Wu Ming 4's Blog, page 109

October 12, 2013

#NemicoPubblico, seconda edizione! Featuring @zerocalcare

Daje Zero Calcare!

La vignetta di Zerocalcare che apre la nuova edizione di Nemico Pubblico.


Tempo di seconde edizioni: in istampa la seconda edizione di Point Lenana, già in circolazione la seconda edizione di Nemico Pubblico. Pecorelle, lupi e sciacalli.

Nemico Pubblico è il libro No Tav che ci vede tra gli autori e racconta la storia di uno dei più nauseabondi linciaggi mediatici degli ultimi anni. Per questo, ha già fatto incazzare un sacco di gente.


Nella versione arricchita e aggiornata la copertina è un po’ diversa:


Nuova copertina Nemico Pubblico


Poi ci ha messo lo zampino il compagno Zerocalcare con la vignetta che vedete quissopra (*), poi ci trovate un compendio di cos’è successo a Marco Bruno negli ultimi tempi (perché non si finisce mai davvero di sbattere il “mostro” in prima pagina, o almeno di provarci), infine c’è una favola scritta da due giovanissime No Tav, Matilde e Micol, 13 e 11 anni. Perché noi – lo sanno tutti – siamo di quelli che plagiano i bambini, e dovete ammettere che è un passo avanti: una volta li mangiavamo.


Oggi, domenica 13 ottobre 2013, h. 15, il comitato Spinta dal Bass, Marco Bruno e Wu Ming 1 presenteranno Nemico Pubblico al centro polivalente di Villar Dora (TO), via Pelissere 16.

Il 25 ottobre Spinta dal Bass presenterà il libro al centro sociale Pacì Paciana di Bergamo. Il centro sociale è in via Grumello 61 (in alcuni navigatori il nome è “Via per Grumello”).

Il 26 ottobre Marco Bruno presenterà il libro a Roma, allo spazio autogestito Casetta Rossa, via Magnaghi 14 (Garbatella).


Come sempre, per ordinarlo basta scrivere a postmaster@spintadalbass.org. Costa 10 euro e vanno tutti nel fondo per le spese legali dei No Tav colpiti dalla repressione.


–* Interessante confrontarla con quella che disegnò Makkox il 29 febbraio 2012.

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Published on October 12, 2013 11:35

October 5, 2013

Vo Nguyen Giap, nome dei dannati della terra

Vo Nguyen Giap

Vo Nguyen Giap (Cent’anni nel 2011 – RIP 2013)


“Sia chiaro: per noi “Giap” non è tanto la Grande Personalità, il Nome Famoso, l’Eroe, il “battilocchio” la cui contemplazione distoglierebbe lo sguardo dai processi collettivi e di lungo corso. Al contrario, per noi “Giap” è molteplicità, “Giap” sta per le miriadi di persone che, ciascuna a suo modo, hanno contribuito alla decolonizzazione, alla lotta planetaria contro razzismo e colonialismo, alla presa di coscienza degli spossessati di vaste aree del mondo. Per noi “Giap” è il secolo, la parte del XX secolo che vale la pena continuare a interrogare, con spirito critico ma senza revisionismi cialtroneschi. Né replicare né rinnegare, assumersi la responsabilità del phylum che ci porta all’oggi, senza affannarsi a strappare pagine dall’album di famiglia per paura che le vedano gli sbirri della memoria. Vengano pure a perquisirci: noi non abbiamo vergogne.” (Cent’anni di Vo Nguyen Giap, 2011)


***


[Dal capitolo 32 di: Vitaliano Ravagli - Wu Ming, Asce di guerra, 2000:]


Nell’ottobre del 1952 due divisioni del Vietminh occupano un villaggio Tai nella regione di Lai Chau, sul confine tra Laos, Cina e Tonchino settentrionale.

Il villaggio sorge in una valle lunga venti chilometri e larga undici, tagliata in due dal fiume Nam Yum, ed è appena stato evacuato da un battaglione laotiano collaborazionista. Nella lingua dei Tai si chiama Muong Thanh, ma i vietnamiti lo conoscono come Dien Bien Phu.

Da qualche mese il generale Giap sta pensando di passare il confine ed entrare in Laos, dove le guarnigioni francesi sono quasi tutte isolate e vulnerabili, a parte quelle di stanza a Vientiane e Luang Prabang. Giap non vuole impossessarsi del Laos, bensì provocare e intrappolare i francesi lungo il confine, dove le loro linee di rifornimento sono precarie.

Nell’aprile 1953 Giap penetra in Laos. E’ un’offensiva in grande stile: le divisioni Vietminh passano vicino alle fortificazioni francesi nella Piana delle Giare, cosparsa di monumenti funerari preistorici, e puntano su Luang Prabang, dove i cittadini sono stati allertati da un chiaroveggente cieco. Ma a un certo punto, per non farsi sorprendere dai monsoni, l’esercito di Giap ripiega e torna in Vietnam. Ha dimostrato di poter entrare nel Laos quando vuole, e può sempre riprendere l’affondo con la stagione secca.

I francesi si convincono che Dien Bien Phu è il punto strategico in cui bloccare l’offensiva Vietminh contro il Laos.


A maggio, il generale Salan viene sostituito dal generale Henri Navarre, ufficiale di carriera, reduce delle due guerre mondiali, che si dichiara ottimista sulle sorti del conflitto e proclama: «Vediamo chiaramente la vittoria come la luce in fondo a un tunnel.»

Navarre pensa di avere una missione: impedire a ogni costo l’invasione del Laos.

Il sottoposto di Navarre è René Cogny, lauree in legge e scienze politiche. Un altro consigliere è il colonnello Louis Berteil. Questo trittico di cervelli partorisce un piano ambizioso: prendere Dien Bien Phu e stabilirvi il punto d’appoggio per sfondare le retrovie di Giap.

A luglio, Navarre va a Parigi e sottopone il piano al primo ministro Joseph Laniel.

Il 28 ottobre, il Laos firma un trattato di alleanza e associazione con la Francia, che ne riconosce l’indipendenza e s’impegna a rispettarne la sovranità “in seno all’Unione Francese”.

La firma del trattato rafforza l’idea che il Laos vada difeso a ogni costo.

Nel frattempo, Navarre è tornato in Indocina, e dà inizio alla cosiddetta “Operazione Castoro”: cinque battaglioni francesi conquisteranno Dien Bien Phu.

Il colonnello Jean-Louis Nicot, capo dei trasporti aerei in Indocina, ammonisce che il cattivo tempo potrebbe ostacolare le operazioni. Nel frattempo, anche Cogny ha maturato dei dubbi e dice che Dien Bien Phu potrebbe diventare “un tritacarne”.

Navarre ormai è partito per la tangente, non sente ragioni, è convinto che il Vietminh non sarà in grado di fronteggiare un attacco su vasta scala.


In realtà, grazie a una serie di diversivi, Giap ha creato l’impressione che il grosso delle sue divisioni sia impegnato altrove: attentati ai convogli francesi sulle tratte che collegano il porto di Haiphong all’interno del paese, e ripetute incursioni nel Laos meridionale (“il manico della padella”). Giap sta preparando uno “scacco matto”: con la strategia degli attacchi sparsi blocca il Corpo di Spedizione francese in diverse regioni, e fa sì che non si possa fortificare un singolo punto senza sguarnirne un altro. Nel frattempo, i distaccamenti Vietminh si organizzano intorno a Dien Bien Phu.

Sa che i francesi si troveranno in posizione svantaggiosa, isolati, dipendenti dai rifornimenti aerei, mentre i suoi uomini si apposteranno sulle montagne che sovrastano la vallata, e potranno ricevere armi e rifornimenti dalle retrovie.


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Il 20 novembre 1953, sei battaglioni del Corpo di Spedizione si paracadutano nella valle di Muong Thanh, e vi si insediano.

Al comando delle operazioni c’è un ufficiale di cavalleria, Christian Marie Ferdinand de la Croix de Castries, donnaiolo aristocratico, di discendenza militare fin dalle Crociate.

Nel frattempo tra i leader delle grandi potenze matura la convinzione che il conflitto in Indocina possa essere ricomposto, come è appena successo in Corea.

Stalin è morto da poco, e la nuova dirigenza sovietica vorrebbe attenuare le tensioni internazionali.

L’opinione pubblica francese è stanca della sale guerre, la sporca guerra, e preme su Laniel perché cerchi “una soluzione onorevole”.

I comunisti cinesi, al potere da soli quattro anni, sono ansiosi di svolgere un importante ruolo internazionale, per proporsi in chiave “moderata” e ottenere il riconoscimento dei paesi europei. Zhou Enlai, primo ministro, è dell’opinione che, cacciati i francesi, arriveranno a premere sul confine meridionale i ben più temibili americani, che non riconoscono la Cina popolare. Zhou è per concedere ai francesi un ruolo nelle loro ex-colonie del sud-est asiatico, anche scavalcando il Vietminh.

Tutt’altra tendenza manifestano gli usa: John Foster Dulles, segretario di stato di Eisenhower, insiste sulla linea del “contenimento” del comunismo, pensa che in Corea la partita sia ancora aperta nonostante la “tregua”, preme sui francesi perché rimandino ogni iniziativa diplomatica e migliorino le loro posizioni in Indocina. Concede loro un prestito di 500 milioni di dollari. I francesi accettano i soldi ma rimangono scettici sulla prosecuzione a oltranza del conflitto.


Nemmeno Ho Chi Minh è convinto che sia già il momento di trattare: preferisce piegare l’opinione pubblica francese e imporre lui le condizioni. Ma deve tenere conto delle esigenze cinesi: dopotutto, il Vietminh si avvale di consiglieri militari inviati da Pechino, e molti guerriglieri vietnamiti si sono addestrati in campi cinesi. Soprattutto, Zhou Enlai ha fornito al Vietminh cinquantamila tonnellate di materiali militari e vettovaglie. Infine, se la Francia ha paura è anche grazie ai duecentomila soldati cinesi schierati a ridosso del confine col Vietnam.

Il 29 novembre 1953 Ho Chi Minh comunica al mondo la sua disponibilità a porre fine alla guerra “con mezzi pacifici”.

Ma intanto s’avvicina lo scontro finale.


I francesi hanno già perso prima di combattere. La disfatta matura nel loro Quartier Generale di Saigon: Navarre non ha capito niente della strategia e del potenziale bellico di Giap, e non prende in considerazione alcuna ipotesi che non si adatti ai suoi preconcetti.

Secondo Navarre, Giap non può contare su ingenti forze, quindi si rifiuta di spostare i grandi distaccamenti francesi dal Vietnam centrale a Dien Bien Phu.

Ma Giap ha trascorso più di tre mesi a schierare gli uomini. A partire da novembre, da quando i parà francesi si sono sistemati nella valle, Giap sposta verso Dien Bien Phu trentatre battaglioni di fanteria, sei reggimenti di artiglieria e un reggimento del Genio. Alcuni di questi spostamenti durano 7-8 settimane, i soldati attraversano a piedi montagne e giungle, marciano di notte e dormono di giorno per evitare i bombardamenti.

All’inizio del ’54, a Dien Bien Phu ci sono cinquantamila combattenti vietnamiti, più altri ventimila lungo le linee di rifornimento. Invece i francesi sono tredicimila, metà dei quali sono nord-africani o indocinesi lealisti, poco e male addestrati al combattimento. Il resto sono quasi tutti legionari.

Navarre non crede che Giap possa disporre di un’artiglieria, figurarsi di una contraerea. Ma l’artiglieria è stata trascinata a mano o portata in bicicletta, un’impresa titanica. Il Vietminh dispone di ventiquattro obici da 105 mm., tutti di fabbricazione statunitense, trofei di guerra della Corea.

Navarre crede di poter usare i carri armati, che invece verranno bloccati dalla fitta boscaglia e, durante le piogge monsoniche, affonderanno in profondi acquitrini.


Insomma, l’esercito francese si trova soverchiato in un rapporto di cinque a uno, intrappolato in un buco di culo fangoso, cannoneggiato dalle colline circostanti (impossibilitato a contrattaccare perché le postazioni Vietminh sono perfettamente mimetizzate) e soprattutto isolato, senza possibilità di ricevere vettovaglie né di evacuare i feriti, perché gli obici di Giap devasteranno la pista d’atterraggio, bloccando tutti i voli in entrata e in uscita.

Come aveva predetto Cogny, Dien Bien Phu sarà “un tritacarne”.


Poco prima dell’alba del 13 marzo, l’assedio si trasforma in attacco. Gli obici aprono il fuoco, sorprendendo e paralizzando i francesi.

Castries ha fatto costruire quattro basi d’artiglieria, battezzate coi nomi di sue ex-amanti: Gabrielle, Anne-Marie e Béatrice sul lato nord della valle, Isabelle sul lato sud.

Giap scaglia la sua “onda umana” contro Gabrielle, Anne-Marie e Béatrice. Isabelle è troppo lontana per aprire un fuoco di copertura, inoltre è difesa da un terzo dell’intera forza francese, che non osa spostarsi nel timore di un altro attacco. Béatrice cade immediatamente, Gabrielle e Anne-Marie il giorno successivo. La pista d’atterraggio è completamente distrutta dagli obici.


Charles Piroth

Charles Piroth


Il vicecomandante francese, colonnello Charles Piroth, esperto di cannoni con un braccio solo, aveva dichiarato: «Nessun cannone Vietminh riuscirà a fare fuoco tre volte prima di essere distrutto dalla mia artiglieria.» All’alba del 15 marzo, Piroth stacca con i denti la linguetta di una bomba a mano e si fa saltare in aria. La sera prima lo hanno sentito dire: «Sono completamente disonorato.»


Quella dell’onda umana è una tattica tipica della guerra di Corea, e infatti l’hanno suggerita due consiglieri cinesi, Wei Guoqing e Li Chenghu. E’ una tattica costosissima in termini di vite umane, lo stesso Mao è contrario a ricorrervi. La forza di un esercito popolare dipende dalla coscienza politica di ogni singolo combattente, ciascun uomo è importante, non lo si può usare come carne da cannone.


Nei primi tre giorni di assalto, il Vietminh conta 2000 morti e 7000 feriti.


Giap decide di interrompere l’offensiva, lasciar perdere i suggerimenti dei cinesi e passare a una “strategia di attrito”. Nelle settimane seguenti, fa scavare gallerie e trincee fino a circondare la guarnigione francese con centinaia di chilometri di passaggi sotterranei.

Quest’impresa non sarebbe possibile senza l’impegno di 33.500 dân công (patrioti operai). Con più di 2700 biciclette modificate (chiamate xe thô), quasi altrettante giunche e più di 17.000 cavalli, i  dân công portano al fronte ventimila tonnellate di riso, oltre a munizioni e beni di prima necessità. E’ grazie a questa mobilitazione che Giap può fare attrito . Tra il gennaio e il maggio del ’54, i  dân công contribuiranno alla causa anti-francese con cinque milioni di giornate di lavoro.


Formiche rosse


Si avvicinano le piogge monsoniche, e i francesi sperano che il Vietminh affogherà nel fango. Succede il contrario: le nuvole basse impediscono all’aviazione francese di bombardare le retrovie di Giap e ostacolano i lanci di rifornimenti ai francesi assediati. A parte il problema di visibilità, c’è anche la contraerea Vietminh, che costringe gli aerei a volare troppo alti, così i lanci sono sempre più imprecisi. Molte vettovaglie, munizioni e, in almeno un caso, informazioni segrete destinate ai francesi assediati, atterrano in pieno territorio Vietminh.

Nel frattempo, molti indocinesi, e persino qualche regolare francese, disertano il Corpo di Spedizione. I legionari li chiamano, spregiativamente, “i sorci del Nam Yum”, perché spesso, al momento di fuggire, guadano il fiume portando con sé i viveri appena paracadutati.


E’ il momento dell’extrema ratio: il governo francese chiede aiuto agli americani. L’ammiraglio Arthur Radford propone che sessanta bombardieri B-29, scortati da cacciabombardieri della Settima Flotta USA, decollino dalle Filippine e facciano incursioni notturne contro il perimetro Vietminh intorno alla valle. Il progetto ha un nome: “Operazione avvoltoio”.

Il generale Paul Ély, capo di stato maggiore francese, comunica la notizia al suo governo, comprensibilmente contento. Ma il capo di stato maggiore americano, Matthew Ridgway, è contrario a un coinvolgimento diretto sul fronte asiatico: ancora scottato dalla Corea, teme l’intervento dei cinesi e l’ipotesi di dover spostare in Vietnam dalle sette alle dodici divisioni, distogliendole da altri settori strategici.

Il presidente Eisenhower è d’accordo con lui e rinvia la decisione al Congresso e agli Alleati. Senza il loro appoggio non intende muovere un dito.

Benché il vicepresidente Nixon e il segretario di stato Dulles facciano pressioni sui parlamentari, il Congresso non dà l’autorizzazione.


Nel frattempo, un gruppo di studio del Pentagono conclude che tre armi atomiche tattiche, “opportunamente impiegate”, sarebbero sufficienti ad annientare il Vietminh. Radford è entusiasta di quest’idea e spinge perché la si proponga ai francesi. Secondo alcune fonti, lo stesso Dulles è favorevole all’ipotesi atomica, ma i vertici del Dipartimento di stato non solo sono contrari, ma terrorizzati anche solo dall’eventualità che circoli una voce del genere. Un anonimo funzionario ammonisce: «Se la vicenda trapelasse, scatenerebbe un gigantesco grido di disapprovazione in tutti i parlamenti del mondo libero.»


La guarnigione francese a Dien Bien Phu è ormai condannata, e con essa il dominio coloniale francese in Indocina. Tutti lo sanno, ciò che conta è limitare i danni. E’ l’ora dei negoziati.

Si fissa per l’8 maggio l’avvio della conferenza di Ginevra sul problema dell’Indocina, a cui parteciperanno delegazioni di Francia, Stati Uniti, URSS, Cina, oltreché, naturalmente, del Vietminh.

Con sorprendente tempismo, Giap espugna Dien Bien Phu il 7 maggio. L’assedio è durato cinquantacinque giorni. Dalla parte dei francesi, si contano 1.142 morti, 4.436 feriti e 1.606 dispersi. Le perdite del Vietminh  ammontano a 7.900 morti e più di 15.000 feriti.

A Ginevra, si comincia a discutere.


LINK


Vo Nguyen Giap, Guerra del popolo, esercito del popolo (1968), con prefazione di Ernesto “Che” Guevara



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Published on October 05, 2013 00:50

September 30, 2013

Speciale #PointLenana: Alto Adige, Trento e Trieste, Internazionale, video, recensioni

Point Lenana sullo Chaberton

Point Lenana sul Monte Chaberton, Alpi Cozie, 3131 mt. Grazie a Luigi per avercelo portato. Clicca per ingrandire.


Nuovo speciale su Point Lenana e tutto quel che lo circonda e accompagna.

Nella scorsa puntata abbiamo definito il tour (de force) “un’opera transmediale” che vive di vita propria e prosegue il libro con altri mezzi. Dov’è passato, il tour ha stimolato riflessioni, ed è così che Flavio Pintarelli, poco prima, durante e dopo la tappa bolzanina e il pellegrinaggio laico in Vallunga sulle orme di Emilio Comici, ha scritto il testo che vi proponiamo, una dérive nell’eredità architettonica fascista in Alto Adige, con interrogativi sull’uso pubblico della memoria che non riguardano solo quella zona ma tutto il Paese.

L’appena menzionata Vallunga compare in una delle fotografie che illustrano questo post e, come sempre, documentano la prassi di portare in montagna una copia di Point Lenana e fotografarla tra le rocce, per poi mettersi in posa come Fred Astaire e Ginger Rogers nella copertina.

Copertina senz’altro eterodossa, che a molti è piaciuta ma ha anche attirato critiche, come sentirete nell’audio della presentazione trentina del 6 settembre, una delle più dense e intense da quando WM1 si è messo in viaggio.

“Trento e Trieste”. La toponomastica irredentista ha giustapposto le due città in modo talmente insistente che ancora oggi qualcuno le crede vicine. Per la cronaca, distano l’una dall’altra 185 km in linea d’aria e 326 in automobile. Percorriamoli e spostiamoci nell’unico capoluogo di provincia italiano sito al di là dell’Adriatico. In questo speciale la storia triestina è molto presente:

- è al centro della discussione avvenuta in via Diaz, di fronte alla libreria “In Der Tat”, il 31 agosto scorso, della quale proponiamo un lungo stralcio audio (o meglio, ve lo propone Lo.Fi. sul tumblelog dedicato a Point Lenana);

- è la sostanza stessa del “videomessaggio” (ehm…) girato da WM1 al giardino Pubblico “Muzio de Tommasini” e pubblicato sul sito di Internazionale;

- infine, permea il report critico di Claudia Cernigoi appena apparso su Carmilla, riguardante l’ultima “novità” del panorama politico triestino: un movimento neoindipendentista di massa. Mettiamo “novità” tra virgolette perché, a Trieste più che altrove, nulla sembra mai accadere per la prima volta, persino quando non è mai accaduto prima. Segnaliamo l’articolo di Cernigoi, che sarà seguito da altri contributi, per mostrare come la storia narrata in Point Lenana continui a plasmare l’oggi a ogni livello, nutrendo un movimento che si dice “né-né” e ha appena uno o due gradi di separazione rispetto a soggetti che più bruni (nel senso del colore della camicia) di così non potrebbero essere. Il passato non è alle nostre spalle, ma sulle nostre spalle.

Chiudiamo lo speciale con un video quantomeno bizzarro: una cronaca dada-escursionistica dell’ascesa al Monte Vettore, nel gruppo dei Sibillini, organizzata dalla Cooperative Risorse feat. Wu Ming 1, con presentazione di Point Lenana al rifugio Forca di Presta. Rifugio che quel giorno, per una coincidenza, era pieno zeppo di alpinisti sloveni!

Buona lettura.

P.S. Ricordiamo che il tour prosegue, qui il calendario fino a fine ottobre.



Reading Point Lenana in Alto Adige: urbanistica, architettura e  colonialismo

-

di Flavio Pintarelli



«I muri fanno il nido nel cuore e nella testa: si ereditano come il dna e sono contagiosi.»


Maria Nadotti, Addio a Berlino 1



Se mi chiedessero di indicare la frase che meglio racchiude il senso del colonialismo fascista probabilmente non sceglierei un discorso del Duce e neppure la strofa di una delle molte marcette che accompagnarono le avventure coloniali del regime. Sceglierei invece questa frase scritta in lingua latina: “Hic patriae fines siste signa. Hinc ceteros excoluimus lingua, legibus, artibus”.


Che tradotta recita “In questo luogo abbiamo posto i confini della patria. In questo luogo abbiamo colonizzato gli altri con la lingua, le leggi e le arti”. Gli altri ovvero i barbari come suggeriscono gli strumenti della colonizzazione, ovvero “la lingua, le leggi e le arti”.


Ma chi sono questi altri? A chi è rivolta questa frase? E soprattutto da dove è tratta?


La frase in questione campeggia sul frontone del Monumento alla Vittoria di Bolzano, propio ai piedi del bassorilievo raffigurante la “Vittoria saettante” realizzato dallo scultore Arturo Dazzi. Questo distillato dello spirito colonialista del Fascismo non si trova dunque nelle terre d’oltremare ma entro i confini d’Italia, quei confini che la Prima Guerra Mondiale disegno sulla cartina d’Europa dopo quattro interminabili anni di conflitto di posizione.


Hic Patriae Fines


Chi ha letto Point Lenana sa che uno dei piani che il libro di Wu Ming 1 e Roberto Santachiara intreccia nella narrazione della vita di Felice Benuzzi è quello del colonialismo italiano che ebbe durante il Fascismo (ma non solo) una duplice declinazione: esterna e interna.


Il colonialismo interno – che ebbe luogo nelle terre irredente che l’Italia riuscì a strappare all’Austria dopo il voltafaccia nella Grande Guerra – vestì i panni dell’italianizzazione forzata delle popolazioni autoctone (sloveni nella Venezia Giulia e tirolesi in Alto Adige) e non fu meno violento del colonialismo esterno. Anzi si può tranquillamente dire che tra i due progetti coloniali ci fossero ampi e documentati tratti di continuità nei metodi e nelle finalità.


Che Trieste sia uno dei luoghi attorno a cui s’irradia la scrittura di Point Lenana non è un caso. Il primo motivo è semplice: proprio nel capoluogo giuliano crebbe e si affermò come uomo e alpinista Felice Benuzzi e non sarebbe possibile ricostruirne la vicenda senza metterne in luce il carattere. Un carattere fortemente influenzato dalla cultura cosmpolita dell’Impero Austrungarico nella quale Benuzzi era stato cresciuto ed educato.


Quella cultura che il Fascismo cercò di estirpare, inizialmente ricorrendo alla violenza squadrista e poi affiancandole, dopo la presa del potere, la gestione della vita delle persone attuata attraverso i sistemi legislativi, le ordinanze e i regolamenti: dispiegando perciò in questo modo l’ordine del discorso colonialista su quel territorio; e questo ovviamente è il secondo motivo.


Chi scrive è nato, cresciuto e attualmente vive in Alto Adige, per la precisione a Bolzano; una città e una regione che, come già ho avuto modo di dire sopra, condividono la condizione di colonie interne del Regime a cui anche Trieste e i territori limitrofi vennero destinati.


Il modo in cui Point Lenana inquadra il rapporto che il Fascismo ebbe nei confronti delle terre irredente annesse all’Italia è importante per capire quanto le dinamiche sociali e politiche in quel periodo fossero legate e connesse e non possano essere lette senza tenere conto di questi legami.



«L’Africa e Trieste. Colonialismo e irredentismo giuliano. La vicenda di Benuzzi è a cavallo tra due mondi che hanno molto a che fare l’uno con l’altro. anzi, sono l’uno il presupposto dell’altro.»



È a partire dalla lettura di Point Lenana che ho cominciato a riflettere sul fatto che r ispetto a quanto il libro racconta del rapporto tra il Fascismo e Trieste il caso bolzanino presenti un aspetto che pur nella continuità di logiche e discorsi lo rende peculiare .


Uno delle caratteristiche distintive del colonialismo si esprime nell’intervento sul territorio, sul paesaggio, sugli edifici e sui luoghi. Intervento che si traduce immediatamente in una “micro gestione del vivere quotidiano”. Basti pensare a Littoria (oggi Latina) la città sorta dalle paludi dell’Agro Pontino come immagine stessa del Regime, oppure alla narrazione tossica che vuole gli italiani in Africa alacri costruttori di strade e infrastrutture in genere. Brutalität in Stein, così i registi tedeschi Alexander Kluge e Peter Schamoni definiscono – con formula alquanto fortunata – questa caratteristica, usando la formula come titolo per il loro cortometraggio sulle architetture nazionalsocialiste.



La presenza fascista in Alto Adige si lega a doppio filo con la storia dello sviluppo urbanistico e architettonico della città di Bolzano che si rivela perciò essere una straordinaria lente attraverso cui leggere tanto il discorso colonialista, quanto quello fascista.


In questo post vorrei presentare un’analisi dei principali interventi urbanistici che il Fascismo ha operato a Bolzano tra il 1925 e il 1943 (anno in cui, in seguito alla destituzione di Mussolini, l’Alto Adige venne occupato militarmente dalle forze armate del Terzo Reich), soffermandomi con particolare attenzione su due monumenti dal respiro apertamente colonialista per poi concludere il ragionamento facendo riferimento al ruolo che questi monumenti ricoprono nel presente e alle problematiche che pongono a chi alla militanza antifascista affianca la tensione alla conservazione del patrimonio storico-artistico nazionale.


In questo modo spero di fornire strumenti utili alla comprensione di uno degli aspetti che più caratterizzano il discorso colonialista e la sua peculiare declinazione nell’idioma del Fascismo.


Dal “piccone risanatore” all’“estetica regolatrice”: urbanistica fascista a Bolzano

Nel corso della sua storia la città di Bolzano ha conosciuto cinque importanti periodi di sviluppo cittadino che ancora oggi danno alla città il suo aspetto: il primo Medioevo, il tardo Medioevo, il periodo compreso tra il 1880 e il 1924, il periodo fascista dal 1925 al 1943 e infine gli anni sessanta e settanta.


È significativo notare come fino all’avvento del Fascismo la città non sia mai stata un centro di potere politico o spirituale. Stretta a ovest dai domini dei Conti di Tirolo, a sud e a est dalle sedi vescovili di Trento e Bressanone, Bolzano fu per secoli soltanto una città mercantile le cui fortune si alternarono nel corso del tempo. La via Portici, l’antico decumano, rappresenta ancora oggi il cuore della città ed è non a caso una via commerciale che con sempre maggiore fatica resiste alle logiche omologanti che molti altri centri storici stanno subendo da una ventina d’anni a questa parte.


L’attenzione del Fascismo nei confronti dell’Alto Adige fu estremamente precoce. Cominciò un anno e mezzo prima della Marcia su Roma, il 24 aprile del 1921. Quel giorno, conosciuto come Bozner Bluttsonttag (domenica di sangue bolzanina), squadristi da ogni parte d’Italia calarono su Bolzano terrorizzando la popolazione e uccidendo, tra le mura di palazzo Stillendorf, il maestro Franz Innerhofer.


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Poco dopo la presa del potere, «a partire dal 1923 risultano formalizzate le prime indicazioni per il controllo etnico e sociale, dirette ad arginare le espressioni più significative della tradizione tedesca e, al contempo, a legittimare l’associazione all’Italia come frutto di continuità storica» .


Non credo sia sbagliato notare che, probabilmente, uno dei motivi che spinsero il Regime a scegliere Bolzano come centro della propria presenza in Alto Adige sia stata la storica assenza di un centro di potere precedente. Il Potere e il suo discorso si esprimono sempre anche attraverso l’architettura e l’urbanistica, e non dover competere con altre simili espressioni di potere potrebbe aver rappresentato per il Fascismo un vantaggio strategico nell’attuare il proprio programma di italianizzazione dell’Alto Adige. Un programma che si espresse anche nell’articolato intervento di ampliamento di Bolzano


Tuttavia la città fu scelta anche per altri motivi, uno di questi è la sua romanità. Sebbene le fonti più attendibili facciano risalire la fondazione della città al 1180 la Tavola Peutingeriana del IV secolo riporta che nel 15 a.C. il generale Druso detto il Germanico, figlio della terza moglie di Augusto, mosse alla conquista della Alpi e costruì un accampamento detto Pons Drusi (il ponte di Druso) che “si ritiene possa collocarsi nell’attuale area bolzanina” (Wikipedia).


Il Fascismo non si fece scappare l’occasione di riprendere e tecnicizzare la vicenda del generale Druso a suo uso e consumo. Vennero lanciate numerose campagne di scavo archeologico per riportare alla luce resti che attestassero la presenza romana nella regione e, soprattutto, gli interventi architettonici monumentali vennero realizzati con uno stile anticheggiante per sottolineare questa continuità e la città di Bolzano venne soprannominata “sentinella d’Italia” in memoria del condottiero che aveva pacificato i confini.


Nella realizzazione della “Bolzano italiana”, progetto che ebbe inizio dopo l’assimilazione del comune di Gries al comune di Bolzano (progetto “Grande Bolzano”), il regime si trovò di fronte a due istanze. Innanzitutto doveva realizzare degli interventi che ne esprimessero l’immagine e che avessero la forza di cancellare le influenze che la cultura tedesca aveva espresso nel corso della Storia; con un particolare astio nei confronti del Gotico come “significazione di dominio straniero sulle anime e sulle coscienze” . In questo modo avrebbe potuto affermare con la forza evidente delle Pietre il dominio italiano sulla regione. Dall’altra parte il Fascismo doveva dare vita a interventi di carattere funzionale che permettessero di portare la popolazione cittadina da 55.000 a 100.000 abitanti.


Ogni colonia ha infatti bisogno dei propri colonizzatori e per dare ulteriore impulso all’italianizzazione dell’Alto Adige il Regime decise di “favorire” l’immigrazione verso le nuove terre a partire dagli anni Venti e poi, con maggiore consistenza, dopo il 1935 in seguito all’industrializzazione.


Non si trattò di fenomeni spontanei e questi flussi migratori delineano un quadro di provenienze dagli spiccati tratti di classe. Il ceto medio impiegatizio e dei funzionari era caratterizzato da un quadro di provenienze piuttosto vario e da una coesione che si reggeva sulla “concordanza di orientamento politico e di modelli di comportamento”.


Diverso il discorso per il proletariato la cui provenienza è circoscritta a livello regionale in particolare alla Lombardia e al Veneto.


Lo sviluppo dell’architettura urbana bolzanina seguì questa duplice composizione di classe della popolazione italiana immigrata. Per impiegati e funzionari vennero realizzati interventi abitativi ispirati al modello della “città giardino” e a colladuati moduli stilistici già sperimentati in area veneziana una “ambientazione di colore veneto” che “si avvale di un disegno accurato di particolari decorativi in un assortimento di riferimenti bizantini, gotici, rinascimentali, derivati dalla tradizione popolare della città lagunare” .


Per gli operai, in particolare dopo l’industrializzazione del 1935, vennero realizzati quartieri di residenza popolare al servizio della neonata Zona Industriale . Decentrata rispetto alla citta istituzionale sorse una vasta edilizia ispirata al tipo della borgata semirurale che fondeva insieme un vernacolo architettonico di sapore padano e l’idealizzazione fascista dei modelli della “sana e operosa” vita contadina. Nel marginalità e nella distanza dalla città istituzionale dei luoghi in cui venne espressa questa tendenza regionalistica si deve leggere una chiara indicazione della segregazione sociale a cui il proletariato era stato destinato dal Fascismo nello sforzo coloniale delle terre irredente.


Semirurale-a-Bolzano


Seppur tutti orientati allo sforzo di affermare il carattere d’italianità della nuova colonia, questi interventi diedero vita a un coro di voci contrastanti che raccolsero sotto l’attributo fascista termini usati in architettura secondo specifiche espressioni linguistiche come moderno , razionale , romano ma usati indifferentemente e ambiguamente.


L’artefice di questo progetto fu l’architetto Marcello Piacentini.


Iconografia colonialista: il monumento alla Vittoria e il fregio della Casa Littoria

A Marcello Piacentini non si deve soltanto la progettazione urbanistica della “Bolzano italiana”, l’architetto romano fu anche l’autore del Monumento alla Vittoria, il sacrario sul cui frontone campeggia la frase “Hic patriae fines siste signa. Hinc ceteros excoluimus lingua, legibus, artibus”, sormontata dalla minacciosa statua della “Vittoria saettante” che tende il suo arco verso nord, in direzione delle ostili Austria e Germania.


La prima pietra del Monumento venne posta nel 1926 e il cantiere dell’opera ebbe termine due anni dopo, nel 1928. Pensata inizialmente come omaggio all’irredentista Cesare Battisti (fucilato dagli austriaci nel 1916) l’opera divenne ben presto l’affermazione simbolica della vittoria sul nemico d’oltralpe e fu progettata per essere il centro da cui si sarebbe dovuta irradiare la nuova città auspicata dal regime. Non a caso il Monumento è stato posto perpendicolarmente alla direttrice che attraversa da est a ovest l’antico centro storico da via dei Portici al ponte Talvera attraverso via Museo, quasi a volerne interrompere il corso, segnandone il confine.


93_1_bolzano


Il Monumento alla Vittoria è estremamente eloquente per quanto riguarda il discorso colonialista in Alto Adige ma dice molto anche sul rapporto tra il Fascismo e il passato. Lo stile infatti richiama gli antichi templi greci ma le colonne, trasformate in fasci littori, paiono voler affermare un quarto ordine architettonico; dopo il dorico, lo ionico e il corinzio apparve il littorio.


All’interno, al centro del colonnato, vi è una statua in bronzo che raffigura il Cristo Redentore mentre nei nicchioni simili a cappelle trovano posto i busti dei martiri Filzi, Chiesa e Battisti (quest’ultimo si irredentista, ma di fede socialista, la cui famiglia ebbe sempre in uggia l’appropriazione che il Fascismo operò della memoria del loro parente).


Nel Monumento alla Vittoria simbolismo religioso e simbolismo del potere convivono insieme alla tecnicizzazione del mito (la grecità) e della Storia recente (l’irredentismo) a cui si aggiunge la bellicosa dichiarazione che campeggia sul frontone.


Ne La Guerra del Peloponneso il padre della storiografia greca, Tucidide, racconta di come gli eserciti che si fronteggiavano sul campo di battaglia erano soliti erigere, dopo una vittoria, dei tempietti votivi detti trofei. Un trofeo poteva venire realizzato anche dopo una semplice battaglia o, addirittura, dopo la vittoria in uno scontro mentre nei dintorni ancora infuriava la battaglia.


Il trofeo era un modo per marchiare il territorio e affermarne l’apparteneza di una porzione all’esercito vincitore. Il Monumento alla Vittoria di Bolzano è un moderno trofeo eretto a immagine e somiglianza del regime fascista come simbolo di conquista. Non stupisce perciò che, dato il suo carattere apertamente colonialista, il sacario sia stato obiettivo di attentati dinamitardi durante la lunga e opaca stagione delle bombe (Bombenjahre).


Oltre al Monumento alla Vittoria c’è a Bolzano un’altra opera d’epoca fascista dal carattere apertamente colonialista: il fregio realizzato dalla scultore Giovanni Piffrader sul frontone dell’allora Casa Littoria, oggi Palazzo degli Uffici Finanziari.


piffrander


Le figure del fregio rappresentano «la marcia ascensionale dell’Italia Fascista, dai tempi grigi e gloriosi della vigilia rivoluzionaria, alla conquista dell’Impero, alla guerra di Spagna, alla liberazione del Mare Nostrum» . In pratica una narrazione dell’epopea fascista di 36 metri per 5,5 realizzata sullo stile della Colonna Traiana nel cui centro, al posto che l’iconografia storicamente riservava e sovrani e imperatori, torreggia la figura del Duce a cavallo. C’è chi si spinge a ipotizzare che questa figura del Duce a cavallo possa fare riferimento all’ episodio della spada dell’Islam:


«Il 18 marzo 1937 il duce sbarca a Tobruk dall’incrociatore Pola e inaugura la via Balbia, che attraversa tutta la costa libica. La visita dura fino al 21 e vede Mussolini percorrere la “sua” terra con l’aereo e l’auto, infaticabile anche se visibilmente appesantito. Alle porte di Tripoli, il giorno 20, il momento più solenne. Nell’oasi di Bugara il duce appare a cavallo dalla sommità di una duna, è accolto dal triplice grido di guerra dei combattenti musulmani, si erge sulle staffe del suo cavallo bianco, alza al cielo la spada con l’elsa in oro massiccio che il capo del contingente berbero gli ha appena consegnato e si proclama “protettore dell’Islam”. Intorno echeggiano le salve di cannone; dietro di lui è schierata una colonna di 2.600 cavalieri, con i quali entrerà a Tripoli. Il colpo d’occhio è suggestivo e pochi s’interrogano sul fatto che un cristiano “infedele” possa proclamarsi “protettore dell’Islam”.»


In che modo il Duce protesse la Libia negli anni a venire è storia che chi ha letto Point Lenana e legge questo blog conosce bene, qui basti dire che il ricordo lasciato dal “protettore” è lordo di sangue ma anche che la spada del Profeta ha, tempo dopo, avuto la sua meritata vendetta.


Tra politica ed esigenze di conservazione: cosa fare dei relitti del Fascismo?

Oggi a quasi settant’anni dalla caduta del regime la questione dei monumenti fascisti a Bolzano pone ancora numerosi problemi sia politici che di carattere storico e conservativo. Ciò che è accaduto tra la fine del 2010 e i primi mesi del 2011 è utile per capire quali sono le tensioni e le difficoltà nell’affrontare la npesante eredita di quelli che, con metafora fortunata, sono stati chiamati “relitti del Fascismo”.


Nel febbraio del 2011 all’allora ministro dei Beni Culturali del governo Berlusconi, Sandro Bondi, venne confermata la fiducia grazie ad una risicata maggioranza. Erano passati soltanto due mesi dalla giornata del 14 Dicembre, quando la rabbia giovanile aveva incendiato le strade della Capitale dopo che il governo Berlusconi era riuscito a ottenere la fiducia del Palamento grazie a quello che alcuni chiamarono il “mercato della vacche”.


Cruciale, nel salvataggio del vate toscano del PDL, fu l’astensione dei due senatori della Suedtirole Volks Partei (SVP) il principale partito di raccolta della minoranza tedesca dell’Alto Adige. Una scelta piuttosto inconsueta. Da anni l’SVP, pur avendo dinamiche interne trasversali, è alleata del PD e delle coalizioni di centrosinistra. Fin’ora il legame tra il PDL e gli esponenti ex MSI di Alleanza Nazionale ha reso compromettenete qualsiasi approccio tra la SVP e il centrodestra di lingua italiana.


Inoltre solo pochi giorni prima della votazione l’Obmann della SVP Richard Theiner aveva dichiarato “sarebbe assurdo votare per un ministro che con il dispendioso restauro del Monumento alla Vittoria di Bolzano si è giocato ogni simpatia”.


Che cosa era successo nel frattempo di così importante da far cambiare idea ai deputati Zeller e Brugger? In cambio dell’astensione il ministro Bondi aveva promesso ai deputati SVP la rimozione del fregio con il Duce a Cavallo, descritto nel paragrafo precedente.


In una città in cui l’eredità del Fascismo non è fatta soltanto di urbanistica e architettura ma rappresenta anche una forte influenza culturale e politica (tanto che nel dopoguerra Bolzano fu, in proporzione, la città italiana dove il MSI riscuoteva tra le più alte percentuali di voto) una decisione di questo genere ha avuto subito un effetto esplosivo.


La destra italiana locale ha gridato immediatamente allo scandalo e in poco tempo Casa Pound ha chiamato a raccolta i suoi militanti per una manifestazione nazionale contro il ministro Bondi e per l’italianità di Bolzano. Manifestazione che ha avuto come corollario una sequela di dichiarazioni bellicose da parte della destra tedesca in un’escalation di revanchismo e nazionalismo tanto virulenta quanto di rapida risoluzione.


bolzanocasapau


Le questioni etniche in Alto Adige, quando vengono sollevate, hanno spesso un valore pratico pari allo zero assoluto, ma sono assai utili per compattare l’elettorato. Non è un caso che l’SVP abbia scelto di stuzzicare la questione dei monumento fascisti proprio in un periodo in cui il partito stava perdendo consensi alla propria destra.


La questione dei monumenti fascisti, per chi si pone al di fuori della logica dello scontro etnico e nella galassia antifascista, è estremamente problematica. Ancora più problematica se ci si occupa di conservazione dei beni storico artistici.


A mio avviso la rimozione dei relitti del fascismo è un atto pericoloso perché risveglia logiche di scontro etnico, logiche che sembravano sopite ma che i venti di crisi degli ultimi anni sembrano aver riattizzato. Inoltre agire in questo senso fornisce alla galassia neofascista l’opportunità di giocare il ruolo delle vittime, così com’è accaduto nella costruzione del discorso sulle foibe. Discorso che ha dato alla destra un forte elemento simbolico attorno a cui costruire la propria identità erodendo nel contempo il carattere fondativo della Resistenza per la Repubblica Italiana.


La rimozione di questi monumenti rischia di rafforzarne il potere trasformandoli in feticci da sventolare in tutte le occasioni in cui serve mobilitare le persone attorno ai simulacri dell’identità nazionale, gli stessi simulacri imposti dal fascismo nella sua colonizzazione dell’Alto Adige.


In un saggio uscito recentemente, Le pietre e il popolo, lo storico dell’arte Tomaso Montanari riflette sullo stretto rapporto che lega il carattere di un popolo e gli spazi che esso vive ed abita. È nel legame tra le persone e quella memoria concreta fatta di edifici, strade e piazze che risiede il valore e la funzione civile del nostro patrimonio.


Il Fascismo ha fatto parte della nostra storia e della nostra cultura nazionale. Ancora oggi, settant’anni dopo la caduta del regime, ne troviamo ovunque e con sempre maggiore frequenza i segni. Cicatrici che sembravano rimarginate tornano a pulsare e si gonfiano di pus. Questa contraddizione della nostra storia e della nostra cultura non può essere rimossa e musealizzata senza prima essere stata affrontata di petto.


Se noi oggi, nei monumenti, nell’architettura e nell’urbanistica fascista possiamo leggere i segni del regime, la tecnicizzazione del passato che operò e le palesi istanze colonialiste che ho cercato di mettere in luce in questo post, lo dobbiamo al fatto che “solo nelle idosincrasie e nelle rotture che questi relitti operano nello spazio circostante possiamo davvero intraprendere un dialogo con essi e intendere la delirante lingua che parlano: la lingua del totalitarismo” ( Recensione a Le pietre e il popolo ).


Come studiosi, antifascisti e internazionalisti il nostro compito è quello di togliere a questa lingua delirante e ai suoi discorsi ogni legittimità politca, sociale e storica con la forza delle argomentazioni e l’impegno nella militanza.


All’iconosclastia che trasforma la memoria in arma e feticcio dobbiamo opporre una costante azione di depotenziamento, decostruzione e critica del linguaggio e del discorso fascista. Così come hanno fatto gli artisti Arnold Holzkecht e Michele Bernardi, finalisti del concorso di idee per coprire il fregio con il Duce a cavallo, bandito pochi mesi dopo i fatti del febbraio 2011.


Holzknecht e Bernardi proponevano di proiettare sul bassorilievo una frase di Hanna Arendt “Nessuno ha il diritto di obbedire – Niemand hat das recht zu gehorchen”. Un intervento semplice che, con la forza del montaggio, agiva come un granello di sabbia nell’ingranaggio retorico del regime.


Purtroppo il concorso di idee non ha mai avuto un vincitore. Il Duce cavalca ancora e la nostra ferita pulsa, ma non abbiamo mai smesso di accettare la sua sfida.




Wu Ming 1, R. Santachiara, Point Lenana , pag. 139.



Ammetto in questo caso una conoscenza purtroppo superficiale delle vicende storiche triestine e se questa peculiarità bolzanina dovesse in seguito dimostrarsi infondata chiedo anticipatamente perdono per il mio campanilismo, che giustifico soltanto con la buona fede il rigore dell’analisi che verrà presentata in seguito.


O. Zoeggeler, L. Ippolito, L’Architettura per una Bolzano Italiana 1922- 1942 , pag. 48 Tappeiner, Lana 1992


G. Gerola, Architettura minore e rustica trentina , in “Architettura e arti decorative” VIII, marzo 1929; cit. in O. Zoeggeler, L. Ippolito, op. cit. , pag. 49


Ibidem , pag. 60 “È dato registrare, comunque, ripetuti tentativi di avallare l’esistenza di una ininterrotta linea culturale comune ad Alto Adige e regione veneta; l’argomentazione, così come è espressa soprattutto dalla rivista di Tolomei, si fonda sulle prove di una secolare influenza della Repubblica Veneta, successiva nel tempo soltanto a quella della conquista romana. Ma dalla convinzione di questa continuità storica scaturiscono dalla stessa fonte per la città istituzionale soltanto proposte di carattere palesemente celebrativo”


Ibidem. , pag. 58


Nella lista dei finanziatori civili dell’opera, alla terza posizione, campeggiano due fratelli Pintarelli, probabilmente lontanti parenti della famiglia di mio padre.


La figura di Piffrader come artista è del tutto particolare. Prima del fregio lo scultore realizzò il monumento ai Kaiserjäger sul Bergisel di Inssbruck e solo in seguito aderì al Fascismo. Dopo la guerra invece che essere epurato venne eletto presidente del neonato Künstlerbund (Associazione degli artisti), a riprova di come la Storia e la politica altoatesine seguano strade non sempre lineari.


V. Passalaqua, descrizione contenuta nella Relazione del Segretario Federale, inviata alla Sovrintendenza della Mostra della Rivoluzione Fascista (Roma) in data 19. 9. 1942.



#PointLenana sul #Sassongher pic.twitter.com/dIgpUYNPUR


— Erika Umek (@supereri) September 30, 2013


 


Doin’ a Ginger & Fred on #Sassongher top con @MisterLoFi #PointLenana pic.twitter.com/UB4BY6Xoov


— Erika Umek (@supereri) September 30, 2013


 


#PointLenana sopra la #Vallunga di #EmilioComici pic.twitter.com/7XqgE5AsN9


— Lorenzo Filipaz (@MisterLoFi) September 30, 2013


 ⁂


TRENTO E TRIESTE


Point Lenana a Trento, Bookique, 6 settembre 2013 – 1h 47′ 44″

Point Lenana a Trento, Bookique, 6 settembre 2013 – 1h 47′ 44″


Con il giornalista Luca Barbieri e il sociologo Christian Arnoldi (la prima voce che si sente).


Da Q a Point Lenana. Tredici anni di asce di guerra.

Sul tumblr di Point Lenana, estratto di 57’ ultra lo-fi (con tanto di rumori del traffico della vicina via S. Giorgio e parlottamenti di Lo. Fi.) della presentazione tenutasi a Trieste, davanti alla Libreria In Der Tat, con il libraio Alberto Volpi e lo storico Piero Purini il 31 agosto scorso


Ed ecco il videomessaggio nel quale Wu Ming 1 annuncia la presentazione al festival di Internazionale, il 6 ottobre prossimo.



Point Lenana from Internazionale on Vimeo.


A proposito di Internazionale, due settimane fa è apparsa sulla rivista una seconda recensione di Point Lenana, a firma di Frederika Randall, più critica di quella scritta da Goffredo Fofi che vi abbiamo proposto due speciali fa.


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“Il nostro porto è il vostro porto”. Manifestazione di indipendentisti triestini a Vienna, 22 giugno 2013.


Su Carmilla > TRIESTE LIBERA – di Claudia Cernigoi


A introduzione/integrazione dell’articolo qui linkato, e senza parlare specificamente del MTL, è importante dire che a Trieste ci sono sempre state, culturalmente parlando, due destre: una fascista e “italianissima”, l’altra austro-nostalgica.


La prima ha spadroneggiato a lungo, regalandoci pure alcuni politici nazionali il cui cavallo di battaglia erano le foibe, ma adesso sembra (ripetiamo: sembra) appannata e in perdita d’egemonia.

La seconda – non meno reazionaria – si è preservata soprattutto grazie a tradizioni private, lessici famigliari e una certa editoria locale, senza mai potersi esprimere esplicitamente sul piano politico.


Implicitamente, però, lo ha fatto: un certo indipendentismo – ma non quelli internazionalisti e antifascisti di cui racconta Andrea Olivieri – ha fatto leva sul sentimento “carsico” di nostalgia per l’Austria Felix. Sentimento fondato su dati storici reali (l’annessione all’Italia trasformò uno dei più importanti porti d’Europa in un porticciolo semi-abbandonato, con conseguente grave declino di tutta la zona), ma che nel dopoguerra ha assunto connotazioni ambigue, talvolta criptonaziste.

Una parte della borghesia triestina ha sempre rimpianto – con discrezione – l’occupazione tedesca. Come raccontato anche in Point Lenana, le SS si presentarono come eredi del Reich di Franz Joseph e promisero di far tornare la città agli antichi fasti (e profitti). Per gli austronostalgici l’indipendenza di Trieste, quando viene rivendicata, è una sorta di “ripiego”. Il vero sogno sarebbe la restaurazione dell’Impero, cosa ovviamente impossibile.


A differenza degli “italianissimi”, gli “austro-criptonazisti” non ce l’hanno con gli sloveni. Le SS adottarono strumentalmente la causa degli sloveni perseguitati dall’Italia, e riaprirono le scuole slovene che il fascismo aveva chiuso. Lo stesso comandante superiore delle SS nella Trieste occupata, Odilo Globočnik, era di origine slovena.

Il rimpianto per l’antico Reich include di default il rimpianto per il suo multiculturalismo. Ma si tratta di quel multiculturalismo. Il multiculturalismo di cent’anni fa. Su quello di adesso, sembrano regnare vaghezze e non-detti.


Non si può prendere in esame l’ultima voga neoindipendentista se si ignora quest’agitarsi di pulsioni sullo sfondo.

Attenzione, ciò non equivale a bollare questo movimento tout court come nazista, e nemmeno Cernigoi fa una cosa del genere. Però serve a porre la domanda, anche ai compagni triestini che – magari per curiosità, o per… “panmovimentismo” – non disdegnano di partecipare a inizitive pro- TLT: è proprio tutto chiaro, a Trieste, in questi giorni? A cosa servono (a chi servono) i movimenti “né-né”? E ci sono gli anticorpi per le particelle virali che potrebbero diffondersi?


Avremo in modo di tornarci sopra, senza snobismi, ma anche senza confusionismi. [WM1]




Testimonianza video di un’escursione in montagna con Fred Astaire che, lamentandosene, canta di aver visto solo il mare!

(Prima canzone di Follow The Fleet, 1936 – film la cui visione “decritta” una delle sottotrame di Point Lenana).

E con questo, per questa volta, è tutto. Buone scarpinate.


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Published on September 30, 2013 16:48

La catastrofe comunicativa dei #Guerrieri Enel (Viva a sociedade alternativa!)

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Collisione di mondi. Lo scontro su Twitter tra la sgodevole multinazionale che ha speso milioni in una pompatissima epperò demenziale campagna “social” e la comunità spontanea che, senza spendere un baiocco, l’ha sbaragliata. Come ha scritto Alberto Prunetti: “Sembra una rappresentazione della lotta contro Mordor, quando l’anello è prossimo alla distruzione.” Clicca per ingrandire (alta definizione).


L’immagine qui sopra è tratta da un’analisi di Matteo G.P. Flora che tutti dovrebbero leggere e discutere, e che giustamente è stata definita “l’ultimo chiodo sulla bara” della campagna #Guerrieri su Twitter. Non tanto per quel che dice delle storie opportunamente “incentivate” da un’agenzia di passaparola on line che organizza “consumatori consapevoli”, quanto per la fotografia che scatta della débacle di Enel su Twitter. Ne avevamo già parlato (il riassunto delle puntate precedenti lo trovate, distillato in diversi aggiornamenti, nel post e nei commenti qui), ma negli ultimi giorni, anziché calare, la contro-campagna dal basso è cresciuta e si è prodotto un effetto-valanga, tra arrampicate di specchi, figuracce dei responsabili media di Enel e scoperte di alcuni buffi dietro-le quinte.

Enel si è infilata nel più classico circolo vizioso: per non far vedere che sui social network la campagna non decollava – e in particolare su Twitter incontrava la resistenza di migliaia di utenti fino a subire un’autentica disfatta modello battaglia di Teoteburgo – Enel ha pompato al massimo la pubblicità su giornali e TV; la sta tuttora pompando, lo spot di #Guerrieri è ovunque. Il risultato è quello di pubblicizzare l’hashtag, e quando la gente va su Twitter a cliccare l’hashtag, vede l’ecatombe.

[Per chi non se intende: quella parola con il "cancelletto" davanti, #Guerrieri, su Twitter si chiama "hashtag", parola-chiave che permetta di aggregare i messaggi per argomento.]


Enel è un inserzionista tra i più potenti, ed è anche sponsor di grandi eventi organizzati da importanti giornali italiani. In più, ci sono proprietari di giornali che sono in affari con Enel. Ciò potrebbe spiegare il trasversale silenzio-stampa su quest’azione di massa dal basso. Tra i quotidiani ne ha scritto solo Il Fatto Quotidiano, e gliene va reso merito. Non sembra trattarsi di disattenzione, perché della campagna #Guerrieri di Enel ne stanno scrivendo eccome: una campagna che, come la descrivono, esiste solo sulle loro pagine. Appena uno va in rete, scopre come sta andando veramente. Ancora ieri, 30 settembre, dopo giorni e giorni in cui Enel su Twitter non riusciva più a muovere un dito,  Aldo Grasso scriveva questa sviolinata che è parsa in-cre-di-bi-le più o meno a chiunque avesse cliccato l’hashtag di recente:


Minchia, nemmeno Uto Ughi...

Minchia, nemmeno Uto Ughi…


Ora, ehm… Noialtri, partecipando a iniziative come il “dirottamento” della campagna Enel, non ci facciamo certo più amici ai piani alti. E dopo aver letto l’analisi linkata all’inizio, abbiamo pensato: non sarà meglio, d’ora in avanti, dormire ogni notte in un luogo diverso rigorosamente segreto? Non è che questi ci mandano gli scagnozzi coi taser a carbone? :-D


Sia chiaro: non vogliamo dare a quest’azione più importanza di quella che ha. Però:


1) è un interessante caso di studio su come reagire alla prepotenza di un brand e fare uno “smarketing” che è molto più sapiente e potente di qualunque strategia di marketing (“Cosa sa di marketing chi sa solo di marketing?”, pare si chiedesse C.L.R. James);


2) oggi molte più persone sanno cosa sta combinando Enel in America latina, sanno dei programmi nucleari Enel in Europa dell’est, sanno che in Italia sono attivi comitati di cittadini che lottano contro le centrali a Carbone o la geotermia “pulita”. E chissà che documentarsi su queste lotte non sia più appassionante e più utile che seguire minuto per minuto, secondo per secondo, dichiarazione dopo dichiarazione, talk-show dopo talk-show, le baruffe tra presunti falchi e presunte colombe nell’ormai fu PdL.


A proposito, noi (ricordate?) #Tifiamoasteroide.


Grazie a tutti/e, e viva a sociedade alternativa!



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Published on September 30, 2013 11:10

September 26, 2013

News dalla Terra di Mezzo: autunno 2013

Rohirrim

Mentre siamo all’opera sulla copertina del saggio di Wu Ming 4, Difendere la Terra di Mezzo, il testo è in corso di impaginazione in casa editrice. Uscita prevista: intorno alla prima decade di novembre, salvo intoppi (incrociamo le dita).

Nel frattempo Wu Ming 4 è già ingaggiato in diversi appuntamenti “tolkieniani”. Ne anticipiamo alcuni, riservandoci di fornire ulteriori indicazioni e integrazioni mano a mano che il calendario andrà modellandosi:


- Domenica 3 novembre, dalle 14.00 alle 16.00, per il terzo anno consecutivo, WM4 terrà una conferenza al Lucca Comics & Games, nell’ambito del ciclo di incontri gestito dall’Associazione Romana Studi Tolkieniani. Lo spazio a disposizione non è molto grande, quindi per partecipare al seminario è necessario iscriversi (l’iscrizione è gratuita, ma occorre avere pagato l’ingresso al festival). I dettagli si trovano QUI. Altre notizie sull’edizione di quest’anno del Lucca Comics & Games e sui seminari dell’ARST sono QUI.


- Mercoledì 13 novembre, alle ore 10.00, parteciperà a una tavola rotonda organizzata presso l’Università degli Studi di Trento, sul tema “Letteratura e mito”. A WM4 è stato chiesto di intervenire sull’utilizzo e l’appropriazione della mitopoiesi tolkieniana da parte della destra italiana. Seguiranno dettagli.


- Non è ancora certo, ma probabilmente il libro di WM4 verrà presentato alla Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria di Roma (5-8 dicembre 2013). Anche in questo caso, seguiranno dettagli.


Per quanto riguarda il 2014, possiamo anticipare che WM4 parteciperà per la seconda volta ai seminari su Tolkien organizzati presso l’Istituto tomistico di studi filosofici di Modena. L’11 febbraio terrà l’intervento introduttivo all’incontro con i realizzatori del fan movie I Diari della Terra di Mezzo e in un’appuntamento successivo presenterà anche il suo libro.


A proposito di fan movie, sembra che quello messo in cantiere in Francia, Storm over Gondolin, ispirato a La Caduta di Gondolin (Il Silmarillion), abbia qualche ambizione in più rispetto ai precedenti inglesi The Hunt for Gollum e Born of Hope. Con l’anno nuovo partirà la campagna di crowdfunding. Sul sito dell’ARST c’è un articolo in proposito, con intervista al regista e videoclip. Per chi fosse interessat@, il materiale è QUI.

Infine per l’inverno 2014 è in progettazione a Bologna un seminario sull’invezione di universi narrativi, che verterà proprio sull’opera di Tolkien. E’ presto per parlarne, fintanto che non saremo certi di potere avviare come si deve un nuovo progetto a cui stiamo pensando da qualche mese. Fin da ora però possiamo dire che sarà necessario versare una quota di iscrizione al seminario e che la realizzazione del medesimo dipenderà da quante persone si iscriveranno (insomma, in un certo senso è un po’ crowdfunding anche questo…).


Per ora è tutto. In attesa di Difendere la Terra di Mezzo


 Weapons


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Published on September 26, 2013 15:33

September 24, 2013

Radio Giap Rebelde – Wu Ming Contingent live in Correggio

Fratelli dell'infinito


Come promesso, ecco una manciata di estratti dal concerto di Wu Ming Contingent in quel di Correggio, domenica 22 settembre, a sostegno delle attività di Casa Spartaco.


Le prime due tracce sono un buon esempio del repertorio della band: i testi prendono spunto dalla rubrica WuMingWood, pubblicata su GQ Italia tra il 2009 e il 2012 e firmata dall’intero collettivo.

In particolare, il brano Dio Vulcano! fa riferimento al primo articolo che pubblicammo in quella sede (Il dio maldestro), mentre Italia Mistero Kosmiko rielabora un pezzo intitolato UFO e Rivoluzione. Li trovate entrambi in questa selezione formato PDF.

Il terzo pezzo, invece, è una doppia cover: la musica ripropone il classico standard gospel You gotta move, mentre il testo è tratto dagli atti del processo per l’omicidio di Federico Aldrovandi e dal libro di Filippo Vendemmiati, E’ stato morto un ragazzo, Corvino Meda Editore 2010.


Dio Vulcano!  -  3’48″

Dio Vulcano! -  3’48″


Italia Mistero Kosmiko  – 3’59″

Italia Mistero Kosmiko  – 3’59″


You Gotta Move (Per Aldro) – 5’27″

You Gotta Move (Per Aldro) – 5’27″


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Published on September 24, 2013 15:05

La campagna #Guerrieri di Enel: cronistoria di un flop devastante

Facciamo luce su Enel


Oggi, insieme a tant* altr*, ci siamo divertiti a “dirottare” un’odiosa, martellante campagna pubblicitaria dell’Enel. Campagna ideata da Saatchi & Saatchi, mica gli ultimi arrivati. Solo che, ehm, su Twitter certi brontosauri del marketing che si sforzano di avere idee “hip” sono gli ultimi arrivati.


In realtà, ci siamo limitati a fare quello che Enel chiedeva, cioè usare l’hashtag #guerrieri.


Risultato?


Un buon riassunto di tutta la storia, con selezione di tweet, si trova qui. Buona lettura, buona navigazione.



Ah ah, ai #guerrieri di @enelsharing gli hanno già staccato il gas. pic.twitter.com/FAjZhDrG4l— Christo (@xho) September 24, 2013



Aggiornamento: #Guerrieri e Mercenari: l’ipocrisia e il marketing sulla nostra pelle. Un potente storify a cura di Lalla.


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Published on September 24, 2013 07:27

September 19, 2013

Wu Ming Contingent breaks out!

Wu Ming_Casa Spartaco_09_2013


Coincidenze.

Agli inizi del 1995, il quintetto hard-core Frida Frenner compone il brano Jackpunk, inserito nella colonna sonora del film Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Il cantante è un tale Joe K. che cinque anni più tardi si farà chiamare Wu Ming 2.

Sempre nel 1995, gli X-Ray Men collaborano con il poeta Gilberto Centi per la realizzazione del reading “Il navigatore cieco”. La formazione comprende Yu Guerra al basso e Cesare Ferioli alla batteria.

Ancora nel 1995, i Nabat – gloriosa formazione dell’Oi! punk italiano – tornano a suonare insieme e incidono Nati per niente. Il chitarrista del gruppo è Riccardo Pedrini, la cui massa corporea verrà presto occupata anche da Wu Ming 5.

Passano 17 anni e i quattro si ritrovano intorno allo stesso tavolo. Nel frattempo i Nabat si sono sciolti e riuniti per la seconda volta, Yu Guerra ha pubblicato il suo terzo album, Cesare Ferioli è diventato dj col nome di Big Mojo, Wu Ming 5 ha scritto quattro romanzi, Wu Ming 2 ha declamato reading di ogni genere con Egle Sommacal, Stefano Pilia, Danilo Gallo, Carlo Maver… Più in generale, parole e voci del collettivo Wu Ming hanno da sempre diviso il palco con amplificatori, chitarre, percussioni, fiati e tastiere.

L’idea che mette assieme il nuovo gruppo è quella di alterare la classica formula: scrittore che legge i suoi testi + musicisti che suonano i loro strumenti. L’obiettivo è quello di produrre “canzoni declamate”, con scarne linee vocali, senza però ripetere quanto già fatto egregiamente da Massimo Volume, Offlaga Disco Pax, Bachi da Pietra o Uochi Tochi. I numi tutelari del sodalizio sono Public Image Limited, Neu!, Sonics e Patti Smith.


Dopo alcuni mesi di prove, tra condomini e salette di fortuna, nasce così Wu Ming Contingent  (in cinese 无名 军队, Wu Ming Jun Dui – omaggio all’album collettivo Wu Liao Contingent, pubblicato nel 1999 dalle quattro principali band di Oi! Punk cinese)

I testi attingono alla rubrica Wu Ming Wood, scritta da Wu Ming per il mensile GQ, tra il 2010 e il 2012. Brevi biografie maschili (da Peter Kolosimo a Socrates, da Juan Manuel Fangio al principe Filippo di Edinburgo) usate come pretesti per parlare d’altro.


La prima uscita live del quartetto risale al 16 maggio scorso, durante la serata ReferenDance. Laika Bologna Party, per sostenere il referendum bolognese sulle scuole dell’infanzia. Le prossime apparizioni già in calendario sono al Bloom di Mezzago (20/09), a Correggio (22/09) e a Milano – Cox 18 (12/10).


Per il momento, non abbiamo registrazioni da farvi ascoltare, ma speriamo in un bootleg dei prossimi concerti, e già si parla di un 7″ in preparazione. Giusto per farsi un’idea, i personaggi che hanno ispirato l’attuale repertorio sono Socrates, Bradley Manning, il Principe Filippo di Edinburgo, Juan Manuel Fangio, Peter Kolosimo, Jorge Carrascosa “El Lobo”, Ho Chi Minh e Peter Norman.


Ovviamente, la nascita del Wu Ming Contingent non impedisce o blocca vecchie e nuove collaborazioni musicali. Al contrario, Wu Ming 1 è al lavoro insieme ai Funambolique (feat. Claudia Finetti) per mettere a punto il reading/concerto Emilio Comici Blues, dedicato al grande scalatore triestino, mentre Wu Ming 2 porterà lo spettacolo Razza Partigiana – Basta uno sparo prima a Torino (09/10 @ Hiroshima mon amour) e poi a Berlino (25 e 26/10 @ Ackerstadtpalast), accompagnato dai “soliti” Egle Sommacal, Stefano Pilia, Paul Pieretto e Federico Oppi.


Per info, contatti e booking di Wu Ming Contingent, potete far riferimento alla mail del collettivo, indicata sulla homepage del sito ufficiale.


 


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Published on September 19, 2013 08:23

September 12, 2013

Il #PointLenana Tour de force è un’opera totale transmediale. Ascensioni, foto, musiche, video etc.

WM1 in arrampicata

Vallunga, Val Gardena, mattina del 7 settembre 2013. Wu Ming 1 sulla parete da cui precipitò Emilio Comici. Foto di Flavio Pintarelli. Clicca per ingrandire.


Pochi giorni fa, l’amico Maurizio Vito (che aveva già commentato acutamente Point Lenana subito dopo l’uscita) ci ha regalato al volo un appunto importante e toccante. Eccolo.


[MV:] Vedendo le foto della tomba di Comici, delle altre tombe (Balletto [in Tanzania], Benuzzi a Dro), le foto della scalata-tributo a Comici, mi è venuta in mente la tesi VI di Benjamin:


Walter Benjamin


«Articolare storicamente il passato non significa conoscerlo “come propriamente è stato”. Significa impadronirsi di un ricordo come esso balena nell’istante di un pericolo. Per il materialismo storico si tratta di fissare l’immagine del passato come essa si presenta improvvisamente al soggetto storico nel momento del pericolo. Il pericolo sovrasta tanto il patrimonio della tradizione quanto coloro che lo ricevono. Esso è lo stesso per entrambi: di ridursi a strumento della classe dominante. In ogni epoca bisogna cercare di strappare la tradizione al conformismo che è in procinto di sopraffarla. Il Messia non viene solo come redentore, ma come vincitore dell’Anticristo. Solo quello storico ha il dono di accendere nel passato la favilla della speranza, che è penetrato dall’idea che anche i morti non saranno al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso di vincere.»


Messianismo a parte, l’azione di messa in sicurezza dei “nostri” morti (dalla sopraffazione conformista ad opera del nemico) che caratterizza Point Lenana e il corollario “keep your ass on the road” tour è straordinaria, a dir poco. [/MV]




-

Non c’è stata una soglia attraversata con cognizione di causa, nessun momento preciso in cui il tour di presentazioni di Point Lenana si è trasformato – puf! – in qualcos’altro. E’ accaduto gradualmente, tra ascensioni a tema, reading musicali, interazione costante su Twitter, partecipazione dei lettori, deviazioni verso i luoghi del libro e autentiche “epifanie” sulle vette (es. il bagliore sulla piana friulana visto dalla cima del Mangart). Oggi, dopo quattro mesi e mezzo (e quarantotto presentazioni su settanta in calendario, qui le date fino a fine ottobre), il tour è diventato la prosecuzione del libro con altri mezzi, un’opera transmediale collettiva. Point Lenana è nato prima dal racconto poi dalla ripetizione di una scarpinata in quota, è stato scritto scarpinando, infine ha preso corpo in questa lunga scarpinata in giro per l’Italia.


“Keep your ass on the road!”, tieni il culo in strada, questa l’esortazione che WM1 fa a se stesso su Twitter mentre si sposta da una città all’altra, da una valle all’altra, da un rifugio all’altro. Ma non è solo il suo culo a stare in strada. Il Point Lenana Tour è in tutto e per tutto un’opera collettiva: c’è chi lo segue e influenza e modifica a distanza usando la rete (Twitter, Tumblr, Pinterest etc.), chi organizza le presentazioni traendo spunti dai resoconti o dalle registrazioni degli eventi precedenti, chi viene alle escursioni a tema e ne propone di ulteriori, chi va in montagna per i casi suoi e fotografa il libro sulle rocce oppure – ultima idea in ordine di tempo – ne mima la copertina, etc. etc.


In questo speciale non procederemo in ordine cronologico, ma per connessioni tematiche e geografiche. Cominciamo dalla foto che vedete qui sopra: è testimonianza di quello che Flavio Pintarelli, nel suo bel resoconto con foto, ha definito un “pellegrinaggio laico”. Siamo andati dove Emilio Comici trascorse l’ultimo anno di vita, cioè in Val Gardena.



Comici e noi, con Wu Ming 1 sui luoghi di Point Lenana



Di Pintarelli, nei prossimi giorni, pubblicheremo una riflessione – stimolata dalla lettura di Point Lenana – su colonialismo, urbanistica e fascismo in Alto Adige.


Esattamente una settimana prima, domenica 1 settembre, una ventina di persone aveva percorso altri luoghi di Comici, quelli della Val Rosandra / Dolina Glinščice, 8 km. a est di Trieste.


Cippo Comici

Il cippo in costruzione, anno 1941.
Sul cippo Ernesto Butti, in piedi Virgilio Zuani detto Sonz.
Foto inedita, scattata da Mario Rauber – proprietà archivio Paolo Rauber. Cliccando si raggiunge il blog “Carso segreto”. Grazie a Marco Garbaccio per la segnalazione.


L’1 settembre, WM1 e una brancaleonesca comitiva di giapster e lettori, tra i quali l’imprescindibile Lo.Fi., il libraio Alberto Volpi (ideatore dell’escursione), la storica e giornalista Claudia Cernigoi e il poeta Matteo Danieli, hanno percorso il sentiero 13. I più “ossigenati” sono saliti fino allo Spigolo Verde, per arrivare al cippo eretto in memoria di Emilio nel 1941, un anno dopo la sua morte. Nella foto a sinistra lo si vede in costruzione.


In Val Rosandra, alla fine degli anni Venti, Comici e i suoi compagni del GARS (Gruppo Alpinisti Rocciatori Sciatori) aprirono la scuola di arrampicata che esiste tuttora. In Val Rosandra, Comici cercò repliche “miniaturizzate” dei grandi “problemi” alpinistici dell’epoca, sperimentando innovazioni nelle tecniche d’arrampicata che poco dopo gli permisero di aprire nuove vie in tutte le Alpi orientali e centrali. Se non vi fidate della nostra parola, qui è la valle stessa a raccontarcelo in prima persona.


Ed ecco il cippo com’è apparso a noi.



#PointLenana al Cippo Comici, Spigolo Verde, Val Rosandra, #Trieste pic.twitter.com/jxBdFJHReE— Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) September 1, 2013


#PointLenana e la targa in ricordo di Emilio Comici allo Spigolo Verde, Val Rosandra, #Trieste pic.twitter.com/YbyLM5WYPA


— Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) September 1, 2013


Foto di gruppo escursione in Val Rosandra a tema #PointLenana, di fronte al Cippo Comici, Spigolo Verde. #Triestepic.twitter.com/F5eZta3gxj— Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) September 1, 2013





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Emilio Comici

Emilio Comici


Queste camminate sulle orme di Comici servono a riflettere ancora, e più in profondità, su un personaggio complesso, sfaccettato, lacerato. L’esigenza è sentita, et pour cause. Wu Ming 1 e i Funambolique (feat. Claudia Finetti alla voce) stanno lavorando a un reading/concerto sulla vita del grande scalatore triestino. Per tutto il mese di agosto hanno eseguito delle “prove aperte” in piazze, locali e rassegne in giro per il Nord-Est. Veri e propri appunti sonori e recitativi presi in pubblico. Continueremo a lavorarci in autunno, a distanza e ogni tanto incontrandoci. La suite che ne verrà fuori ha già il titolo Emilio Comici Blues. La porteremo in giro nel 2014. Quella che vi proponiamo è la registrazione molto low-fi della prova-con-spettatori tenutasi il 26 agosto presso l’osteria “Ai Kankari” di Marano (VE). Il tutto era ed è ancora molto grezzo, ma intanto potete farvi l’idea. Grazie ad Alessia per avere registrato col suo smartphone. E’ un bootleg come quelli di una volta.


LE ALI DELL’ANGELO – 14:47

LE ALI DELL’ANGELO – 14:47


LA FALCIATA DELLA MORTE – 11:21

LA FALCIATA DELLA MORTE – 11:21


IL CORDINO MARCIO DI  MOHOR – 13:41

IL CORDINO MARCIO DI  MOHOR – 13:41


Wu Ming 1 – voce recitante;

Luca Demicheli – basso;

Ermes Ghirardini – batteria;

Paolo Corsini – tastiere;

Sebastiano Crepaldi – flauto.

[Mancava Claudia Finetti - voce cantante.]

Per contatti, date etc. Luca Demicheli, bassluka@yahoo.it




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Della pratica di fotografare Point Lenana sulle cime avevamo già parlato nello scorso speciale sul libro. In quell’occasione avevamo scritto:


«Le foto di #PointLenana sulle cime sembrano dire che, anche in tempi di ebook, l’oggetto-libro mantiene una sua forza simbolica e specificità. Specificità. Ci sono alcune cose che si possono fare con un libro elettronico e non si possono fare con uno di carta, ma qui ci concentriamo sul “viceversa”.»


Ecco alcune delle immagini circolate su Twitter nei giorni scorsi:



@Wu_Ming_Foundt In cima al Corno Grande (mt. 2912) sul Gran Sasso per festeggiare #PointLenana pic.twitter.com/mdA1yHdCdb — Zeroviolenza (@ZeroViolenza) September 1, 2013


#PointLenana a Cima Mulaz – 2906 – sullo sfondo il Pelmo e il Civetta. @Wu_Ming_Foundt pic.twitter.com/hAVGH6m6x3 — Riccardo Trulla (@rikutrulla) September 6, 2013


#PointLenana su cima Rosetta – 2743 @Wu_Ming_Foundt pic.twitter.com/N1YrY0Kxd0 — Riccardo Trulla (@rikutrulla) September 6, 2013



Durante l’escursione alle Pale di S. Martino documentata nelle ultime due immagini è nata l’idea di mimare la copertina del libro:



La copertina di #PointLenana replicata live alle Pale di S. Martino. Grazie a @rikutrulla Sbizzarritevi pure voi :-) pic.twitter.com/RsN8xIsVR5 — Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) September 6, 2013


La mossa “Fred e Ginger” in montagna. Malga Andalo, Dolomiti di Brenta. Sullo sfondo, la Paganella #PointLenana pic.twitter.com/xg3D69dFAJ


— Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) September 6, 2013


@Wu_Ming_Foundt #PointLenana sul monte paterno con @silvia_fabbi @El_Pinta pic.twitter.com/Wb1Pbe8YzD — AND (@anordestdiche) September 8, 2013



All’ascensione al Monte Paterno (Dolomiti di Sesto, 2476 mt.) di Silvia Fabbi e Luca Barbieri (solo il giorno prima, quest’ultimo era in Vallunga con WM1, Pintarelli e Arnoldi) è legato uno dei momenti più surreali del tour di Point Lenana.

Fabbi e Barbieri non erano solo in gita di piacere: da bravi cronisti del Nord-Est, erano sulle tracce del ministro dello sviluppo Flavio Zanonato, sempre lieto di mostrarsi nella sua veste d’alpinista e posare per commoventi fotoreportages tipo Mao che nuota nel fiume.

E’ in quel frangente che Barbieri ha regalato al “Caro Leader” – così soprannominato per i ben quindici anni trascorsi come sindaco di Padova – una copia di Point Lenana. Ecco il tweet con foto, seguito dal nostro commento.



 Anche i ministri alpinisti leggono #pointLenana @Wu_Ming_Foundt @el_pinta pic.twitter.com/2Mf9s7OUKP — AND (@anordestdiche) September 8, 2013


.@anordestdiche LOL ringraziamo il Caro Leader @flaviozanonato ma precisiamo e ribadiamo che noi #Tifiamoasteroide @El_Pinta #PointLenana


— Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) September 8, 2013





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A seguire, alcune recensioni di Point Lenana, interviste a Wu Ming 1, riflessioni ispirate dal libro.


[Nella sua rubrica on line "Il criticone" (autoironico riferimento alla sua stazza) il critico Pietro Cheli ha espresso un giudizio convintamente positivo su Point Lenana. Vale la pena far notare, come già fatto per Goffredo Fofi, che Cheli non aveva mai recensito un nostro libro prima d'ora. Ecco il suo pezzo.]


Pietro CheliUno dei modi migliori e più affascinanti per capire la storia d’Italia del secolo scorso ruota intorno al monte Kenya. E lo racconta questo libro, uscito qualche mese fa e già recensito molto bene in uno dei blog di questo portale da Claudio Castellacci. A scriverlo uno dei più bravi agenti letterari italiani, Roberto Santachiara, e uno dei tanti scrittori del collettivo del collettivo Wu Ming 1. Arrivo in ritardo per dire loro che sono bravi, decisamente, bravi. Attraverso la voce di Felice Benuzzi, realmente esistito, raccontano la Trieste cosmopolita asburgica, l’impero, l’Istria, le due guerre mondiali, fascismo e antifascismo, il colonialismo italiano (con tutte le sue efferatezze). E poi la guerra fredda e molti dei problemi che ci trasciniamo ancora oggi. Tutto parte da una fuga di Benuzzi e due amici (assolutamente vera) da un campo in cui erano prigionieri 70 anni fa degli inglesi, per andare a scalare il monte Kenya. Un flusso di memoria, documenti, sapienza narrativa che quando inizi a leggere ti travolge. L’ho fatto, come ho già detto, con ritardo ma ora lo consiglio a chi ama le pagine dove l’intelligenza si muove con disinvoltura.




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[Una recensione molto bella l'abbiamo trovata sul blog La librettante]


IL METODO STRASBERG DELL’ACTOR’S STUDIO A 5000 METRI


Lo stupore del corpo chiamato a uno sforzo nuovo, stremato di emicrania, espropriato di sonno, gelato dalla notte che schiaffeggia ed esaspera la stanchezza, la fatica anche solo di dormire e respirare.


La memoria emotiva attende, come un lievito lento, di gonfiarsi e prorompere, finalmente esibita in gesti, voce, parossismi esatti – ricordare e vivere, non recitare. Ma se il corpo è quello di uno scrittore, ogni avanzo di emozione resta già impigliato tra le pagine di appunti instabili abbarbicati ansanti in quota. Mentre misura i limiti, del suo corpo e del suo mestiere, perché il Kilimangiaro di Hemingway si staglia di fronte a lui come il monito di un rimpianto, a insinuare che l’avventura è lunga, e prosegue oltre la scalata.


Daniele Bergonzi legge il Prologo di Point Lenana, e immediatamente il ricordo scritto diventa vita vissuta e voce, immagini di stelle e nebulose e albe carminio e sassi grigi dentro la nostra testa e i nostri occhi, ed è estremamente sensata la presentazione di questo libro in questo spazio di teatro, dove siamo raccolti e attenti, al distillato di inchiostro di un’impresa nuova e remota insieme.


PROLOGO – 5’46″

PROLOGO – 5’46″


Wu Ming 1 – tutto il contrario di un alpinista, anzi un’«anima di palude bonificata»! – sul monte Kenia come Felice Benuzzi che, nel ’43, fuggì da un campo di prigionia inglese con due compagni, per andare a realizzare un sogno estemporaneo di libertà e umanità contro il tempo immobile e insensato della cattività di guerra, dove la vita è disordinata sopravvivenza, dove si è affastellati gli uni agli altri sempre e sempre infestati di ricordi.


Nel libro la densità è alta: c’è il tempo dilatato della prigionia, quello teso dell’avventura, quello paziente della ricerca, dell’ascolto – le interviste ai parenti di Benuzzi – del confronto tra lo scrittore e il suo agente letterario nonché coautore Roberto Santachiara, ispiratore del progetto, c’è la restituzione della storia, e anche delle sue omissioni.


Il libro, “oggetto letterario non identificato”, svela i meccanismi del montaggio e del suo farsi, nella piena consapevolezza che le storie sono tutte necessarie, e che anche i titoli di coda,  – 50 pagine, circa – alla fine, vanno letti.




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Giuseppe Volpi


Proprio nel giorno della chiusura dell’ultimo Festival di Venezia, il giornalista e scrittore Checchino Antonini – appena riemerso dalla lettura di Point Lenana – ha posto pubblicamente una domanda che a noi ronza in testa da sempre, e viene posta, ancorché in modo implicito, anche nel libro: ma non sarebbe il caso di cambiarle nome, alla cazzo di Coppa Volpi? Giuseppe Volpi (nella foto) era un ricco fascista che grazie al fascismo e alle leggi razziali diventò ancora più ricco, nonché uno dei principali responsabili politici – in quanto governatore della Tripolitania – della sanguinosa “riconquista” fascista della Libia, catena di eventi che culminò nella deportazione di massa della popolazione della Cirenaica e nel conseguente genocidio in quella regione. Perché dobbiamo continuare a onorare un simile puzzone?

Il festival fu una sua idea? Ci mise un sacco di soldi? E chi cazzo se ne frega! La cultura è ricchezza sociale, va sottratta alle recinzioni, anche alle recinzioni che impediscono l’accesso alla memoria storica e alla rielaborazione critica del passato nazionale.

E magari quelli che non dicono nulla sulla Coppa Volpi hanno firmato petizioni contro il Vespasiano di Affile dedicato a Graziani…

Scrive Antonini:


«Ancora oggi il premio al miglior attore e quello alla miglior attrice (le “Coppe Volpi”) della Mostra del Cinema di Venezia portano il suo nome. Ma quella Coppa è colma del sangue di quelle guerre e quella dittatura. Chissà se stasera, al Gran Gala, i premiati (l’italiana Elena Cotta sarebbe in pool position) se ne renderanno conto. Magari se glielo chiedi risponderebbero che l’Arte non è né di destra né di sinistra.»


Ecco il suo pezzo, buona lettura.




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Il 25 agosto scorso WM1 ha presentato Point Lenana al Film Festival della Lessinia. Era appena rientrato da un’escursione tra Bosco Chiesanuova e Bocca di Selva insieme al giornalista e alpinista Beppe Muraro, quando lo staff di videomaker del festival lo ha intervistato in stile “ombra di se stesso”.



Torniamo indietro di qualche settimana: WM1 era appena sceso dal Monte Vettore, con i suoi 2476 metri la cima più alta delle Marche, quando Sara Bonfili lo ha intervistato per il sito del dipartimento di Scienze politiche, della comunicazione e delle relazioni internazionali dell’Università di Macerata. L’intervista è in pdf e si trova qui.




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Règaz, lo sappiamo pure noi che è strano, ma per un motivo o per l’altro abbiamo vinto il Premio della Montagna di Cortina d’Ampezzo. “Meglio non indagare”, ci siamo detti. Alla cerimonia c’è andato Santachiara, una scena da ragionier Calboni che arriva a Courmayeur e finge di conoscere la contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare. Nella foto, il premio. Non fate pettegolezzi.


l comandante Cienfuegos mostra agli amici la scultura ricevuta in premio a Cortina.

Il comandante Cienfuegos mostra agli amici la scultura ricevuta in premio a Cortina.


E’ stato anche piantato un albero (un pino cembro) intitolato a WM1 e Santachiara.


L'albero


Con quest’immagine terminiamo lo speciale. Grazie a tutt*, ci si vede in giro.


Libreria universitaria - IBS Unilibro

InMondadori Amazon LaFeltrinelli

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Published on September 12, 2013 17:30

September 11, 2013

«Difendere la Terra di Mezzo». Il libro di Wu Ming 4 su #Tolkien uscirà in autunno

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Si intitolerà Difendere la Terra di Mezzo e uscirà per i tipi della casa editrice bolognese Odoya, in autunno. E’ un libro che fa tesoro del lavoro e del dibattito prodotto su Giap nel corso degli ultimi tre anni. Wu Ming 4 ha raccolto i suoi scritti su Tolkien pubblicati sul blog, li ha rielaborati, allungati, rivisti, e ne ha aggiunti altri completamente nuovi. Ne è uscito un saggio diviso in due parti: la prima riguarda il fenomeno letterario; la seconda tratta invece la poetica di Tolkien, entrando nel merito dei testi, con particolare attenzione per gli Hobbit (ma non solo).


Possiamo già anticipare che non si tratta di un libro per specialisti, bensì di un testo divulgativo, che si propone di fare un buon servizio al lavoro dei più ferrati studiosi anglosassoni e italiani, cercando comunque il confronto diretto con le pagine tolkieniane.


In anteprima ecco l’Indice del volume:


PREMESSA: dove il sole non tramonta mai

PRIMA PARTE: Spettri di Tolkien

- Cap. I. Nascita e destino di un fenomeno letterario (1937-1973).

- Cap. II. L’eredità impossibile: Tolkien dopo Tolkien.

- Cap. III. Il grande gioco, il mito, il linguaggio: una teoria non letteraria della letteratura.

INTERMEZZO: Made in Italy

- Cap. IV. Tradizioni, traduzioni e tradimenti: i simbolisti all’opera.

SECONDA PARTE: Le pagine e il paesaggio

- Cap. V. Hobbit e habitat: il giardiniere costante.

- Cap. VI. Hobbit ed ethos: il perfetto gentilhobbit.

- Cap. VII. Un dialogo nel Riddermark: mitopoiesi, etica, rinnovamento.

POST SCRIPTUM: lacrime e sorrisi


Elf-warriors


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Published on September 11, 2013 15:19

Wu Ming 4's Blog

Wu Ming 4
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