnativo, questo è il primo aggettivo che mi viene in mente a proposito di “Daniel Deronda”. I personaggi principali sono così approfonditi dal punto di vista psicologico che quasi sembrano oggetto di studio, per i dettagli e i particolari con cui vengono descritte e motivate le loro azioni e i loro comportamenti.
Il protagonista, Daniel Deronda, è un giovane gentiluomo, pupillo di sir Hugo Mallinger, e non sa chi siano i suoi genitori. È una persona molto sensibile, attenta a non ferire gli altri. Dopo un’apparizione all’inizio del romanzo, Deronda ricompare a circa un quinto della storia. Infatti le sue vicende si alternano con quelle della giovane Gwendolen Harleth, una ragazza molto bella e viziata, abituata ad essere sempre ammirata.
Deronda la vede per la prima volta a Leubronn (immaginaria città tedesca di villeggiatura), in una casa da gioco, dove la ragazza è insieme a un’amica. Gwendolen vince ma dopo aver incontrato lo sguardo di lui inizia a perdere. Il periodo seguente, per quanto breve, mi pare possa fornire un’idea abbastanza precisa della giovane:
Gwendolen depositò dieci luigi nello stesso punto: era pervasa da quel particolare senso di sfida in cui la mente perde di vista ogni meta fuorché la soddisfazione di una resistenza rabbiosa, e include tra gli oggetti della sfida anche la sorte, cedendo alla puerile stupidità di un impulso dominante.
In seguito i due vengono presentati e Deronda assume per Gwendolen un ruolo inconsueto, divenendo per lei una sorta di consigliere-amico-coscienza, soprattutto dopo che la ragazza, la cui famiglia è divenuta povera improvvisamente, accetta un matrimonio di convenienza, con un uomo ricco che non ama e che, dopo le nozze, si dimostra tirannico e freddo.
Deronda è alla ricerca del proprio posto nel mondo e quando il caso lo fa imbattere in Mirah, una ragazza ebrea in gravi difficoltà, non esita a soccorrerla e lo fa con delicatezza e rispetto. La conduce presso una famiglia che conosce e che la ospita molto volentieri e poi l’aiuta a trovare un lavoro come insegnante di canto. Ecco come la giovane si presenta alle persone che l’hanno accolta in casa:
«Mi chiamo Mirah Lapidoth. Vengo da lontano. Sono arrivata qui tutta sola da Praga. Sono scappata, sono fuggita da cose tremende. Sono venuta a Londra per cercare mia madre e mio fratello. Sono stata tolta a mia madre quando ero piccola, ma pensavo di poterla ritrovare. Ho incontrato parecchi ostacoli… le case dove avevamo abitato non ci sono più… e non sono riuscita a trovarla. È da un pezzo che vago e non mi è rimasto molto molto denaro, per questo sono angosciata».
Temendo che i parenti di Mirah, se ritrovati, possano costituire una delusione per lei, Deronda inizia una sua ricerca, durante la quale conosce Mordecai, un ebreo malato di tisi, appassionato e studioso della storia del proprio popolo.
…l’ebreo dall’aspetto tisico, apparentemente fervido studioso di qualcosa, che come Spinoza si guadagnava il pane con un tranquillo lavoro manuale, non rientrava in nessuna delle previsioni di Deronda. Su Mordecai l’effetto del loro incontro era stato completamente diverso. Per molti inverni, conscio che la sua vita fisica si stava esaurendo e la sua solitudine spirituale espandendo, egli aveva concentrato ogni suo appassionato desiderio nella ricerca di una mente giovane in cui riversare la propria come testamento. Cercava un’anima abbastanza affine per accettare la missione di portare a maturazione il frutto spirituale della sua vita breve e sofferta. Era straordinario come la speranza, benefica illusione dei malati di tisi, in Mordecai non si volgesse affatto alla prospettiva della guarigione del corpo, ma fosse invece trascinata nella corrente della sua brama di trasmettere. Tale brama aveva faticosamente risalito l’abisso dell’abbattimento ed era cresciuta fino a diventare una speranza; e la speranza era diventata una ferma convinzione che, invece di essere smentita dalla chiara percezione del declino fisico, aveva assunto l’intensità della fede ottimista in una profezia alla quale rimaneva poco spazio per avverarsi.
Fra Deronda, che già aveva provato interesse per le dottrine ebraiche, e Mordecai si instaura un rapporto profondo che contribuirà, insieme ad altre circostanze, a mostrare al giovane quale sia la sua strada. Molto spazio viene dato ai dialoghi e alle descrizioni riguardanti le idee di Mordecai e la sua speranza di poter fare di Deronda il proprio erede spirituale; del resto ogni gesto, ogni decisione dei protagonisti viene – come ho scritto all’inizio – analizzata quasi al microscopio.
Non so se George Eliot (di cui ho letto parecchi anni fa solo “Il mulino sulla Floss”) avesse qualche interesse particolare per l’ebraismo, dato che ne fa uno dei temi principali di questo romanzo. Non mi pare che ci siano giudizi, né che la scrittrice si schieri da a favore o contro; racconta in quello che mi pare un modo oggettivo la situazione degli ebrei inglesi e la considerazione e i pregiudizi che i non ebrei hanno per loro.

La storia è divisa in otto libri per un totale di settanta capitoli. Questi i titoli dei libri:
I La bambina viziata
II Fiumi che si incontrano
III Le fanciulle scelgono
IV Gwendolen ottiene quello che vuole
V Mordecai
VI Rivelazioni
VII Madre e figlio
VIII Frutto e seme
Personaggi
Gwendolen Harleth, ventidue anni
Mrs Fanny Davilow, madre di Gwendolen e altre 4 figlie (sorellastre di G)
Alice, 16 anni, la maggiore delle sorellastre di Gwendolen
Isabel, 10 anni, la minore delle sorellastre di Gwendolen
Bertha, sorellastra di Gwendolen
Fanny,sorellastra di Gwendolen
Miss Merry, governante delle ragazze Davilow
Daniel Deronda, pupillo di sir Hugo Mallinger
Sir Hugo Mallinger
lady Mallinger, sua moglie, di venti anni più giovane
Henleigh Mallinger Grandcourt, erede di sir Mallinger
Mr Lush, suo cameriere personale e factotum
Mr Gascoigne, pastore, zio acquisito di Gwendolen
Mrs Nancy Gascoigne, sua moglie, sorella di Mrs Fanny Davilow
Anna, figlia dei Gascoigne
Rex, figlio dei Gascoigne
la famiglia Quallon, vicini di Gwendolen
Arrowpoint, vicini di Gwendolen
Herr Klesmer, musicista e maestro di musica (sposerà Miss Arrwpoint)
Lord Brackenshaw, vicino di Gwendolen
Mirah Lapidoth, ragazza ebrea
Mordecai, studioso ebreo, povero e malato di tisi
alcuni luoghi
Offendene, casa di Fanny Davilow e famiglia (in affitto)
Pennicote, canonica dello zio di Gwendolen
Quetcham Hall, casa degli Arrowpoin
George Eliot, pseudonimo di Mary Anne (Marian) Evans coniugata Cross (Arbury, 22 novembre 1819 – Londra, 22 dicembre 1880), è stata una scrittrice britannica, una delle più importanti dell’età vittoriana. (da Wikipedia)