Edy Tassi's Blog, page 5

July 16, 2019

La decisione più importante, se vuoi organizzare un writing retreat

La decisione più importante se vuoi organizzare un writing retreat


 


Il tuo writing retreat sta prendendo sempre più forma, vero? Hai fissato la data e ti sei anche fatta un’idea sul luogo in cui si svolgerà.

È arrivato dunque il momento, oggi, di affrontare uno degli elementi più importanti relativi all’organizzazione di un writing retreat, ancora più importante del quando e del dove.


L’obiettivo.


Certo, abbiamo detto sin dal principio che vuoi ritagliarti del tempo da dedicare alla scrittura. Già questo è un obiettivo. Ma perché la cosa si riveli davvero efficace, devi stabilire in cosa si concretizza, praticamente, questo bisogno. E se ti stai domandando perché ti sprono a occupartene ora e non come primo argomento, visto che è tanto importante, la spiegazione è semplice.


Se hai una vita impegnata, se non puoi disporre liberamente delle tue giornate ma devi venire a patti con le esigenze di un marito, di un tot di figli, dei genitori anziani, di un lavoro e magari del gatto o del cane, è ovvio che non puoi dire ok, voglio scrivere un libro in santa pace perciò me ne vado due mesi in una baita in Valtellina. Se tu potessi godere di questa libertà, probabilmente non saremmo qui a parlare di giornate o addirittura ore libere, vero?


Quindi, la prima variabile con cui devi fare i conti non è il tuo obiettivo specifico (che vagamente hai già in testa, ne sono sicura) ma il tempo che, ragionevolmente, riesci a ritagliarti da dedicare alla scrittura.  E solo quando hai ben chiaro di quanto tempo disponi, riesci a stabilire un obiettivo coerente. Non ha senso infatti pensare di terminare un libro se riesci a strappare soltanto otto ore al ménage famigliare, non credi?


Quindi, di quanto tempo disponi?

Un giorno? Un weekend? Quattro giorni? Una settimana?


Solo quando hai messo a fuoco e sei consapevole di questo arco temporale, puoi valutare e stabilire il risultato da portare a casa.


Come dicevo all’inizio, però, il tuo obiettivo non deve essere vago. Hai presente? Cose tipo:


– scrivere

– perlustrare la città

– organizzare i materiali


Non che questi non siano risultati auspicabili. Ma sono talmente imprecisi e generici che, in realtà, alla fine del retreat non avrai davvero la sensazione che ti sia stato utile. Sì, magari avrai scritto qualcosa, avrai trovato qualcosa, magari avrai organizzato qualcosa e di sicuro questo qualcosa è meglio di niente, ma per essere certa che il tuo retreat serva, devi identificare e formulare in modo diverso il tuo obiettivo.


Come vuole il coaching, quindi, il tuo obiettivo deve essere SMART. Conosci già questo acronimo? Te lo spiego in un lampo.


Specific: specifico, determinato, chiaro.

Measurable: misurabile (altrimenti come fai a capire se lo hai raggiunto?)

Attainable: raggiungibile (decidere che in due giorni devi scrivere un romanzo non lo è)

Relevant: importante

Time based: circoscritto nel tempo (e qui ci siamo, visto che partiamo proprio dal tempo che hai a disposizione).


Dunque, partiamo da lì, dal time based. Hai un giorno, un weekend, quattro giorni ecc a disposizione. Cosa te ne fai?


Le alternative sono molte, ma è bene che tutte rispettino il criterio SMART (se vuoi approfondire il concetto con qualche riflessione interessante, ti consiglio questo post! .

Qui te ne elenco alcune, le più probabili o utili per il tuo lavoro, formulate tenendo conto dell’acronimo che ti ho appena illustrato.


Puoi usare un writing retreat per:



decidere cosa scrivere. Non è obbligatorio “scrivere”. Se sei indecisa tra più alternative, idee, possibili progetti, durante il tuo writing retreat puoi riflettere e valutare su quale idea puntare. Rilassati e pensa, medita, ragiona per individuare il progetto vincente, quello che senti più tuo, quello che, nella solitudine del tuo retreat, parla al tuo cuore. Sarà quello il progetto al quale lavorerai una volta tornata a casa. E di sicuro, decidere cosa scrivere è specifico (un progetto tra i venti che ti frullano in testa), è misurabile (un progetto), è raggiungibile e sfido chiunque a obiettare che non sia importante.
dare un nuovo impulso a una scrittura che ristagna. A casa non riesci a scrivere e più non riesci a scrivere meno scrivi. Ti servirebbe una bella iniezione di energia. Allora usa il tuo writing retreat per dare vita a un effetto valanga. Decidi che scriverai duemila parole, diecimila parole, ventimila parole (a seconda del tempo che hai) e usa queste parole come la proverbiale palla di neve, che dia slancio a tutto il resto.
completare una sinossi. Se come me sei una che preferisce sapere in anticipo di cosa scriverà, allora puoi dedicare il tempo a tua disposizione per completare la sinossi del tuo romanzo. Per me la sinossi è la pietra miliare di ogni lavoro. Una volta che ho in mano quella, so che il più è fatto (o quasi) e mi sento molto più serena e fiduciosa.
organizzare i materiali. Ma devi farlo in modo chiaro. Decidi che sbobinerai le tre interviste fatte, che leggerai quei due libri e ne organizzerai le informazioni su un quaderno.
fare perlustrazioni. Se vuoi ambientare il tuo romanzo in un contesto che non conosci molto bene, puoi usare il tuo writing retreat per fare un po’ di sana ricognizione. Decidi per esempio di pattugliare il centro di quel certo luogo per trovare cinque scorci utili in cui ambientare le scene.
fare ricerca. Hai deciso di ambientare il tuo romanzo in una distilleria? Allora approfitta del tempo a tua disposizione per prendere appuntamento in due distillerie, dove fare una visita guidata, intervistare chi ci lavora, capire meglio l’argomento.
riposare. Sì, un writing retreat può essere utile per risposare, per allontanarti da un momento intenso sul lavoro o in famiglia, che ti toglie la concentrazione. Approfitta della pausa per dormire, passeggiare, riflettere, ricaricare le pile. Anche questo è un obiettivo, forse il più SMART che ci sia!

Come vedi, di possibilità ce ne sono moltissime e di sicuro tu riuscirai a trovarne ancora. L’importante è riuscire a sfruttare al meglio il tempo che hai a tua disposizione, per qualcosa che ti aiuti a fare un passo avanti significativo nel tuo progetto.


RIESCI A IDENTIFICARE ALTRI OBIETTIVI SMART PER UN IPOTETICO WRITING RETREAT? RACCONTAMI QUAL È IL TUO PROGETTO! E NON PERDERTI L’APPUNTAMENTO DELLA PROSSIMA SETTIMANA, RICCO DI SUGGERIMENTI PRATICI SU COSA FARE PER SFRUTTARE AL MEGLIO IL TEMPO CHE HAI DECISO DI DEDICARE ALLA SCRITTURA.


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Published on July 16, 2019 23:00

July 9, 2019

Dieci (+ una) idee furbe dove organizzare il tuo writing retreat

Dieci idee furbe dove organizzare il tuo writing retreat


 


Ehilà!

Dimmi, dopo il mio post di mercoledì scorso non “friccichi” anche tu dalla voglia di organizzare un writing retreat?


Se hai seguito le mie indicazioni, hai già individuato il momento perfetto per te e la tua famiglia. E spero che tu abbia segnato la data sul calendario, perché ricordati che se non è in agenda, non esiste (lo sai anche tu… se non prendi nota di un impegno, succede sempre qualcosa per cui quell’impegno salta, quindi è fondamentale segnarlo in modo che tutti, ma proprio tutti non se ne dimentichino, tu compresa).


Ora però è il momento di fare il passo successivo, cioè: IL DOVE.


Dove si terrà il tuo favoloso writing retreat?

Indipendentemente da quanti giorni vuoi (o puoi) dedicare a questo progetto, le opzioni principali sono ovviamente due. A casa tua, o in un altro luogo.


A CASA.


Questa soluzione presuppone che a uscire dalla porta siano tuo marito, i tuoi figli, i tuoi genitori o i tuoi fratelli. Insomma, tutti quelli che abitano con te. Se non trovi resistenze in questo senso, ottimo!

Convincili a puntare la sveglia di buon’ora, osserva con occhio di falco che non dimentichino nulla, accompagnali alla macchina, sventola per qualche secondo il fazzoletto mentre si allontanano e quando hanno svoltato l’angolo precipitati al computer!


Ripeto: precipitati al computer!


E nel caso non avessi capito… PRECIPITATI AL COMPUTER!


Perché uno dei rischi maggiori di organizzare un writing retreat in casa propria è di fare tutto tranne che scrivere.

Funziona più o meno così:


“Oh, adesso che sono sola, prima faccio i letti, poi scrivo. Ehi… ma guarda quanta polvere su quel ripiano… quasi quasi do una spolveratina, tanto ho tutta la giornata. E poi magari sistemo la scarpiera. Però potrei anche far prendere un po’ di aria ai materassi…”


Intanto si sono fatte le dodici. Tu non hai nemmeno acceso il pc e ti riprometti di farlo dopo pranzo. Mangi, sistemi la cucina (e intanto decidi che anche il cassetto delle pentole ha urgente bisogno di una remise en forme, per cui quando finisci di mettere tegami e padelle in ordine di diametro sono quasi le tre), quindi, finalmente, accendi il computer.


In quel momento però suona il telefono. È tuo figlio che ti chiede come sta andando il lavoro, tutto felice di averti lasciato spazio. Poi ti passa papà, che ti passa la nonna.


Serve che prosegua? Immagino di no. Hai senz’altro capito che restare a casa è decisamente insidioso. Quindi attenta a non cadere nella trappola dei lavori da fare.


Se decidi per la soluzione “casalinga”, avvisa i tuoi di non chiamarti a meno di essere tutti contemporaneamente in codice rosso al pronto soccorso e tu NON GUARDARTI ATTORNO, nemmeno per fare i letti (hai visto, sono la porta dell’inferno!).


Se invece i tuoi non possono assentarsi, e non puoi farlo nemmeno tu, prova a guardare la casa con occhi nuovi, alla ricerca di un angolo discreto in cui appartarti per il tempo necessario.


Una soffitta polverosa ma splendidamente isolata. Un angolo di giardino pieno di zanzare dove non si avventura mai nessuno. Una stanza con una serratura (e la corrispondente chiave). Ci siamo intesi. Un luogo in cui puoi appartarti per il tempo necessario a portare a termine il tuo writing retreat e che faccia capire al resto del mondo che vuoi davvero essere lasciata in pace.

Una volta identificato questo spazio, rendilo confortevole, crea l’atmosfera giusta. Basta una candela, una serie di penne o un quaderno nuovo, un bel bicchiere di acqua aromatizzata. E ovviamente un tavolo dove sederti al computer.


Nonostante le insidie che ti ho elencato poco fa, restare a casa, ti permette di avere a portata di mano tutto quello che ti serve senza fare bagagli, organizzare trasferte e compagnia bella. Il che può essere decisamente un grande vantaggio!


FUORI CASA.


Se hai deciso che per te “retreat” significa uscire di casa, allora le possibilità si fanno davvero infinite e per tutte le tasche. Cominciamo con quelle più semplici.



trova un’amica che esce alle 7 e rientra alle 20 per andare al lavoro e fatti dare le chiavi di casa sua. Offriti di farle trovare in cambio la cena pronta o di portarla fuori per un aperitivo.
lo stesso vale per i tuoi genitori/fratelli/sorelle: hanno una stanza da “affittarti” per qualche giorno? Approfittane e trasferisciti lì, come se andassi in ufficio. Anche in questo caso, ringrazia non con regali ma opere di bene: offriti di portare fuori il cane a fine giornata, o di andare a fare la spesa.
Informati sugli orari della biblioteca e trovati un angolino tranquillo lontano da studenti universitari che fingono di studiare, anziani che cercano qualcuno a cui raccontare gli ultimi settant’anni della loro vita e bibliotecarie intente a imparare il nuovo sistema di codificazione dei volumi.
Individua un parco con delle panchine comode in una posizione ombrosa e, manco a dirlo, defilata.
Fai un giro dei bar o delle pasticcerie. Se il titolare non ha niente in contrario, potrai approfittare della tranquillità delle ore con meno affluenza e trovarti con un toast pronto all’ora di pranzo.
Prova a individuare una biblioteca o un bar in una città vicina, così unisci la tranquillità al piacere di vedere un posto nuovo.
Compra un biglietto del treno di andata e ritorno in giornata per una destinazione lontana (tipo Napoli, se abiti al nord, Milano se abiti al sud). Investi in un posto in una zona silenziosa e poi… parti! Andare e tornare in giornata ti permetterà di dedicare tutto il tempo del viaggio alla scrittura, senza distrazioni, e con la possibilità di andare al bagno quando la natura chiama o di mangiare qualcosa quando lo stomaco brontola.

E se invece hai voglia di qualcosa di più impegnativo?



indaga tra le tue amicizie se c’è qualcuno che sta per andare in vacanza e ha bisogno di una “custode” per il proprio appartamento cittadino. Loro non dovranno preoccuparsi che il ficus benjamina si afflosci perché non lo bagna nessuno, tu avrai la possibilità di lavorare in un posto tranquillo e solitario. A te scegliere se fermarti anche la notte o rientrare a casa alla sera.
sempre indagando tra le amicizie, prova a vedere se qualcuno ha un appartamento in una località di villeggiatura che per il momento non usa e che è disposto ad “affittartelo” per un weekend o una settimana. Va bene qualsiasi cosa. Lago, montagna, mare, campagna.
se non vuoi appesantirti di debiti di riconoscenza, affitta un monolocale per una settimana in una città vicina. A Milano, per esempio, muovendosi con un certo anticipo, si trovano un sacco di residence che affittano monolocali per brevi periodi di tempo. Prova con un bed and breakfast.

 


Come vedi, ci sono un sacco di alternative. Comincia a pensarci ora e trova la soluzione migliore per il tempo a tua disposizione e per le tue tasche.


TI VIENE IN MENTE QUALCHE NUOVA ALTERNATIVA CREATIVA DOVE ORGANIZZARE UN WRITING RETREAT? CONDIVIDILA NEI COMMENTI COSI’ REGALERAI UNO SPUNTO NUOVO A TUTTI LE ALTRE LETTRICI DEL MIO BLOG!


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Published on July 09, 2019 23:00

July 2, 2019

Quest’estate regalati un writing retreat

Quest'estate regalati un writing retreat personalizzato

Quando hai bisogno di dimagrire? Vai a fare una settimana di dieta a Tabiano.

Quando hai bisogno di disintossicarti? Vai a fare una settimana detox a Salsomaggiore.

Quando hai bisogno di riposarti? Vai in vacanza e ti dimentichi della sveglia.

Quando vuoi scrivere? Organizzi un writing retreat!


Spesso, il tran tran quotidiano rende molto difficile scrivere anche se tu sei una che si impegna e fa sempre un sacco di buoni propositi, tipo scrivere tutti i giorni  o scrivere come prima cosa la mattina.

Se lavori fuori casa hai i minuti contati, devi destreggiarti tra l’organizzazione famigliare, gli orari di ufficio, il rientro a casa nell’ora di punta. Forse riesci a ritagliarti qualche minuto di scrittura se viaggi con i mezzi e te ne stai per mezz’ora con il computer o il tablet aperto sulle ginocchia, premuta in un angolo, con lo zaino dello studente davanti a te tra i piedi (letteralmente) e la vicina alla tua destra che inveisce per tutto il tempo contro il caporeparto stronzo che non ha voluto darle il permesso per uscire prima venerdì.


Se sei a casa, SEMBRA che tu abbia le giornate tutte a tue disposizione, ma sai benissimo che non è così! Soprattutto se sei a casa non a contare i petali delle ortensie ma a crescere gli eredi della dinastia, che di sicuro hanno in mente tutto tranne lasciarti libera due ore (due minuti?) per scrivere in santa pace.


Ed ecco che, allora, ne sono sicura, scatta il fatidico pensiero:


Ah, se solo potessi andarmene per qualche giorno a scrivere in un posto tranquillo! Dove non c’è nessuno che mi disturba, dove non ho ascelle pezzate ad altezza narici, dove non ci sono ginocchia sbucciate da medicare, dove non devo occuparmi di nessun altro che di me stessa e del mio file su word.


Ecco, quello a cui stai pensando è un writing retreat.

E luglio è il momento perfetto per provare a organizzarne uno, magari ad agosto, quando puoi contare su qualche aiuto in più o su qualche giornata di dolce far niente di marito e figli.


Certo, in rete ci sono un sacco di possibilità fighissime (e costosissime). Se puoi permettertele, perché no?

Queste, per esempio, a me attirano un sacco.



book@ writing retreat
italian writing retreat
the art of writing
wellness & writing retreats

Se invece è meglio tenere sotto stretta osservazione i cordoni della borsa, nulla ti vieta di provare a organizzare un tuo personale writing retreat low cost.


Ma cos’è un writing retreat?


Fondamentalmente è un periodo di tempo che decidi di dedicare solo e soltanto alla scrittura, in un luogo che concilia la concentrazione e la creatività.

Non solo, spesso ti ritrovi in compagnia di scrittrici come te, che capiscono benissimo la tua necessità di saltare un pasto o restare in pigiama fino alle cinque di sera se sei preda di un potente impeto creativo. E con le quali puoi condividere blocchi o dubbi.


Io ho vissuto qualcosa di simile a Matera, durante il Women Fiction Festival. Lì, l’energia creativa fluiva come acqua piovana lungo le strade. E potevi isolarti in qualsiasi momento in un angolo, con una collega, per chiacchierare di storie, scene e personaggi. Non era un vero e proprio retreat come lo intendo nei post di questo mese, ma di sicuro l’energia era quella.


Ma tornando quindi a noi. Un writing retreat può avere una durata variabile, perciò non pensare che se non puoi permetterti di salutare marito e pargoli per quindici giorni, per te questa possibilità resta off limits. E può svolgersi ovunque, a patto che questo ovunque ti permetta di scrivere in tranquillità.

Può durare un giorno, un weekend, una settimana (se sei fortunata). E richiede solo un minimo di organizzazione.


Si possono organizzare writing retreat in barca, in montagna, al mare, in un monolocale di città e perfino in un parco.

L’importante è che tu sappia come farlo.

Ti servono:



una data
un luogo
un obiettivo
un po’ di organizzazione

Nelle prossime settimane affronterò tutti questi argomenti e per agosto sarai prontissima per il tuo primo writing retreat personale.

Oggi cominciamo con…


LA DATA


Il primo passo fondamentale, infatti, è decidere il quando.

Se il tuo desiderio di scrivere non è un segreto che per tutti questi anni hai tenuto solo per te, di sicuro la tua dolce metà, i tuoi genitori, i tuoi fratelli/sorelle e i tuoi amici ne saranno a conoscenza. Anzi, magari li hai talmente tormentati con questa tua idea di diventare scrittrice o con i tuoi lamenti sul fatto che non hai mai tempo di buttare giù nemmeno la lista della spesa, che con ogni probabilità accoglieranno con entusiasmo la possibilità di liberarsi di te per permetterti di dedicare qualche giorno alla scrittura.


Riunisci il parentado ed esponi il tuo progetto, cercando di capire qual è il momento migliore per tutti e quanto tempo libero ti possono garantire.

Consiglio, chiedine sempre un po’ di più, tanto ci penseranno loro a restringere le maglie.


Ambisci a una giornata? Proponi un weekend.

Ambisci a un weekend? Proponi un weekend lungo.

Ambisci a una settimana? Proponi dieci giorni.


Una volta stabilito l’arco temporale di cui potrai disporre, individua le date migliori. Molto dipende da dove vai, ma di solito i giorni infrasettimanali sono più tranquilli un po’ ovunque, rispetto al weekend. Ma ci sono luoghi che durante il weekend si svuotano (e di luoghi parleremo la prossima settimana). L’importante è che tu segni sul calendario di casa le date che decidete con una bella X visibile a tutti. Finché quella X non c’è, non c’è nemmeno il writing retreat, ricorda!


ORA TOCCA A TE. TI PIACEREBBE ORGANIZZARE UN WRITING RETREAT? COSA VORRESTI FARE? COME TE LO IMMAGINI?


 


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Published on July 02, 2019 23:00

March 27, 2019

I 3 segreti di una bella recensione (Con regalino per te!)

recensione


 


Eccoci all’ultimo appuntamento di marzo, quello in cui ti parlerò concretamente e nel dettaglio delle recensioni… utili.
Lo so, nel titolo parlo di “bella recensione” ma ormai avrai capito, leggendo i post precedenti, che per me una bella recensione non è per forza una recensione positiva. Paradossalmente, può essere infatti più bella una recensione negativa che una positiva, soprattutto se quest’ultima si limita a un semplice:


Il libro mi è piaciuto.


Per rendere utile una recensione, però, non serve che quel “il libro mi è piaciuto punto” diventi una dissertazione di sei cartelle. Se non ami dilungarti o scrivere ti fa venire l’orticaria, basta per esempio aggiungere un semplice: il libro mi è piaciuto e lo consiglio perché… l’ho trovato avvincente, rilassante, divertente, emozionante. Basta una frase così per far capire a una potenziale altra lettrice che, se vuole, poniamo, rilassarsi, divertirsi o emozionarsi, quello è il romanzo giusto per lei.


Se invece sei una lettrice che non si spaventa all’idea di scrivere qualcosa di più articolato e, anzi, sente prudere le dita dalla voglia di scriverne una, qui di seguito ti elenco gli elementi che di solito compongono una recensione positiva (perché le altre indicazioni le trovi qui), sottolineando quelli che possono renderla più utile sia per me che per ogni altra potenziale lettrice.


1. Un breve accenno alla trama.


Come ti ho già detto, una recensione non è un riassunto, però un accenno alla trama serve per creare un minimo di contesto.


2. I tuoi commenti critici.


Questa è la parte in cui puoi sbizzarriti e dove mi sento di darti qualche indicazione più dettagliata rispetto per esempio al metodo sandwich che ti ho descritto la settimana scorsa. Sentiti libera, ovviamente, di tenere conto di tutti gli spunti o solo di alcuni, non ci sono regole fisse. L’importante è che tu ti ricordi di recensire quello che ho scritto, non quello che vorresti avessi scritto, recensisci il mio lavoro, non me (e io per conto mio, eviterò di essere permalosa e suscettibile, promesso!):



Qual è il genere del romanzo (a volte si dà per scontato, ma capita che le classificazioni delle case editrici differiscano un po’ dal contenuto per semplificare il posizionamento dei romanzi negli scaffali, quindi meglio ribadirlo o specificarlo);
Qual è il tema del romanzo e se, secondo te, come autrice sono riuscita a esprimerlo in modo efficace;
Come ti sei sentita leggendo il romanzo;
Cosa ti è piaciuto di più e cosa di meno (aggiungendo i dettagli che preferisci su ambientazione, personaggi, dialoghi, trama);
Se ti va, riporta qualche brevissimo estratto che ti ha colpita;
Se pensi che ci siano margini di miglioramento, indicameli;
Sii trasparente: se ci conosciamo, se sei mia amica, scrivilo pure. Non c’è niente di male in una recensione scritta con affetto. A me farà un sacco piacere riconoscerti e le altre lettrici penseranno che devo essere una persona splendida per avere delle amiche splendide come te!

Fatto questo, la parte più importante è sistemata. Ora non ti resta che la conclusione.


3. Il tuo consiglio.


Consiglieresti il mio libro? Ricorda quello che ho scritto nel post della settimana scorsa. Un libro che non è piaciuto a te, potrebbe però piacere a una lettrice diversa, perciò prova a individuare quale.


Ti sembra un lavoro improbo? Non è detto, a volte per scrivere una recensione come si deve bastano poche righe. Una cosa così, insomma:


Questo romance contemporaneo racconta la storia di una maestra di musica che si trova a dare lezioni a un pugile. Il pugile è stato infatti ingaggiato da una nota azienda di articoli sportivi, per mostrare come i loro guantoni sono così validi nel proteggergli le mani, da permettergli perfino di suonare il piano come Mozart. La storia, imperniata sulla fiducia in sé, mi ha regalato molti momenti allegri e anche qualche attimo di commozione. Ho apprezzzato molto le descrizioni delle lezioni, anche se a volte ho trovato troppo dettagliati i passaggi sulle composizioni musicali. Conosco XY da qualche anno e sono felice di poter dire che questo suo libro mi è proprio piaciuto. Sono sicura che piacerà anche a tutte le lettrici che adorano le commedie romantiche.


E SE VUOI UNO STRUMENTO CHE TI AIUTI A RACCOGLIERE LE IDEE QUANDO SCRIVI UNA RECENSIONE, QUI TROVI UN PICCOLO QUESTIONARIO CHE TI AIUTERÀ A FISSARE I PENSIERI. SCARICANDOLO, POTRAI ANCHE ISCRIVERTI ALLA MIA FANTASTICA NEWSLETTER PREZIOSA!


 



SCARICO IL QUESTIONARIO!

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Published on March 27, 2019 00:00

March 20, 2019

Recensioni negative: istruzioni per l’uso

Recensioni negative


Dopo tanti ragionamenti filosofici che trovi qui e qui, oggi parliamo delle tanto temute recensioni negative.


Qualcuno dice che sia più facile scrivere le recensioni negative, rispetto a quelle positive. Forse è vero. Anche io, quando leggo qualcosa, riesco a inquadrare molto prima ciò che non mi piace. E soprattutto mi è più facile esprimerlo. Gli elementi negativi mi saltano all’occhio come flash in una stanza buia. Quelli positivi a volte rendono la lettura tanto fluida e piacevole da passare, paradossalmente, quasi inosservati.


In realtà se forse è vero che è più facile scrivere recensioni negative, non sono tanto sicura che sia facile scrivere recensioni negative utili. È infatti molto più facile criticare e basta, mettere in fila due o tre commenti negativi e buonanotte.


Da autrice a lettrice, quindi, ho pensato a quali sono gli elementi che potresti tenere in considerazione se senti la necessità di esprimere un giudizio critico su un libro che proprio non ti è piaciuto.


LA PRIMA COSA SU CUI DOVRESTI RIFLETTERE SE UN LIBRO NON TI È PROPRIO PIACIUTO.


Qual è il messaggio che vuoi comunicare? Questo è importante perché i messaggi possono essere fondamentalmente due:



Non leggete questo libro neanche per sbaglio
Leggetelo, ma attente che…

Mettere a fuoco se quella che stai per scrivere è una stroncatura totale (aaaarrrghhh!) o meno, ti aiuterà a non perdere di vista l’obiettivo rischiando magari di veicolare qualcosa di diverso o di mandare un messaggio confuso.


In generale, però, sappi che la stroncatura totale è molto più insidiosa da scrivere e da avvalorare perché difficilmente troverai qualcuno che è d’accordo con tutti e venticinque i motivi per cui un libro non vale nemmeno come carta da riciclo. Inoltre, dal terzo, quarto motivo in poi, la stroncatura comincia inevitabilmente ad assumere le sembianze di un accanimento che mette in discussione la tua onestà intellettuale. Quindi, a mio parere, è sempre meglio scrivere una recensione negativa “lucida”.


LA RECENSIONE NEGATIVA “LUCIDA”


Attenzione, non significa scrivere una recensione che dice e non dice, una recensione che lancia il sasso e nasconde la mano. Significa scrivere una recensione negativa intelligente.

Che tu sia tipo da recensioni chilometriche o stringate, ecco allora alcune indicazioni che ti consiglio di tenere in considerazione per scrivere qualcosa di utile sia alle altre lettrici che a me come scrittrice:



Primo, (e questo è forse il più importante!), non farti prendere per nessun motivo da sentimenti personali. Ricordati che quello che scrivi parla non solo del libro che stai recensendo ma anche di te. Il tuo tono, il tuo atteggiamento, la tua voce “passano” e tu vuoi di sicuro apparire come una persona affidabile e corretta, non come una pazza che si è alzata con la luna storta e ha scritto la recensione prima di bere il suo caffè. Sono sicura che il tuo desiderio sia che io e le lettrici ti prendiamo sul serio e decidiamo di poterci fidare di te. Ricorda: la recensione spesso parla più del recensore che del libro recensito. Occhio!
Indica gli elementi che giustificano la tua opinione. Il libro è pieno di refusi? Indicane brevemente un paio (che non siano uno a pagina 2 e uno a pagina 250, perché chi legge potrebbe pensare che in mezzo non ce ne siano affatto; molto meglio indicare magari due refusi nella stessa pagina o, ancor meglio, nello stesso paragrafo! Se poi ambisci alla mia imperitura riconoscenza, segnalameli pure tutti in privato, potresti guadagnarti una menzione d’onore nei ringraziamenti). I personaggi sono stereotipati? Descrivine almeno uno sottolineando gli aspetti triti e ritriti. E via dicendo…
Non raccontare per filo e per segno la trama. Gli spoiler sono davvero fastidiosi, rovinano il lavoro di chi scrive e la lettura e poi, comunque, fare una recensione non significa riscrivere la trama con parole tue, quindi rischi di fare uno sforzo creativo per nulla;
Se a te il mio libro non è piaciuto, prova a fare uno sforzo per trovare qualcuno a cui potrebbe piacere (e non in senso ironico, tipo, a me a fatto schifo ma a qualche oca giuliva sotto l’ombrellone potrebbe piacere un sacco). Quando leggevo inediti per Piemme, nella scheda che dovevo compilare per la casa editrice c’erano due voci distinte: il mio giudizio personale e un giudizio commerciale. Voleva dire che a me personalmente il libro poteva non essere piaciuto, ma la casa editrice voleva anche sapere se intravedevo comunque un mercato possibile. Credo che la stessa cosa dovresti farla tu. Dire, a me questo libro non è piaciuto, ma forse potrebbe piacere a… mi aiuterebbe a intercettare le lettrici giuste e a evitare quelle che, come te, sprecherebbero i loro soldi e non sarebbero soddisfatte;
Se ti senti particolarmente generosa, raccontami come potrei migliorarlo. Forse non potrò tenere in considerazione i tuoi suggerimenti per questo libro, visto che ormai è stato pubblicato, ma ci sono buone probabilità che io senta la tua voce mentre sto scrivendo il prossimo.
Se fai parte della categoria di lettrici a cui proprio non piace scrivere recensioni negative, ma il mio libro…mmmm… non ti ha fatto rivoltare le budella dall’emozione, allora prova la cosiddetta tecnica sandwich o anche PCP. Prima metti un commento positivo (bella la copertina!) poi l’informazione negativa (la trama però non mi ha coinvolta), infine un altro commento positivo (ma la sorella della protagonista merita un romanzo tutto suo).

E SE NON DEVI SCRIVERE UNA RECENSIONE NEGATIVA MA LA RICEVI?


Capita, sì, anche a te che le hai sempre imbroccate tutte. Non importa quante lettrici affezionate hai, quanti libri di successo hai scritto. Prima o poi la stroncatura o la recensione “critica” diciamo, arriva. Se hai le spalle larghe, ok, probabilmente non risentirai troppo del contraccolpo, ma se sei molto sensibile, se non vanti un’autostima da panzer tedesco, se la recensione non ha tenuto conto dei miei consigli di prima ed è molto, molto cattiva, allora è più difficile fregarsene e trovare il modo di guardare oltre. Lo so perché ci sono passata e ancora a volte ci passo (qui ti lascio il link all’ultima, più negativa che ho ricevuto e magari ti aiuta a non sentirti sola!). Ma puoi riuscirci, per esempio così:



Non guardarle! Sappi che a tutte è capitato di riceverne e che non si può piacere a tutti. Detto questo, siccome so che è un consiglio che non seguirai mai perché la voglia di andare a controllare è troppo troppo forte, continua a leggere qui sotto;
Valuta il dato numerico: hai solo recensioni negative e questa è l’ennesima che ricevi? Questa è l’unica che hai ricevuto? Oppure finisce in un pot-pourri di cinque, quattro, tre, due, una stella? Osservare i numeri ti aiuta a considerare con più distacco la cosa.
Se la recensione indica in modo preciso i tuoi errori, tipo la famosa tigre in Africa, ammettili, scusati e se puoi rimediare, rimedia.
Se la recensione è aggressiva nei tuoi confronti, ricordati che il quel momento a farci una brutta figura è chi ti ha recensita. Lasciala lì senza commentare e spera che quante più persone la vedano perché farà sicuramente il tuo bene e non il tuo male.
Se il tuo è un libro coraggioso, che parla di temi difficili, riceverai sicuramente critiche, ma non preoccuparti, perché quello che conta è la tua onestà intellettuale e i motivi che ti hanno spinta a scriverne.
Leggi con calma la recensione e con lucidità estrapola ogni commento costruttivo che trovi. Anche se fosse uno solo, anche se fosse così nascosto da sembrare pure lui una critica fine a se stessa. Sforzati di trovare uno strumento per migliorare, in tutto quello che le lettrici dicono del tuo lavoro.
Telefona a un’amica e sfoga la tua frustrazione con lei divorando una tavoletta di cioccolato.

OK, QUESTO ARGOMENTO SPINOSO CE LO SIAMO TOLTE DI TORNO, VERO? BENE, FAI CON ME UN BEL SOSPIRO DI SOLLIEVO (E NON CORRERE SUBITO A VEDERE SE QUALCUNO NEL FRATTEMPO TI HA SCRITTO UNA NUOVA RECENSIONE!). CI LEGGIAMO SETTIMANA PROSSIMA CON L’ULTIMO POST SULL’ARGOMENTO. NON PERDERLO PERCHÈ CI SARÀ UN REGALO PER TE E PER TUTTE LE NOSTRE AMICHE RECENSORE


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Published on March 20, 2019 00:00

March 13, 2019

Le uniche recensioni che vale la pena scrivere (e leggere)

Recensioni


La settimana scorsa ti ho spiegato perché le recensioni sono importanti. E siccome repetita iuvant, te lo dico anche oggi.


Le recensioni spesso sono l’unica ricompensa che un’autrice ottiene per il suo lavoro. Spesso, sono la ragione che la spinge a dire, ok, anche se non guadagno granché, guarda che soddisfazione!


Se anche tu sei un’autrice, sai di cosa parlo. Se sei una lettrice, ormai non dovresti più avere dubbi nemmeno tu.


Certo, se sei una lettrice non devi avvertire nessuna pressione psicologica, non devi sentirti obbligata a scrivere recensioni. Anzi! Deve essere un gesto spontaneo di generosità che nasce dal tuo cuore. Anche se quella che vorresti scrivere (e dovresti scrivere) è una recensione negativa.


Sì, perché sia chiaro, non esistono solo le recensioni positive.


Esistono recensioni positive di libri belli, recensioni positive di libri brutti, recensioni negative di libri belli e recensioni negative di libri brutti.


Tutte sono legittime purché vengano pensate con questo spirito e questo criterio: l’utilità.


Proprio così. Le uniche recensioni che vale la pena scrivere non sono quelle positive e non sono quelle negative. Sono quelle utili.


Quelle che invece non vale assolutamente la pena scrivere sono quelle scritte con livore, acredine, aggressività, petulanza o, al contrario, piaggeria o sudditanza.


Quelle, insomma, in cui manca l’onestà intellettuale.


E questo mi permette di addentrarmi ancora per un istante in un terreno meno tecnico, ma molto legato al concetto di utilità e di onestà intellettuale.


Questi due concetti sono a mio parere molto legati tra loro e dovrebbero essere quelli che uniscono chi le recensioni le scrive (le lettrici) e chi le legge (le autrici). Come noterai qui il meccanismo si è invertito e chi legge è diventato chi scrive, mentre chi di solito scrive, si trova a leggere.


E in questo “capovolgimento” di ruoli spesso qualcosa si inceppa, con risultati, di nuovo, poco utili per tutti.


Qualcuno sostiene, infatti, che in media le recensioni siano diminuite perché le lettrici non osano scriverne, per timore di incorrere nelle ire funeste delle autrici. E quindi, applicando la regola di Tamburino, in Bambi, non avendo niente di gentile da scrivere, tacciono. O per paura di non scrivere cose abbastanza gentili, tacciono. Oppure per paura che i loro commenti vengano derisi, criticati, ridicolizzati, tacciono.


Trovo però che questo tacere da parte delle lettrici non giovi a nessuno.


Non sono mai stata un’autrice che critica chi la critica. Certo, in alcuni casi il mio sopracciglio si è inarcato, giusto di qualche millimetro,  e posso rimanerci male per le recensioni un po’ “cattivelle”, che non mi offrono spunti di riflessione o miglioramento, ma allo stesso tempo trovo che imbarcarsi in discussioni e polemiche faccia più male che bene. E preferisco premiare e ringraziare, seppure solo con il pensiero, chi ha lasciato una recensione utile e onesta intellettualmente. Ecco quindi che tornano i due parametri di prima, i soli due parametri, a mio parere, che devono essere tenuti in considerazione sia da chi legge che da chi scrive.


Sull’onestà intellettuale non posso discutere più di tanto, perché è difficile valutare le intenzioni di qualcuno che non conosci e non hai mai visto. Ti devi necessariamente fidare. Vero è che molto spesso, il risultato di una recensione scritta con onestà intellettuale si rivela anche una recensione utile.




MA CHE CARATTERISTICHE HA UNA RECENSIONE UTILE? NE PARLEREMO NELLE PROSSIME DUE SETTIMANE, PARTENDO PROPRIO DA QUELLE PIÙ INSIDIOSE, LE RECENSIONI NEGATIVE!


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Published on March 13, 2019 00:00

March 5, 2019

Con la scrittura vorrei guadagnare… mille recensioni al mese!


 


Nel mese di marzo, torno sull’argomento recensioni perché in questo periodo stanno uscendo gli ultimi due titoli della mia serie Sulle Punte. Ma stavolta lo farò in modo più articolato. Prendendola un po’ alla larga, cioè i guadagni, ma arrivando in fretta al punto.




E dunque, quanto vorrei guadagnare con la scrittura?


Di sicuro ti aspettavi che dicessi mille euro al mese, o alla settimana, vero? Sì, sarebbe bello guadagnare anche una cifra di questo tipo, che giustifichi le tante ore di lavoro. Finora, però, a me non è mai capitato. Spero di farcela in futuro, anche solo per motivare, in famiglia, le giornate che trascorro alla scrivania, per scrivere, leggere, rileggere, correggere i miei romanzi. Qualcosa, insomma, che faccia capire che sì, scrivere è divertente, edificante, coinvolgente, emozionante (tutti “ente” e “ante” che non portano a tavola la pagnotta) ma anche remunerativo (visto? la desinenza è cambiata!).


Giusto per fare due conti, che qui di soldi non si parla mai e invece io voglio rompere questo tabù. Per tutti i libri che ho scritto e pubblicato con regolare casa editrice in cartaceo dal 2013 a oggi, non ho percepito mai più di 1.300 euro nette di anticipo a romanzo. Magari scritto così sembrano anche tante, ma… prendi per esempio Non c’è gusto senza te. Ci ho lavorato incessantemente per tre mesi e mezzo, cinque giorni alla settimana, per circa 5/6 ore al giorno, cioè per circa 350 ore (senza contare il tempo trascorso documentandomi, ragionando con Gloria sulla trama, facendo ricerca e leggendo testi di approfondimento per conoscere meglio il cioccolato e la sua lavorazione).


Orbene, se la matematica non è un’opinione, e non lo è, il mio compenso orario è stato di circa 3,7 euro nette. Abbastanza per contribuire a tre mesi e mezzo di budget famigliare o poterlo definire un “lavoro”? Decisamente no.


Ah, ma dirai, ci sono le royalties!


Ecco, anche lì, sicuramente le percentuali differiranno da autore ad autore, da casa editrice a casa editrice, ma per quanto mi riguarda, sempre per Non c’è gusto senza te, io avevo diritto a 0,60 centesimi a copia (e solo una volta che la casa editrice avesse recuperato l’anticipo di cui sopra, cioè solo dopo aver venduto, per esempio, almeno 2.166 copie cartacee).


A queste cifre “attive” vanno poi a sommarsi quelle “passive”, cioè i trasferimenti per le presentazioni, la benzina, i treni, il tempo, che hanno eroso in fretta i 1.300 euro di cui sopra, trasformando il romanzo in una voce passiva del budget famigliare.


Di sicuro il mio è e resta un esempio personale. In giro ci sono autori e autrici che guadagnano cifre diverse, in alcuni casi molto di più, in altri molto di meno. Ma, salvo rare eccezioni, credo di poter tranquillamente dire che chi scrive non lo fa per i soldi.


Però a questo punto, la domanda nasce spontanea (lo diceva uno che si chiamava Lubrano e se non sai chi è non preoccuparti, significa solo che sei molto, molto più giovane di me!).


Chi scrive, perché scrive?


Se tu scrivi, di sicuro sai già perché lo fai. Tiro a indovinare:



hai un messaggio da comunicare;
ti diverte;
vuoi emozionare;
vuoi essere letta;
ti piace sapere di avere “creato” qualcosa;
lo sognavi sin da bambina;
vuoi regalare momenti spensierati;
vuoi condividere una passione.

Sono tutti motivi stupendi e leciti. Ma se ci fai caso, la maggior parte di essi presuppone che la scrittura possieda una sorta di proprietà transitiva per cui qualcosa che è dentro di te passa a qualcun altro o accende qualcosa in qualcun altro.


Questo qualcun altro che spesso non conosci, con il quale non puoi parlare o scambiare pareri, che non vedi, non sai dove abita, non sai quanti anni ha, esiste, certo, ma tu non lo percepisci.


Eppure è la persona che può darti la ricompensa più grande: renderti consapevole della sua esistenza, dare testimonianza che il tuo romanzo è arrivato fino a lei e dirti cosa ne pensa.


In poche parole, può scriverti una recensione.


Questo, almeno, è quello che rappresentano per me le recensioni. In mancanza di un compenso monetario significativo, sono la moneta che mi fa pensare di aver impiegato bene il mio tempo e che mi ripaga di tante ore trascorse davanti a uno schermo. Come ti dicevo in questo post, non sono mai stata una che rastrella recensioni come la pesca a strascico, ciò però non significa che non abbiano un valore per me, solo perché in genere ne accumulo poche.




MA, DA AUTRICE, QUALI SONO LE RECENSIONI PIÙ UTILI? E DA LETTRICE, COSA TI PUÒ SERVIRE SAPERE SE NE VUOI SCRIVERE DI POSITIVE O, PERCHÉ NO, DI NEGATIVE? NE PARLIAMO LA SETTIMANA PROSSIMA!


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Published on March 05, 2019 23:00

February 26, 2019

6 dritte per inserire eventi o persone reali nei tuoi romanzi (con regalo!)

eventi persone reali


 


Dopo tanto chiacchierare e dopo tante raccomandazioni (trovi tutto qui, qui e qui), sei arrivata al domandone: come si inseriscono dettagli autobiografici o reali in un romanzo?


La parola d’ordine è “delicatezza, cautela, furbizia”.


Vediamo come.



Metti sempre il famoso disclaimer. Magari ci crederanno in tre, ma tu stai dalla parte della ragione.
Se vuoi attribuire a un personaggio caratteristiche di una persona reale, non esagerare. Prendi un tic da uno, la passione per le pantofole a forma di unicorno da un altro. Viceversa, se vuoi che un personaggio sia insopportabile come tua suocera, dagli connotati fisici completamente diversi. (Io l’ho fatto con Selina Radburn, la mamma della protagonista di Assolo , ma non dirò mai, nemmeno sotto tortura, chi è nella realtà!) Ricorda che, più il personaggio è negativo, e meno dovrà assomigliare a chiunque conosci.
Attenta a esprimere giudizi negativi su marche e marchi reali. In Non c’è gusto senza te , c’è un passaggio nel quale si fa un accenno critico (ma solo ai fini della trama) nei confronti delle merendine industriali. Inizialmente avevo messo una marca ma, prudentemente, l’abbiamo tolta. Un conto infatti è generalizzare, un conto è dire che la marca XY è veleno.
Se nel tuo romanzo non vuoi toglierti un sassolino dalla scarpa, ma un macigno, scrivi pure quello che ti senti, ma poi lascia decantare un po’ e riprendi in mano la tua opera dopo qualche mese e vedi, se per caso, non c’è qualcosa che si può addolcire, per evitare che il macigno diventi una valanga che travolge anche te e tutto il tuo lavoro.
Sfrutta la tua quotidianità per descrivere la quotidianità del tuo libro. O per descrivere ambientazioni realistiche nelle quali farai avvenire eventi inventati. Prendi esempio da Stephen King, che ha ambientato Shining in un hotel del Colorado. King non ha raccontato niente di negativo, dell’albergo in sé, il quale anzi, credo riverserà su King la sua imperitura riconoscenza, ma tutto quello che vi accade dentro, sì.
Cerca di scrivere un gran bel romanzo. Se la trama è avvincente, è molto probabile che le persone non si accorgano affatto di questi riferimenti reali.

Ora è arrivato il momento della messa in pratica. Io lo faccio raccontandoti una storia:


C’era una volta una ragazza che, insieme alle sue sorelle, si era trasferita in un paese nascosto fra le colline vicine al lago di Como. Il paese si trovava abbarbicato proprio sul cucuzzolo di una di queste colline ed era circondato da campi e boschi. La guerra era alle porte, ma nonostante l’atmosfera cupa che si respirava ovunque, la ragazza, come capita a tutte le ragazze della sua età, si innamorò di un ragazzo che viveva proprio in quel paese.
Dopo un breve corteggiamento, i due giovani si sposarono e dal loro amore nacque un bambino. Poi scoppiò la Seconda guerra mondiale, il ragazzo dovette lasciare la sua giovane moglie, il figlio, e arruolarsi. L’Italia combatteva al fianco di Hitler sul Fronte Orientale, in quella che la storia conosce come la campagna di Russia, dove una sorte infelice attendeva il giovane soldato. Perché anche lui divenne uno degli ottantanovemila italiani morti, dispersi o catturati, che non fecero mai più ritorno a casa. La giovane moglie lo attese, ma di lui tornò solo un portafoglio, con una foto e una piuma. E a quel punto la moglie dovette arrendersi e abbandonare le speranze di poterlo un giorno riabbracciare. A quei tempi, però, era usanza che, quando un uomo moriva, la famiglia si facesse carico della sua vedova e dei suoi eventuali figli. Così, il fratello del ragazzo partito per il fronte sposò la giovane. E dal nuovo matrimonio nacque una bambina. Nonostante i buoni propositi, però, poiché il loro non era stato un matrimonio d’amore, nel giro di qualche anno le cose cominciarono ad andare male e la coppia si separò. Fu una separazione difficile, anche visti i tempi, e come conseguenza, il giovane marito tagliò tutti i ponti non solo con la ex moglie ma anche con i due figli. La figlia nata da quel matrimonio nel frattempo si era già fatta ragazza. Diventò una giovane donna, si sposò e mise a sua volta al mondo una bambina. Ma per tutti quegli anni non ebbe più contatti con il padre, il quale continuava a vivere lì, nel loro paese che, finita la guerra, si era ingrandito ed era ormai diventato una cittadina. Gli anni passarono. Su quei rapporti così vicini eppure così lontani. Fatti di vite distinte eppure intrecciate. Per questo, la bambina, che la figlia dell’uomo aveva avuto, crebbe senza sapere di avere un nonno. Eppure le loro strade talvolta si incrociavano, in un bar, lungo una via, senza che l’uomo si facesse riconoscere. Quando però, a quattordici anni, la ragazzina scoprì che quel nonno che non conosceva c’era, e che viveva a pochi passi da lei, gli scrisse. L’uomo, di cui lei non aveva mai visto il volto, non rispose subito. Ma alla fine lo fece e accettò di incontrarla. E così finalmente nonno e nipote poterono guardarsi in faccia. Parlarsi. Conoscersi. Una fiaba? No. Questa non è una fiaba. Questa è la verità. Quella bambina si chiamava Edy. Quella bambina sono io.


Questa storia, che sembra uno di quei cartoni animati della mia infanzia, tipo Peline, per intenderci, si ritrova, in modo molto più accennato in Effetto Domino. Un aneddoto che ho voluto portare al suo estremo. Io sono stata fortunata. Ho conosciuto mio nonno. Ci siamo frequentati e scoperti, seppur con cautela, per molti anni. Ma per Gloria ho pensato a qualcosa di più drammatico. Ho pensato a un nonno e una nipote ai quali le vicende della vita, l’orgoglio, le bugie e gli interessi degli altri impediscono di conoscersi fino a quando è troppo tardi e non si può più tornare indietro.


Cosa puoi capire da questo esempio? Se decidi di inserire nella tua storia eventi reali:



togli tutti i dettagli marginali e tieni solo il nucleo. Nel mio caso, un nonno e una nipote che non si conoscono per tanti anni a causa di decisioni dettate da incompatibilità e dissapori:
cambia i dettagli marginali, adeguandoli alla storia che hai in mente;
se è il caso, cambia il finale.

E ora? Be’, puoi provare a cimentarti tu in un esperimento come questo. Per aiutarti, ti regalo uno schema che ho battezzato “metodo collage” e che ti permetterà di ragionare e isolare l’aneddoto più utile per il tuo romanzo o creare il personaggio perfetto partendo da qualcuno che conosci.


 



Scarica il mio “metodo collage”

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Published on February 26, 2019 23:00

February 19, 2019

I 4 rischi che corri se inserisci riferimenti “non casuali” nei tuoi romanzi


 


Questo mese, parliamo di riferimenti “non casuali” a fatti o persone reali.


Come ti dicevo la settimana scorsa, i motivi per cui puoi decidere di inserire qualcosa di autobiografico, o riferimenti a fatti e persone reali, sono parecchi, anche se il criterio che ti deve guidare è solo quello dell’utilità per la tua storia.

Se perciò hai indivuato un fatto, un riferimento, una persona che rispetta questo criterio, prima di gettarti sulla tastiera per riportarlo o ritrarla fedelmente nel tuo romanzo, continua a leggere qui. Il rischio, infatti, e di finire nei guai. Guai seri. E non mi riferisco al fatto che tua madre potrebbe non parlarti per qualche settimana se pensa che tu l’abbia messa in ridicolo con la storia delle mutande (ricordi?).


Parlare di eventi o persone reali è sempre un rischio. Ti faccio un esempio famoso.

Scarlett Johansson ha vinto una causa contro un autore francese che l’ha chiaramene “usata” in un suo romanzo, per creare un personaggio promiscuo. Cosa che all’attrice non è piaciuta per niente. E probabilmente non piacerebbe nemmeno a tua sorella trovarsi descritta nei minimi particolari nel romanzo in cui parli di una sorella stronza che ruba il fidanzato alla protagonista. O se per caso raccontassi di Michele che ha tradito Luisa, e tu hai davvero un amico Michele che ti ha confidato di aver tradito sua moglie Luisa.


Devi quindi sapere che se attingi dalla realtà, il rischio non è solo di dover sopportare qualche muso lungo in casa (nelle migliori delle ipotesi) ma potresti incorrere in qualche reato penale.

Giusto per tirare in ballo qualche termine che non incute nessunissimo timore:



Diffamazione: se per esempio nel tuo romanzo descrivi in modo estremamente negativo o addirittura offensivo qualcuno che si riconosce (o è riconoscibile da altri).
Violazione della privacy: l’esempio dell’amico fedifrago calza a pennello, ma vale anche se svolgi una professione in cui va rispettato il segreto professionale e tu spiattelli in piazza qualcosa che ti ha confidato un tuo cliente;
Appropriazione indebita dell’immagine: se cioè decidi di parlare di un personaggio che è uguale sputato a un personaggio famoso, un attore, un politico, un qualsiasi cosa; anche se ne parli bene, se questo personaggio non rappresenta solo una comparsa di una scena (e anche in questo caso… parliamone) ma è chiaramente un modo per attirare attenzione sul romanzo e ricavarne visibilità che potrebbe incentivare le vendite, be’, ripensaci. E sì, esiste la Fanfiction ma anche lì non tutto è lecito. Anzi, se vuoi, ho trovato questo articolo che ne parla in modo approfondito e che ti consiglio di leggere!
Plagio: hai trovato un personaggio stupendo in un altro romanzo e vuoi usarlo nel tuo. Ok, o scegli di seguire la strada della Fanficion (e ti rimando al punto sopra), oppure direi di cambiare idea.

Se non vuoi incorrere nel primo reato, facile, basta che tu parli bene o al limite in modo neutrale della persona in questione. Se tua sorella si riconosce nella protagonista generosa e altruista, scommetto che si guarderà bene dal metterti il muso. E lo stesso vale per la tua amica o il professore di storia. Al limite, puoi anche citarli nei ringraziamenti come fonte di ispirazione. Io l’ho fatto con uno dei personaggi di Non c’è gusto senza te.  Mileno Cazzaniga, professore in pensione che scrive articoli per una rivista di approfondimento scientifico, uno dei personaggi più simpatici e buffi del romanzo, è ispirato a una ragazza che conosco e che scrive davvero per  Focus, e per questo nei ringraziamenti è citata in modo simpatico.


Per quanto riguarda l’appropriazione indebita dell’immagine, ci sono modi per introdurre riferimenti a personaggi famosi con intelligenza e un pizzico di umorismo. Loredana Limone (che è mancata da poco e ricorderò sempre con affetto e stima profondi), nella sua serie Borgo Propizio parla di un Grande Maestro, verso il quale uno dei personaggi nutre un’ammirazione sconfinata. All’inizio non si capisce chi sia, questo Grande Maestro, ma l’arcano è svelato da tutta una serie di indizi disseminati tra le conversazioni e si scopre che il G.M. altri non è che Gianni Morandi. Così facendo, Loredana ha parlato di lui praticamente per quattro romanzi, senza fare mai il suo nome. E se per caso Morandi ne è venuto a conoscenza, il modo in cui se ne parla è talmente piacevole, che non potrà esserne che lusingato.


Quindi, stai sempre attenta a come ti muovi. E pensa se quel dettaglio, quella persona, sono davvero indispensabili e giustificano il rischio di cacciarsi nei guai.

Se la risposta è “sì”, allora non ti resta che imparare a muoverti con intelligenza come ha fatto Loredana. Io un paio di trucchi te li ho già anticipati, ma il post della prossima settimana sarà tutto dedicato a questo aspetto importantissimo, quindi non perdertelo!


NEL FRATTEMPO, TI SEI GIÀ ISCRITTA ALLA MIA NEWSLETTER? È UN APPUNTAMENTO MENSILE TRA TE E ME, NEL QUALE TI RACCONTO TANTE NOVITÀ, CURIOSITÀ, CONTENUTI SPECIALI E SCONTI CHE RISERVO SOLO A CHI FA PARTE DELLA MIA MAILING LIST. SEGUI QUESTO LINK E POTRAI ANCHE SCARICARE UNA SCHEDA PERSONAGGI GRATUITA!


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Published on February 19, 2019 23:00

February 12, 2019

L’unico criterio utile per inserire eventi reali in un romanzo


 


Ci sono persone che vivono vite tranquille, senza grandi scossoni; altre che sembrano sempre in balia delle onde o di qualche terremoto.


In realtà, se scrivi, non importa a quale categoria appartenga la tua vita: ci sono sempre aspetti da cui attingere per le storie che voi raccontare.

Come ti dicevo la settimana scorsa, puoi attingere dalla realtà impersonale che ti circonda attraverso:



locali/ristoranti/negozi;
monumenti/paesaggi;
fatti di cronaca.

Oppure puoi attingere dalla tua realtà personale:



un dettaglio simpatico o un’insolita tradizione famigliare;
un vezzo di qualche parente;
un fatto incredibile successo a una bisnonna.

La differenza la fa quanto attingi e come.


Se attingi a piene mani e, di fatto, sei la protagonista della storia in cui racconti in modo esplicito alcuni eventi della tua vita, perché pensi che possano insegnare qualcosa o rappresentare un esempio, allora stai scrivendo un memoir. Che, attenzione, non è un’autobiografia. L’autobiografia, infatti, è la narrazione lineare della tua vita dalla nascita in poi. Il memoir, invece è la narrazione “romanzata” di alcuni episodi particolarmente significativi per te.


In un memoir, il rapporto tra realtà e fantasia è, diciamo, ottanta a venti. Fatti, personaggi, luoghi sono reali, ma magari i dialoghi sono riportati più liberamente se non addirittura inventati.


Se invece stai scrivendo un romanzo e, semplicemente, inserisci nella trama piccoli fatti reali, allora si può parlare di fiction autobiografica. I fatti e le persone che popolano la tua vita sono solo un’ispirazione, un aggancio, un cameo.


Io, lo ammetto, nei miei romanzi inserisco sempre qualcosa di autobiografico, tanto che chi mi conosce bene, ma davvero bene bene bene, riesce a cogliermi sul fatto. Di solito scelgo particolari, spunti, accenni. Ti faccio un esempio.


In Effetto Domino, il mio romanzo ambientato sul lago di Como, la protagonista alla fine della storia trova un tesoro. Bene, quel tesoro è composto da alcuni oggetti che IO ho perso da ragazza e che non ho più ritrovato. Sono oggetti che ho continuato a sognare per anni (e non ti svelo quali, perché anche se ora il libro è fuori catalogo, gli sono così affezionata che non ho intenzione di tenerlo chiuso nel cassetto ancora a lungo e quindi non voglio rovinarti la sorpresa).  Nel sogno, li ritrovavo in posti della casa in cui mi sembrava di non aver guardato. Ovviamente avevo guardato ovunque e il sogno era, appunto, solo un sogno. Così, ho pensato di fare trovare queste cose a lei, la protagonista. E questa cosa non si è rivelata solo una svolta interessante del romanzo (aneddoto nell’aneddoto: mi è capitato di raccontare questo passaggio a una sceneggiatrice presente al Women Fiction Festival di Matera, quando ancora stavo scrivendo il libro e ho visto i suoi occhi illuminarsi, quando le ho svelato la natura degli oggetti), ma si è rivelato catartico per me.


Se questa cosa ti sembra poetica, hai ragione, un po’ in effetti lo è.  Per questo io non nego mai che ci siano aspetti autobiografici nei miei romanzi. Anche perché spesso, le persone, quando entrano abbastanza in confidenza con me da avere accesso a chi sono e a quello che ho vissuto, mi dicono sempre “ah, ma dovresti scrivere un libro!”.


E, lo ammetto, io ci ho pensato, tante volte. Poi però ho sempre deciso di non farlo. Scrivo romanzi, e preferisco inserire lì questi riferimenti, come un piccolo tesoro che li arricchisce di significato.


Questo infatti è un passaggio cruciale. Perché tu dovresti decidere di inserire fatti tuoi in un romanzo?


Ti elenco i motivi che mi vengono in mente:



hai una storia interessante alle spalle, ma per qualche motivo, se la raccontassi, feriresti qualcuno a cui vuoi bene e non vuoi farlo;
hai una storia interessante alle spalle, ma se la raccontassi si scatenerebbe un putiferio e ora che hai raggiunto una certa tranquillità vuoi godertela (giustamente);
hai un sassolino nella scarpa che ti vuoi togliere con eleganza;
un certo evento è particolarmente interessante e muori dalla voglia di raccontarlo;
hai vissuto una bellissima esperienza che vuoi in qualche modo trasmettere a chi ti legge.

Sicuramente ce ne sono altri, ma già questi sono tutti ottimi motivi per inserire nel tuo romanzo qualcosa di autobiografico. Però non sono quelli che devi seguire.

Il criterio principale che devi rispettare se vuoi inserire qualcosa di autobiografico nel tuo romanzo è:


Quel certo evento, quella certa persona, SAREBBERO UTILI nella tua storia.


Quindi, attenzione, non puoi scegliere quello che ti pare. Non puoi sparare nel mucchio solo per toglierti quel famoso sassolino se non c’entra nulla con la tua storia. Certo, nessuno ti vieta di prendere quel sassolino e COSTRUIRCI attorno la storia, ma ricordati sempre che prima viene la storia e se un evento, una persona c’entrano come i cavoli a merenda, allora il sassolino, mi spiace, ma devi tenertelo nella scarpa fino al prossimo romanzo.  Detto chiaramente: il solo motivo per cui puoi decidere di raccontare della mania di tua madre di piegare le mutande in quattro è che si tratta di un dettaglio utile e interessante ai fini della trama.


Mettiamo allora che tu abbia individuato un evento perfetto per la storia che vuoi raccontare. A cosa devi stare attenta? Ne parliamo la settimana prossima!


QUANDO COSTRUISCI UNA STORIA, LE SCENE CHE LA FORMANO SONO IMPORTANTISSIME. SE NON VUOI RISCHIARE DI LAVORARE PER NIENTE, IL MIO WORKBOOK PER SCRIVERE SCENE CHE BRILLANO TI AIUTA A RIFLETTERE SU COME COSTRUIRLE NEL MODO MIGLIORE. LO TROVI IN REGALO QUI!


L'articolo L’unico criterio utile per inserire eventi reali in un romanzo proviene da Edy Tassi.

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Published on February 12, 2019 23:00