Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 88
November 1, 2021
Si può scrivere di un libro contro la morte nel giorno dei “morti”?

“Il libro più importante della sua vita, Canetti lo portò sempre dentro di sé ma non lo compose mai. Per cinquant’anni procrastinò il momento di ordinare in un testo articolato i numerosissimi appunti che, nel dialogo costante con i contemporanei, con i grandi del passato e con i propri lutti familiari, andava prendendo giorno dopo giorno su uno dei temi cardine della sua opera: la battaglia contro la morte, contro la violenza del potere che afferma se stesso annientando gli altri, contro Dio che ha inventato la morte, contro l’uomo che uccide e ama la guerra. Una battaglia che era un costante tentativo di salvare i morti, almeno per qualche tempo ancora, sotto le ali del ricordo: «noi viviamo davvero dei morti. Non oso pensare che cosa saremmo senza di loro». Sospeso tra il desiderio di veder concluso il libro, scrive: «È ancora il mio libro per antonomasia. Riuscirò finalmente a scriverlo tutto d’un fiato?» e la certezza che solo i posteri avrebbero potuto intraprendere il compito ordinatore a lui precluso, Canetti continuò a scrivere fino all’ultimo senza imprigionare nella griglia prepotente di un sistema i suoi pensieri: frasi brevi e icastiche, fabulae minimae, satire, invettive e fulminanti paradossi. Quel compito ordinatore è assolto ora da questo libro, complemento fondamentale e irrinunciabile di Massa e potere: ricostruito con sapienza filologica su materiali in gran parte inediti, esso ci restituisce un mosaico prezioso, collocandosi in posizione eminente fra le maggiori opere di Canetti.”
— — -
Si può scrivere un libro contro la morte? Si può, eccolo. Si può dire di tutto su questo evento programmato per tutto ciò che vive, nel senso che nasce, fiorisce e poi perisce. Niente e nessuno sfugge a questa legge che si chiama “natura”. Elias Canetti con questi suoi pensieri dimostra che la morte può essere una vera e propria ossessione. Il suo libro infatti non è altro che una serie di pensieri sull’argomento. Alcuni sono eccezionali, altri interessanti, molti oscuri perchè senza contesto, altri indefinibili. L’autore lascia al lettore la possibilità di contestualizzarli. Non avrebbe potuto fare diversamente.
Ognuno di noi pensa a questo evento con sospetto, paura, apprensione. Non credo ci sia qualcuno al mondo che ci pensi con piacere, affascinato da quello che gli succederà un giorno, tenuto quanto più possibile lontano. Ma non serve a nulla. Questo evento che viene tradizionalmente descritto come una “signora” in nero, magari con una falce in mano. Provate a chiedere a Google qualcosa sul suo conto. Vi darà circa duecento e più milioni di risposte ed immagini sulla sua identità. Possiamo aggiungerci i pensieri in libertà di Canetti. Lui rimane per tutto il libro quanto mai scettico, pessimista, qualunquista direi. Uno in particolare mi ha colpito: “Dio, il tuo carnefice”.
Non sono d’accordo, ovviamente. E vi dirò anche il perchè, esemplificando al massimo: se tutto è stato creato con un inizio, dovrà pur esserci stato un progetto. Dietro di questo mi pare che ci debba essere qualcuno che l’abbia oltre che pensato anche realizzato. Poichè ogni progetto ha un principio, una esecuzione ed una fine, deve esserci anche una conclusione che in questo caso chiamiamo “fine=morte”.
Ma questa “fine=morte” non finisce del tutto perchè serve a rinnovare e ricreare un nuovo inizio. Il ciclo “vita-morte-vita” è destinato a continuare all’infinito. Tutto deve finire per poi ricominciare. La morte quindi non esiste. Non chiedetemi spiegazioni e significato di una cosa del genere. Non mi interessa. So solo che il “carnefice”, come lo chiama Canetti, non può essere Dio. Lui ne è l’Autore.
— —
Elias Canetti (1905–1994) Insignito del Premio Nobel per la Letteratura 1981 “per scritti caratterizzati da una visione ampia, una ricchezza di idee e una forza artistica”. Studiò a Vienna. Prima della seconda guerra mondiale si trasferì con la moglie Veza in Inghilterra e vi rimase a lungo. Dalla fine degli anni ’60 ha vissuto a Londra e Zurigo. Alla fine degli anni ’80 ha iniziato a vivere stabilmente a Zurigo. Morì nel 1994 a Zurigo.
[image error]Novembre, la stagione della poesia

Novembre segna la stagione che più si addice alla poesia. Questa che segue è di Emily Dickinson, a mio parere la più grande poetessa di lingua inglese di tutti i tempi. Una poesia chiara e vermiglia come l’autunno che la descrive, tutta impregnata di rosso.
I colori così come sono descritti (hue, blood, stain, scarlet, ruddy, vermillion) sono quelli dell’autunno nel New England. Non a caso questa stagione è una delle maggiori attrattive della regione, con panorami ricchi di sfumature tendenti al rosso che incantano lo sguardo.
La Dickinson in vita non pubblicò mai le sue poesie, né tanto meno diede ad esse un titolo. La sua punteggiatura è quanto mai eccentrica.Ci sono molti trattini al posto dei punti nei suoi manoscritti, mai virgole o punti. Gran parte delle sue parole sono in maiuscolo, specialmente i sostantivi.
Il colore sangue della poesia è non solo quello delle foglie ma anche quello che scorse sul campo di battaglia al tempo di quando la poetessa americana scrisse la poesia.
Era l’autunno del 1862. Fu in quel periodo che ebbe luogo la più sanguinosa battaglia della guerra civile americana. La battaglia di Antietam si svolse, infatti, il 14 settembre di quell’anno. Ci furono oltre 22.000 morti e feriti, un vero e proprio bagno di sangue che dovette ispirare Emily. Alcune parole sono la spia di questa ispirazione.
“Basin” al verso sette è il “bacile” di metallo che serviva a raccogliere il sangue negli ospedali da campo. “Globules” significava un tempo “cellule di sangue rosso”. “Vermillion” è quel particolare tipo di rosso usato per i cosmetici, ma anche dagli Indiani d’America per dipingersi il corpo. Quell’aggettivo “martial” ad esso riferito descrive l’atmosfera militare e ne definisce il contesto.
La poesia vuole essere una sorta di trasfigurazione poetica di quell’evento sanguinoso in un contesto di stagione quanto mai adatto all’ispirazione poetica.
The name — of it — is “Autumn” -
The hue — of it — is Blood -
An Artery — upon the Hill -
A Vein — along the Road -
Great Globules — in the Alleys -
And Oh, the Shower of Stain -
When Winds — upset the Basin -
And spill the Scarlet Rain -
It sprinkles Bonnets — far below -
It gathers ruddy Pools -
Then — eddies like a Rose — away -
Upon Vermillion Wheels -
— -
Il nome — suo — è “Autunno” -
Il colore — suo — è Sangue -
Un’Arteria — sulla Collina -
Una Vena — lungo la Strada -
Grandi Globuli — nei Viali -
E Oh, l’Acquazzone di Tinte -
Quando i Venti — rovesciano il Bacile -
E versano Pioggia Scarlatta -
Sparpaglia Berretti — laggiù -
Forma rubicondi Stagni -
Poi — avvolgendosi come una Rosa — se ne va -
Su Vermiglie Ruote -
Per l’ultima strofa l’Autrice inserì delle varianti che la modificano sensibilmente:
It sprinkles Bonnets — far below -
It makes Vermillion — Pools -
Then — eddies like a Rose — away -
And leaves me with the Hills.
— -
Sparpaglia Berretti — laggiù -[image error]
Crea Vermigli — Stagni -
Poi — avvolgendosi come una Rosa — se ne va -
E mi lascia con le Colline.
October 30, 2021
Modo di filosofare - The way to love wisdom
scrisse i proprii concetti, e vivo tempio
dove, pingendo i gesti e 'l proprio esempio,
di statue vive ornò l'imo e 'l superno;
perch'ogni spirto qui l'arte e 'l governo
leggere e contemplar, per non farsi empio,
debba, e dir possa: - Io l'universo adempio,
Dio contemplando a tutte cose interno. -
Ma noi, strette alme a' libri e tempii morti,
copiati dal vivo con più errori,
gli anteponghiamo a magistero tale.
O pene, del fallir fatene accorti,
liti, ignoranze, fatiche e dolori:
deh, torniamo, per Dio, all'originale!
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Tommaso Campanella (1568-1639)
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The world's a book, the youthful diary
of the eternal Wisdom where he wrote
his thoughts; the living temple where he cut
his likenesses, to decorate earth and sky.
The aim was, every spirit should read there
and looking at his art and power, improve
themselves, till they could say: "I finish off
his work, by seeing his image everywhere."
But tied to books and temples that are mortal
(copied from life with many a mistake),
we prefer these to the Maker and the Model.
O pain, teach us our lesson: we are weak.
Illness and ignorance, save us: for God's sake,
we must go back to the original Book.
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(Traduzione in inglese di Alistair Elliot)
John Keats & Halloween

Il 31 ottobre 1795 nasce John Keats a Londra, muore a Roma il 23 febbraio 1821, giovane poeta romantico inglese che dedicò la sua breve vita alla perfezione di una poesia caratterizzata da immagini vivide, grande fascino sensuale e un tentativo di esprimere una filosofia attraverso la leggenda classica.
E’ stato uno dei principali poeti del movimento romantico inglese. Durante la sua breve vita, il suo lavoro ricevette costanti attacchi critici dai periodici dell’epoca, ma la sua influenza postuma è stata immensa. Elaborata scelta delle parole e immagini sensuali caratterizzano la sua poesia, inclusa una serie di odi che sono i suoi capolavori e che rimangono tra le poesie più popolari della letteratura inglese. Le lettere di Keats, che espongono la sua teoria estetica della “capacità negativa”, sono tra le più celebrate della letteratura inglese.
Questa sua poesia è adatta per ricordarlo anche in occasione dell’annuale Halloween. Inizia con “Tis “the Witching Time of Night” da un verso dell’Amleto di William Shakespeare.
’Tis the Witching Time of Night
’Tis “ the witching time of night”,
Orbed is the moon and bright,
And the stars they glisten, glisten,
Seeming with bright eyes to listen —
For what listen they?
For a song and for a charm,
See they glisten in alarm,
And the moon is waxing warm
To hear what I shall say.
Moon! keep wide thy golden ears —
Hearken, stars! and hearken, spheres!
Hearken, thou eternal sky!
I sing an infant’s lullaby,
A pretty lullaby.
Listen, listen, listen, listen,
Glisten, glisten, glisten, glisten,
And hear my lullaby!
Though the rushes that will make
Its cradle still are in the lake;
Though the linen then that will be
Its swathe, is on the cotton tree;
Though the woollen that will keep
It warm is on the silly sheep —
Listen, stars’ light, listen, listen,
Glisten, glisten, glisten, glisten,
And hear my lullaby!
Child, I see thee! Child, I’ve found thee
Midst of the quiet all around thee!
Child, I see thee! Child, I spy thee!
And thy mother sweet is nigh thee!
Child, I know thee! Child no more,
But a Poet evermore!
See, see, the lyre, the lyre,
In a flame of fire,
Upon the little cradle’s top
Flaring, flaring, flaring,
Past the eyesight’s bearing.
Awake it from its sleep,
And see if it can keep
Its eyes upon the blaze —
Amaze, amaze!
It stares, it stares, it stares,
It dares what no one dares!
It lifts its little hand into the flame
Unharmed, and on the strings
Paddles a little tune, and sings,
With dumb endeavour sweetly —
Bard art thou completely!
Little child
O’ th’ western wild,
Bard art thou completely!
Sweetly with dumb endeavour,
A Poet now or never,
Little child
O’ the western wild,
A Poet now or never!
— -
È l’ora delle streghe della notte
È “l’ora delle streghe della notte”,
Orbed è la luna e luminosa,
E le stelle brillano, brillano,
Sembrare con occhi luminosi per ascoltare -
Per cosa ascoltano?
Per una canzone e per un incanto,
Vedi brillano in allarme,
E la luna si sta scaldando
Per sentire cosa dirò.
Luna! tieni spalancate le tue orecchie d’oro -
Ascoltate, stelle! e ascoltate, sfere!
Ascolta, cielo eterno!
Canto la ninna nanna di un bambino,
Una bella ninna nanna.
Ascolta, ascolta, ascolta, ascolta,
Luccicare, luccicare, luccicare, luccicare,
E ascolta la mia ninna nanna!
Anche se le corse che faranno
La sua culla è ancora nel lago;
Anche se il lino allora sarà
La sua fascia è sull’albero del cotone;
Anche se la lana che manterrà
Fa caldo sulle pecore stupide -
Ascolta, luce delle stelle, ascolta, ascolta,
Luccicare, luccicare, luccicare, luccicare,
E ascolta la mia ninna nanna!
Bambina, ti vedo! Bambina, ti ho trovato
In mezzo alla quiete tutt’intorno a te!
Bambina, ti vedo! Bambina, io ti spio!
E la tua dolce madre ti è vicina!
Bambina, ti conosco! bambino non più,
Ma un Poeta per sempre!
Vedi, vedi, la lira, la lira,
In una fiamma di fuoco,
Sulla sommità della piccola culla
Ardenti, fiammeggianti, fiammeggianti,
Oltre il rilevamento della vista.
Sveglialo dal suo sonno,
E vedi se può mantenere
I suoi occhi sulla fiamma -
Stupisci, stupisci!
Fissa, fissa, fissa,
Osa ciò che nessuno osa!
Alza la sua piccola mano nella fiamma
Illeso, e sulle corde
Rema un po’ di melodia, e canta,
Con uno sforzo muto dolcemente -
Bardo sei completamente!
Piccolo bambino
O’th’ selvaggio occidentale,
Bardo sei completamente!
Dolcemente con sforzo muto,
Un poeta ora o mai più,
Piccolo bambino
O’ il selvaggio occidentale,
Un poeta ora o mai più!
Ed ecco la parte del dialogo dell’Amleto, atto 3 scena seconda, che ispirò il giovane Keats per scrivere la sua poesia:
Tis now the very witching time of night,
When churchyards yawn and hell itself breathes out
Contagion to this world: now could I drink hot blood,
And do such bitter business as the day
Would quake to look on. Soft! now to my mother.
O heart, lose not thy nature; let not ever
The soul of Nero enter this firm bosom:
Let me be cruel, not unnatural:
I will speak daggers to her, but use none;
My tongue and soul in this be hypocrites;
How in my words soever she be shent,
To give them seals never, my soul, consent!
— —
È ora l’ora delle streghe della notte,[image error]
Quando i cimiteri sbadigliano e l’inferno stesso espira
Contagio a questo mondo: ora potrei bere sangue caldo,
E fai affari così amari come il giorno
Tremerei a guardare. Morbido! ora a mia madre.
O cuore, non perdere la tua natura; non lasciare mai
L’anima di Nerone entra in questo seno saldo:
Lasciami essere crudele, non innaturale:
Le parlerò pugnali, ma non ne userò;
La mia lingua e la mia anima in questo sono ipocrite;
Come mai nelle mie parole ella sia sbiadita,
Non dare mai loro sigilli, anima mia, acconsenti!
October 29, 2021
Libri impossibili da leggere

Il 30 ottobre 1880 ricorre l’anniversario della nascita a Idaho, Usa, di Erzra Pound.
I Canti Pisani di Ezra Pound è uno di quei libri impossibili da leggere.
Un libro di fronte al quale chi legge si sente smarrito e sperduto per la dimensione sia spaziale e temporale che lo comprende, per il viaggio orizzontale e verticale che l’autore percorre attraverso la foresta dei simboli che caratterizza l’esperienza umana.
La sola storia di Ezra Pound è di per sé un “classico”. Per poter comprendere l’universalità che questo grande libro esprime, credo non ci sia migliore descrizione di quella che ne fece Eugenio Montale. Ecco quanto scrisse:
“I Canti Pisani” sono una sinfonia non di parole, ma di frasi in libertà. Non siamo tuttavia nel caos perché queste frasi sono legate da un “montaggio” che supera di gran lunga, per apparente incoerenza, quello di qualche parte dell’ “Ulysses” e dell’eliotiana “Waste Land”. Si tratta però di un montaggio di cui sfugge totalmente il connettivo, il nesso conduttore. Immaginate che si possa radiografare il pensiero di un condannato a morte dieci minuti prima dell’esecuzione capitale, e supponete che il condannato sia un uomo della statura di Pound e avrete i “Canti Pisani”: un poema che è la fulminea ricapitolazione della storia del mondo (di un mondo), senza alcun legame o rapporto di tempo e di spazio (…) Migliaia di personaggi, fitto intarsio di citazioni in ogni lingua, ideogrammi cinesi, brani di musica, allusioni a tutto ciò che per cinquant’anni ha alimentato, nella storia, nella filosofia, nella medicina, nell’economia e nell’arte il pensiero moderno, non senza salti vertiginosi nel mondo del mito e della preistoria (….). L’interesse è però ravvivato dal fatto che qua è la’, in questi canti di prigioniero, intravediamo un Pound nuovo, provato dal dolore, una voce che piange, che geme, che soffre; e sentiamo allora che il gioco diventa serio e lo spettacolo del clown si fa tragedia”.
Non credo si possa aggiungere altro. Un libro universale che comprende spazio e tempo, che va oltre il soggetto e diventa oggetto, significato e significante nella dimensione dell’essere e del divenire. Un libro davvero per tutti e per nessuno. Tutti sono sfidati ad entrare nella mente del poeta che scrive, prigioniero di se stesso e del mondo. Pochi sapranno leggere il suo messaggio arrivando fino in fondo. Lo dice chiaramente “il grande fabbro” Pound nel canto 81, parlando della vanità dell’essere e del mondo. Ascoltate la lettura del brano in italiano qui al link leggendo il testo qui sotto:
Quello che veramente ami rimane,
il resto è scorie
Quello che veramente ami non ti sarà strappato
Quello che veramente ami è la tua vera eredità
Il mondo a chi appartiene, a me, a loro
o a nessuno?
Prima venne il visibile, quindi il palpabile
Elisio, sebbene fosse nelle dimore d’inferno,
Quello che veramente ami è la tua vera eredità
La formica è un centauro nel suo mondo di draghi.
Strappa da te la vanità, non fu l’uomo
A creare il coraggio, o l’ordine, o la grazia,
Strappa da te la vanità, ti dico strappala
Impara dal mondo verde quale sia il tuo luogo
Nella misura dell’invenzione, o nella vera abilità dell’artefice,
Strappa da te la vanità,
Paquin strappala!
Il casco verde ha vinto la tua eleganza.
“Dominati, e gli altri ti sopporteranno”
Strappa da te la vanità
Sei un cane bastonato sotto la grandine,
Una pica rigonfia in uno spasimo di sole,
Metà nero metà bianco
Né distingui un’ala da una coda
Strappa da te la vanita’
Come son meschini i tuoi rancori
Nutriti di falsità.
Strappa da te la vanità,
Avido di distruggere, avaro di carità,
Strappa da te la vanità,
Ti dico strappala.
Ma avere fatto in luogo di non avere fatto
questa non è vanità. Avere, con discrezione, bussato
Perché un Blunt aprisse
Aver raccolto dal vento una tradizione viva
o da un bell’occhio antico la fiamma inviolata
Questa non è vanità.
Qui l’errore è in ciò che non si è fatto, nella diffidenza che fece esitare.
Ezra Pound,[image error]
“Pisan Cantos”
(Canto 81)
Memorie americane: Jimmy, il cugino americano. “Vivi libero o muori”

Il post che segue è stato scritto oltre dieci anni fa , dopo la visita che facemmo mia moglie ed io negli USA, ospiti di mio cugino Jimmy Parziale e di sua moglie Jane. L’altra sera abbiamo sentito al telefono Jane per gli auguri del suo compleanno. Quasi centenaria, continua a vivere da sola, ai margini di una foresta nel cuore del New England. Una buona occasione per non dimenticare e ricordare a chi è sopravvissuto le memorie di un passato che non finisce mai. La sorella di mio Padre, Anna, la mitica “‘Zia Nannina”, emigrata in America agli inizi degli anni trenta, sposata Parziale, ebbe la fortuna e la gioia di creare una grande famiglia. Si contano a decine e decine, forse centinaia, i “Parziale” disseminati nei diversi stati. Ho tradotto il testo in inglese a futura memoria.
Per conoscere e capire gli Stati Uniti d’America è sempre opportuno passare prima per l’ Inghilterra , ovvero il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. E’ un consiglio questo che pochi esperti, siano essi storici, sociologi o linguisti, danno e non tutti ritengono opportuno seguire. Molti vanno alla scoperta dell’America e degli Americani, saltando a piè pari la conoscenza dell’Inghilterra e degli Inglesi, con il loro carico di storia. Allo stesso modo si pensa di poter visitare e conoscere gli Stati Uniti d’America ignorando o tralasciando la realtà storico-culturale del “New England” .
Non tutti sanno, del resto, che la “Nuova Inghilterra” è l’Inghilterra che i “Padri Pellegrini” avevano lasciato nei loro ricordi e impresso nelle menti quando, nel seicento, per le più disparate ragioni, furono costretti ad abbandonare i luoghi dove erano nati. Essi ritrovarono da quelle parti la Madre Patria, attraversando l’Atlantico, sbarcando sulle coste ospitali, ma non sempre, di un Nuovo Mondo.
Non a caso il viaggiatore che oggi scende all’aeroporto di Boston e si accinge a percorrere in auto queste regioni, ritrova non solo il paesaggio e la nomenclatura dei luoghi della patria di origine inglese, ma anche l’atmosfera, le sensazioni, i comportamenti della gente tipici delle Isole Britanniche. E’ come se non ci fossero di mezzo un oceano, numerose ore di volo, oltre che duecento anni di storia, a dividere uomini, luoghi e cose. Unica differenza, la guida a destra che i Padri Pellegrini pensarono bene di adottare subito, contraddicendo uno stile che gli antenati isolani si ostinano ancora a mantenere.
Per molti il “New England” significa silenziosi villaggi con al centro guglie di bianchi campanili, coste frastagliate, dolci distese di pianure rurali e verdeggianti. La regione, comunque, è anche la patria di luoghi trafficati e densamente popolati, città come Newport, Rhode Island , le comunità suburbane del Connecticut o la controllata e sofisticata atmosfera di Boston, che ben si mescolano ai villaggi con l’atmosfera tipicamente inglese, diventati americani, i ponti di legno coperti, i fiumi e le cascate, i laghi e le grandi foreste.
Tutta la regione è stata modellata dalla geografia e dal clima. I primi esploratori formarono le comunità venendo dal mare, coi loro traffici da e per il Vecchio Mondo . L’oceano era il luogo designato che dava da vivere e che doveva essere percorso ed esplorato. La pesca, il commercio, i traffici di ogni tipo si affiancavano ai viaggi delle balene, che diventano veri personaggi marini e letterari da queste parti.
Nelle zone interne le grandi foreste del Vermont , New Hampshire e Maine diedero vita a grandi comunità che fecero dell’indipendenza il loro stile di vita. Lo slogan, che tuttora si vede sulle targhe delle auto del New Hampshire , “Live free or die” è il ricordo costante di uno spirito che continuamente si rinnova nella mente di questa gente. Gli inverni del “New England” sono lunghi e duri, le primavere quanto mai capricciose ed imprevedibili e ciò spiega la quasi impossibilità a coltivare i campi e a fare agricoltura.
La natura la fa da padrona da queste parti e sapere sopravvivere in queste condizione è di primaria importanza. Significa soprattutto trovare le risorse per vivere, senza rinunciare mai alla sfida di un’esistenza anche dura. Per questa ragione il “New England” è uno stato della mente prima che uno spazio fisico. Fu, appunto, ciò che ebbero modo di sperimentare i Padri Pellegrini quando sbarcarono da queste parti.
Così si forgiarono spiriti adatti a far nascere non solo la prima civiltà europea sul suolo americano ma anche a dare forza alla Rivoluzione Americana del 1776–1783. Un grande numero di politici ed intellettuali ha le proprie radici da queste parti a cominciare da scrittori come Henry David Thoreau (1817–62), Ralph Waldo Emerson (1803–82), Louisa May Alcott (1832–88), e Hermann Melville (1819–91) tanto per nominarne solo alcuni.
Ma la “Nuova Inghilterra” non è solo la culla della civiltà americana è anche il luogo di nascita dell’istruzione universitaria americana. L’università di Harvard venne fondata nel 1636, appena sedici anni dopo lo sbarco dei Padri Pellegrini a Plymouth Rock . Quattro famosi collegi come Harvard, Brown, Dartmouth, Yale si trovano da queste parti ed è la prova che cultura e tradizione camminano di pari passo.
Quando il noto storico francese Alexis de Tocqueville (1805–1859), durante la stesura della sua importante opera “Democracy in America” (1835) disse che “gli abitanti degli Stati Uniti al momento non hanno una tradizione letteraria”, non poteva immaginare ciò che sarebbe accaduto nei successivi venti anni. Sarebbero, infatti, comparsi sulla scena letteraria scrittori come Emerson, Thoreau, Hawthorne, Stowe , fino ai nostri giorni con David Frost, Jack Kerouac, e l’immaginifico Stephen King.
P.S. La foto riproduce la targa dell’auto di Jimmy , mio cugino americano. E’ anche il motto dello stato del New Hampshire: “Vivi libero o muori” .

To get to know and understand the United States of America it is always advisable to first pass through England, that is the United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland. This is the advice that few experts, be they historians, sociologists, or linguists, give, and not all consider it appropriate to follow. Many go to the discovery of America and the Americans, skipping the knowledge of England and the English, with their load of history. In the same way, we think we can visit and get to know the United States of America while ignoring or neglecting the historical-cultural reality of “New England”.
Not everyone knows, moreover, that “New England” is the England that the “Pilgrim Fathers” had left in their memories and imprinted on their minds when, in the seventeenth century, for the most disparate reasons, they were forced to abandon the places where they were born. They found their Motherland in those parts, crossing the Atlantic, landing on the hospitable coasts, but not always, of a New World.
It is no coincidence that the traveler who today gets off at the Boston airport and is about to travel through these regions by car, finds not only the landscape and the nomenclature of the places of the homeland of English origin, but also the atmosphere, the sensations, the behaviors of the people typical of the British Isles.
It is as if there were no ocean in between, numerous hours of flight, as well as two hundred years of history, dividing men, places and things. The only difference is the right-hand drive that the Pilgrim Fathers decided to adopt immediately, contradicting a style that the island’s ancestors still persist in maintaining.
For many, “New England” means silent villages with white bell towers in the center, rugged coastlines, gentle expanses of rural and verdant plains. The region, however, is also home to busy and densely populated places, cities like Newport, Rhode Island, the suburban communities of Connecticut or the controlled and sophisticated atmosphere of Boston, which blend well with villages with a quintessential English feel. become American, covered wooden bridges, rivers and waterfalls, lakes and great forests. The whole region has been shaped by geography and climate. The first explorers formed communities by coming from the sea, with their trade to and from the Old World. The ocean was the designated place that gave a living and that had to be traveled and explored. Fishing, trade, trafficking of all kinds accompanied the journeys of whales, which become true marine and literary characters in these parts.
In the interior, the great forests of Vermont, New Hampshire and Maine gave birth to large communities that made independence their way of life. The slogan, which still appears on the license plates of New Hampshire cars, “Live free or die” is the constant reminder of a spirit that is continually renewed in the minds of these people. The winters of “New England” are long and hard, the springs very capricious and unpredictable and this explains the almost impossibility of cultivating the fields and doing agriculture. Nature reigns supreme in these parts and knowing how to survive in these conditions is of primary importance. Above all, it means finding the resources to live, without ever giving up the challenge of even a tough existence. For this reason, “New England” is a state of mind rather than a physical space. It was, in fact, what the Pilgrim Fathers had the opportunity to experience when they landed in these parts.
Thus spirits were forged suitable to give birth not only to the first European civilization on American soil but also to give strength to the American Revolution of 1776–1783. A large number of politicians and intellectuals have their roots in these parts starting with writers such as Henry David Thoreau (1817–62), Ralph Waldo Emerson (1803–82), Louisa May Alcott (1832–88), and Hermann Melville ( 1819–91) just to name a few.
But “New England” is not only the cradle of American civilization, it is also the birthplace of American university education. Harvard University was founded in 1636, just sixteen years after the landing of the Pilgrim Fathers at Plymouth Rock. Four famous colleges such as Harvard, Brown, Dartmouth, Yale are located in these parts and it is proof that culture and tradition go hand in hand. When the well-known French historian Alexis de Tocqueville (1805–1859), during the writing of his important work “Democracy in America” (1835), said that “the inhabitants of the United States currently have no literary tradition”, he could not have imagined this. that would happen over the next twenty years. In fact, writers such as Emerson, Thoreau, Hawthorne, Stowe would have appeared on the literary scene, up to the present day with David Frost, Jack Kerouac, and the imaginative Stephen King.
P.S. The photo reproduces the license plate of Jimmy’s car, my American cousin. It is also the motto of the state of New Hampshire: “Live free or die”.
Postato 11th July 2011 da galloway
[image error]October 27, 2021
La fuga di Tolstoj: “La vecchiaia si può fuggire in mille modi, magari scrivendo un libro…”

La notte tra il 27 e il 28 ottobre del 1910 Lev Nikolàevic Tolstoj è risvegliato da un fruscio nel suo studio: la moglie Sofia sta curiosando ancora una volta tra le sue carte. Stanco di una vita coniugale reciprocamente tormentata e di una famiglia inquinata da sospetti, gelosie e rivalità, all’età di ottantadue anni, decide di fuggire nottetempo, accompagnato dalla figlia Sasa e dal medico Makovickij. Alberto Cavallari ha ricostruito in questo racconto di straordinaria intensità i giorni della fuga di uno dei massimi scrittori occidentali (“una fuga dalla morte, una fuga / rivolta, una fuga / libertà”) dalla tenuta di Jasnaja Poljana alla sperduta stazione di Astàpovo, dove Tolstoj morì il 7 novembre, dieci giorni dopo la sua fuga, sotto i riflettori del mondo intero. Posseggo questo libro da diversi anni ma non l’avevo mai letto, nè sapevo della “fuga” di questo grande scrittore. A questo proposito Tolstoj scrisse: “La vecchiaia si può fuggire in mille modi, magari scrivendo un libro…”
Lev Tolstoj Scrittore, filosofo e attivista sociale (1828–1910). All’alba dei suoi 82 anni, il 28 ottobre 1910, abbandona di nascosto la sua casa nel cuore della notte. Lascia, tra le pagine di un libro, un biglietto di commiato alla moglie e parte senza una destinazione precisa, accompagnato dal suo medico e amico fidato.
Dopo solo tre giorni di viaggio, la salute del grande scrittore peggiora e muore di polmonite dopo sette giorni in una sperduta stazione ferroviaria, dove ricchi e poveri accorrono per salutarlo. Ripeteva ogni volta: «Io so dove andare, anche se proveranno a fermarmi. E so che devo andarci da solo».
Alla fine, a 82 anni, ha pensato che non poteva più aspettare. In tanti hanno provato a spiegare questo suo folle gesto adducendo varie ipotesi: l’oppressione della moglie che svariate volte si era opposta ai suoi viaggi minacciando il suicidio, gli interessi per la sua eredità materiale e politica, il lacerante conflitto tra il dolore per le diseguaglianze sociali e i vizi di una vita opulenta.
Ciò che è certo, è che fino all’ultimo Tolstoj non si esime dal comunicare un messaggio. In stato febbricitante detta alla figlia queste ultime parole: «Dio è quell’infinito Tutto, di cui l’uomo diviene consapevole d’essere una parte finita. […] quanto più grande è l’amore, tanto più l’uomo manifesta Dio, e tanto più esiste veramente».
[image error]October 26, 2021
Che cos’è la Storia, oggi?

Ho avuto modo leggere alcuni estratti e recensioni di questo nuovo ed interessante libro uscito recentemente in Inghilterra, proposto con un titolo quanto mai provocatorio. “Che cos’è la Storia, ora?”. La provocazione sta proprio in quell’avverbio “ora”, che sta per “oggi”, seguito da un punto interrogativo. Già la semplice domanda su cos’è la storia ha sempre posto agli studiosi grossi problemi di valutazione ed interpretazioni. Sono coinvolte persone, storie, fatti e vicende trascritte e registrate in vari modi. Una questione non solo di interpretazione, ma innanzitutto di valutazione, scelta ed utilizzo delle fonti e dei metodi. Quali storie vengono raccontate; come dovrebbere essere celebrate; riscritte da chi? Sono vecchie domande sempre proposte, non solo all’interno del mondo accademico, ma da tutti. Il libro, con un mix diversificato di scrittori, sia nomi di successo che voci emergenti, ovviamente in un ambito di lingua inglese, cerca di dare risposte nuove e moderne a questi antichi interrogativi.
Di quale storia e storie abbiamo bisogno oggi? Come dare risposte certe e documentate ad argomenti quali, ad esempio, razzismo e antirazzismo, la storia “queer”, la storia della fede, la storia delle disabilità, la storia ambientale, la storia della fuga dalle nostalgie di potere, l’ascolto delle voci delle donne e la “riscrittura” del passato. Chi è lo “storico” oggi?
Alcuni ritengono che il ruolo di “storico” sia quello di narratori attenti di fatti d’archivio, trascorrendo ore a “srotolare”, oggi, microfilm che hanno sostituito pergamene, papiri e registri. Sono stati un tempo il lavoro di coloro che si considerano narratori e sostenitori di un patrimonio culturale, che sentono il bisogno di portare alla luce le ingiustizie storiche, affinché possiamo avere una visione più sfumata della nebulosa nostalgia. Accademici intenzionati ad educare le future generazioni.
Ma al di fuori di questo mondo, con l’avvento dei nuovi media, con l’abbondanza e la diversità delle fonti, diventate vere e proprie “banche”, piattaforme di dati, tanto grandi da diventare “cloud”, nuvole foriere di tempeste, la questione più importante da affrontare è non solo “chi è uno storico?”, ma anche “cos’è uno storico?”, per capire “cos’è che fa storia?”.
Noi, oggi, in maniera tecnologica ed essenzialmente digitale, siamo tutti “storia”. Ognuno di noi, sia come individui che come persone, abbiamo una identità culturale che non è più quella di una volta, precisa, distinta e inequivocabile. E non solo questo: apparteniamo a comunità anch’esse sempre aperte, comunicanti, interconnesse. Tutto è diventato liquido, mutevole, opinabile e discutibile. Le pietre e i monumenti del passato vengono messi in discussione, se non distrutti e abbattuti.
Ma, allora, se la storia è di tutti, chi ne controllerà il significato? Come suggeriscono i contributori del libro è necessario che chi vuole “fare storia” sappia non solo conoscere le fonti, ma sopratutto muoversi tra di esse e tra i diversi significati trasmessi per mezzo dei diversi media. Spesso è ciò che non è scritto, sentito o visto, o è solo implicitamente implicito, che ci permette di cogliere il significato di un documento storico.
Mi ha colpito il saggio sulla storia delle emozioni, che cerca di comprendere e spiegare come le persone in passato hanno sperimentato cose diverse, ma anche come le hanno sentite in modo diverso da come le faremmo noi. Per quanto gli psicologi odierni riconoscano le sindromi “legate alla cultura”, fenomeni che si verificano solo in particolari gruppi, potremmo considerare i gruppi in passato come aventi risposte legate al tempo, alle loro situazioni.
Si tratta di saper trasmettere al meglio il passato a chi studia ed usa la storia per agire nel presente, con una visione del futuro. E’ necessario operare la stratificazione di analisi che sia non solo biografia sociale, ma anche una sorta di autobiografia personale per dimostrare quale particolare forma di storia abbiamo davanti. La conoscenza del passato non dovrebbe essere influenzata da una visione romanzata dei fatti.
Da questo tipo di approccio conoscenza, saggezza e cultura potranno dare una corretta risposta alla domanda “Che cos’è la storia, adesso?”. Proponimento quanto mai antico e difficile da portare a compimento. Ci chiediamo da sempre “cos’è la saggezza, adesso?”. Siamo sicuri di poter/saper dare la giusta risposta? Tutte le storie che raccontiamo, sono le nostre e le raccontiamo a noi stessi. La domanda è allora: sarà mai possibile far comunicare il passato con il presente?
[image error]October 24, 2021
La candela a olio, il lucignolo e il nostro domani …

Foto@angallo
Mia Nonna aveva una lampada a olio come questa nella foto. Olio e stoppino creavano la luce necessaria per affrontare la notte al termine della giornata. Dopo la recita del rosario, rigorosamente in latino, (non so quanto fosse maccheronico!), bisognava spegnerla per risparmiare sia l’olio che lo stoppino.
Ricordi di fanciullezza trascorsa tra i monti in Costa d’Amalfi quando dalla Valle delle Ferriere stentava ad arrivare la corrente elettrica al villaggio dove trascorrevo l’estate di un tempo mai perduto. Più di mezzo secolo fa.
Questo fatto mi è venuto in mente leggendo l’ampia intervista che Roberto Cingolani, Ministro per la Transizione Ecologica, ha concesso ad un settimanale, parlando del “nostro domani” e dell’ “inquinamento elettronico”.
Tra tante cose interessanti ha detto che “la nostra sopravvivenza è legata ad un filo doppio ai grandi agglomerati urbani dove si concentrano gran parte dei problemi legati alla catastrofe climatica…Le ricette per le città sostenibili non sono più sufficienti, urge passare alle azioni”.
Secondo lui sarà necessaria la cosidetta “sobrietà digitale” in considerazione del fatto che “i numeri sono importanti per capire che questa produce il 4% dell’anidride carbonica … Quando mando una mail di un megabite produco la Co2 di una lampadina da 60 watt accesa per 30 minuti”. Ha aggiunto poi convinto che le tecnologie “devono trovare il miglior compromesso tra il nostro stile di vita e l’impatto sull’ambiente”.
Quasi in contemporanea è apparsa su alcuni quotidiani nazionali una intera pagina di “consigli”, pubblicati a pagamento, in maniera controcorrente, nei quali si invitano i cittadini a documentarsi acquistando e leggendo alcuni libri su questi sensibili argomenti.
Si afferma che “non esiste alcuna crisi climatica”, ma c’è chi “terrorizza e promuove aumenti di tasse solo per prendersi il vostro denaro … perchè quella dell’energia dal sole e dal vento è una colossale illusione e senza energia nucleare non esiste alcuna transizione energetica”.
Si tratta di testimonianze scientifiche dimostrate da petizioni inviate all’ONU da scienziati, primo firmatario Ivar Giaever, premio Nobel per la fisica e da tanti altri i quali affermano che non esiste alcuna emergenza climatica, basta coi catastrofismi, l’energia dal sole è una illusione e che l’energia nucleare è l’unica opzione possibile per salvare il pianeta Terra.
Da dinosauro digitale quale mi considero, mi sento di dire che non mi basta soltanto la curiosità di sapere chi ha torto e chi ha ragione, chi è in buona fede e chi invece ci vuole fregare. Non mi è piaciuta di certo quello che ha detto in chiusura della sua intervista il ministro.
Alla domanda della giornalista dove gli piacerebbe abitare per il futuro, ha risposto testualmente: “Se fossi single, starei a Tokyo: ci ho vissuto molto bene da ragazzo. Altrimenti in Canada, in qualche parte silvana della regione dell’Alberta, o a Vancouver. Ho sempre amato i posti in cui posso sparier nel verde sulla mia mountain bike”. Se questo non è “snobismo”, ditemi voi cos’è. Io, in Costa d’Amalfi ci sono rimasto e ogni tanto vado a portare un fiore sulla tomba di mia Nonna[image error]
October 23, 2021
Se Dio esiste il micio è il suo miracolo

Foto@angallo
“Quando guardo un cucciolo giocare con una pallina, un tappo di sughero o un pezzo di carta mi rendo conto di assistere a uno spettacolo divino. Sono agnostico, per non dire ateo, ma il corpo di un piccolo felino impegnato a saltare, correre, rotolarsi nell’erba, arrampicarsi su un albero o semplicemente a sbadigliare o a lavarsi è talmente bello e affascinante da suscitare in me il sospetto che Dio possa esistere, perché soltanto un dio è in grado di progettare un essere così incantevole”.
Non è mio questo elogio del micio. Non dico chi l’ha scritto, conta quello che ha detto di questo misterioso animale. La foto che vedete a corredo di questo post è mia. L’ho scattata mentre il micio dormiva sull’auto del suo padrone. Sono sicuro che stava sognando. Dopo il racconto che sto per farvi, vi dirò perchè sono sicuro che i gatti sognano. Ma leggete prima questo post, che poi tanto “racconto” non è. Il fatto, nella sua essenza, è realmente accaduto. I personaggi e l’ambiente sono veri.
C’era una volta (ma esiste ancora!) in un piccolo villaggio di montagna, a poca distanza dal mare, un parroco che aveva la passione per i gatti. Non ne aveva uno o due, bensì decine e decine. Nello spazio antistante la chiesa e la canonica, nei momenti in cui i felini sapevano che era l’ora del pasto, se ne potevano contare anche una trentina e più.
Bianchi, neri, grigi, maschi o femmine, piccoli e grandi, erano liberi di ritrovarsi ed intrattenersi in quel grande piazzale al centro del quale si ergevano due alberi, due tigli. Quegli alti alberi e le aiuole circostanti costituivano il loro naturale “habitat” in cui trascorrevano il loro tempo. Distesi al sole d’estate a dormire o fare le fusa, a rincorrersi l’un l’altro, arrampicandosi su per i rami di quegli alberi che salivano col loro fusto dritti verso il cielo.
Di ramo in ramo spesso riuscivano anche ad acchiappare qualche ingenuo passerotto che si trovava a passare da quelle parti. Veloci come felini della foresta si arrampicavano in verticale, avvalendosi delle loro affilate unghie che affondavano nella corteccia dell’albero. A seconda delle stagioni e dei momenti della giornata, era uno spettacolo osservare gli animali in questo ambiente.
Il parroco sapeva indicarli uno per uno. Aveva dato loro un nome, scegliendo un colore, un comportamento, un episodio che poteva caratterizzarli. Raccontava e ricordava i fatti della loro esistenza. Di come erano nati, chi fossero i loro genitori, come si erano accoppiati. Poteva dire perché qualcuno aveva un difetto, chi era abile o meno abile, buono o cattivo, triste o felice.
Sapeva chi doveva aiutare a mangiare, chi difendere dall’aggressività e dagli attacchi dei compagni. Conosceva i loro gusti e aveva cura a dire ai suoi parrocchiani che portavano loro da mangiare di evitare alcuni cibi o cotture che potessero nuocere.
La fruizione del cibo spesso creava delle difficoltà in quanto i gatti entravano in conflitto con i loro naturali e tradizionali nemici: i cani. Questi ultimi, anch’essi presenti numerosi in questo territorio, il più delle volte entravano nel recinto antistante la chiesa e cercavano di impossessarsi del cibo.
La facevano da padroni e avevano quasi sempre la meglio sui gatti. Il Parroco, quando poteva, interveniva a difenderli. Spesso aveva accese discussioni con i suoi parrocchiani se individuava chi era il proprietario. A sera, tutti i gatti riuscivano a trovare rifugio e riparo da qualche parte.
Il “don” aveva allestito per loro opportuni angoli e spazi che potessero essere usati come rifugio dai suoi amati felini. Come d’incanto sparivano e con il calare dell’oscurità, era difficile vederne qualcuno in giro.
Ogni qualvolta si apriva la porta di ingresso alla canonica, il prete prestava attenzione a non far entrare i suoi protetti. Gli stessi si dovevano tenere lontani dall’entrare in chiesa durante le celebrazioni. Soltanto uno di loro, al quale il prete aveva dato il nome di Nerino, poteva liberamente accedere in canonica. Al calar della sera, d’estate, liberamente poteva accedere alla stanza dove il “don” aveva la TV.
Sostava sulla scrivania e aspettava il suo padrone. Quando arrivava si stendeva sulla sua pancia e insieme guardavano i programmi. Nelle lunghe notti d’inverno, al tepore del fuoco del camino, Nerino sonnecchiava e il “don” preparava il sermone per la domenica. All’ora di andare a letto, salivano al piano di sopra. Nerino dormiva ai piedi del letto. Era sempre lui a svegliare il suo padrone al mattino e chiedere di uscire.
L’estate scorsa qualcosa di terribile accadde. Il parroco dovette assentarsi dalla parrocchia per qualche giorno. Lasciò la sua Perpetua a cura sia della casa che della canonica. Lei sapeva cosa fare. Un pomeriggio si allontanò per fare una passeggiata in compagnia di una sua amica. Al ritorno, una sgradevole sorpresa l’attendeva. Un bellissimo cane pastore di nome Gringo aveva ucciso Nerino durante una disputa per il cibo.
La povera donna fu presa dalla costernazione ben sapendo cosa sarebbe successo al ritorno del parroco. Insieme all’amica decisero di non dire nulla. Quando il “don” ritornò, fu accolto dai suoi amici i quali, come al solito, si affollarono subito intorno alla sua auto facendogli festa.
Il prete notò l’assenza di Nerino, ma non ci diede peso. I gatti sempre gatti sono, pensò. A sera, dopo avere dato la tradizionale cena ai suoi amici, notò ancora l’assenza di Nerino.
Chiese alla Perpetua se l’avesse visto. Lei disse di no. Forse si era allontanato, perché in … amore, soggiunse con ironia. Il parroco stette in silenzio per tutta la serata, pensoso e malinconico. Passarono un paio di giorni e Nerino non si fece vivo.
Un venerdì sera, alla porta della canonica suonò Pietro il macellaio. Portava come al solito le frattaglie di carne per i gatti. La prima cosa che disse al “don” fu: “Mi dispiace per Nerino”.
Il prete capì subito quello che non avrebbe mai voluto sapere. Il macellaio gli riferì quanto era accaduto tra il cane Gringo ed il gatto Nerino. Nella disputa per il cibo, il gatto aveva avuto la peggio.
Il cane l’aveva preso alla gola, uccidendolo all’istante. Il parroco stette immobile per qualche momento. Guardò negli occhi il buon Pietro. Lo lasciò sul posto e corse verso la porta che comunicava con la chiesa.
Attraversò la navata a passi veloci. Andò dietro l’altare maggiore, afferrò il microfono, accese l’apparecchio elettronico usato per diffondere la voce tramite gli altoparlanti dentro e fuori della chiesa e cominciò a lanciare imprecazioni di tutti i tipi contro chi aveva fatto accadere una cosa del genere. Tuoni e fulmini contro tutti, parrocchiani credenti e non credenti. Sembrava don Camillo, in uno dei tanti film con Peppone, quando si infuriava.
Contro chi non teneva i cani al guinzaglio, contro chi non amava gli animali figli di Dio. Contro la loro insensibilità verso le creature del Creato. Minacciava ed ordinava che gli portassero subito il corpo del povero Nerino. La voce alterata, oltre che risuonare all’interno della chiesa, rimbombava all’esterno e si amplificava nella valle, percorrendo con le ombre della sera le strade del piccolo villaggio.
Di casa in casa la sua voce rimbalzava nelle orecchie degli stupefatti abitanti. Seguì anche un terribile e disarmonico scampanare di campane. Poi cadde il silenzio. Pietro rimase ancora immobile per qualche minuto, impalato sull’uscio della porta della canonica. Poi, quando si riprese dallo sconcerto, andò verso il suo triciclo e si allontanò furtivamente.
Le urla del “don”, le sue imprecazioni e la richiesta di restituire il corpo del micio arrivarono anche alle orecchie di chi doveva sentire. La padrona di Gringo. Il giorno dopo, di prima mattina, andò a dissotterrare Nerino. Mise quel che restava di lui in una busta di plastica e furtivamente la depose davanti alla porta della canonica. Suonò il campanello e sgaiattolò via senza aspettare che il parroco aprisse la porta.
Nessuno sa poi spiegare cosa accadde. Cosa se ne fece di quei poveri resti l’infuriato parroco, né tanto meno perché la domenica successiva celebrò la messa domenicale senza pronunciare la consueta omelia. La cerimonia scivolò verso la fine silenziosa e malinconica, in un’atmosfera quanto mai pesante piena di tensione e di interrogativi.
Se ne accorse anche Flic, il cane di Aurora che il “don” non fece entrare in chiesa, vietandogli così di accucciarsi in silenzioso e religioso rispetto sotto la panca dove sedeva la sua padrona. Erano anni che gli permetteva fare una cosa del genere.
Flic ascoltava la messa senza creare alcun problema, come un corretto, fedele credente. Quel giorno gli fu negato l’accesso. Sembrò che tutti sapessero perché. Lui che sapeva di non avere colpe, obbediente rimase alla porta durante la cerimonia.
La storia potrebbe avere fine a questo punto. Ed invece, no. Qualche mese dopo si seppe che Gringo, il bellissimo cane pastore che aveva sgozzato Nerino, era improvvisamente morto. Il veterinario aveva accertato un male che lo aveva stroncato. La domenica successiva il parroco diede di nuovo il permesso a Flic di assistere alla messa ai piedi della sua padrona, sotto la panca dove lei era seduta.
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I gatti sognano? Se hai mai visto il tuo gatto contrarsi, chiacchierare o muovere le zampe mentre dorme, potresti esserti chiesto se sta sognando.
La risposta è si. I gatti sognano. Mentre sappiamo che gli esseri umani sognano regolarmente durante il sonno, per molti anni non è stato chiaro se gli animali sognassero. Quindi gli scienziati hanno monitorato il cervello dei ratti mentre erano svegli e svolgevano compiti come correre sui binari per il cibo.
Hanno quindi confrontato l’attività cerebrale dei ratti durante il sonno e hanno scoperto esattamente gli stessi schemi mostrati dai ratti durante l’esecuzione dei loro compiti. Ciò indicava che i topi stavano davvero sognando. In effetti è probabile che tutti i mammiferi sognino. Ma perché sogniamo, umani ed animali?
Comprendere il sogno aiuta a comprendere il processo del sonno. Il sonno è uno stato naturale caratterizzato da una ridotta coscienza e dalla riduzione o cessazione dell’attività muscolare sensoriale e volontaria. In altre parole, non mangi, annusi o cammini durante il sonno.
Non sappiamo ancora il motivo per cui il sonno è così importante per gli animali, ma sembra che aiuti la crescita e la riparazione dei nostri sistemi corporei. Durante il sonno il cervello sembra anche elaborare le informazioni acquisite e le esperienze che si sono verificate durante il giorno.
Ci sono due tipi principali di sonno: il sonno con movimenti oculari rapidi (REM) e il sonno con movimenti oculari non rapidi (non REM). Durante il sonno REM, come suggerisce il nome, gli occhi del sognatore si muovono rapidamente e casualmente e la loro attività cerebrale rispecchia quella dell’animale quando è sveglio.
Mentre il sognatore può sembrare piuttosto attivo durante questa fase del sonno, è molto difficile svegliarsi. Il sogno si verifica principalmente durante questa fase REM del sonno. Gli animali giovani trascorrono più tempo nel sonno dei sogni rispetto a quelli più grandi, probabilmente a causa della necessità di elaborare nuove informazioni.
Allora, cosa stanno sognando i nostri amici pelosi? Cena? Salendo le tende? Giocare con i loro proprietari? Probabilmente tutto quanto sopra. Tutto ciò che fa il tuo gatto durante il giorno viene elaborato mentre dorme e rivissuto nel sogno. Così i baffi tremanti, il piagnucolio e le zampe che corrono che comunemente osserviamo.
Il sogno è il tentativo dell’animale di comprendere le informazioni che vengono elaborate nel cervello. Quindi i neuroni si stanno attivando e il nostro cervello costruisce una trama adatta.
Naturalmente, proprio come gli umani, i sogni degli animali potrebbero non essere sempre piacevoli o basati su esperienze realistiche.
Gli incubi e i sogni più insoliti possono essere il nostro modo per determinare i modi ottimali di comportarsi se quell’esperienza dovesse sorgere nelle nostre ore di veglia.
Non è probabile che i gatti si preoccupino di sostenere gli esami o di trovarsi nudi in pubblico, sogni spiacevoli che spesso gli umani sperimentano!
Invece è probabile che i sogni dei nostri gatti siano pieni di inseguire giocattoli, trovare un grembo per sonnecchiare o scoprire modi per convincere i proprietari a dar loro da mangiare di nuovo! Una vita da sogno per un gatto. Ed anche capita agli “umani”.

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