Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 89

October 22, 2021

Il 24 ottobre del 79 d. C.

Il Libro
Plinio il Vecchio Scrittore, naturalista stoico e ammiraglio (23 d.C. — 79 d.C.) È il 24 ottobre del 79 d.C.: l’eruzione del Vesuvio è iniziata. Il cielo sopra Pompei ed Ercolano è denso di fumo e di esalazioni, la terra trema.
Gli abitanti, terrorizzati, cercano scampo nella fuga. Molti si assiepano sulla riva del mare, sperando aiuti dall’acqua.

Plinio è il comandante della flotta del Miseno e, mentre tutti tentano di allontanarsi dalle terre del vulcano, accorre per portare aiuto. Ciò che lo spinge è certamente il desiderio di salvare vite, ma forse anche la curiosità scientifica, vivissima in un uomo che ha passato l’esistenza a raccogliere e catalogare in una vastissima opera enciclopedica, la Naturalis Historia, tutto il sapere dell’antichità, di osservare da vicino un fenomeno tanto eccezionale.
Il ribollire del mare, mentre lapilli infuocati iniziano a piovere sui marinai, impedisce alla flotta di avvicinarsi alla riva. La gente, che aveva salutato con grida di giubilo il loro apparire all’orizzonte, vede le navi allontanarsi. La disperazione si impadronisce di tutti: capiscono che nessuno arriverà a salvarli. L’ammiraglio si cala in una barca a remi e, pur con grande difficoltà, riesce a entrare nel porto di Stabia.
È il nipote, Plinio il Giovane, che in una lettera a Tacito ci racconta cosa sia successo allo zio. Plinio incontra un amico sulla spiaggia e lo convince a tornare a casa con lui. È coperto di cenere e chiede di lavarsi. I famigliari sono in preda al terrore, ma l’ospite va comunque accolto e gli imbandiscono la tavola. L’ammiraglio ostenta tranquillità e si intrattiene a cena in ameni conversari, poi si corica e dorme sereno.
Da dove gli viene tanta sicurezza? Difficilmente la sua mente scientifica può illudersi. Sa che il suo destino è segnato. Vuole però comunicare un senso di fiducia e infondere coraggio, comportandosi in modo il più possibile normale, senza lasciar trapelare ansia e angoscia.
Svegliato, decide con i suoi ospiti di uscire per non restare intrappolato in casa, mentre si odono terribili boati, coprendosi la testa con cuscini. Viene il mattino, ma la luce del sole non filtra. Si stende a terra sopra un lenzuolo e beve avidamente. Tutti fuggono in preda al panico. L’aria è ormai satura di esalazioni mortali. Dopo tre giorni il suo corpo viene trovato intatto, «l’aspetto più simile a un uomo che dorme che a un morto.”
Almamatto. Un matto al giorno.
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Published on October 22, 2021 12:40

October 21, 2021

Libri sugli scaffali …





















Foto@angallo

In un mondo fatto di parole che ruotano dappertutto, accessibili, facili da pronunciare, altrettanto da dimenticare. Un mondo in cui intere biblioteche stanno scomparendo, o quanto meno si trasformano in “bits & bytes” a forma di “nuvole”. Un mondo dove i libri diventano film, tendenza, movimento, si trasformano in storia, fanno mercato ed in esso sprofondano, ben presto dimenticati.

In un mondo come questo, io continuo ad avere libri e ad acquistarli. Eppure posso leggerli anche online, sull’Ipad, su un qualsiasi e-reader. Ma vi assicuro che non è la stessa cosa. Perchè? Facile a dirsi. Una possibile risposta la si può trovare in questa bella poesia di Czeslaw Milosz.

Nato a Szetejni [Lituania] nel 1911. Ha frequentato le scuole superiori e l’università a Wilno, in Polonia. Cofondatore del gruppo letterario “Zagary”, ha fatto il suo debutto nel 1930 con due volumi di poesia. Lavorò per la radio polacca.

Passò la maggior parte del tempo durante la guerra a Varsavia lavorando per la stampa underground. E’ stato addetto culturale all’ambasciata polacca a Washington e a Parigi nel 1951. Chiese poi asilo politico in Francia, e si è trasferito negli Stati Uniti.

Ha insegnato letteratura polacca a Berkeley [California]. Nel 1980 gli è stato dato il Nobel per la letteratura con la motivazione: “who with uncompromising clear-sightedness voices man’s exposed condition in a world of severe conflicts”. “A chi con voce lungimirante e senza compromessi ha esposto la condizione dell’uomo in un mondo di duri conflitti.” Czeslaw Milosz è morto il 14 agosto 2004.

And yet the books will be there on the shelves, separate beings,
That appeared once, still wet
As shining chestnuts under a tree in autumn,
And, touched, coddled, began to live
In spite of fires on the horizon, castles blown up,
Tribes on the march, planets in motion.
“We are, ” they said, even as their pages
Were being torn out, or a buzzing flame
Licked away their letters. So much more durable
Than we are, whose frail warmth
Cools down with memory, disperses, perishes.
I imagine the earth when I am no more:
Nothing happens, no loss, it’s still a strange pageant,
Women’s dresses, dewy lilacs, a song in the valley.
Yet the books will be there on the shelves, well born,
Derived from people, but also from radiance, heights.
— — — — — — — — -
Eppure i libri continuano ad essere sugli scaffali, esseri separati
che apparvero un tempo, ancora umidi,
come castagne lucide sotto un albero in autunno,
toccati, accarezzati, ricominciarono a vivere
nonostante i fuochi all’orizzonte, i castelli in fiamme,
le tribù in marcia, i pianeti in movimento.
“Noi siamo”, hanno detto, come se le loro pagine
fossero state strappate, o una fiammata improvvisa
avesse cancellato le lettere. Noi siamo tanto più duraturi
di quanto sembra, il cui fragile tepore si raffredda,
col ricordo si disperde si consuma.
Immagino la terra quando io non ci sarò più:
non accade nulla, nessuna perdita, ancora uno strano corteo,
i vestiti delle donne, rugiadoso lillà, un canto nella valle.
Eppure i libri continueranno a stare sugli scaffali, ben nati,
venuti dalla gente, ma anche dalla luce delle vette.
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Published on October 21, 2021 13:20

Quella strana età …

Quella strana età …Il Libro

“At that awkward age now between birth and death, I think of all the outrages unperpetrated opportunities missed.”

“A quell’età imbarazzante ora, tra la nascita e la morte, penso a tutte le oltraggiose occasioni perpetrate perse.”

In una poesia, scritta dal poeta inglese Roger McGough nella sua raccolta di poesie intitolata significativamente ”That Awkward Age”, il tema del “Carpe Diem” viene ripreso in quanto presente in “quella strana età tra la nascita e la morte”. Vale a dire lo spazio della vita, l’attimo, il giorno, il momento, appunto. Perché, tutto considerato, la vita è tale. Un napoletano direbbe: “N’affacciata ‘e fenesta”. Ecco il testo della poesia di McGough. L’ho tradotta liberamente. Ebbi il piacere di incontrare il Poeta alla Summer School di Marlborough il 14 luglio del 2009.

On reaching sixty, I decided
to live every day as if it were my last.
But it didn’t last.

A sessant’anni ho deciso
di vivere ogni giorno come l’ultimo.
Ma non è durata a lungo.

After three days of lying in bed
in a darkened room, I tore off the oxygen mask,
opened the curtains and sacked the nurse.

Dopo tre giorni a letto
in una stanza buia, mi sono tolto l’ossigeno,
ho tirato le tende e mandata via l’infermiera.

There was more to life, surely,
than worrying about when it would end.
And how. The secret was Carpe Diem.

C’era ancora molto da vivere, certo,
piuttosto che starmene lì ad aspettare la fine,
come e quando. Il segreto era Carpe Diem.

So out I went to seize the day.
To catch the unawares and hug it.
To bathe in its light, to enjoy every minute.

Così uscii per cogliere l’attimo.
Afferrare l’impossibile e carezzarlo.
Immergermi nella sua luce, godere ogni minuto.

But the day kept me at arm’s length.
Didn’t want to be touched
Bobbed and weaved until it dwindled away.

Ma il giorno mi sfuggiva di mano.
Non voleva essere toccato
Scivolava ed ondeggiava fino a svanire.

At 1 a.m. I ended up in the bar of the Carpe Diem
drunk and counting the cost. Another day wasted.
Another chance lost.

All’una di notte sono finito al bar del Carpe Diem
ubriaco e sfinito. Un altro giorno perso.
Un’altra opportunità svanita.

Then who would walk in, looking the worse for wear
but the nurse. We hugged then staggered back home.
She drew the curtain. We climbed into bed.

Ed ecco chi ti vedo entrare in cerca del peggio,
l’infermiera. Ci siamo abbracciati e siamo andati a casa barcollando.
Ha tirato le tende e siamo saltati nel letto.

Innumerevoli sono le composizioni poetiche e non che si sono ispirate al famoso invito “Carpe Diem” del poeta Orazio. Forse è l’espressione più famosa al mondo perché delinea in maniera impietosa, eppure illuminante, la condizione umana. Due parole-trappola, dense di retorica ma elastiche nel loro significato sui valori della possibilità e della futilità. Caratteristiche dell’uomo, dei suoi sentimenti e delle sue aspirazioni.

Di questo noi uomini siamo fatti e se ne fanno continuamente portavoce poeti e scrittori. Ma anche uomini comuni, così come possono, nella loro quotidiana lotta per l’esistenza. Tutta tesa al significato dell’essere. Tutti ricordano John Keating, quello straordinario professore di Inglese nel film del 1989 “Dead Poets Society”. Le sue terribili parole che scioccarono ed esaltarono i suoi studenti, anche tragicamente per uno di essi: “Siamo cibo per i vermi, signori! Lo vogliate o no, ognuno di noi in questa aula uno di questi giorni smetterà di respirare, si raffredderà e morirà”. La salvezza sembra allora “cogli l’attimo”, che fugge e giammai ritornerà. Ma è bene inquadrare le due parole di Orazio nel loro contesto che è il seguente:

Carminum I, 11

1 Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
2 finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
3 temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati,
4 seu plures hiemes, seu tribuit Iuppiter ultimam,
5 quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
6 Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi
7 spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
8 aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.

1. Non domandarti — non è giusto saperlo — a me, a te
2. quale sorte abbian dato gli déi, e non chiederlo agli astri,
3. o Leuconoe; al meglio sopporta quel che sarà:
4. se molti inverni Giove ancor ti conceda
5. o ultimo questo che contro gli scogli fiacca le onde
6. del mare Tirreno. Sii saggia, mesci il vino
7. — breve è la vita — rinuncia a speranze lontane. Parliamo
8. e fugge il tempo geloso: carpe diem, non pensare a domani.

Leuconoe, una delle sue donne, lo consola bevendo. Proprio lei, il cui nome significa “dalla chiara mente”. Ma si capisce bene che con la mente poco lucida, non si può dare una risposta alle domande che ti pone la vita. Ogni artista, poeta o scrittore, come del resto ogni comune essere umano, elabora una sua propria condotta, sia per difendersi che per attaccare, per vivere o per sopravvivere. Arrivati poi ad una certa, strana età …

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Published on October 21, 2021 08:57

Una donna nell’annuario dei matti del giorno. Tutto in un nome.

Il libro

Il 21 OTTOBRE 1496 Giovanna la Pazza Regina di Castiglia e di Aragona (1479–1555) sposa Filippo il Bello. Una donna nell’annunuario dei matti del giorno. Tutto in un nome.

Folle o vittima della ragion di Stato? Impossibile avere certezze, nessuno può sciogliere il dubbio, ma leggendo la biografia della regina di Castiglia e di Aragona appare evidente quanto fosse forte l’interesse di farla passare per pazza al fine di strapparle la sovranità a cui aveva diritto. Una regina certo, ma soprattutto una donna sacrificata all’egoismo personale e politico di un padre prima, poi di un marito che, dopo i primi anni di passione, cominciò a ferirla negli affetti con i suoi tradimenti, infine di un figlio.
Giovanna aveva dimostrato fin dalla più giovane età un carattere anticonformista, ribelle, non in linea con la rigida educazione cattolica imposta dalla famiglia e dai tempi in cui viveva, una fase storica in cui la religione costituiva un elemento importante dell’identità nazionale. E più la sua indifferenza verso il cattolicesimo scandalizzava la corte reale, più la madre, Isabella di Castiglia, e il padre, Ferdinando di Aragona, la costringevano a una rigida disciplina.
Gli anni che seguirono mostrarono il prezzo che Giovanna dovette pagare per non essere conforme al ruolo che le veniva richiesto. Il 21 ottobre 1496 sposa Filippo il Bello, figlio di Massimiliano II, imperatore del Sacro romano impero, di cui è innamoratissima e gelogelosissima. Lo sposo ne ricambia l’amore, ma, con il tempo, si concede alcuni diversivi, che provocano in Giovanna i primi segni di disagio psichico, aggravatosi in seguito alla morte, nel 1506, dell’adorato sposo.
Il padre Ferdinando le contese la sovranità sulla Castiglia, eredità materna, diffondendo la voce della sua demenza e confinandola nel monastero-castello di Tordesillas, dove anche il figlio Carlo, il futuro imperatore, una volta raccolta l’eredità dei territori spagnoli, continuò a lasciarla prigioniera. Era veramente pazza Giovanna? Forse sì o forse la resero tale 46 anni di prigionia quasi ininterrotta.
Morì il 12 aprile 1555, dopo aver rifiutato per l’ennesima volta la confessione,assistita da Francisco de Borja che testimoniò la sua lucidità. Folle per amore? Sicuramente vittima del padre e del figlio.

ALMAMATTO. Un matto al giorno

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Published on October 21, 2021 07:59

October 16, 2021

Basta la parola: “Metaverso”




















Io nel Metaverso

In quanto dinosauro digitale e figlio di tipografo sono sempre aperto e disponibile ad accettare ogni possibile cambiamento. Probabilmente avrete sentito nelle notizie tecnologiche che ogni giorno scorrono sotto i nostri occhi, la nuova parola d’ordine: Metaverso.

Molti esperti di tecnologia e scrittori descrivono come entreremo presto nell’era del Metaverso. Saremo cioè completamente immersi in un mondo di realtà virtuale interattivo pieno di eventi, giochi, avventure, shopping, viaggi, lavoro, hobby e altre esperienze.

In questo mondo, saremo rappresentati dai nostri avatar o ologrammi. Interagiremo tra di noi e con il mondo digitale attraverso di essi: sarà come se fossimo personaggi immersi in un film futuristico o in un gioco per computer. Giocheremo, ospiteremo incontri, faremo shopping, ci intratteneremo, lavoreremo e costruiremo marchi e attività commerciali in questo nuovo mondo coraggioso.

Non sapete cos’è un avatar? Dall’induismo, discesa e incarnazione di una divinità, in informatica la parola diventa rappresentazione grafica e virtuale di un visitatore di sito web. Il progresso incredibilmente rapido delle tecnologie dei videogiochi, delle piattaforme di social media, delle tecnologie di intelligenza artificiale, della realtà virtuale e della realtà aumentata, tutto dimostra che siamo in grado di creare una simulazione realistica dell’esistenza in pochi decenni. Quella simulazione, quello sdoppiamento, sarà il Metaverso.

Elon Musk, il milionario, è alla guida di un gruppo di aziende e progetti, ciascuno con una visione ambiziosa del futuro. Per dotarci di veicoli elettrici autonomi e fonti di energia rinnovabile, ha creato Tesla. Per fare dell’uomo una specie multiplanetaria, ha fondato SpaceX. Per proteggerci dalle derive pericolose dell’intelligenza artificiale, c’è OpenAI. Neuralink dovrebbe potenziare le capacità del cervello umano, trasformandoci in cyborg. Per ovviare ai più concreti problemi di traffico, sta lavorando alla Boring Company. Egli afferma che potremmo vivere in una simulazione anche adesso. Dice, senza timore di sbagliare, che i “giochi” del metaverso diventeranno indistinguibili dalla realtà.

Il Metaverso è un enorme ecosistema in cui varie tecnologie sono interconnesse e interoperabili. Il termine è stato coniato da Neal Stephenson nel romanzo di fantascienza “Snow Crash” nel 1992. “Meta” significa oltre e “verso” si riferisce all’universo. Saremo dentro, all’interno di Internet, non lo guarderemo soltanto, come facciamo oggi, sullo schermo di un pc, un tablet o un cellulare.

Si tratta di un enorme cyberspazio comune in cui puoi passeggiare e sperimentare attraverso il tuo avatar, il tuo alter ego. Funziona come un “Internet incarnato”, in cui puoi provare un senso di presenza e saltare senza problemi da un’attività all’altra. Incarnerai una persona completamente nuova, dimostrando la tua creatività e ricchezza attraverso il tuo avatar. Sarai all’interno di uno spazio virtuale, interagendo con altri avatar o colleghi come se fossi nella stessa stanza.

Il Metaverso sarà critico quanto il nostro mondo reale. Presto vivremo, lavoreremo, rideremo, piangeremo, costruiremo relazioni, giocheremo in questa realtà simulata. In questo esperimento mentale, immaginerai di vivere in un’altra realtà.

Immaginiamo di essere un giorno nel Metaverso. Cosa succede quando ti connetti ed entri in questa realtà? Come trascorremo la nostra giornata nel Metaverso dalla mattina alla sera? Potremo scrivere storie in cui sei l’eroe che entra per la prima volta nel Metaverso.

Con il peggioramento del cambiamento climatico nei prossimi decenni, dovremo fuggire dalla realtà e immergerci in realtà alternative o mondi di simulazione. Immagina che l’anno sia il 2075. Scrivi una storia su come il Metaverso funzioni come rifugio dalle brutte realtà del mondo esterno.

Ora creerai e progetterai il tuo avatar nel Metaverso. Come sarai? Come sarai vestito? Come esprimerai la tua creatività e individualità? Come creerai il tuo marchio personale e il tuo avatar attorno ai tuoi valori? Pensa a 10 idee creative sul tuo avatar. Ora che vivi nel Metaverso, scrivi la tua nuova filosofia di vita e manifesto per questo nuovo mondo coraggioso.

Come vivi, impari, guadagni, ti diverti e prosperi nel Metaverso? Crea idee creative per aumentare la qualità della tua vita come avatar. Pensa al Metaverso come a un gioco per computer e pensa a te stesso come a un giocatore che cerca di eccellere nel proprio gioco. Qual è il tuo gioco? Qual è il tuo piano di gioco? Scrivi delle regole e del sistema di questo gioco. Come avrai successo e avanzerai al livello successivo?

Potremo vivere la nostra vita come se fossimo i protagonisti del nostro “film” sul Metaverso. Immaginiamo la storia, l’avventura. Come supereremo le sfide o il dolore. Chi sono gli altri protagonisti? Antagonisti, amici o nemici? Immagina te stesso come un artista e un imprenditore o qualunque altra cosa. Basta la parola.

Entra in Metaverso. Non si contano i libri che si occupano di questa nuova realtà esistenziale. Metaverso va oltre il “Mondo Nuovo” di Aldous Huxley che è del 1932. Lui lo collocò nell’anno 2540. Di questo passo siamo ben in anticipo sui tempi. Io sicuramente ci sarò, ma dall’altra parte. Sarò il mio Avatar …

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Published on October 16, 2021 08:53

Il più noto martire gay, della serie “un matto al giorno”

“Il più noto martire gay Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde nasce a Dublino il 16 ottobre 1854.

Frequenta il prestigioso Trinity College di Dublino, poi il Magdalen di Oxford.

Qui si fa subito notare per il linguaggio sferzante, i modi stravaganti e l’intelligenza brillante. Conosce Pater e Ruskin, due famosi intellettuali, che lo introducono alle più raffinate teorie estetiche.

Arrivato a Londra, nel 1879 inizia a scrivere saggi giornalistici e alcuni Poems . È scrittore, poeta e drammaturgo, con stile di vita libertino e modo stravagante di vestire, e diventa una delle figure più famose dei circoli londinesi.

Nel 1884 sposa Constance Lloyd: un matrimonio di facciata. Wilde è di fatto omosessuale e vive questa situazione con disagio, soffocato dalla morale vittoriana. Dopo la nascita dei figli Cyril e Vyvyan si separa dalla moglie. Ha molte relazioni omosessuali, ma il suo grande amore è lord Alfred Douglas, detto Bosie.

Nel 1890 pubblica il suo unico romanzo, Il ritratto di Dorian Gray , che gli procura grandissima fama, ma anche accuse di immoralità. Nel 1891 per Sarah Bernhardt scrive il dramma Salomé , creando nuovamente scandalo: in Francia viene accolto bene, mentre in Inghilterra viene censurato.

Ha successo la commedia Il ventaglio di Lady Windermere, in cui è evidente la critica alla società vittoriana, ma la sua vena umoristica esplode con L’importanza di chiamarsi Ernesto, altro attacco all’ipocrisia dell’epoca.

La sua amicizia particolare con Bosie finisce per rovinarlo processato per il reato di sodomia, subisce anche l’accusa di bancarotta. Viene condannato a due anni ai lavori forzati. In carcere scrive De profundis , una lunga e commovente lettera al mai dimenticato Bosie che si è allontanato da lui.

Sarà il vecchio amico Robert Ross, che lo attende all’uscita dal carcere, a far pubblicare questo libro trent’anni dopo la sua morte. Dopo un nuovo riavvicinamento a Bosie, Wilde scrive la Ballata del carcere di Reading , che termina a Napoli. Muore a Parigi il 30 novembre del 1900 di meningite.

ALMAMATTO Un matto al giorno. 365 tipi strani che hanno cambiato il mondo.

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Published on October 16, 2021 06:09

October 14, 2021

Il poeta contadino e l’illusione della rivoluzione

Quando nell’ottobre del 1917 la Rivoluzione russa celebrò il suo trionfo il “poeta contadino” Sergej A. Esenin (1895–1925) vi aderì, (e molti come lui), con infantile entusiasmo.
Ma, a partire dal 1920, la delusione serpeggia nelle sue liriche: via via si trasmuta in angoscia, poi in disprezzo per la propria viltà sino alla maturazione dell’idea del suicidio, consumato a trenta anni, in una camera d’albergo a Leningrado.
La poesia che segue s’illumina alla tetra luce di quell’irreparabile esito finale, di sovrumana pietà.
Noi adesso ce ne andiamo a poco a poco…
Noi adesso ce ne andiamo a poco a poco
verso il paese dov’è gioia e quiete.
Forse, ben presto anch’io dovrò raccogliere
le mie spoglie mortali per il viaggio.
Care foreste di betulle!
Tu, terra! E ‘voi, sabbie delle pianure!
Dinanzi a questa folla di partenti
non ho forza di nascondere la mia malinconia.
Ho amato troppo in questo mondo
tutto ciò che veste l’anima di carne .
Pace alle trèmule che, allargando i rami,
si sono specchiate nell’acqua rosea.
Molti pensieri in silenzio ho meditato,
molte canzoni entro di me ho composto.
Felice io sono sulla cupa terra
di ciò che ho respirato e che ho vissuto.
Felice di aver baciato le donne,
pestato i fiori, ruzzolato nell’erba,
di non aver mai battuto sul capo
le bestie, nostri fratelli minori.
So che là non fioriscono boscaglie,
non stormisce la segala dal collo di cigno.
Perciò dinanzi a una folla di partenti
provo sempre un brivido.
So che in quel paese non saranno
queste campagne biondeggiantill nella nebbia.
Anche perciò mi sono cari gli uomini
che vivono con me su questa terra.

Sergej Esenin: “Poesia russa del Novecento”, trad. di A. M. Ripellino, Feltrinelli, Milano 1960

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Published on October 14, 2021 11:28

Il tempo interiore o esistenziale

Deportato dallo zarismo, il russo di Kiev Nikolaj Alexandrovic Berdjaev (1874–1948) viene più tardi (1920) esiliato dal regime bolscevico. Si stabilì a partire dal ’25 a Parigi, dove potè scrivere e insegnare sino alla morte. Un suo libro, tra l’esegesi letteraria e la filosofia, “La concezione del mondo di Dostoevskij” lo impose nel 1923 all’attenzione mondiale. Berdjaev in questa e molte opere successive, poneva la libertà come il problema della contemporaneità, e si proponeva di risolverlo in chiave sistenziale e cristologica: radicarsi in Cristo-Dio significa per l’uomo divinizzarsi e così sacralmente riscattare il mondo profano che lo assedia.

“..Oltre al tempo cosmico e al tempo storico, oggettivati e sottomessi, benché in modi diversi, al numero, c’è il tempo esistenziale, il tempo di profondità. Il tempo esistenziale non è pensabile come isolato dal tempo cosmico e dal tempo storico; c’è fra questi tempi una penetrazione reciproca […]
Il simbolo più adatto del tempo esistenziale non è né il cerchio né la linea, ma il punto. Ciò significa che il tempo esistenziale non si presta ad alcuna simbolizzazione spaziale. E’ un tempo interiore, non esteriorizzato nello spazio, non oggettivato. E’ il tempo del mondo della soggettività, non di quello dell’oggettività. Non si presta al calcolo matematico, non si addiziona e non si divide. L’infinità del tempo esistenziale è un’infinità qualitativa, non quantitativa. L’istante del tempo esistenziale non è sottoposto al numero, non è una frazione infinitesima di tempo nell’insieme del tempo oggettivato. Gli istanti del tempo esistenziale sono un’evasione nell’eternità. Non sarebbe giusto dire che il tempo esistenziale equivalga all’eternità, ma, in alcuni istanti, esso partecipa all’eternità. Ognuno sa, per esperienza interna, d’esser stato, in determinati istanti, in comunione con l’eternità. La durata del tempo esistenziale non ha nulla in comune alla durata del tempo oggettivato, cosmico e storico. Essa dipende dall’intensità dell’esperienza interna del soggetto [..]
Ogni atto creatore si compie nel tempo esistenziale ed è solo proiettato nel tempo esistenziale. La sublimazione e l’estasi creativa trascendono il tempo oggettivato e matematico, non avvengono sul piano della misura, nella dimensione orizzontale, ma in quella verticale. Ma il risultato dell’atto creatore si esteriorizza nel corso temporale della storia. L’esistenziale irrompe nello storico; lo storico reagisce di rimbalzo sull’esistenziale. Tutto ciò che della storia è grande e notevole, tutto l’autenticamente nuovo, è appunto slancio verso l’esistenziale, espressione di una soggettività creatrice…”

Nikolaj Alexandrovic Berdjaev
In: “Lunario dei giorni di quiete”, Einaudi, 1997

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Published on October 14, 2021 06:23

October 13, 2021

T. L. Caro: per la serie “un matto al giorno”nella Valle dei Sarrasti

Qualcuno ha scritto che “il tempo si muove in una direzione, i ricordi in un’altra”. E’ vero. E’ il tempo stesso a confermarmelo ogni giorno, man mano che scrivo per capire quello che penso.

Questo post nasce dalla lettura di uno dei “365 tipi strani che hanno cambiato il mondo”, brevi biografie giornaliere in un libro pubblicato da poco di cui mi sono già occupato su questo blog: Almamatto. Riguarda lo scrittore latino Tito Lucrezio Caro, poeta e filosofo (98/94 a.C. — 55/54 a.C.).Mi ripropone alcuni miei personali ricordi e mi dimostra come questi emergono man mano che il tempo si dilata.

In data 15 ottobre, l’autore del libro, Giampietro Savuto, un illustre psicoterapeuta, avanza l’ipotesi che l’epicureista Caro sia stato “vittima di diffamazione”, ma propone seri dubbi sulla sua sanità mentale, concludendo che forse si tratta di una moderna “fake news”. Così scrive di lui:

“Vittima di diffamazione «Impazzì per aver bevuto un filtro d’amore, dopo aver scritto negli intervalli di lucidità alcuni libri… si suicidò nel quarantaquattresimo anno di età». Questo scrive San Gerolamo di Lucrezio, grande poeta latino dalla vita misteriosa, che nel suo poema, “De rerum natura”, mette in versi la filosofia di Epicuro, esaltandone la figura quale «benefattore dell’umanità», poiché aveva liberato l’uomo dalle paure — degli dèi, del dolore, della morte — che ne affliggono la vita. Della presunta follia, filtro d’amore a parte, molti studiosi hanno cercato le tracce nelle pieghe del poema, che mostrerebbe alternanza di stati di esaltazione e momenti di cupo pessimismo, senza, peraltro, arrivare a conclusioni certe. Altri parlano di una leggenda diffusa in ambiente cristiano per screditare il poema: l’Epicureismo era l’unica filosofia dell’antichità incompatibile, per il suo materialismo che negava ogni forma di sopravvivenza oltre la morte, con il Cristianesimo, il quale aveva invece largamente assimilato tutto il sapere della tradizione filosofica anteriore. Il dubbio non è stato sciolto. Così uno dei più grandi poeti latini, la cui opera rivela eccezionale lucidità e straordinaria potenza creativa, è stato consegnato ai libri di storia letteraria e a generazioni di studenti accompagnato dall’ombra della follia. Vero? Una colossale fake new?”

Nelle tre immagini che corredano questo post posso racchiudere graficamente i miei pensieri. Mi riferisco all’edificio nel quale, nella città di Sarno, feci i miei studi giovanili. Un edificio dalle linee chiaramente dettate dallo stile del tempo (fascista). Ogni tempo, si sa, ha il suo. Sia detto senza ipocrisia, questo stile dimostra ancora oggi, la sua forza espressiva e la sua voluta “pesantezza” dell’essere. Metteteci dentro tutto quello che può contenere una parola che allora si poteva chiamare “cultura” e che, oggi, chiameremmo “conoscenza”.

Un edificio costruito per ospitare le “Scuole Elementari” che dovevano formare i cittadini di un “mondo” che sarebbe diventato “nuovo”. Come, infatti, è diventato. Nessuno, però, avrebbe potuto immaginarlo come quello di oggi.

Non ricordo molto dei giorni trascorsi in questo edificio, quasi nulla. Dall’Asilo Scuola delle suore di Ivrea in piazza Croce, venni trasferito qui per i successivi tre anni. Ricordo vagamente una insegnante vestita di nero, la signora Tura. Poi, per i tre anni della Scuola Media, i ricordi cominciano a apparire molto più chiaramente.

Scendemmo, in mancanza di meglio, (eravamo in pieno dopoguerra), al di sotto del livello stradale, nelle famose “cantinelle”. Quei buchi neri, che si intravedono nella foto a livello della strada, segnalano le finestrelle di quelle che furono le aule per le classi che frequentai nei tre anni.

Le “cantinelle” erano al sotto del livello stradale

Nel frattempo, quell’edificio aveva visto “nascere” sulle sue spalle “fasciste” un altro piano, il terzo, nel quale sarei poi salito per accedere alle vette del “Parnaso della conoscenza”: era nato quel “Liceo-Ginnasio T. L. Caro” che sarebbe stato la culla della cultura del luogo, non solo della città di Sarno, ma di gran parte del suo territorio, nella storica Valle.

T. L. Caro. Work in progress a tempo illimitato

Oggi, a distanza di tanti anni, quel terzo piano è scomparso. Lo hanno abbattuto, dicono, per motivi di sicurezza. I “ricostruttori”, non so per quali ragioni, hanno inteso riproporre il suo “rigore” architettonico originale gettando nella sua infinita ricostruzione non so quanti milioni di lire-euro.

Non mi interesso di politica, non la pratico, non essendo capace di viverla. Mi basta soltanto riflettere su quanto il tempo possa essere implacabile giustiziere delle tante indiscusse stupidità che gli uomini, si chiamano politici, sono capaci di fare.

Il “Liceo T. L. Caro” della città continua a vivere la sua felice ed attiva vita nel “mondo nuovo” che anche questo blogger, pur se in piccola parte, non ha timore di dire, ha concorso a creare nel territorio. Anche con l’aiuto del tempo, l’unico vero amico, ripensando a quel “matto” di Tito Lucrezio Caro” che avrà ben ragione di ridere o di vergognarsi.

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Published on October 13, 2021 08:38

October 10, 2021

Gli oltraggi del tempo divoratore

Salvador Dalí, A Persistência da Memória, 1931

Questione di punti di vista. Per Salvador Dalì è “la persistenza della memoria”, per il Bardo si tratta di un “divoratore” con i suoi oltraggi. Senza dubbio, gli uomini, davanti al problema del tempo, provano da sempre un senso di angoscia. Assistono vivendo alla “fuga” del tempo, senza che nessuno riesca a fermarlo, rincorrerlo e ritrovarlo.

Anche io mi trovo a riflettere sui sessanta e forse anche più anni trascorsi, da quando lessi per la prima volta questo sonetto. Capisci ben poco quando lo leggi e hai venti anni. Per giunta lo studi in lingua e scopri che l’inglese di Shakespeare, quell’idioma che molti pensano sia una lingua facile, è davvero impossibile.

Se lo rileggi quando diversi decenni hanno “divorato” il tuo tempo, ti accorgi che, pur sentendo forte addosso il dolore dei segni che ti ha lasciato addosso il “leone” tempo, capisci quello che il Poeta ha scritto.

Il sonetto è un canto indirizzato direttamente al “Tempo”, una sua personificazione. L’oratore gli parla come se fosse un essere cosciente. Dice che il Tempo lo sta “divorando”, consuma tutto avidamente. Dice che può smussare la nitidezza delle zampe di leone e costringere la terra a riprendersi i suoi frutti e a produrre.

Gli permette di strappare i denti dalle fauci di una tigre mentre muore e si decompone, e di bruciare la Fenice mentre muore e rinasce. Le Fenici sono “lunghissime” perché si pensa che abbiano vissuto per 500 anni prima di scoppiare in fiamme.

Dice che il tempo è il benvenuto per far passare le stagioni da felici a tristi mentre si muove rapidamente attraverso gli anni, e fare tutto ciò che vuole al mondo e a tutte le cose dolci che svaniscono in esso.

Ma gli proibisce di commettere un terribile crimine: gli chiede di non toccare la fronte chiara del suo amante con i versi e non lasciarlo invecchiare e ottenere rughe, disegnando linee sulla sua testa con una penna antica.

Chiede al tempo di farlo rimanere “incontaminato” in modo che possa dare un esempio del modello di bellezza alle successive generazioni di uomini.

Ma poi soggiunge che non gli importa anche se potrà fare di peggio, perché indipendentemente da ciò che il tempo fa, il suo amore sarà immortalato con i suoi versi per sempre.

Tempo divoratore, spunta gli artigli al leone
e costringi la terra a divorar la sua dolce prole,
strappa le zanne aguzze dalle fauci feroci della tigre
ed ardi nel suo sangue l’immortale fenice,
rendi pure nel tuo corso stagioni tristi e liete
e fa quello che vuoi, Tempo dal veloce passo,
al mondo intero e ai suoi effimeri piaceri:
ma il più atroce dei delitti io ti proibisco.
Non scolpire le tue ore sulla fronte del mio amore,
non segnarvi linee con la tua grottesca penna;
durante la tua corsa lascia che resti intatto
qual modello di bellezza agli uomini futuri.
Oppur scatenati, vecchio Tempo: contro ogni tuo torto,
il mio amore nei miei versi vivrà giovane in eterno.
— — -
Devouring Time, blunt thou the lion’s paws,
And make the earth devour her own sweet brood;
Pluck the keen teeth from the fierce tiger’s jaws,
And burn the long-lived phoenix in her blood;
Make glad and sorry seasons as thou fleet’st,
And do whate’er thou wilt, swift-footed Time,
To the wide world and all her fading sweets;
But I forbid thee one most heinous crime:
O! carve not with thy hours my love’s fair brow,
Nor draw no lines there with thine antique pen;
Him in thy course untainted do allow
For beauty’s pattern to succeeding men.
Yet, do thy worst old Time: despite thy wrong,
My love shall in my verse ever live young.
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Published on October 10, 2021 09:37

MEDIUM

Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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