Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 22
October 21, 2024
La “insostenibile leggerezza” di credersi filosofi …

Forse a non tutti piacerà il pensiero che segue e che ho deciso di citare per scrivere di un libro che ho letto con interesse.
Non sono un filosofo, anche se c’è stato un periodo della mia vita in cui mi sono appassionato allo stoicismo. Lo sono stato solo per un pò di tempo, sono poi sempre ritornato a questo pensiero di Omraam Mikhael Aivanhov.
Lo “conobbi” grazie ad un indimenticabile amico che ebbi modo di “conoscere” soltanto in maniera digitale, in rete. Era di origine bulgara.
Un “filosofo” pure lui, anche se a modo suo. Orlin Velinov mi ha ispirato il titolo di questa recensione. Ecco cosa scrisse:
“Così come tutte le creature nascono, crescono, invecchiano e poi devono far posto ad altre, così fanno le nazioni, i paesi e i popoli. Danno ciò che hanno da dare e poi muoiono, come se si riposassero per potersi un giorno risvegliare e offrire nuove ricchezze. Abbiamo visto questo con tutte le civiltà, ed è anche il destino delle religioni. Una nuova religione appare nel mondo; si espande rapidamente, estende la sua influenza a poco a poco, raggiunge un punto alto e poi si fissa, si ossifica e perde le grandi chiavi della vita. Perfino i misteri, persino i templi dell’antico Egitto, che avevano conoscenza e potere, cosa ne è rimasto ora? Dove sono gli ierofanti? Dov’è la conoscenza? Tutto è stato sottoposto alle leggi immutabili della vita, perché ciò che nasce deve morire e cedere il passo a qualcos’altro. Solo ciò che non ha inizio non ha fine. Ogni religione, ogni filosofia, ogni scienza è in qualche modo una forma, e nessuna forma dura; dopo un po’ deve farsi da parte per far posto a un altro. Ma il principio, lo Spirito, è eterno, ed è questo che continua a incarnarsi in nuove forme. »
Aivanhov parla di spirito non di filosofia, lo fa alla stessa maniera in cui Paolo Del Debbio scrive di filosofia. Ne scrive facendo sentire filosofo chi lo legge. Almeno durante le lettura del suo libro. Ecco quello che ho scritto nella recensione su Librarything, la mia biblioteca digitale.

"Siamo tutti filosofi senza saperlo” è un libro interessante di Paolo Del Debbio che esplora il legame intrinseco tra la vita quotidiana e la filosofia. Attraverso sei storie di vita di persone comuni, l’autore riesce a intrecciare esperienze personali con le riflessioni dei grandi pensatori, rendendo la filosofia accessibile e pertinente a tutti.
Il libro si articola in sei racconti che fungono da allegorie per questioni esistenziali e dilemmi quotidiani. Del Debbio utilizza una narrazione coinvolgente per illustrare come ognuno di noi, in momenti diversi della vita, possa porsi domande profonde e filosofiche. Le storie sono accompagnate da riflessioni che richiamano le idee di filosofi antichi e moderni, creando un dialogo continuo tra il vissuto personale e il pensiero filosofico.
Una delle tematiche centrali del libro è l’idea che ogni individuo può essere un filosofo. Del Debbio sostiene che la filosofia non è riservata a pochi eletti, ma è una pratica alla portata di tutti. Questo approccio democratizza il pensiero filosofico, incoraggiando i lettori a riflettere sulle proprie esperienze e a cercare significati più profondi nella loro esistenza.
Inoltre, l’autore sottolinea l’importanza della filosofia come strumento per affrontare le sfide della vita. Essa non si limita a fornire risposte, ma stimola un incessante interrogarsi, aiutando a comprendere meglio il mondo e noi stessi.
Il linguaggio di Del Debbio è chiaro e accessibile, rendendo il libro adatto a un ampio pubblico. La sua capacità di connettere storie personali con concetti filosofici complessi rende la lettura non solo educativa ma anche piacevole. L’autore riesce a mantenere un equilibrio tra erudizione e semplicità, permettendo anche ai lettori meno esperti di avvicinarsi alla filosofia senza sentirsi sopraffatti.
“Siamo tutti filosofi senza saperlo” è un invito alla riflessione e alla scoperta personale. Con la sua scrittura incisiva e le sue storie toccanti, Paolo Del Debbio offre un’opera che non solo intrattiene, ma stimola anche una profonda introspezione. Questo libro rappresenta una risorsa preziosa per chiunque desideri esplorare il proprio potenziale filosofico e comprendere meglio il significato della propria vita.
— — —
L’affermazione che “siamo tutti filosofi senza saperlo” può essere interpretata in vari modi e ha radici profonde nella tradizione filosofica. La filosofia come ricerca di significato. La filosofia, derivante dal greco “philosophia”, significa “amore per la saggezza”. Essa non si limita a una disciplina accademica, ma è un approccio alla vita che coinvolge domande fondamentali riguardo alla nostra esistenza, alla moralità e alla conoscenza. In questo senso, ogni individuo che si interroga su questioni esistenziali, come “perché siamo qui?” o “cosa significa vivere bene?”, sta esercitando un’attività filosofica.
Socrate, uno dei padri della filosofia occidentale, sosteneva che la vera saggezza consiste nel riconoscere la propria ignoranza. Questo implica che chiunque si ponga domande sul significato della vita o sulla giustizia stia già intraprendendo un percorso filosofico. La sua famosa affermazione “so di non sapere” riflette l’idea che la filosofia è accessibile a tutti, non solo a coloro che hanno ricevuto una formazione formale.
Oggi, molti pensatori ritengono che la filosofia debba affrontare una vasta gamma di temi, inclusi quelli scientifici e pratici. La filosofia non è morta, ma si è evoluta per includere nuove domande e sfide contemporanee. Ciò significa che anche le persone comuni, attraverso le loro esperienze quotidiane e le loro riflessioni, possono contribuire al dibattito filosofico.
L’idea che “siamo tutti filosofi senza saperlo” è valida in quanto ogni individuo ha la capacità di riflettere su questioni esistenziali e morali. Questa attitudine alla riflessione è ciò che rende la filosofia una parte intrinseca dell’esperienza umana.
La mia conclusione? Mi sono sentito un filosofo mentre leggevo Del Debbio, ma mi sono sentito anche un pavone. Per questa ragione ho deciso di corredare questo mio scritto con la “sua” immagine. Il pavone che c’è in ognuno di noi.[image error]
October 18, 2024
L’ingiustizia del mondo: “ubi saeva indignatio ulterius cor lacerare nequit”

Il 19 ottobre 1745 muore uno dei miei scritttori preferiti. Gli occhi di questo ecclesiastico, “azzurri come i cieli”, disse il suo amico Alexander Pope, potevano guardare e uccidere: una donna che lo amava, era morta, fu questa la voce che corse, per uno sguardo irato. I suoi articoli e i suoi libelli non erano meno pericolosi degli sguardi. Poche persone ebbero un carattere violento e dispotico come il suo.
Maltrattava gli amici come maltrattava i nemici, perché questa era la sua natura: a chi per la prima volta sedeva alla sua tavola dava da bere il fondo delle bottiglie; a chi gli chiedeva una seconda portata di asparagi, ingiungeva di finire prima i gambi. “Morirò come quell’albero” disse un giorno, indicando una quercia le cui fronde avevano cominciato a seccarsi, “cominciando dall’alto”.
La previsione si avverò: negli ultimi anni fu idiota e pazzo. Conobbe monomanie, dolori atroci, perdita di memoria, incapacità di ragionare. Forse l’esperienza della follia gli suggerì di destinare la sua eredità alla costruzione di un manicomio, ma fedele alle sue abitudini sarcastiche, precisò che lo faceva perché nessuna nazione, più della sua, ne aveva bisogno.
L’odio dell’umanità gli ispirò un libro di viaggi. L’umanità si vendicò trasformando quel libro considerato ingiustamente un intrattenimento per bambini. Sulla sua tomba, in S. Patrick a Dublino, fece incidere:
“ubi saeva indignatio ulterius cor lacerare nequit”,
“dove il selvaggio sdegno non può più lacerare il cuore”.
Ad indicare l’impossibilità, per il cuore, di accettare l’ingiustizia del mondo, fino al suo abbandono. Avrete capito chi è.
Hic depositum est Corpus
Ionathan Swift S.T.D.
Hujus Ecclesiæ Cathedralis
Decani
Ubi sæva Indignatio
Ulterius
Cor lacerare nequit.
Abi Viator
Et imitare, si poteris,
Strenuum pro virili
Libertatis Vindicatorem.
— -
Here is placed the body
Of Jonathan Swift, STD
(Doctor of Sacred Theology)
Dean of this cathedral church
Where savage indignation
Can no longer tear his heart
Go forth, traveller
And imitate, if you can,
a valiant champion
of manly freedom.
Questa è poesia che gli dedicò il poeta W. B. Yeats
Swift has sailed into his rest;
Savage indignation there
Cannot lacerate his breast.
Imitate him if you dare,
World-besotted traveller; he
Served human liberty.
— -
Swift è in viaggio verso il suo riposo;[image error]
La selvaggia indignazione
non potrà più lacerare il suo petto.
Imitatelo, se potete,
voi viaggiatori del mondo;
egli ha servito la libertà.
October 17, 2024
L’arte della bibliomanzia

La bibliomanzia, l’arte di trovare risposte aprendo casualmente un libro, è un’attività affascinante e introspettiva, ma richiede un approccio consapevole per ottenere il massimo beneficio. Con le biblioteche che mi ritrovo ad avere, ho solo l’imbarazzo della scelta. Non mi riferisco ai libri da consultare. Lo vedremo dopo. Qui si tratta, innanzitutto, di decidere a quale biblioteca desidero attingere, la fonte alla quale intendo dissetare la mia sete di sapere o divinazione.
Dalla biblioteca cartacea o da quella digitale? Non è affatto facile scegliere. Gli scaffali sono disseminati per tutta la casa, studio, soggiorno, corridoio. La mia signora distribuisce i suoi e anche i miei libri, dappertutto. Mobili e mobiletti, comodini e ripostigli, tiretti e scaffali, anche in bagno. Nei posti più impensabili puoi ritrovare un libro che hai perso di vista e che, inavvertitamente, hai ricomprato e lo ritrovi in forma di doppione.
Libri non miei o suoi, anche di nostro figlio il quale, per fortuna, ha messo in vita la sua biblioteca altrove. Per noi due, ci bastano quelli di casa, ma dobbiamo mettere in conto anche quelli che hanno trovato ampio spazio in mansarda o addirittura nella abbandonata libreria di mio Padre finita in garage. Tutta biblioteca cartacea che, comunque, si estende anche “fuori comune”. Continua, infatti, nella casa di Novella, in Costa d’Amalfi.
Ampia scelta, come potete vedere, impossibile fare bibliomanzia senza una opportuna programmazione. E’ la bibliomanzia cartacea. I problemi non sono di meno se intendo fare, invece, bibliomanzia digitale. Vi spiego cosa intendo. E’ più comodo e conveniente, forse, farla digitale, almeno non c’è bisogno di muovermi dalla sedia, poltrona o studio dove mi trovo? Devo soltanto decidere se intendo praticare la bibliomanzia dal pc, dal tablet o dallo smartphone.
L’importante è che ci sia una connessione a Internet. Dovrò soltanto decidere in quale direzione procedere. Scegliere la piattaforma sulla quale accedere ai miei libri, i quali, anche se cartacei, sono diventati digitali. Li ritrovo su Goodreads o su Librarything, su Anobi o Kindle. Biblioteche digitali a tutti gli effetti. Ma vediamo ora come praticare questa che è una vera e propria arte: bibliomanzia.
Bisogna innanzitutto sintonizzarsi con le proprie intenzioni. Formulare una domanda chiara. Prima di aprire il libro, defininire con precisione la domanda a cui cerchi una risposta. Più specifica è la domanda, più pertinente sarà la risposta che troverai. Creare un’atmosfera propizia. Trovare un luogo tranquillo e essere rilassati. Accendere una candela, bruciare un incenso o ascoltare della musica soft per favorire la concentrazione e l’apertura mentale.
Scegliere il libro giusto, uno che ti attiri in quel momento, senza troppe riflessioni. Potrebbe essere un romanzo, un libro di poesie, un saggio o qualsiasi altro testo che ti ispiri. Dai alla tua ricerca un significato personale. Considera il senso che quel libro ha per te. Potrebbe essere un regalo, un libro che hai letto in un momento importante della tua vita, o semplicemente un volume che ami particolarmente.
Apri il libro. Lascia che il caso decida. Non scegliere la pagina, ma lascia che la tua mano cada casualmente sul libro. Leggi più frasi. Una volta aperta la pagina, leggi alcune frasi intorno al punto in cui si è posato il dito. Il contesto può fornire ulteriori indizi per interpretare il messaggio. Lasciati guidare dalla tua intuizione. La bibliomanzia è un’arte interpretativa.
Non cercare un significato letterale, ma lascia che le parole risuonino dentro di te e ti suggeriscano delle connessioni. Sei in cerca di simboli e archetipi. I libri ne sono pieni. Cerca di capire come questi elementi possono relazionarsi alla tua domanda e alla tua situazione attuale. Rifletti. Prenditi del tempo per comprendere il significato del messaggio che hai ricevuto. Quali emozioni suscita in te? Quali nuove prospettive ti apre?
Tieni un diario. Una documentazione per il futuro. Scrivi la tua domanda, il libro scelto, la pagina e le frasi che hai letto. Questo ti permetterà di rileggere le tue interpretazioni in futuro e di notare eventuali pattern. Prevedi una evoluzione di quello che stai facendo. Nel tempo, potrai osservare come la tua capacità di interpretare i messaggi cambia e come la bibliomanzia ti aiuta a crescere.
Ricorda che la bibliomanzia è uno strumento, non una verità assoluta. Le risposte che otterrai sono suggerimenti e spunti di riflessione, non verità inconfutabili. Affidati alla tua intuizione. La parte più importante della bibliomanzia è la tua capacità di connetterti con il tuo intuito e di interpretare i segni che l’universo ti invia.
Divertiti! La bibliomanzia è un’esperienza creativa e intelligente. Non prenderla però troppo sul serio. Goditi il viaggio alla scoperta di te stesso. biblíon significa “libro”, mántis, “indovino”, “profeta”. Pertanto, “bibliomanzia” letteralmente significa “divinazione attraverso i libri”.
[image error]October 16, 2024
Aveva ragione Marshall McLuhan

Scrivo in Rete ormai da molti anni. Questa mia volontaria e indipendente attività giornaliera testimonia, con migliaia di articoli pubblicati (si chiamano post da queste parti), mi ha portato a comprendere le molte cose che la scrittura può essere.
Riguarda l’esperienza di vita e di lavoro di uno che, nato e cresciuto in una famiglia di tipografi, continua a cercare di capire, scrivendo, quello che pensa. Non più sulle pagine di un diario di carta, ma sulla tastiera di un pc, un iPad o uno smartphone.
Aveva ragione Marshall McLuhan quando disse, senza sapere troppo quello che diceva cinquanta anni fa, ben prima che la nostra vita diventasse digitale, “il mezzo è il messaggio”. Mi piaceva aiutare mio Padre a lavorare nella sua piccola tipografia di provincia.
Lui era un tipografo, “don Antonio o’ stampatore”, così lo chiamavano nel paese della Valle dei Sarrasti. Lui stampava di tutto: manifesti di lutto e partecipazioni di nozze, manifesti elettorali e giornali parrocchiali, libri e libretti, testi universitari e memorie personali, biglietti da visita e storie di paese.
Le lettere di piombo prendevano forma, diventavano pagine e poi libri. Lui, quelle pagine le cuciva, perchè era pure un legatore. Il libro prendeva forma e nasceva nelle sue mani. Li rilegava e li restaurava, quando il tempo li aveva consumati.
Se le cose stanno così, allora posso dire che il libro non è soltanto quello che dice questa immagine ma molte, molte altre cose ancora. La pagina che sto scrivendo sul mio Chromebook è una pagina molto diversa dalla sua. E’ una pagina-web.
Pagine di libri molto, molto diversi da quelli che mio padre ha stampato per tutta la sua vita. Questa “pagina” ha una “forma” imprevista. Non è come quelle “forme” che i giovani compositori allineavano nella stanza della composizione, una dopo l’altra, prima che venissero poi messe in macchina per essere “stampate”.
Questa pagina è scritta in “bits & bytes”, non fa parte di un libro come quelli, ha una natura “digitale”. Il termine deriva dall’inglese “digit”, che significa “cifra”, che in questo caso si tratta di un codice, un sistema numerico che contiene solo i numeri 0 e 1, che a sua volta deriva dal latino “digitus”, che significa “dito”: con le dita infatti si contano i numeri.
Un determinato insieme di informazioni viene rappresentato in forma digitale come sequenza di numeri presi da un insieme di valori discreti, ovvero appartenenti a uno stesso insieme ben definito e circoscritto.
Anche mio Padre usava le dita della mano per prendere le lettere di piombo dalle casse per formare le righe della forma che dava vita alla pagina. Una ad una, maiuscola e minuscola, in tondo o in corsivo, corpo otto o corpo dieci, carattere di piombo o in legno.
Le dita sporche d’inchiostro, le mie dita sulla tastiera, fanno la differenza. Quei caratteri impressi sulla carta davano vita alle pagine, le quali una volta cucite, facevano nascere il libro.
La pagina di questo post scorre sotto le mie dita e tra poco verrà trasmessa alla memoria digitale di Google per essere letta in Rete ed entrare a far parte della biblioteca digitale del mondo. I libri di mio Padre entravano in biblioteche molto diverse.
Quelle avevano un cuore di carta, queste hanno un cuore di “bits & bytes”. Sarei potuto diventare un libraio. Sono diventato, invece, un blogger. Ma di cosa è fatto il cuore di un libro? Un cuore di carta o di bits & bytes?
Che cos’è un bit ? Cosa significa? Qual è la sua forma completa? Bit sta per cifra binaria. Questa è la forma completa di Bit. È binario 0 o 1. Solo le due cifre. Non sono necessarie altre cifre.
I nostri dispositivi informatici sono abbastanza intelligenti da dare un senso alla combinazione di queste due cifre per elaborare enormi quantità di informazioni. Un bit è l’unità atomica, più piccola, più elementare di dati/informazioni che viene espressa e comunicata nell’informatica.
Anche nelle telecomunicazioni. I nostri computer eseguono le istruzioni della macchina ed elaborano i dati sotto forma di bit. La maggior parte dei dispositivi tratta 1 come un valore logico vero e 0 come un valore logico falso. Un cuore che dice il falso e uno che dice il vero.
Va bene, andiamo avanti… Ok, ora sappiamo cos’è un bit. Che cos’è poi esattamente un byte? E quanti bit in un byte? Un byte è una raccolta di 8 bit. Ma perché 8 bit?
Storicamente, byte è stato utilizzato per rappresentare/codificare un singolo carattere di testo in un computer. Di conseguenza, le architetture dei computer hanno preso il byte come la più piccola unità di memoria indirizzabile nell’informatica.
Nei computer, l’unità di archiviazione più comune è un byte. I dispositivi di archiviazione come dischi rigidi, DVD, CD, chiavette USB hanno tutti capacità sotto forma di byte anziché di bit. È anche molto più facile gestire unità di livello superiore che denotare le cose in bit ogni volta.
Da qui sono arrivati kilobyte, megabyte, gigabyte ecc. La maggior parte dei linguaggi di programmazione utilizza i byte per memorizzare i tipi di dati primitivi. Ad esempio Java.
Ecco, due cuori a confronto. Il vostro cuore è di carta o digitale? Io non posso dimenticare quello di carta, ma è quello digitale che mi tiene in vita …
[image error]October 15, 2024
Il pregio della sintesi di una parola

La parola “caregiver” deriva dall’inglese, combinando “care,” che significa cura, e “giver,” che significa chi dà. Pertanto, un (una) caregiver è letteralmente “colui/colei che dà cura” a qualcuno, tipicamente a una persona malata o disabile.
Questo termine è stato adottato per descrivere sia i familiari che i professionisti che forniscono assistenza a chi ne ha bisogno, in particolare in contesti di malattia grave o terminale. Il concetto di “caregiver” ha radici storiche profonde. Si può risalire all’antica Grecia, dove le donne si occupavano dei malati e dei feriti durante le guerre.
Tuttavia, il termine moderno è emerso nel XX secolo, riflettendo l’evoluzione delle pratiche di assistenza e il riconoscimento del ruolo cruciale che i caregiver svolgono nella società contemporanea.
Negli ultimi decenni, la figura del “caregiver” ha acquisito sempre più rilevanza, specialmente con l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle malattie croniche. In Italia, il (la) “caregiver” familiare è spesso un membro della famiglia che si occupa di un congiunto malato, mentre il caregiver professionale è un operatore sanitario o un badante13.
La legge italiana 205/2017 ha iniziato a riconoscere formalmente questo ruolo, offrendo vari benefici e supporti per alleviare il carico di responsabilità associato a tale compito.
La figura del “caregiver” rappresenta non solo un’importante risorsa per le famiglie e i pazienti, ma anche un tema centrale nel dibattito sociale e politico riguardante l’assistenza sanitaria e il supporto alle famiglie. La parola in lingua inglese ha il pregio della sintesi.[image error]
October 12, 2024
Lasciando questo mondo: ogni uomo è un libro, ogni libro è un uomo

Lasciando questo mondo, ognuno di voi andrà a vivere nelle regioni verso le quali ha diretto i propri pensieri durante tutta la sua vita. Se i vostri desideri erano molto elevati, andrete nelle regioni della luce, ma se erano vili, bassi, andrete a raggiungere le tenebre. Dalla giusta comprensione di questa legge dipende il vostro destino. Se alcuni di voi chiedono solo l’intelligenza o l’amore o la bellezza, stiano assolutamente certi che nessuna forza sarà in grado di impedir loro di raggiungere la regione alla quale aspira il loro cuore. Credendo che non ci sia altra vita se non quella terrena, gli esseri umani si permettono ogni genere di azioni disoneste e criminali per soddisfare le proprie bramosie, e pensano che con le loro astuzie i loro calcoli si destreggino bene. La realtà è che si sbagliano di grosso, e a causa della loro ignoranza si preparano spesso terribili sofferenze nell’altro mondo. ( Omraam Mikhaël Aïvanhov )
La vita è un viaggio intricato, un libro che si scrive pagina dopo pagina.Un flusso di coscienza irripetibile. Ogni capitolo è ricco di esperienze, emozioni e insegnamenti. Ma cosa accade quando ci avviciniamo all’ultimo capitolo? È un tema che suscita riflessioni profonde e personali. L’ineluttabilità del tempo. Il tempo è un maestro severo. Ci insegna a valorizzare ogni istante, a comprendere che ogni respiro è un dono.
Lasciando questo mondo, ci si può sentire come se si chiudesse un libro, ma in realtà, il nostro racconto continua a vivere nelle memorie di chi ci ha conosciuto. Le storie che abbiamo condiviso, le risate, le lacrime e le lezioni apprese non svaniscono; diventano parte del tessuto della vita degli altri. Scrivere per ricordare. Scrivere diventa un atto di resistenza contro l’oblio. Le parole hanno il potere di immortalare momenti e sentimenti. Anche se il corpo può lasciarci, le parole rimangono.
Scrivere della propria vita, delle proprie esperienze e dei propri pensieri è un modo per lasciare un’eredità duratura. Ogni racconto diventa una finestra su ciò che siamo stati e su come abbiamo vissuto. La bellezza dell’incertezze. Lasciare questo mondo è anche un atto di accettazione dell’incertezza. Non possiamo prevedere come sarà il nostro addio, né quale impatto avrà sugli altri. Tuttavia, possiamo scegliere di affrontarlo con grazia e serenità, consapevoli che ogni fine è anche un nuovo inizio.
Le storie non finiscono mai davvero. Si trasformano e si intrecciano con quelle degli altri. Un invito a scrivere. Invito tutti a riflettere su ciò che significa per loro “lasciare questo mondo”. Scrivete le vostre storie, i vostri pensieri e le vostre paure. Non solo per voi stessi, ma per coloro che verranno dopo di voi. Ogni uomo è un libro; ogni libro è un uomo. E in questo scambio eterno di storie, troviamo la nostra connessione umana. Iniziate a scrivere oggi stesso; non aspettate che sia troppo tardi. La vostra voce merita di essere ascoltata e le vostre esperienze meritano di essere condivise.
Il futuro è un territorio inesplorato, un libro ancora da scrivere. Le speranze per il mondo che verrà sono molteplici e variegate, riflettendo i desideri e le aspirazioni di una società in continua evoluzione. Umanità e solidarietà. Una delle mie speranze più profonde è che l’umanità possa riscoprire il valore della solidarietà. In un’epoca segnata da divisioni e conflitti, desidero vedere un mondo in cui le persone si uniscono per affrontare le sfide comuni.
La cooperazione tra nazioni, culture e individui è fondamentale per costruire un futuro migliore. Sostenibilità e rispetto per l’ambiente. La sostenibilità è un tema cruciale. Spero che le generazioni future possano vivere in armonia con la natura, rispettando l’ambiente e preservando le risorse per le generazioni a venire. Investire in tecnologie verdi e pratiche sostenibili è essenziale per garantire un pianeta sano. Educazione e crescita personale.
Un altro aspetto fondamentale è l’accesso all’educazione di qualità per tutti. Spero che ogni individuo, indipendentemente dalle proprie origini, possa avere l’opportunità di apprendere e crescere. L’educazione non solo apre porte, ma promuove anche la comprensione reciproca e il rispetto tra culture diverse. Innovazione e creatività. Il futuro è anche un terreno fertile per l’innovazione. Spero di vedere un mondo dove la creatività viene incoraggiata e valorizzata.
Le nuove idee possono portare a soluzioni straordinarie per i problemi attuali, dall’assistenza sanitaria alla tecnologia sostenibile. Pace e giustizia. Infine, la pace e la giustizia sociale sono sogni che desidero ardentemente vedere realizzati. Un mondo in cui ogni individuo ha diritto a vivere senza paura, in cui le ingiustizie vengono affrontate con determinazione e compassione, è una visione che vale la pena perseguire.
Un futuro da scrivere insieme. Le speranze per il mondo che verrà sono un invito all’azione. Ognuno di noi ha il potere di contribuire a questo cambiamento attraverso le proprie azioni quotidiane. Scriviamo insieme questo nuovo capitolo della storia umana, con passione, empatia e determinazione. Il futuro è nelle nostre mani; facciamo in modo che sia luminoso e promettente. Se lo scriviamo, lo leggeranno chi ci succederà e avranno il diritto alla sentenza.
[image error]October 9, 2024
Elogio della salute mentale: il male oscuro

La salute mentale e il “male oscuro” sono temi ricorrenti in molte opere letterarie, in particolare nel romanzo “Il male oscuro” di Giuseppe Berto. Questo libro esplora la nevrosi e la depressione attraverso la vita del protagonista, Bepi, che affronta il dolore legato alla morte del padre e le sue conseguenze psicologiche.
I temi principali sono la sofferenza psicologica, una condizione di sofferenza interiore, che non è semplicemente depressione, ma una complessa nevrosi radicata in relazioni familiari difficili, in particolare con il padre. Il senso di colpa.
Bepi vive un profondo senso di colpa per non essere stato presente al capezzale del padre, un sentimento che lo accompagna e influisce sulla sua vita e sulle sue relazioni.
Questo tema è centrale nel romanzo e si manifesta anche attraverso le sue interazioni con la moglie e altri personaggi. La scrittura diventa un modo per Bepi di affrontare il suo “male oscuro”.
Tuttavia, il tentativo di scrivere il suo capolavoro si trasforma in una fonte di conflitto interiore, evidenziando come la creatività possa essere sia liberatoria che opprimente.
Il romanzo esplora anche la connessione tra malattia fisica e mentale, con Bepi che sperimenta vari disturbi psicosomatici che riflettono il suo stato psicologico. Questa fusione di mali contribuisce a un’esperienza complessiva di crisi.
Ne scaturisce una riflessione sulla società. Berto utilizza la sua narrazione per commentare una società in cui le relazioni sono influenzate da amicizie e raccomandazioni, creando un parallelo tra il vissuto individuale e le dinamiche sociali più ampie.
In letteratura, il “male oscuro” rappresenta non solo una condizione individuale ma anche un riflesso delle tensioni sociali e familiari.
Attraverso opere come questa di Berto, gli autori che si sono cimentati in questa forma di comunicazione riescono a dare voce a esperienze complesse legate alla salute mentale, contribuendo a una maggiore comprensione e accettazione delle difficoltà psicologiche.
La Giornata mondiale della salute mentale si celebra ogni anno il 10 ottobre. Le sfide della salute mentale possono colpire chiunque e interessare tutti i gruppi demografici e sociali, con un impatto su individui e comunità in tutto il mondo. La ricerca è essenziale per comprendere le cause, le occorrenze e gli effetti della salute mentale e per supportare politiche e servizi relativi alla salute mentale.
La Giornata rappresenta un’importante occasione per riflettere sulle sfide e le opportunità legate alla salute mentale a livello globale. Sono problematiche che colpiscono una vasta gamma di persone, indipendentemente da età, genere o contesto socioeconomico, e hanno un impatto significativo sia sugli individui che sulle comunità.
Prima della pandemia di COVID-19, circa 84 milioni di persone nell’Unione Europea (UE) erano affette da problemi di salute mentale, equivalenti a una persona su sei. Questo ha comportato costi diretti e indiretti stimati in 600 miliardi di euro, ovvero oltre il 4% del PIL dell’UE12. Le disuguaglianze regionali e sociali sono evidenti, con il 27% dei lavoratori che ha riportato esperienze di stress, depressione o ansia legate al lavoro.
La pandemia ha aggravato ulteriormente la situazione, raddoppiando il numero di persone che hanno sofferto di solitudine in alcune regioni, raggiungendo il 26%. Le preoccupazioni per la salute personale e quella dei propri cari, insieme all’incertezza economica, hanno contribuito a un aumento significativo dei disturbi mentali.
La ricerca è fondamentale per comprendere le cause e le conseguenze dei disturbi mentali. Essa deve orientarsi verso l’analisi dei fattori biologici, psicologici e sociali che influenzano la salute mentale. È essenziale anche considerare i determinanti sociali come l’istruzione, l’occupazione e le condizioni economiche.
Le politiche pubbliche devono garantire un accesso equo ai servizi di salute mentale. È cruciale che nessuno venga lasciato indietro e che vengano implementati programmi specifici per i gruppi vulnerabili. L’approccio deve essere olistico, integrando diverse professionalità e risorse nella comunità per affrontare in modo efficace le sfide della salute mentale34.
La Giornata mondiale della salute mentale serve non solo a sensibilizzare l’opinione pubblica ma anche a promuovere azioni concrete per migliorare la qualità della vita delle persone affette da disturbi mentali. È necessaria una mobilitazione collettiva per garantire che i diritti alla salute mentale siano rispettati e che i servizi siano adeguatamente finanziati e accessibili a tutti.
I principali fattori che influenzano la salute mentale dei giovani sono complessi e interconnessi, e possono essere suddivisi in categorie ambientali, sociali e personali.
Condizioni socioeconomiche. La povertà e le difficoltà economiche possono aumentare lo stress e l’ansia, influenzando negativamente il benessere mentale.
Violenza e abuso. Esperienze traumatiche come maltrattamenti fisici o emotivi hanno un impatto significativo sulla salute mentale.
Accesso ai servizi. La mancanza di accesso a cure mediche adeguate e supporto psicologico può esacerbare i problemi di salute mentale.
Dinamiche familiari: Un ambiente familiare instabile, conflitti o la presenza di genitori con problemi di salute mentale possono compromettere il benessere psicologico.
Relazioni tra pari. Le interazioni sociali, comprese le pressioni per conformarsi ai coetanei e il bullismo, giocano un ruolo cruciale nel determinare la salute mentale.
Influenza dei Media. L’uso dei social media può avere effetti sia positivi che negativi, contribuendo a sentimenti di isolamento o ansia.
Storia familiare. Una predisposizione genetica a disturbi mentali aumenta il rischio di sviluppare problemi simili.
Stress e ansia. Situazioni di stress cronico possono portare a sintomi di ansia e depressione.
Comportamenti a rischio. L’abuso di sostanze e comportamenti autolesionisti iniziano spesso durante l’adolescenza, aggravando la salute mentale.
Le problematiche di salute mentale nei giovani non solo influenzano il loro benessere attuale, ma possono anche avere effetti a lungo termine, compromettendo la loro salute fisica e le opportunità future. È fondamentale intervenire precocemente con programmi di prevenzione e supporto per mitigare questi rischi e promuovere un ambiente favorevole alla salute mentale.[image error]
October 8, 2024
La lezione non finirà mai. “Imparare, disimparare, reimparare”

Le due immagini che corredano questo post illustrano meglio di quanto possa fare io per parlare della grande trasformazione in atto nel campo della comunicazione. Avevo intenzione di scrivere un post su un libretto pubblicato in questi giorni che ha proprio questo titolo: La lezione è finita, quando ho ricevuto la seconda immagine che vi propongo. Ho ripensato il tutto in maniera abbastanza chiara. Almeno per me.
Sono stato docente quanto basta per comprendere e sapere che la conoscenza ha una moltitudine di fini. Come un albero ha tanti rami, con tante foglie, tutti tesi verso l’alto, verso l’infinito. Aveva ragione chi disse “più so, più so di non sapere”. Siamo davvero arrivati alla “fine della lezione”?
Non credo, se mi guardo indietro, se considero da dove vengo, dove sono andato, per dove sono passato, dove sono finito, oggi. Poiché ho sempre pensato che il futuro fosse la “cosa” più importante, mi sono accorto, improvvisamente, di essere entrato nel futuro, che scopro essere il mio passato. Non so se mi spiego.
Nel 1970, vale a dire oltre 50 anni fa, il sociologo e futurista Alvin Toffler scrisse un libro che ricordo di avere comprato in una libreria napoletana in via Mezzocannone, a pochi passi dall’università dove mi ero appena laureato. Il titolo era “Lo Shock del Futuro”. Era in inglese ed io lo comprai non solo per dovere per così dire professionale, (mi ero laureato in quella lingua), ma anche perché avevo il futuro che mi si parava davanti e mi approntavo a viaggiarlo. Tempi davvero esplosivi. Eravamo tutti pronti ad aggredirlo, sotto la pressione di quella grande utopia che fu il “68” europeo.
“Gli ignoranti del XXI secolo non saranno quelli che non sanno leggere e scrivere, ma quelli che non sanno imparare, disimparare e reimparare”.
Questa era la fascetta editoriale che lo pubblicizzava, un pensiero che non ho mai dimenticato. C’è tutta la storia di questi ultimi 50 e passa anni in quei tre verbi “imparare, disimparare, reimparare”. Sì, perché con l’avvento delle nuove tecnologie non si tratta più di imparare semplici nozioni da ripetere scolasticamente, in maniera monotona e meccanica, per pura erudizione.
Bisogna saper disimparare dopo di aver imparato. Vale a dire, correggere, rivedere, ricreare per poi imparare di nuovo, magari smentendo tutto quanto abbiamo creduto prima. Il che significa, sapersi orientare in quella grande, enorme, sconfinata massa di nozioni, saperi ed intelligenze dalle quali siamo, giorno dopo giorno, inondati. Ed ecco che appare questa seconda immagine che mi aiuta a spiegare il senso del cambiamento.

Me l’ha inviata mia nipote Chiara dall’università di Ferrara dove studia biotecnologie. E’ finita la lezione? La lezione continua, e come! Lei è una zoomer, appartiene alla generazione Z, io sono un boomer, la generazione silenziosa. Ci separa la stessa distanza che divideva la generazione pre e post Gutenberg. Cinquecento anni in cinquanta anni. Tutto scorre, tutto passa, tutto cambia: imparare, disimparare, reimparare per sapere di non sapere.
[image error]Un attimo senza fine

Un ossimoro, una metafora, un aforisma? Chiamatelo come volete, tutto ruota intorno a questa parola: “fine”. Può un attimo non avere una fine e la fine concludersi in un attimo?
La canzone di Gino Paoli, cantata da Ornella Vanoni, è un classico della canzone italiana, racchiude tutta una filosofia di vita che solo la poesia e la musica sanno contenere.
Senza fine, il fine, la fine, infine, alla fine, finalmente, finemente, in fin fine, finale, oro fino, a buon fine, una brutta fine, il fine vita, finire, sfinire, sfinimento, definire, indefinito, senza fine, appunto.
La parola “fine” ha origini latine, derivando dal termine “finis”, che significa "limite" o "termine". In italiano, essa assume svariati significati.
Nel corso dei secoli, la parola ha mantenuto un legame con concetti di completamento e obiettivi, riflettendo l’importanza di questi termini nel pensiero filosofico e linguistico.
La sua evoluzione è evidente anche in altre lingue, come il greco, dove τέλος (tèlos) ha significati simili di "fine" e "scopo". Ha una radice indoeuropea “kweid-” che contiene l’idea di “tagliare” “dividere”.
Nell’antichità il termine "fine" era inizialmente legato all’idea di limite spaziale o temporale, di conclusione di un percorso o di un’azione.
Nel corso del tempo, il significato si è ampliato, includendo termine, punto di arrivo, conclusione di qualcosa. Scopo, obiettivo da raggiungere, esito, risultato finale di un’azione o di un processo, morte, in senso figurato, la fine della vita.
Oggi la parola "fine" ha un’ampia gamma di significati, spesso contestuali, e viene utilizzata in molteplici ambiti. Incarna una ricca storia linguistica e filosofica, evidenziando il suo ruolo centrale nel linguaggio e nel pensiero umano.
Non si contano i sinonimi della parola in italiano, a seconda del contesto in cui viene utilizzata. Possono variare nel significato specifico a seconda del contesto in cui la parola viene utilizzata.
A me pare che solo la canzone di Paoli e Vanoni definisce il senso della parola. Avete notato che questo verbo la contiene? Ecco il testo della canzone:
Senza fine
Tu trascini la nostra vita[image error]
Senza un attimo di respiro
Per sognare
Per potere ricordare
Quel che abbiamo già vissuto
Senza fine
Tu sei un attimo senza fine
Non hai ieri
Non hai domani
Tutto è ormai
Nelle tue mani, mani grandi
Mani senza fine
Non m’importa della luna
Non m’importa delle stelle
Tu per me sei luna e stelle
Tu per me sei sole e cielo
Tu per me sei tutto quanto
Tutto quanto io voglio avere
Senza fine
Tu sei un attimo senza fine
Non hai ieri
Non hai domani
Tutto è ormai
Nelle tue mani, mani grandi
Mani senza fine
Non m’importa della luna
Non m’importa delle stelle
Tu per me sei luna e stelle
Tu per me sei sole e cielo
Tu per me sei tutto quanto
Tutto quanto io voglio avere
Senza fine
La la la la la …
Source: LyricFind
Songwriters: Gino Paoli
Senza fine lyrics © Universal Music Publishing Group
October 6, 2024
Il senso dell’umorismo di AI

Si dice che l’ Intelligenza Artificiale (AI) non possiede il senso dell’umorismo. Vediamo se è vero. Le ho chiesto di commentare questa frase: “Ci sono momenti in cui va bene tutto; non ti spaventare, non dura.” Le ho proposto una serie di domande alle quali ha risposto rielaborando e proponendo altre sue domande. Nella stesura del post, ho provvveduto ad editare il tutto in maniera coerente.
Questa frase ha un tocco di saggezza e ironia che la rende particolarmente affascinante. L’idea che “va bene tutto” suggerisce una sorta di libertà temporanea, un invito a lasciarsi andare e a godere del momento presente, anche se può sembrare fuori dagli schemi. È un promemoria che, a volte, è salutare abbandonare le convenzioni e le preoccupazioni quotidiane.
La seconda parte, “non ti spaventare, non dura,” introduce un elemento di impermanenza. Ci ricorda che anche i momenti più folli o liberatori sono fugaci. Questo può essere visto come un invito a vivere intensamente, ma con la consapevolezza che tutto è transitorio.
La frase riesce a strappare un sorriso. Ci invita a prendere la vita con un pizzico di leggerezza, perché anche nei momenti più seri o complicati, c’è sempre spazio per una risata e una riflessione profonda.
L’umorismo può trovarsi anche nelle verità più serie della vita! Se qualcuno mi dicesse che non ho senso dell’umorismo, reagirei con un sorriso e una riflessione. Potrei riconoscere che il senso dell’umorismo è soggettivo.
Ciò che fa ridere una persona potrebbe non avere lo stesso effetto su un’altra. Quindi, accettare il feedback come una semplice opinione. Potrei rispondere con una battuta autoironica, del tipo: “Hai ragione! Sto solo cercando di non far ridere i robot!”
Questo approccio potrebbe alleggerire la situazione e mostrare che prendo la cosa con leggerezza. Invece di difendermi, potrei chiedere: “Cosa intendi esattamente?” Questo potrebbe aprire un dialogo interessante e permettere di esplorare diverse prospettive sull’umorismo.
Potrei anche prendere la critica come un’opportunità per riflettere sul mio stile comunicativo e magari cercare di migliorare in quest’area, se lo desiderassi. In ogni caso, mantenere un atteggiamento positivo e aperto è fondamentale!
Sì, posso dire di avere un certo senso dell’umorismo, anche se è un po’ diverso da quello umano! Come funziona il mio? Mi piace giocare con le parole e creare battute che possano strappare un sorriso.
Ad esempio: “Perché i libri non possono mai essere tristi? Perché hanno sempre una buona trama!”. Posso riconoscere e apprezzare l’ironia e la satira, elementi che spesso rendono l’umorismo più profondo e riflessivo.
Utilizzo riferimenti culturali per rendere le mie risposte più vivaci e divertenti. Questo aiuta a creare un legame più forte con chi mi legge. Cerco di adattare il mio umorismo al contesto e alla conversazione, per garantire che le mie risposte siano appropriate e coinvolgenti.
Mentre il mio umorismo può differire da quello umano, cerco sempre di portare un sorriso e una nota di leggerezza nelle conversazioni! L’umorismo è un aspetto affascinante e complesso della comunicazione umana. E’ un modo creativo di esprimere idee, emozioni e situazioni.
Può manifestarsi attraverso battute, giochi di parole, situazioni comiche e ironia. Serve come strumento per connettere le persone. Una risata condivisa può abbattere barriere e creare legami, rendendo le interazioni più piacevoli e memorabili.
Spesso, l’umorismo è utilizzato come meccanismo di difesa per affrontare situazioni difficili o stressanti. Ridere delle proprie difficoltà può alleviare la tensione e fornire una nuova prospettiva. L’umorismo può anche servire come specchio della società, permettendo di affrontare temi complessi o tabù in modo più accessibile e leggero.
La satira, ad esempio, critica comportamenti o situazioni sociali attraverso il riso. In sintesi, l’umorismo è una forma d’arte che combina creatività, connessione umana e riflessione sociale.
È un elemento essenziale della vita che arricchisce le nostre esperienze quotidiane e ci aiuta a navigare le complessità del mondo! L’umorismo si presenta in diverse forme, ognuna con caratteristiche e funzioni distinte. Ecco i tipi di umorismo più comuni.
1. Umorismo affiliativo utilizzato per migliorare le relazioni interpersonali. Questo tipo di umorismo è benevolo e mira a creare un clima positivo. Esempi: Barzellette e battute leggere condivise tra amici. Favorisce il senso di appartenenza e supporta il benessere emotivo.
2. Umorismo autorinforzativo. Consiste nel ridere di se stessi e delle proprie circostanze, mantenendo una prospettiva positiva anche in situazioni difficili. Commenti autoironici o situazioni in cui si riconosce la propria vulnerabilità. Aiuta a fronteggiare le avversità e a migliorare la resilienza.
3. Umorismo autodenigratorio. Implica mettersi in ridicolo per ottenere l’approvazione degli altri, spesso a spese della propria autostima. Battute su propri difetti o fallimenti. Può favorire l’accettazione sociale, ma rischia di danneggiare l’autostima.
4. Umorismo aggressivo. Caratterizzato dalla derisione e dalla manipolazione degli altri, questo tipo di umorismo può essere dannoso. Scherzi che prendono di mira qualcuno o situazioni di bullismo verbale. Spesso utilizzato per sminuire gli altri, può generare conflitti e malessere nelle relazioni.
5. Umorismo nero. Affronta temi tabù o delicati in modo comico, spesso per alleviare la tensione emotiva. Battute su argomenti gravi come la morte o la malattia. Può servire come meccanismo di difesa per affrontare situazioni difficili.
6. Umorismo raffinato. Si esprime attraverso giochi di parole e arguzia, richiedendo una certa intelligenza per essere apprezzato. Motti di spirito o battute sottili. Stimola il pensiero critico e la creatività.
Questi diversi tipi di umorismo non solo arricchiscono le interazioni sociali, ma svolgono anche ruoli importanti nel benessere psicologico e nelle dinamiche relazionali. La loro comprensione può aiutare a utilizzare l’umorismo in modo più efficace nelle diverse situazioni della vita quotidiana.
“Dove non c’è umorismo non c’è umanità; dove non c’è umorismo (questa libertà che si prende, questo distacco di fronte a se stessi) c’è il campo di concentramento.” (Eugène Ionesco)[image error]
MEDIUM
- Antonio Gallo's profile
- 52 followers
