Wu Ming 4's Blog, page 107

December 13, 2013

Arriva l’Armata dei Sonnambuli. Vive la trance!

Io vengo a RestituiRti un po' del tuo teRRoRe


Oggi, 13 dicembre 2013, Giorno della Canna, tridì 23 Frimaio dell’anno CCXXII della Repubblica francese una e indivisibile, abbiamo consegnato all’editore Einaudi L’Armata dei Sonnambuli, nostra “summa” di quasi vent’anni di lavoro sul romanzo storico.


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Published on December 13, 2013 02:20

ARRIVA L’ARMATA DEI SONNAMBULI. VIVE LA TRANCE!

Io vengo a RestituiRti un po' del tuo teRRoRe


Oggi, 13 dicembre 2013, Giorno della Canna, tridì 23 Frimaio dell’anno CCXXII della Repubblica francese una e indivisibile, abbiamo consegnato all’editore Einaudi L’Armata dei Sonnambuli, nostra “summa” di quasi vent’anni di lavoro sul romanzo storico.


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Published on December 13, 2013 02:20

December 3, 2013

Stay FICO, Stay Hungry. Oscar Farinetti e la «Disneyland del cibo» a #Bologna, Eataly

FICO Bologna


di Wolf Bukowski (guest blogger)


Nonostante Bologna vanti il secondo Apple Store per grandezza d’Italia e sia dunque ben avvezza agli immortali precetti dello «stay hungry, stay foolish», ha la pretesa, per entusiasmarsi, di vederli declinati in qualcosa di più familiare. Tipo, per capirci: fatti una bella mangiata e sparale grosse. Ecco: così funziona.


E in effetti in giro ce n’è una bella grossa. Si chiama FICO.


FICO vuol dire Fabbrica Italiana Contadina – e si comincia a capire di che si parla, ma nulla più. Il secondo nome è Eataly World, che vuol dire Mangitalia Mondo cioè niente, ma un niente con il brand Eataly intorno: già si intravedono i contorni. Più chiara la definizione di «Disneyland del cibo» o quella di «più grande centro al mondo per la celebrazione della bellezza dell’agro-alimentare italiano» (CdA CAAB, 3 giugno 13).


FICO è il progetto di un parco tematico con 40 ristoranti, «stalle, acquari, campi, orti, officine di produzione, laboratori, banchi serviti, grocery [...] Un percorso naturalmente attrezzato con adeguata cartellonistica, audio guide e accompagnatori didattici» (Comunicato del Comune; la presentazione ufficiale è qui, il rendering qui).


CAAB / FICO


Location: il CAAB, ovvero i mercati generali agroalimentari, di proprietà pubblica al 90%, nella periferia settentrionale di Bologna. Un’enorme struttura oggi grandemente sottoutilizzata: il commercio di prossimità che vi si riforniva è stato spazzato via da Coop e grande distribuzione organizzata e quindi il CAAB, inaugurato nel 2000, è già obsoleto. Sulla miseria pianificatoria che ha condotto a questa situazione, voluta dallo stesso partito che governa oggi, neppure una parola. Stai muto, stay hungry, stay foolish – e qui entra in campo Oscar Farinetti.


L’imprenditore renziano Farinetti, sul cui «impero non tramonta mai il sale» (Venerdì di Repubblica, 27/9), è abituato a trovare porte spalancate dalle amministrazioni che condividono la sua stessa foolishness. Il primo Eataly apre a Torino in spazi concessi gratuitamente da Sergio Chiamparino (G.Polo, Affondata sul lavoro, Ediesse 2013), mentre a Bari ottiene dall’amministrazione PD «l’autorizzazione più veloce del mondo»; Farinetti ama, «da comunista», lavorare a Bologna ma si trova benissimo anche a Roma con Alemanno; infine gode “da morire” quando assume un giovane e sancisce il divieto d’ingresso nei suoi Eataly a Calderoli. Captatio benevolentiae? No, piena sintonia con quella sinistra che adora la teatralizzazione dello scontro politico per evitare di guastarsi l’appetito con il conflitto sociale, e ignora la distruzione ambientale globale operata dal capitalismo appendendoci davanti un pannello solare, come un quadro su una crepa del muro. Foss’anche solo per questa sintonia, l’amore tra la gauche caviar bolognese e Farinetti era destinato a scoppiare.


Pomodorini di Eataly. Circa 8 euro al kg.


E poi, incidentalmente, amore è anche 55 milioni di patrimonio immobiliare pubblico, gli edifici del mercato ortofrutticolo, che il Comune mette a disposizione del FICO senza contropartita economica (CAAB parteciperà agli utili dell’Operating Company costituita ad hoc, che però raccoglierà «solo quanto necessario a compensare i costi di funzionamento», dunque che utili possono esserci? Ma il tutto è scritto nel più impermeabile gergo aziendalista, dunque chi ha interpretazioni diverse ne renda partecipi tutti nei commenti, grazie). In ogni caso l’approvazione del Comune è motivata dall’attrattività turistica, dai 10 milioni di visitatori all’anno attesi dalla Disneyland del cibo, non certo da ritorni economici diretti: per quelli si preferisce tassare pesantemente i piccolissimi.


Questi 10 milioni di turisti sono una straordinaria creazione dal nulla: li cita come un dato di fatto il comunicato ufficiale del Comune prendendoli pari pari dalla delibera di CAAB del 3 giugno, che definisce il FICO «una sorta di grande parco giochi, con la stessa attrattività mondiale che ha Disneyworld, [che] potrà avere oltre dieci milioni di visitatori l’anno, diventando così il “monumento” più visitato in Italia». Dov’è l’analisi globale dei flussi turistici, dov’è lo studio puntuale sui parchi tematici? Boh. Bisogna fidarsi di un «business plan predisposto da Ernst & Young» che, al di fuori dal CdA del CAAB, nessuno ha visto. Neppure il consiglio comunale di Bologna che pure, supinamente, ratifica il progetto.


Farinetti e Renzi


I milioni di turisti, come tutte le affermazioni prive di fondamento, diventano occasione di fantasiose esegesi. Per Farinetti sono quasi pochi: dice che sarebbe «una libidine» battere Eurodisney, che ne fa 12. Tiziana Primori (vicepresidente di Eataly e alta dirigente Coop) e Andrea Segrè (presidente di CAAB) affermano con maggiore sobrietà che il break-even è fissato a 5 milioni di ingressi, pari a quelli del Centronova – una semplice Ipercoop della prima cintura bolognese. Ma allora cos’è il FICO, un centro commerciale o un’ambiziosissima Disneyland mondiale?


Interrogata a proposito la Primori, con la sfrontatezza di chi dà voce a poteri non abituati al contraddittorio, risponde: «Né l’uno né l’altro, non lo sappiamo neanche noi»!


Eppure la questione è rilevante: è un ennesimo centro commerciale quello che sarà ospitato in strutture pubbliche? Capire cosa sia il FICO sarebbe interessante anche per tentare una valutazione sui saldi occupazionali, che per i centri commerciali sono tipicamente negativi (qualcuno calcola che per ogni posto creato nei mall se ne perdano 6 tra i piccoli operatori).


Bologna, 2013. Lo sciopero raccontato dal padrone.

Bologna, 2013. Lo sciopero raccontato dal padrone.


Il primo investitore è naturalmente Coop, che punta sul FICO 20 dei 45 milioni necessari. Coop ha una rendita di posizione sull’alimentare da mantenere, un sacco di soldi (del prestito sociale) da investire e la grossa questione di immagine che vedremo dopo: la redditività del FICO conta poco, dal suo punto di vista.


Le banche. Emil Banca – legata alle coop – è pronta far credito agli ardimentosi che «volessero entrare nel progetto finanziario del grande parco pur non avendone le finanze» (sic, Carlino Bologna 25/11), ma da sola non basta: così sono ripetutamente evocate Unicredit, le assicurazioni Unipol e Intesa-San Paolo. cioè la banca di Expo 2015 che vede al vertice, nella sua nuova veste, il solito Chiamparino.


Torre Unipol

Priapismo: la Torre Unipol, Bologna Est. 127 metri di hybris, ottavo grattacielo più alto d’Italia.


Intanto, mentre ancora Farinetti non rivela quanto voglia rischiare di suo (e di nuovo di Coop, che partecipa Eataly al 40%) nel suo parco tematico, salgono sul FICO Ascom e Confcommercio, che evidentemente non hanno letto l’intervista in cui l’incontenibile imprenditore immagina «turisti che atterrano al Marconi e poi già lì si trovano un bel trenino con l’indicazione Eataly World che li porta direttamente sul luogo. Fico, no?» Beneficio per i commercianti bolognesi che le due associazioni dovrebbero rappresentare? Un fico. Secco.


A chi poi pensa che il FICO abbia davvero a che vedere con l’agricoltura, la sostenibilità eccetera, segnalo le manifestazioni di interesse dei petrolieri di Sofaz (Azerbaijan) e del fondo immobiliare The Link di Hong Kong.


Tra gli entusiasti della prima ora ci sono naturalmente quelli che gongolano alla pretesa di Farinetti di infrastrutture e «navette fiche» (sic). «Sarebbe bello» se il FICO segnasse la fine della «stagione di paralisi delle infrastrutture da cui Bologna non è uscita», dichiara il Vicepresidente di Confindustria Gaetano Maccaferri, talmente hungry di cemento da dimenticare TAV e Variante di Valico.


Il FICO, prevede Nomisma, «potrebbe dare quello che manca [a un] comparto ancora considerato popolare, aumentando[ne] l’indice di attrattività» (Carlino Bo, 16/10). Che tradotto significa: aumento dei valori immobiliari, gentrificazione e nuove costruzioni. Still hungry.


Naturalmente per CAAB il FICO è a «costi di territorio/cementificazione pari a zero, sostenibilità pari al 100%»; il Comune conferma. E il sindaco renziano Merola, eseguendo quanto deciso da Segrè e Farinetti, chiede e ottiene (dal ministro Zanonato) la promessa di «una mano» governativa per il FICO (Carlino Bo 25/11). Che poi questa mano allunghi soldi o benefit e crediti dalla Cassa Depositi e Prestiti poco cambia: sono risorse pubbliche seppellite sotto il FICO.


Lavoratori Granarolo in lotta


L’adesione più recente al progetto FICO è quella di Granarolo – la cooperativa del latte obiettivo delle coraggiose proteste dei lavoratori migranti sottoposti a supersfruttamento e riduzioni salariali in seguito ai processi di esternalizzazione e precarizzazione della logistica. Ed è questa adesione, con tutto il suo carico di spudoratezza (Granarolo userà per il FICO i soldi risparmiati sui facchini?), che mi consente di lasciare la parte descrittiva per elencare, in tre rapidi punti, gli obiettivi sistemici della Disneyland del cibo.


Primo obiettivo: affermare che qualsiasi lavoro va bene e che, come dice Matteo Renzi, è di sinistra creare lavoro, non parlarne. Dunque i faraoni erano di sinistra, creando lavoro per il Parco Tematico Le Piramidi: da tenere presente.

Il legame insistito e ripetuto con EXPO 2015 (FICO aprirà appena chiude EXPO) si porta dietro, a mio parere, anche i contratti resi possibili dal governo per la manifestazione milanese: 80% di assunzioni a tempo determinato, stage a 516 euro al mese (corrispondenti a un impegno orario scrupolosamente occultato in tutti i documenti ufficiali), apprendistato per l’incredibile profilo di “operatore di grandi eventi” e così via. Letta, di questi contratti, si è precipitato a dire che possono diventare «un modello nazionale». Perché non iniziare dal FICO?


Expo


In ogni caso, contratti EXPO o meno, sono convinto che il saldo occupazionale del FICO a pieno regime sarà comunque negativo, con una distruzione di posti di lavoro nella ristorazione, l’agricoltura vera, la didattica sul territorio, l’ospitalità diffusa… Piccoli e piccolissimi operatori, quindi: quelli di cui ai nostri decisori non frega proprio un fico secco.


Secondo obiettivo: alla Coop e in generale alla GDO sta sfuggendo di mano la questione della qualità del cibo, del biologico e una certa renaissance contadina che, pur con fatica, è in atto. Particolarmente a Bologna, dove gran parte dei mercati contadini sono gestiti da Campi Aperti, associazione che si batte contro le normative punitive per i piccoli produttori, vende nei Centri Sociali e fa dell’agricoltura biologica, a filiera corta e a prevalenza di manodopera sui macchinari, una pratica politica radicale. Per contro: il carisma Farinettiano, la seduzione banalizzante della “tipicità” incarnata da Slow Food e la potenza di fuoco economico del FICO sono gli strumenti con cui Coop punta a riconquistare l’egemonia sulla produzione di senso attraverso il cibo. Come poi questo venga coltivato e venduto – e da chi e dove – è questione che importa ben poco: stay muto e mangia.


Renzi e Farinetti


Terzo obiettivo: Matteo Renzi, nel suo scarno programma, scrive che «nel mondo c’è […] voglia di visitare l’Italia, voglia di mangiare italiano, voglia di vestire italiano. Ci sono imprenditori bravissimi che sono riusciti a portare l’Italia nel mondo e far crescere il desiderio di Italia. Noi dobbiamo solo aiutarli». L’idea di Renzi, probabilmente condivisa dalla sua sponsor Merkel, è quella di un’Italia proiettata quasi esclusivamente su ricettività turistica ed export alimentare, e quindi interamente dipendente dai flussi di denaro dei paesi più forti. Con tutta evidenza Eataly e il FICO sono il programma economico di Renzi, e questo sarà realizzato da lavoratori hungry per le paghe misere e foolish a comando come animatori dei parchi tematici.


Ma voglio, in conclusione, darvi una buona notizia che viene da CAAB: le mense delle basi militari NATO in Sud Europa saranno rifornite dalla piattaforma logistica bolognese, grazie all’appalto vinto da un’azienda il cui presidente è addirittura membro del CdA CAAB. Insomma, anche se non dovesse decollare il FICO, decolleranno piloti nutriti con i prodotti, eccellenti per definizione, dell’agroalimentare italiano. E le loro bombe saranno morbidi cachi e deliziosi fiori di zucca.


Expopolis

Approfittiamo del post per segnalare quest’iniziativa. Stasera alla Bolognina. Si parlerà di Expo 2015 a Milano, e quindi anche di FICO.



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Published on December 03, 2013 23:00

December 1, 2013

Scatta #Tifiamo4: il contest di racconti scritti sull’Acqua

Livorno, giugno 2009. La piscina dei bagni Pancaldi Acquaviva.


Sabato scorso, 30 novembre, si è conclusa a Firenze la mostra Wu Ming + TerraProject = 4. Un viaggio di fotografie e racconti.

Come abbiamo spiegato qui, 4 è un “progetto transmediale multiautore” – un friendchise come lo chiamerebbe Luigi Franchi: all’origine ci sono quattro reportage del collettivo Terraproject, poi una mostra di fotografie e audioracconti (scritti e letti da WM2), poi un reading musicale di WM2 + Frida X, e infine (forse) un libro fotonarrativo, curato da Renata Ferri e impaginato da Ramon Pez, che si può prenotare sul sito di Produzioni dal Basso (verrà stampato solo se raggiunge la quota prestabilita di prenotazioni)

Il cuore dell’intero progetto è una sfida, che TerraProject ha lanciato a Wu Ming ormai tre anni fa e che Wu Ming lancia ai giapster in quest’ultimo mese dell’anno: scrivere un racconto che, come una scia narrativa, colleghi tra loro le fotografie di ciascun reportage: Aria, Acqua, Terra e Fuoco.


Qui, per semplicità, abbiamo scelto di proporvene uno soltanto, quello dedicato all’Acqua, ovvero al paesaggio delle coste italiane e alla sua trasformazione.

fotoIn breve, è come se si trattasse di un gioco di carte. Una partita di tarocchi narrativi.

Il mazzo – formato da 11 fotografie – si può scaricare da qui.

Le mosse e le regole per giocare sono queste:

1) Mescolare le foto del mazzo.

2) Sceglierne almeno 4 e metterle in ordine, dalla prima all’ultima, come se fossero le illustrazioni di un racconto non ancora scritto, i paletti da toccare con uno slalom di parole.

3) Scrivere il racconto, tenendo presente:

a. Che il titolo deve rimanere quello del reportage, ovvero: Acqua.

b. Che il tema di fondo deve rimanere quello del reportage, ovvero: l’intervento dell’uomo sul confine tra terra e mare.

c. Che il racconto non deve superare le 15.000 battute, spazi inclusi.

4) Spedire il racconto (in modo che si capisca bene dove vanno inserite le foto) alla nostra consueta mail: wu_ming AT wumingfoundation.com, entro e non oltre la mezzanotte del 23/12/2013, ovvero alla scadenza del crowdfunding per la realizzazione di 4 Il Libro.

Noi provvederemo a spedire tutti i racconti al collettore curatore designato, che per questo progetto è il giapster Mr Mill (@millmr), il quale leggerà, correggerà le bozze (magari con l’aiuto di qualche altro volontario), terrà i contatti con gli autori dei racconti e alla fine produrrà il file definitivo per la realizzazione dell’antologia in formato e-book.

Questa antologia sarà scaricabile gratuitamente dal nostro sito e il link per il download verrà stampato su 4 – Il Libro  (se e solo se 4 – Il Libro vedrà la luce.)

In tal modo, il “progetto transmediale multiautore” – in friendchise – avrà un ulteriore tassello, ovverrò l’antologia digitale e multiautore #Tifiamo4 – Acqua.


A dirla così, sembra una bella idea.

Aspettiamo i racconti.

(ben sapendo, per averlo provato, che il gioco è molto divertente, ma anche piuttosto difficile).


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Published on December 01, 2013 14:17

November 27, 2013

«Difendere la Terra di Mezzo» in libreria. Calendario presentazioni 2013

gandalf


Da oggi Difendere la Terra di Mezzo è in libreria. E’ facile che non lo si trovi impilato in colonnine & piramidi all’ingresso dei bookstore… Quindi è meglio tenere presente che il libro è acquistabile direttamente anche dal sito dell’editore Odoya (a prezzo scontato).

Qui si può ascoltare un’intervista a Wu Ming 4 su Radio Città del Capo (divisa in due file audio).


Ecco il calendario delle presentazioni nel 2013:


28 novembre: Bologna, Libreria Feltrinelli, Piazza di Porta Ravegnana 1, h. 18:00


6 dicembre: Roma, Festival “Più Libri Più Liberi”, Eur Palacongressi, sala turchese, h. 15:00


7 dicembre: Roma, Vigamus (Videogames Museum),

via Sabotino 4, h. 12:30


12 dicembre: Pisa, Circolo Agorà, via Bovio 48/50, h. 17:45. In collaborazione con Radio Roarr. A seguire: cena di finanziamento per Radio Roarr.


19 dicembre: Niscemi (CL), Sede del Comitato No Muos, via XX Settembre 36, h. 19:00 (a seguire cena sociale).


20 dicembre: Catania, C.S.A. Officina Rebelde, via Coppola 6, h. 19:30


Per il 2014 ci sono già due date fissate, piuttosto distanti tra loro:


24 gennaio: Teramo, Laboratorio Politico Gagarin Sessantuno,  via Mario Capuani 61, h. 21:00


15 giugno: Ara, frazione di Grignasco (NO), Casa delle Grotte di Ara, h. 14:00 (a seguire altri eventi a tema).


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Published on November 27, 2013 15:30

November 20, 2013

Speciale #Timira e #PointLenana: quattro autori, due libri, molte voci, la storia

Point Timira


Perché uno speciale congiunto Timira / Point Lenana? Perché è tempo. Perché, come spiegato nei «Titoli di coda» di Point Lenana:



«Timira e Point Lenana vanno considerati libri “cugini di primo grado”. Sono entrambi “oggetti narrativi non-identificati”, creature anfibie tra narrativa e saggistica; entrambi parlano di Africa, fascismo e colonialismo italiano; entrambi sono stati scritti da un membro del collettivo Wu Ming e da un coautore; in ambedue i casi, la “scintilla” iniziale è partita dal coautore.

Point Lenana deve molto ad alcune scelte stilistiche e narrative compiute dai due autori di Timira, e di questo non possiamo che ringraziarli.»



Più volte nel corso del Point Lenana Tour de force sono emerse comunanze e risonanze tra i due libri. Forse sono più che “cugini di primo grado”: forse sono fratelli, anzi, gemelli. Gemelli eterozigoti: di primo acchito non si somigliano, ma si sono formati e sono nati insieme. Figli della stessa fase nella vita del collettivo Wu Ming, perché scritti nello stesso pugno di anni, e dopo il fatidico 2008. Figli della stessa esigenza di allargare, di estendere le collaborazioni, ibridare le scritture e creolizzare Wu Ming.


Gli sviluppi più recenti vengono da lì. La Wu Ming Foundation non coincide più con il solo collettivo Wu Ming ma raccoglie più insiemi che si intersecano: Wu Ming Contingent, Wu Ming Lab etc. Stiamo cambiando, andiamo oltre l’essere-scrittori. Soggetti narratori non-classificabili che producono oggetti narrativi non-identificati.


Il dittico Timira / Point Lenana può essere considerato la prima multi-opera della nuova epoca, proprio come il romanzo L’armata dei sonnambuli (uscita prevista per marzo) sarà il nostro congedo dall’epoca che abbiamo ormai alle spalle. E speriamo sia un congedo in grande stile.

Intanto «camminiamo domandando», scarpiniamo, per raggiungere il cuore che gettammo oltre l’ostacolo.

Che il Grande Altro ce la mandi buona.




La mia guida Duncan Njoroge con #pointlenana Il libro in vetta lo ha emozionato, “because I love creative people!” pic.twitter.com/Ubht2NxhkQ— Gabriele Diamanti (@GabDiamanti) November 8, 2013


Prima o poi doveva succedere: Point Lenana è arrivato lassù, sulla vetta da cui ha preso il titolo.

Point Lenana su Point Lenana. Il primo a realizzare tale mise en abyme - che speriamo di vedere ancora – è stato il designer Gabriele Diamanti.

Gabriele ha approfittato di un viaggio di lavoro in Kenya per farsi la scarpinata decisamente fuori stagione, sfidando tormente di neve. Di quest’atto d’amore per il libro, che ha commosso entrambi gli autori, lo ringraziamo.

Gabriele ha scattato diverse foto e girato un breve video. Trovate tutto, insieme ad alcune riflessioni sul significato simbolico del gesto, in uno speciale sull’eccellente fan blog – «fan» come lo intende Henry Jenkins, naturalmente! – dedicato a Point Lenana. Insomma, trovate tutto qui.

[E già che ci andate, fateci un giro, nel blog. E' pieno di materiali interessanti, grazie all'impegno dei giapster Mr. Mill, Lo.Fi e Vecio Baeordo. Segnaliamo, in particolare, la rubrica "Lost in Anobii".]




L'eredità scomoda


Fin dall’uscita di Razza Partigiana, le vicende dei fratelli Marincola hanno suscitato l’interesse di studenti, presidi e professori di scuola. Una storia di famiglia che permette di attraversare la storia d’Italia e indagarne i luoghi oscuri. Per questo siamo felici di annunciare l’uscita del nuovo numero di Educazione Interculturale (Edizioni Erickson), interamente dedicato all’eredità scomoda del colonialismo italiano.


L’indice della rivista è davvero ricco: nella sezione “Approfondimenti”, Gianluca Gabrielli analizza il ruolo del razzismo nell’impresa coloniale, mentre Isabella Pescamona riflette sulla rappresentazione del colonialismo nel discorso pubblico europeo, con particolare riferimento ai casi di Francia e Gran Bretagna. Nelle pagine dedicate ai “Progetti”, gli autori si interrogano su come studiare meglio questo periodo della nostra storia e propongono diversi percorsi didattici attraverso testi letterari, vignette satiriche d’antan, un’analisi diacronica delle politiche interraziali in colonia, e infine una bibliografia ragionata dove il nostro “progetto transmediale multiautore” sulla famiglia Marincola diventa una proposta di lettura dai 16 anni in su. Completano il volume due lunghe interviste ad Antar Mohamed e a Nicola Labanca.


Presenteremo il numero della rivista alla Biblioteca Cabral di Bologna, via San Mamolo 24, il 26 novembre alle 17:30.



Proponiamo all’ascolto un estratto dalla presentazione di Point Lenana alla Casetta Rossa, Garbatella, Roma. Le voci sono quelle di WM1 e Giuliano Santoro, la data il 30 ottobre 2013. L’estratto dura un’ora spaccata. Si parte parlando di cielo stellato, poi ci si inoltra in una discussione approfondita sulla natura ibrida di Point Lenana, con diversi insight sulla direzione presa da Wu Ming.

En passant, WM1 dice un paio di cosette su costui.

Ricordiamo che, se volete scaricare l’mp3, dovete cliccare sulla freccia rivolta verso il basso. Per lo streaming, invece, basta cliccare su →


POINT LENANA ALLA CASETTA ROSSA – 30 OTTOBRE 2013


Il giorno dopo, Giuliano pubblicava sul suo blog gli appunti che aveva usato per la serata, ripartendo dalle stelle, che permettono di collegare una pisciata a una lezione di astronomia.


Carta del cielo su Nairobi, Kenya, la notte del 23 gennaio 2010. Clicca per visitarla su Sky Map Online

Le costellazioni sopra Nairobi, la notte prima della partenza per il Monte Kenya (23 gennaio 2010). Clicca per visitare la mappa su Sky Map Online.


(RI)LEGGENDO POINT LENANA: NOTE A MARGINE


di Giuliano Santoro


Giuliano Santoro

Giuliano Santoro


Come inizia Point Lenana? Siamo nel gennaio del 2010, quando uno dei due autori guarda le stelle mentre svuota la vescica, nella notte africana della scalata al Monte Kenya, alla volta di Punta Lenana. L’altro giorno sulla torre dell’Istituto Svizzero di Roma Franco Piperno ha tenuto una delle sue lezioni di astronomia. Lo “spettacolo cosmico” del Pip. è un viaggio multidisciplinare nei miti, nella filosofia e nella storia della scienza. Ci ha spiegato che guardare le stelle e disegnare costellazioni significa affrontare la radice della conoscenza. La cultura è in fondo il modo in cui diamo un ordine alle cose che ci stanno intorno. Guardare le stelle, dunque, è il modo principale di stare con i piedi per terra. Come nel caso di chi unisce i puntini e traccia i disegni che compongono le costellazioni, le storie che inanella l’oggetto narrativo non identificato prescindono dalle distanze, spaziali e temporali, reali. Lo sguardo dei narratori si prende l’onere di disegnare costellazioni, tracciare connessioni e riannodare fili.


>>>Prosegue qui>>>



Una scuola italiana


…ma Giuliano, a Roma, aveva già presentato Timira insieme ad Antar e WM2. Era il 15 marzo 2013.


Roma? Di più: Tor Pignattara. E ancora di più: la scuola elementare Carlo Pisacane, la più creola della capitale (otto bimbi su dieci sono figli di stranieri), detestata dai fascisti, sempre al centro di controversie.

[Sulla Pisacane, qualche anno fa, è stato anche realizzato un documentario, Una scuola italiana. Puoi cliccare sull'immagine qui sopra per visitare il sito.]


Portarci Timira, “romanzo meticcio”, era sensato e importante. Per di più con due appuntamenti: il primo di mattina, con i bimbi e le bimbe di alcune classi, in un’aula strapiena di curiosità e di domande, grazie soprattutto al lavoro “preparatorio” delle maestre. Il secondo al pomeriggio, con gli adulti della scuola e del quartiere.

Ecco la registrazione della seconda chiacchierata. Dura un’ora e 24 minuti.


TIMIRA ALLA PISACANE, 15 MARZO 2013



Quella che segue è una bella recensione di Point Lenana apparsa sulla rivista on line Magmazone:


POINT LENANA: NELL’ARMADIO DELLA STORIA


di Mario Francesco Simeone


Logo MagmazoneIl corridoio è silenzioso. Le pareti sono strette e formano alcune zone di umidità. In fondo, superato un cancelletto solitamente chiuso a chiave, lo spazio è occupato da un armadio di ferro smaltato. Le cose non sono state disposte casualmente e, in effetti, ci sono tutti gli elementi per una dimenticabile scena anonima. L’errore è stato non seguire fino in fondo questa scelta, perché le ante sono rivolte alla parete e si percepisce immediatamente che c’è qualcosa di insolito. Nel 1994, i cardini cigolarono, quando il procuratore militare Antonino Intelisano aprì quello che sarebbe diventato “l’armadio della vergogna”.


Non è mai facile rintracciare la genesi di un romanzo ma Point Lenana potrebbe iniziare da qui. Non direttamente dai fascicoli sulle stragi naziste, nascosti o dimenticati per anni in uno sgabuzzino di Palazzo Cesi-Gaddi ma dalla pratica di rimozione che, quotidianamente, altera la memoria storica. L’ultima opera di Wu Ming 1, al secolo Roberto Bui, e Roberto Santachiara, nasce dall’incontro non fortuito tra una vicenda individuale, quella di Felice Benuzzi, e una vetta da scalare, la Punta Lenana, sul caotico tavolo della prima metà del Secolo Breve.


>>>Prosegue qui>>>



Antar e WM2 hanno portato la storia di Giorgio e Isabella Marincola in molti licei della penisola, da Spezia a Verona, da Bolzano a Catanzaro Lido.


Di seguito potete ascoltare un esempio di questo genere di incontri, registrato il primo marzo 2013 nella palestra del Liceo Antonelli di Novara, di fronte a circa duecento studenti delle classi quarte e quinte. Dura un’ora e 30 minuti.


STORIA DELLA FAMIGLIA MARINCOLA – NOVARA, 1 MARZO 2013



Una mini-selezione di ricadute transmediali di Point Lenana:



@Wu_Ming_Foundt un qrcode che porta al ‘corollario’ su pinterest di point lenana. magari si può usare nelle presentaz pic.twitter.com/TZhTPVdzzK


— figuredisfondo (@figuredisfondo) October 30, 2013



N.B. Il realizzatore del QRcode mostrato quissopra è lo stesso personaggio che, più di dieci anni fa, scaricò il file di Q, ridusse il font a dimensione minuscola, eliminò gli a capo, e così facendo riuscì a stamparsi l’intero romanzo su una T-Shirt, davanti e didietro. Tutto intero, dal prologo all’epilogo. Per gli scettici: il pdf si trova qui. Nel 2007 fece la stessa cosa con Manituana.


N.B.2 Per chi non lo sapesse, il “corollario su Pinterest” a cui fa riferimento l’eroico compagno è questo qui. E non c’è solo quello di Point Lenana, c’è anche quello di Timira.


Point Lenana sul Monte Circeo

Point Lenana e Fuga sul Kenya sul Monte Circeo (541 mt), clicca per ingrandire. Grazie a Livia Castelli.



@Wu_Ming_Foundt #PointLenana sul Monte Vettore con una dimostrazione pratica dei suoi poteri… – 20/07/2013 pic.twitter.com/jP2FwKFl2j


— In punta di sella (@inpuntadisella) November 9, 2013




Da una scuola elementare di Tor Pignattara, a un liceo scientifico di Novara, all’università di Warwick…


Sempre a marzo 2013, WM2 è volato in Inghilterra su invito di Simone Brioni e Fabio Camilletti, per tenere due interventi distinti.


Il primo – The Historical Novel as a means of investigation – rivisto e ampliato in occasione delle Lectures on Memory dell’Università di San Marino, verrà pubblicato in e-book dall’editore Guaraldi, a gennaio 2014, con il titolo: L’utile per iscopo. La funzione del romanzo storico in una società di retromaniaci.


Il secondo – Somalia in Italians’ eyes. Questions of space in Timira - lo potete scaricare qui in formato pdf. Si parla delle diverse rappresentazioni di Mogadiscio nelle pagine del romanzo e del tentativo di ri/costruire la storia della città a partire da uno sguardo meticcio.


Il passaporto di Isabella

Il passaporto di Isabella.


La versione inglese del testo è opera di Kate Willman, una ricercatrice che si sta occupando di Timira e più in generale di New Italian Epic.


Entrambi gli interventi – e non solo – si possono ascoltare sul sito dell’Istitute of Advanced Studies dell’Università di Warwick:


Nella fase di Domande & Risposte, nonché nella tavola rotonda finale, allo scopo di non torturare gli intervenuti con un orrido inglese, WM2 si è aggrappato alle doti da interprete di Serena Bassi.



Alte Feuerwache

Alte Feuerwache, Mannheim.


Sette mesi dopo Warwick, Timira ha visitato anche la Germania, nell’ambito del tour che abbiamo presentato qui.


Tra le tante serate, vi proponiamo quella che si è tenuta all’Alte Feuerwache di Mannheim – un’antica caserma dei pompieri, oggi centro culturale – organizzata da Stephanie Neu ed Eva-Tabea Maineke, docenti di letteratura italiana all’università cittadina.


Durante l’incontro, Daniela Kopf ha letto alcune pagine del romanzo, tradotte in tedesco da Sabine Çorlu. Dura due ore e due minuti.


TIMIRA A MANNHEIM, 29 OTTOBRE 2013



Nel prossimo speciale Timira / Point Lenana:


§ Estratto/rielaborazione della prima tesi di laurea su Point Lenana, scritta da Linda Bonacini. Corso di laurea in Letterature Moderne, Comparate e Postcoloniali, Università di Bologna. Relatore: Giuliana Benvenuti. Titolo: «La letteratura italiana contemporanea oltre i confini. Regina di fiori e di perle e Point Lenana: riflettere sul colonialismo di ieri per rispondere al razzismo di oggi».

L’estratto riguarderà le tecniche utilizzate in Point Lenana.


§ Download della tesi di Luigi Franchi su Timira. Corso di laurea in Italianistica, culture letterarie europee, scienze linguistiche, Università di Bologna. Relatore: Fulvio Pezzarossa. Titolo: «”Cosa vogliamo fare della nostra amicizia?”. Timira, un romanzo in friendchise».

Un’esplorazione molto acuta del romanzo, in compagnia di Agamben, Foucault, De Certeau, Westphal, Negri/Hardt e del nuovo concetto di friendchise – un franchise amicale, dal basso, che integra e rilancia, con un nome più figo,  la nostra idea di “progetto transmediale multiautore”.


§ RedReading #6 – Come Fratelli e Sorelle di e con Tamara Bartolini e Michele Baronio. Con la partecipazione di WM2, Antar Mohamed, Lorenzo Teodonio, Cristina Ali Farah, Eva Gilmore, PierPaolo Di Mino, Lorenzo Iervolino, Fiora Blasi, Fabrizio Spera, Luca Venitucci.

Nato il 31 maggio 2012, come lettura per voce e chitarra, per accompagnare la presentazione di Timira al Centro Sociale Strike di Roma, in seguito riproposto con alcune modifiche alla già citata Casetta Rossa (Roma) e in formato di radiodramma musicale sulle frequenze di Radio Onda Rossa (sempre de Roma), Come Fratelli e Sorelle – Vite profughe esistenze partigiane è andato in scena il 27 maggio 2013 al Teatro Argot Studio (sempre Roma): uno spettacolo meticcio, attraversato dalle testimonianze di molti ospiti e da un racconto di TerraNullius, scritto a sei mani e letto a due voci.


§ Una conversazione tra WM1 e Lello Voce sul mito degli Alpini, a partire da Point Lenana.


Lello Voce

Lello Voce


E tante altre cose stanno per uscire su entrambi i libri.


Ricordiamo che le date del tour di Point Lenana novembre 2013 – gennaio 2014 si trovano qui.

Tutte le aggiunte, modifiche etc. verranno fatte in quel post.


Buone prassi a tutte e tutti, ci si risente presto.


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Published on November 20, 2013 00:54

November 14, 2013

«Come si dice “partigiano” in tedesco?» (Tanti auguri a Mario Fiorentini)

diario_1912[Il 7 novembre scorso ha compiuto 95 anni Mario Fiorentini , partigiano comunista, comandante del Gap centrale "Gramsci", "assessore alla Cultura della Roma occupata", secondo la definizione di Rosario Bentivegna.

Anni fa, Mario Fiorentini mise Lorenzo Teodonio e Carlo Costa sulle tracce di un partigiano molto particolare, Giorgio Marincola, contribuendo così a quel "progetto transmediale multiautore" che ha visto nascere Razza Partigiana, Quale Razza, Basta uno sparo e Timira.

Per fargli gli auguri di compleanno, Lorenzo Teodonio ci ha mandato il testo che segue, inizio di un lungo saggio (ancora in fieri) che il collettivo "Razza Partigiana" dedica al rapporto fra politica e città. Si analizza la formazione politica di tre scrittori/filosofi come Gramsci, Slataper (cfr. Point Lenana) e Michelstaetder nell'Italietta giolittiana. Quasi coetanei e provenienti da zone periferiche, i tre si sono formati in città (Firenze per i due giuliani, Torino per il sardo) sviluppando fra loro risonanze carsiche.]

-

Ma come si dice partigiano, in tedesco?


di Lorenzo Teodonio



«L e innefabili “terze pagine” del conservatorismo considerarono perfino il pensiero molle troppo osé: lì ha dominato e domina la necrosofia mitteleuropea della Magris Company. Per un lungo periodo, scorrendo “Il Corriere”, sembrò di leggere, nelle sue “terze pagine”, il malessere di un club di zitelle della Bassa Sassonia o, ancor peggio, l’infelicità di una piccola comunità di ebrei rumeni.»



E davvero la Magris Company rimanda a un’idea di Mitteleuropa infelice, mediocre, lagnosa, ben lontana dall’idea di resistenza che l’autore del precedente brano (Antonio Negri, La differenza italiana , Nottetempo, 2005) vuole invece esaltare in quegli scrittori/filosofi nati da qualche parte fra Trieste e il Baltico.


La lettura di Point Lenana (Einaudi, 2013) ha, fra i non pochi pregi, quello di ricostruire i primi anni del Novecento a Trieste e rievocare personaggi, come Scipio Slataper, ridotti a reminescenze scolastiche, a nomi di caserme o, peggio, a toponomastica (a Roma la strada è ai Parioli, vicino il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri). Un libro, insomma, che ci fa concordare con Negri: la Mitteleuropa è anche resistenza!


Nel 1912 un piccolo e glorioso editore di Lanciano, Rocco Carabba, pubblica il Diario di Friedrich Hebbel, tradotto e curato proprio da Slataper.


Hebbel è un drammaturgo tedesco dell’Ottocento (1813-1863), il cui Diario (una raccolta di aforismi, brani autobiografici, piccoli racconti) ha influenzato molto autori, da Kafka a Lukács, e che tutt’oggi ha una certa fama. Tanto da essere pubblicato in varie forme: Carabba ha fatto uscire la copia anastatica dell’edizione del 1912; Adelphi ha pubblicato, quest’anno, un’antologia ( Giudizio Universale con pause ) a cura di Alfred Brendel; Diabasis, nel 2009, ha fatto uscire un’altra antologia a cura di Lorenza Rega (con prefazione del fantomatico Magris).


L’aforisma, numero 2613 nell’edizione tedesca B. Behr’s Verlag, Berlino 1905, scritto il 24 ottobre 1842 ad Amburgo, recita “ Leben heißt parteiisch sein”.


In italiano Slataper traduce “Vivere significa esser partigiani”.


indifferentiQuesta frase sarà utilizzata nel 1917, da un piccolo, grande sardo, Antonio Gramsci. Quando, infatti, si trova a scrivere, in perfetta solitudine, la rivista La città futura, cita proprio nell’incipt dell’articolo (Indifferenti): Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. La citazione, non proprio letteraria, è importante per la presenza della parola “partigiano”. Una parola che tanta importanza avrà in Italia e che Gramsci stesso utilizza più volte nel resto dell’articolo. La conclusione è infatti:



«Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.»



Quel ” virili” suona machista, ma a Gramsci lo perdoniamo. Come perdoniamo la citazione vagamente critica alla Ginestra leopardiana (la catena sociale […] non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini).


L’ottimo Slataper, dunque, traduce parteiisch con partigiano. Ma come è stato tradotto “parteiisch sein” nelle altre edizioni dei Diari di Hebbel? Nell’antologia Adelphi non c’è proprio il pensiero; in quella della Rega vi è la traduzione “essere di parte”. Grammaticalmente non fa un piega: sein è l’infinito di essere e parteiisch significa “di parte”. Ma certo, all’orecchio italiano, risulta un po’ triste: la parola partigiano, inevitabilmente, ha un’altra risonanza. E poi, nel tedesco attuale (non certo all’epoca di Hebbel!), “parte” si preferisce esprimere con Teil; Partei significa, più propriamente, “partito” nel senso politico del termine. Nella versione dei Diari della Magris Company, poi, non si cita l’uso gramsciano dell’aforisma e la data dell’edizione curata da Slataper è palesemente sbagliata. Viene infatti fissata al 1919, inducendo il povero Magris a scrivere che il libro uscirà […] dopo la sua morte (Slataper muore nel 1915, durante la guerra).


hebbel_originale


La parola Partigiano risale al medioevo (la usa anche Machiavelli: Qualunque volta quelli che sono nimici hanno occasione di assaltare, lo fanno partigianamente, e quegli altri defendano tepidamente ). Già: ma come si dice in tedesco “partigiano”? Il problema ha molto appassionato Carl Schmitt. Nella Teoria del Partigiano (Adelphi, 2005) scrive esplicitamente che si dice Parteigänger, ossia, in italiano, “membro di partito”. La locuzione Partisan (scelta nel titolo del saggio, in tedesco, Theorie des Partisanen) è tratta dalle lingue romanze, in particolare spagnolo e francese, anche se in queste lingue è “una denominazione assolutamente generica, polisemica, diventata all’improvviso un termine eminentemente politico”. Dopo la Teoria (uscita nel 1963), in una conversazione con un maoista , Jaochim Schichel, - avvenuta il 25 aprile (ironie della storia!) 1969, trasmessa alla radio e trascritta (Carl Schmitt, Un giurista davanti a se stesso, Neri Pozza, 2005) – Schmitt torna sull’etimologia del termine confermando il significato di “membro di partito” (Parteigänger). Poiché, continua Schmitt: “qualsiasi pensiero politico comincia con un prender partito”. “Prender partito” è la traduzione di Parteinug: per quello la Teoria del Partigiano è, nell’idea di Schmitt, come evidenzia il sottotitolo, un’integrazione al concetto di politico. L’analisi schmittiana ha un afflato più filosofico-politico che storico in senso stretto. Ecco perché in questa Teoria la Resistenza europea ha un ruolo infimo: si passa direttamente dai primi partigiani delle guerre napoleoniche a Guevara, passando per l’esotico Mao. Per cui di partigiani non aderenti a partiti, o di altre vicende particolari della Resistenza europea, non vi è traccia. In attesa di un qualche prode che faccia la storia della parola partigiano e del suo uso, noi, comunque, continuiamo a odiare gli indifferenti perché, come finisce l’opera più bella di Slataper, vogliamo amare e lavorare.


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Published on November 14, 2013 12:40

November 11, 2013

Wu Ming Lab, la nostra officina di narrazioni

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Chi ci segue su Twitter avrà visto che, da qualche settimana, almeno una volta al giorno, cinguettiamo a proposito di Wu Ming Lab.

Ma poiché Twitter è uno strumento dispersivo, e 140 caratteri son pochi per spiegare un progetto, è venuto il momento di dedicare alla questione qualche riga in più.

Fin dalla sua nascita, tra le ragioni sociali della Wu Ming Foundation, c’è il “raccontare storie con ogni mezzo necessario”, coinvolgendo nel processo una vasta comunità, poiché raccontare, per noi, è un verbo che si coniuga al plurale.

Per questo, la nostra attività di cantastorie non è mai stata soltanto quella di produrre racconti: li abbiamo sempre anche smontati e rimontati in pubblico, criticati, messi in discussione, trasformati e accresciuti con il contributo di chi desideravacommentare, scrivere, rielaborare. E l’abbiamo  fatto con tutte le storie che ci sembravano interessanti, non solo con quelle che sceglievamo di maneggiare per i nostri romanzi.

Questo blog è diventato così anche un laboratorio di analisi delle “tossine narrative”, nel tentativo di costruire racconti alternativi ai miti tecnicizzati del potere.

Col tempo, questa caratteristica è diventata sempre più evidente, e abbiamo cominciato a ricevere inviti e proposte per tradurre in conferenze, workshop, seminari e corsi questa nostra attività “collaterale” – che in realtà è il cuore stesso di tutto il nostro lavoro.

A chiamarci per questo genere di interventi, il più delle volte, non sono soggetti strettamente interessati alla letteratura o alla scrittura, quanto piuttosto agli aspetti narrativi che si incontrano nelle più diverse discipline – dal fumetto al pubblicità, dal cinema alla ricerca storica – con un occhio particolare per l’attivismo sociale e politico.


In altre parole: non abbiamo mai tenuto corsi di scrittura creativa e non intendiamo tenerne in futuro. Quel che vogliamo fare, invece, è creare un luogo di formazione e discussione, dove la nostra “didattica di strada” trovi anche una casa, un riparo per l’inverno e la pioggia, un posto da dove ripartire. Non per interrompere il girovagare di questi anni, ma per dargli un approdo e una rampa di lancio.

Wu Ming Lab vorrebbe essere questo: una stanza dove incontrarsi e confrontarsi, dove convogliare la nostra esperienza di narratori e docenti (alla NABA di Milano, alla Scuola Internazionale di Comics, all’Università di Urbino…), dove continuare il lavoro intorno alle narrazioni che già portiamo avanti su Giap – con la differenza che in una stanza ci si può vedere, ascoltare, respirare.

E per sottolineare da subito che il Wu Ming Lab  è un posto dove si impara insieme, abbiamo scelto di non metterlo in piedi da soli, ma di chiedere aiuto al Laboratorio 41 di Daniele Bergonzi (vi ricordate la Compagnia Fantasma?). Una collaborazione che nasce da una forte sintonia sugli intenti di entrambi i progetti, ben al di là del semplice affitto della suddetta stanza e di un insostituibile aiuto in segreteria.

Questo spirito conviviale, significa anche che le iniziative del Wu Ming Lab non si limiteranno a corsi e seminari tenuti dai membri della Foundation, ma – come si suol dire – si avvarranno anche di altre proposte.


Intanto, il 14 dicembre, dalle 14.30 alle 18.30, saremo al Laboratorio 41 (in via Castglione, 41 a Bologna) per presentare con una “lezione zero” i tre per/corsi che partiranno a febbraio: Cantarchivio (a cura di WM2), Futbologia (a cura di WM3) e Sentieri della Terra di Mezzo (a cura di WM4).


Tutte le informazioni dettagliate sui singoli corsi, le date, i costi, i contatti e le prenotazioni, li trovate qui.


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Published on November 11, 2013 14:27

November 9, 2013

«Morti di fama», un pamphlet di Giovanni Arduino e Loredana Lipperini

Morti di famaQui su Giap non l’avevamo ancora segnalato, lo facciamo adesso. Sabato 2 novembre u.s., al Modo Infoshop di Bologna, Wu Ming 1 e Loredana Lipperini hanno presentato Morti di fama. Iperconnessi e sradicati tra le maglie del web (Corbaccio, 2013, € 12,90), scritto da Loredana medesima insieme a Giovanni Arduino. Un pamphlet tanto agile quanto utile e  importante in questa fase, soprattutto ora che Twitter ha fatto il nido in borsa.

La presentazione è stata ricca di storie, di dati, di spunti. WM1 ne ha approfittato per togliersi qualche sassolino dagli anfibi su una vicenda molto amplificata dai media fancazzisti la settimana scorsa, roba che riguardava Lou Reed, i consuetamente impresentabili Savoia e il compagno Gaetano Bresci, sempre vivo nei nostri cuori.

Per l’audio completo della serata – durata: un’ora e ventiquattro minuti – linkiamo Lipperatura, che a sua volta linka Radio Giap Rebelde. Commenti di là, grazie.

Nel mentre, ricordiamo che Morti di fama è anche un blog su Tumblr. Buon ascolto, buona lettura.


Rissa con gli anarchici sulla tomba di Lou Reed

«Rissa con gli anarchici sulla salma di Lou Reed: “Non capite un c…”» Chapeau a Libero – no irony! – per il titolo più bello sul non-evento (lo scambio di tweet col “principe”).


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Published on November 09, 2013 05:19

November 7, 2013

Haecceitas 1913 – 2013. Siamo tutti cent’anni di «Recherche». Con musiche di Luca Casarotti

cabourg


A rigore, prima di leggere e durante l’ascolto di questo post, bisognerebbe (ri)leggere quest’altro dell’aprile 2011:


Siamo tutti il febbraio del 1917, ovvero: A che somiglia una rivoluzione?


1913, 2013, 1917, 2011… Un intrico di date, ma la questione è semplice: tra pochi giorni, e precisamente il 14 novembre, ricorre un centenario. Il 14 novembre 1913 usciva Du côté de chez Swann, primo volume di Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust.


Due anni fa WM1 e WM2 tennero una doppia conferenza in due università del North Carolina

[Oggi entrambi i testi sono inclusi nel nostro ebook Giap. L'archivio e la strada (2013).]

WM1 e WM2 parlarono dei sommovimenti allora in corso (Tunisia, Egitto), ponendo due questioni: come si riconosce una rivoluzione? E come si racconta?


Nella sua relazione, WM1 parlò a lungo – con grande sorpresa dell’uditorio – di Proust. In particolare, si soffermò su una lunga, strabiliante sequenza - già analizzata da Jacques Rancière - di All’ombra delle fanciulle in fiore (secondo volume della Recherche).

Facendo leva sul concetto filosofico di «ecceità», solo in apparenza astruso ma in realtà piuttosto facile da comprendere, WM1 descrisse quelle pagine di Proust come un “super-tropo”, una super-figura retorica, gomitolo rotolante di fili multicolori corrispondenti a tutte le figure retoriche possibili, poi ne trasse svariate implicazioni, ci costruì sopra un’allegoria profonda (l’inizio di una Rivoluzione è la passeggiata delle ragazze sul lungomare di Balbec/Cabourg) e gettò un ponte tra il “super-tropo” di Proust e i “super-tropi” di Vladimir Majakovskij.


100 anni di Recherche 


Azzardato? Senz’altro. Eppure le descrizioni incasinate con “metafore miste” e giustapposizione di elementi eterogenei senza alcun rispetto per la gerarchia tra piccolo e grande, animato e inanimato, sono proprio ciò che Trotsky rimprovera al poeta georgiano nel suo testo – peraltro pregevolissimo – Letteratura e rivoluzione. E Majakovskij aveva un profondo rispetto per Proust. Tanto che, di passaggio a Parigi, volle andare al suo funerale.


Luca Casarotti al Moncalieri Jazz Festival, 2010

Luca Casarotti al Moncalieri Jazz Festival, 2010


Un giapster giovane ma di lungo corso, il pianista Luca Casarotti, lesse quel post e decise di… musicarlo. Ne nacque una composizione/improvvisazione in due parti, Haecceitas, ispirata alla descrizione della passeggiata sul lungomare. Luca la eseguì per la prima volta dal vivo alla Sala Greppi di Bergamo il 23 giugno 2011, col contributo fondamentale di Maurizio Lesmi al sax soprano. Oggi, in anticipo di qualche giorno sul centenario, vi offriamo queste pagine musicali proustiane. Live in Bergamo. Potete ascoltare in streaming gli mp3, ma è meglio ancora se scaricate in formato wav, per mantenere la migliore qualità del suono (Haecceitas.zip, 217 mega).


HAECCEITAS – PRIMA PARTE – 15’51″


HAECCEITAS – PRIMA PARTE – 15’51″


HAECCEITAS – SECONDA PARTE – 7’26″


HAECCEITAS – SECONDA PARTE – 7’26″


A seguire, le «Note per un’improvvisazione» spediteci da Luca più di due anni fa, e un testo scritto da WM1 durante l’ascolto, in un pomeriggio di primavera del 2012. Il tentativo era quello di rendere l’idea dell’ecceità, della singolarità e molteplicità di quell’esatto momento.



1.


La prima delle due tracce è risultata in una forma quadripartita. Ciascuna sezione è contraddistinta da un parametro musicale predominante, come mi ero prefisso nel preparare il mio contributo alla rassegna d’improvvisazione cui ho partecipato. Il primo movimento è caratterizzato da una cellula melodica di cinque note ascendenti, che trasporto su tutta l’estensione dello strumento (ad eccezione dei registri sovracuti), che ne costituisce il tema principale, da un secondo elemento tematico, pure melodico, ma questa volta improntato su due singole note discendenti poste a distanza di decima e da un terzo elemento di sviluppo, ricavato dall’armonizzazione politonale del tema pentatonico principale. Il secondo tema compare come prima idea, in apertura della traccia: dopo averlo esposto, passo all’introduzione del tema principale ponendolo in dialogo con quello precedente per poi aumentare il livello di tensione narrativa e dinamica con le armonizzazioni cui ho fatto cenno.

L’ispirazione per questo modus procedendi mi deriva dalla tecnica di scrittura impiegata da Arnold Schönberg nei 6 Klavierstücker, opus 19. Le armonizzazioni sono patrimonio comune di molti improvvisatori, Cecil Taylor tra gli altri, ciascuno con la propria voce peculiare: si parva licet, spero sia così anche per me.

Nella seconda sezione ho operato un contrasto dinamico rispetto alla prima, sostituendo un andamento essenzialmente frammentato al continuum che avevo mantenuto fino a quel momento utilizzando il pedale di risonanza. Qui è il parametro timbrico ad assumere carattere dominante. Mi sono infatti mantenuto costantemente nella porzione della tastiera corrispondente alle frequenze superiori i 500 hz ed ho impiegato un procedimento esecutivo a clusters, accentuando le dissonanze con il sollevamento degli smorzatori corrispondenti alle note che non ho suonato per far risuonare simpateticamente le corde corrispondenti. I precedenti di Kage, Berg e Nono sono quelli cui ho fatto riferimento per questa tecnica.

Nella terza sezione ho introdotto una pulsazione metronomica definita, che risultava invece assente in quelle precedenti, in cui la musica era essenzialmente libera nello spazio e priva di una connotazione ritmica stricto sensu. In questo movimento l’attenzione compositiva è infatti stata esclusivamente rivolta a questo parametro. Ho impiegato una serie di disegni ritmici asimmetrici che, cioè, non andassero a comporre cicli definiti (4/4 o 3/4 ad esempio), ma che fossero ciascuno dotato di una lunghezza variabile pur rimanendo tutti all’interno dello stesso tempo metronomico (all’incirca 160 battute per minuto). Si tratta di quel tipo di poliritmi che impiegava Elvin Jones nel costruire i suoi tappeti di batteria. In conclusione di sezione compare, quasi per inerzia, una certa connotazione armonica che ho sfruttato come ponte per procedere verso la fase conclusiva della suite. Questo quarto movimento risolve la tensione espressiva che ho cercato di creare sino a quel momento. Ho qui impiegato un’armonia più schiettamente tradizionale con una serie di modulazioni su diverse tonalità. Il risultato richiama alla mente cose jarrettiane e metheniane. Chiusura pop, certo. Niente da dire.


2.


Il secondo brano, improvvisato in duo con Maurizio Lesmi al sax soprano, è invece diviso in due parti. La prima è introdotta dal soprano che compie un lavoro melodico e suona un tema con note poste ad intervalli di quarta ascendente. Sul tessuto melodico intervengo con un ritmo su pulsazione, simile nella costruzione a quello adottato nella terza sezione del primo brano, ma questa volta con un piglio più “funk”: intendo nel tipo di intenzione, non nelle note scelte, che nulla hanno a che fare con quel tipo di idioma. Sono Ornette Coleman e ancora Cecil Taylor a fare capolino nelle pieghe della musica. La sezione che conclude l’intervento è giocata sul parametro timbrico. Il pianoforte mette in dialogo suoni del registro basso e di quello sovracuto con diverse intensità dinamiche (da piano a fortissimo). Ho accentuato il valore timbrico pizzicando talvolta con il polpastrello direttamente le corde. Il crescendo finale è condotto dal soprano in una sorta di reminiscenza delle esplorazioni sulla respirazione circolare fatte da Evan Parker.



Haecceitas di Luca Casarotti è una riflessione in musica su questo momento. Aghi di pino. Di cosa è fatto un momento?  Un mazzetto di lavanda per confondere, far perdere la traccia agli insetti. Cosa rende il momento questo, quando stacchi il pilota automatico della giornata da-mane-a-sera e ti fermi a pensare che ci sei? Cinque formiche nello spazio compreso tra due ciuffi d’erba, le loro traiettorie sembrano casuali ma c’è un confine non visibile oltre il quale non si spingono. L’ecceità è l’unicità molteplice del momento, l’interazione di tutti gli elementi percepiti nel loro gioco. Grani di pepe, minuscole pozzanghere d’aceto, un monticello di polvere di caffè, un manto di foglie di pomodoro triturate: sono i residui di un tentativo ecologicamente non troppo scorretto di allontanare le formiche dal giardino. A volte la musica ci fa avvertire l’ecceità dell’istante, ed è un paradosso, perché la condizione per avvertire l’ecceità è scordarsi che la musica è musica, ovvero scansione, divisione del tempo in misure, organizzazione di un avvicendarsi di suoni, compromesso tra movimento lineare e movimento ciclico. Le cinque formiche fanno lo slalom tra gli odori che detestano. L’ecceità stessa è un paradosso, perché il linguaggio è inadeguato a descriverla: un singolo, irripetibile momento avvertito nella sua pluralità, nel suo brulicare di differenze. Tutto ciò è inquadrato con lo sguardo rasoterra, ad altezza di gatto mezzo appisolato ai piedi del pino, tra gli aghi. C’è singolarità del momento, ma il momento è nel divenire, nella progressione che altera gli equilibri. Il gatto non è del mondo delle formiche, e nemmeno del mondo dell’umano che tenta di scacciarle. I vari elementi che giocano insieme per rendere il momento questo (haec) e non altri – non quello prima, né quello dopo, né quello percepito dalla persona accanto a me – giocano insieme adesso, in questo preciso battito di ciglia, e all’istante cambia tutto, arrivano nuove immagini, nuovi suoni e profumi (o puzze), il pensiero corre lungo altre vie di sinapsi. Il gatto è in un terzo mondo, non comprende né si cura della lotta in corso in questo preciso attimo, questo attimo uguale a nessun altro. Forse la musica improvvisata si presta maggiormente a «fotografare» l’istante, ma se ascoltiamo una registrazione, allora non si tratta più dell’istante in cui viene improvvisata, ma di quello in cui viene ascoltata. Il gatto se lo gode, vive nella singolarità, interessandosi dei suoni e odori tutt’intorno. Noi sappiamo che la musica che ci entra nelle orecchie è stata improvvisata, e questo momento si concatena a quel momento. Il gatto ama in particolare le frequenze sopra i cinquecento hertz, anche se nel suo mondo non esiste il cinquecento (il concetto di «cinquecentità») e non c’è alcuna misura in hertz. Io sono qui, Haecceitas è la colonna sonora dell’istante, ma l’istante è fatto anche di pensiero che corre al 23 giugno 2011, una sala di Bergamo, un pianoforte, un sassofono. A poca distanza dal giardino, una specie di ticchettio zoppo: sarebbero centosessanta battute nell’ultimo minuto, se nei mondi del gatto e delle formiche nervose esistessero la divisione in minuti e la centosessantità. Il sole è alto ma velato dalla cappa di umidità che veleggia sul paesino. Che cos’è quel ticchettio? E’ la lamella allentata di una veneziana mossa dal vento.

Più tardi, nel pomeriggio, il gatto non è più al suo posto, le formiche non si vedono, la miscela di odori a esse sgradite, pepe aceto caffè pomodoro e lavanda, non dispiace alle narici dell’umano, si avverte un equilibrio nelle essenze (e dunque nell’offensiva contro il formicaio), non vi è stata esagerazione. Adesso una radio è accesa, ma dalla veranda si sente appena. Tappeti orientali di voci. [WM1]


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Published on November 07, 2013 06:20

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Wu Ming 4
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