Fabrizio Ulivieri's Blog, page 61
January 7, 2023
Erano giorni in cui meditare - i giorni della morte di Papa Benedetto XVI

Dal mio libro in corso di scrittura "Gli Ultimi Incredibili Anni Prima di Morire"
Di questo uomoche eronon è rimastoche qualche monco ricordo
Di tantiche mi facevano essere ciò che eronon è rimastache qualche velata ombra
Eppure la parola IOsuona vivacome prima
E credo di essere lo stessoanche se nulladi primavive in me stesso
Morì Papa Benedetto XVI il 31 dicembre.
Don Torella aveva fatto un video in lacrime in cui annunciava la sua morte.
In quella terra dove viveva cessò anche di nevicare. Venne la pioggia e le temperature divennero miti.
Il cielo era come una passione. Cupo grigio e quasi buio.
Anche durante il giorno se guardavi dalla finestra ti pareva che fosse notte.
La morte di Benedetto XVI non sarebbe stata una morte qualunque.
La passione di quel cielo sembrava confermarlo.
Anche Roma il giorno del suo funerale si coprì di nebbia e la cupola di San Pietro sparì.
Erano giorni in cui meditare.
Lui era stanco di vivere. Vivere di solo spirito dà forza ma si vive nel mondo e si è fatti anche del mondo, e se quel mondo diviene completamente altro il vivere diviene penoso per la carne.
Anche lei penava. Da giorni viveva in una crisi, di lavoro, di se stessa. Una totale incertezza la dominava.
Meditavano di cambiare. Molte cose andavano cambiate. Dovevano essere lasciate dietro e cercare altre strade.
Era cambiata la realtà. Dall‘orrore si era passati a una fase di transizione in cui le forze del male che avevano reso il mondo un incubo ora parevano essersi scontrate con una forza in grado di contrastarle e rallentavano la loro azione. Nasceva un nuovo mondo, nuovi orizzonti geopolitici, una nuova economia che distruggeva la precedente.
Ma lo scontro era in atto e chi viveva doveva essere in grado di cercare di stare nel flusso delle nuove direzioni del mondo e seguirlo e capirne le direzioni non era facile. Richiedeva un‘attenzione continua.
Erano giorni in cui meditare.
Poi le notti cominciarono a farsi molto fredde. Il vento prese a ululare, pareva che fuori branchi di lupi corressero folli, un vento gelido, possente, che impauriva, e faceva piegarer gli alberi. E molti caddero a terra. Il giorno e la notte non marcavano differenza.
Si udirono tuoni, che facevano pensare che la guerra si stesse avvicinando. Ma erano solo tuoni ancora e si videro i lampi.
Lui appese un crocifisso in camera.
Comprò molte candele. E pregò per benedirle come poteva. A chi avrebbe potuto chiederne la benedizione in quella terra? Solo la chiesa dell‘antipapa esisteva. Ma quella era una chiesa senza Cristo, ormai.
Che fosse l‘inizio?
Comprò dei grandi asciugamani per coprire le finestre, se i giorni fossero venuti.
Erano giorni in cui meditare.
Che fai? Gli chiese lei.
Mi preparo.
A che?
Ai giorni del buio. Ai giorni in cui il mondo che conosciamo scomparirà.
Lei lo guardò con occhi strani.
Sei serio?
Sì. Se verranno quei giorni, per tre giorni non potremo uscire. Dovremo coprire le finestre e mai guardare fuori.
Sei cambiato molto in questi ultimi due anni. Disse lei a quelle parole. Ma lo disse non come critica. Il tono della sua voce era quello della sorpresa, di uno che constati in modo positivo il cambiamento dell‘altro.
E quelle parole di lei lo portarono a pensare che sì, era vero, era cambiato perché le sue azioni e i suoi pensieri, la sua vita, il modo di vivere erano cambiati, o erano stati obbligati a cambiare da forze e meccaniche esterne, che avevano agito sull‘interno, e la sua identità era cambiata.
Sì, rispose lui, qualche volta davvero non so più chi sono. Se penso a chi ero e quello che sono è un fenomeno strano: non sono più io e tuttavia mi percepisco ancora come quell‘io che ero. Per farti un esempio, le disse, è come quando uno perde una gamba o un braccio, non ce l‘ha più eppure continua ad avere la sensazione di averli. E‘ come la luce di una stella lontana di una galassia lontana che nel momento che mi raggiunge non esiste più, eppure io la vedo attraverso le lenti di un potente telescopio.Questo gli fece anche pensare che se era arrivato a una nuova vita, una vita da militante, da soldato spirituale che si oppone e resiste al grottesco, che è il modo in cui Satana opera nel mondo, con i mezzi dello spirito in sé cercato e ascoltato nei segni della storia era a causa di tutto quello che era accaduto prima che accadesse.
In ciò che accade è già contenuto ciò che accadrà.
Non si muore forse mille volte prima pensando alla morte prima che questa avvenga realmente? Non si temono forse avvenimenti che temiamo che accadano prima che questi accadano? Non si prova forse la paura della malattia e della vecchiaia prima che queste siano?
Ecco nello spirito del tempo trovava una risposta a tutto ciò a cui si apparecchiava.
Erano giorni in cui meditare.
January 4, 2023
Los muertos están vivos - palabra de Raúl Zurita

La siguiente cita es de SOBRE EL AMOR, EL SUFRIMIENTO Y EL NUEVO MILENIO de Raúl Zurita, poeta chileno.
Podrían ser palabras que un poeta como el italiano Vittorio Sereni podría haber hecho suyas. Expresan muy bien cómo la energía de los muertos se mantiene viva y ayuda a conocer las cosas según una determinada perspectiva, según el genius loci, la cultura y la tradición de quienes vivieron en ese lugar y contribuyeron a mantenerlo vivo de esa manera que es.
January 3, 2023
Silvia dopo anni risente la sua voce

El dolor es el altoparlante para hacernos más humanos, más tolerantes, más conscientes del milagro y del amor de la existencia. (Raúl Zurita )
Ebbe una visione Silvia. Vide mani di carne, vecchie e grinzose. Vide suo nonno e suo padre. Carne putrefatta. Vide sé in punto di morte. Pronta a morire. E dolore l'avvolse. Provò voglia di piangere, ed ebbe paura. Sentì che era entrata in un mistero troppo grande, troppo grande per la sua comprensione, per le sue capacità, per la sua natura di donna. Era oltre Silvia, oltre ciò che era lei, e che un altro uomo o un' altra donna che non fosse un santo o una santa era impossibile che potesse afferrare o sfiorare. E forse nemmeno tutti i santi hanno mai afferrato quell'attimo che va oltre l'immediato in una estensione più vasta e larga che sta oltre il passaggio obbligato. Stretto come la cruna di un ago. Per cui è difficile passare. E' difficile persino immaginare, che sia possibile un giorno passare. E tuttavia sarà varcata quella soglia, quella cruna stretta, che nel momento che si aprirà sarà larga a sufficienza perché passi chi deve passare.
E suo padre e prima di lui i suoi nonni avevano varcato e di lì erano scomparsi agli occhi e non al cuore,
E il cuore le diceva ora che quella cruna stretta si manteneva aperta perché lei sapesse una verità di cui mai avrebbe sospettato e mai prima aveva pensato.
Era stato un punto di scarto la morte del padre. Il binario della sua vita lineare aveva improvvisamente trovato un punto di scambio e la sua vita si era spostata verso un nuovo mondo aperto da quello scambio per una direzione che veniva dal futuro, per cancellare il presente e gettarlo via come si getta dietro di sé ogni atto passato.
Si svegliò. Era sudata. Aveva il respiro greve. Sentiva la bocca impastata. Il corpo era un fremito.
Respirò. Andò in cucina e si fece il solito caffè.
Si sedé e cominciò a berlo. Le ridiede vita. Il calore del caffè giunse al cuore che era divenuto freddo.
Mai aveva bevuto tanto caffè come ora.
Anche babbo beveva tanti caffè. Pensò.
Ormai le notti per Silvia divenivano quasi un tormento.
Era sempre più raro che godesse di una notte di sonno senza interruzioni.
E quella visione l’aveva risvegliata, e portata di nuovo allo stato di veglia a cui stava piano piano abituandosi.
Era la notte che tutti i grumi che si teneva dentro duri e gonfi si scioglievano e si manifestavano.
Così le parve.
Uno di quei grumi si sciolse, ma non era un grumo da cui fuoriuscì qualcosa che riguardasse lei.
Stranamente venne fuori una domanda.
Ma chi si prenderà ora cura di lei?
Lei, era Živilė.
Fu sorpresa. Che lei fosse in pena per Živilė, non era strano?
La immaginò sola in un appartamento che Silvia non conosceva. Lo vedeva buio e imperscrutabile. Poteva solo distinguere i suoi capelli biondi in quella penombra.
Lei non ha mai avuto un padre. Le sovvenne una voce. Un altro grumo che si apriva. Lei avrebbe tanto voluto comunicare con il padre, continuò la voce, ma non ha mai potuto. Non l’ha mai avuto. Si è ucciso che lei era piccola. Tutta la sua vita è vissuta senza padre. Avrebbe tanto voluto averlo ma non l’ha mai avuto. Tu lo hai avuto ma non l’hai voluto.
Ascoltò la voce e tacque. Ancora non l’aveva riconosciuta e le pareva impersonale.
Quella voce era un forte rimprovero. Ma non la face sentire male. Sapeva che quella voce aveva ragione. E sapeva accettare quell’imperativo morale che le diceva la colpa.
Si sentiva ora avvolta da quella stessa oscurità che avvolgeva la nuova visione di Živilė, chiusa nel suo appartamento, a Vilnius. Era una visione ma come tutte le visioni poteva immaginare quello che realmente fosse. In fondo l‘immaginabile è lì perché lo si immagini.
E ancora più cupa si fece allorché penso a Živilė sola con due bambine e la guerra poco lontano da dove viveva.
Stette male. Stette male per una persona per la quale mai fino ad allora aveva provato simpatia.
Le storie, si dice, avvicinano le persone. E la morte del padre era la storia che ora le avvicinava.
Questo capì.
Ed era stata la prima volta che aveva udito la voce. E dapprima non l‘aveva riconosciuta.
Le parlava dentro. E finalmente la riconobbe. Era la sua voce.
Ma la voce di una Silvia che non era più. Che aveva dimenticato. Che aveva sepolto, come strati enormi di grasso che arrivassero a coprire un corpo snello con le forme e lo annullassero sotto quel grasso fino a coprirlo senza distruggerlo però nelle sue forme originarie. Solo le occultassero in quella massa gelatinosa.
Ecco lei negli anni aveva coperto quella voce ma non l’aveva distrutta. L’aveva coperta di mille altre intenzioni ma non l’aveva distrutta. Fino ad umiliarla.
E ora quella voce le parlava in modo risentito.
Si era nutrita come una folle di tutto quello che lei non era, per essere come in realtà non era.
Pensavi che non ci fossi più. Le disse la voce.
Silvia stupì.
Mi hai voluto dimenticare.
Non me ne sono accorta. Rispose Silvia, accettando il dialogo con la sua voce. So questo però: non mi piacevo com’ero. Se questa ragione può bastare.
Per la stessa ragione, infierì la voce, hai dimenticato tuo padre. Rappresentava quello che non volevi. Ti ricordava quello che non eri. Lui era la coscienza che rifletteva in te quello che tu non volevi. E lui ti vedeva come eri in realtà.
Silvia tacque un po’ prima di rispondere.
Sai c’è una cosa che mi ricordo e che hai ragione. Quando ero piccola alle gare di ginnastica arrivavo sempre ultima. Babbo soffriva tanto. Ti ricordi?
Sì, ricordo bene. Le rispose la voce interiore.
Stava in tribuna, proseguì Silvia, guardava gli altri genitori esultare quando sentivano il nome delle loro bambine. Il mio niente. Non arrivava mai. Lui aveva le lacrime agli occhi...ma un giorno, alcuni anni dopo...al momento dei risultati lui abbandonò la tribuna. Non aveva più la forza di soffrire, forse. O forse la sua sofferenza era troppa. Insopportabile. Credo che per questo abbandonò la tribuna. Io vinsi quella volta! e lo cercavo con gli occhi fra la gente in tribuna e lui non c’era. Fu una delusione incredibile non vederlo. Volevo urlargli dal campo di gara: Babbo ho vinto! Ho vinto!!! Ma lui non era lì, non mi aveva aspettato...ecco forse quel giorno ho capito che non dovevo essere quella che in realtà ero: una perdente. E per quello avevo vinto. Vinto con la intenzione di una volontà di ferro.
Forse anche lui per gran parte della sua vita si è sentito un perdente. Ribadì la voce. Forse non poteva vedere in te anche il suo fallimento. Per questo se n’è andato.
A questo Silvia non ci aveva mai pensato.
Sai perché mi hai dimenticata? Le chiese la voce.
No.
Perché hai dimenticato, hai voluto dimenticare la sofferenza. Tuo padre invece non l’ha mai dimenticata la sofferenza, ci ha vissuto dentro tutta la vita. Ha provato ad evitarla, ma poi ha preferito affrontarla. Ecco perché ti sei allontanata da lui. Lui ti riportava a quel mondo a cui tu volevi sottrarti. Hai cercato il pretesto della volontà per dimenticarmi, perché io ero la voce di quella sofferenza che hai preferito ignorare.
E‘ vero, Soffrire mi faceva paura...ma lui non mi sembrava che soffrisse.
Ti sbagli. Sai perché soffriva?
No.
Perché cercava l‘amore, ad ogni costo.
Silvia tacque. Era vero quello che diceva la voce. Ora aveva chiaro perché il padre era corso dietro alle donne come pazzo. Non era il sesso che cercava, ma l’amore. Sì, era vero.
Si soffre per due motivi, soprattutto. Continuò la voce. Per amore o per la verità. Cercare la verità è sofferenza. La verità, come l‘amore sono selettivi. Pochi riescono a soffire per queste due ragioni. E chi non è in grado viene riformato, espulso, gettato fuori da quella ricerca. Ti sei fermata in questa ricerca Silvia. Solo ora, ora che tuo padre è morto. qualcosa si è riavviato. E io sono ritornata a parlarti. Ora era l’ora.
January 1, 2023
Il mondo in cui viviamo anticipa quello in cui andremo

Dal capitolo XXVII del mio romanzo "Gli ultimi incredibili anni prima di morire", in fase di elaborazione
Credo che sia effetto della luna piena. Durante la luna piena si fanno sogni che non hanno significato. Gli disse lei in risposta al suo: Sai da varie notti sogno cose orribili.
Cosa? Gli aveva chiesto lei. Spririti orribili, strani esseri, che mi stanno davanti e mi fanno paura. Le aveva risposto lui. Ma non aveva avuto il coraggio di pronunciare la parola, diavolo. Non aveva avuto il coraggio di dirle che lui sapeva chi erano quegli strani esseri che sognava la notte e che gli mettevano terrore e sparivano solo quando pronunciava, Ave Maria gratia plena...
Non le aveva detto che la prima volta che le era apparsa una di quelle orribili visioni, lui aveva tentato di urlare e la voce gli era morta in gola e che la solita voce dentro che di tanto in tanto gli parlava, gli aveva ordinato: Abbraccia lei. Ti salverà! Non le aveva detto che lui subito l‘aveva abbracciata e subito si era calmato. E lei dormiva, beata, e di nulla si era accorta.
Non le aveva detto che anche già all‘inizio dell‘ inverno sentiva una presenza nella notte e solo vicino a lei tutto si calmava.
Ora era estate, finalmente.
Un‘estate venuta tardi, solo ad agosto, e dormivano con le finestre aperte. E lui guardava sempre in quella direzione impaurito, oltre le užuolaidos, le tende trasparenti, che erano l’unico schermo fra sé e la paura.
E temeva la figura nera farsi dietro inquieta.
Poi ebbe dei giorni di pausa.
Le notti erano ridiventate tranquille. E tiepide. Finalmente si respirava l‘estate, così breve in Lituania. Fra poco si sarebbe di nuovo lasciata la luce e ricaduti nel buio e nel freddo dell’autunno e dell’inverno a venire, che mai trova fine.
E stava quasi dimenticando tutto, quando, come spesso succedeva appena entrato in bagno sentì la solita voce di donna.
Sopravviverai!
Fu sorpreso. Sopravviverò? Si chiese. Sopravviverò a che?
Ma la voce non rispondeva e non rispose più.
Di nuovo passarono i giorni e si era ormai al Ferragosto. Era conveniente, si disse, che riprendesse allora le sue passeggiate lunghe che da Justiniškės lo portavano al centro di Vilnius. E così fece.
Tutti i giorni perciò attraversava il semaforo dell‘incrocio che da Spaudos Rūmai mena dall‘altra parte, a Karoliniškės.
E‘ un passaggio pedonale abbastanza ampio, che taglia la doppia arteria di traffico costante che senza sosta percorre quella doppia arteria.
Fu attraversando, mentre guardava il telefono, distratto, che non vide il rosso. E non vide più nulla poi. Solo sentì, un botto, forte, violento, e il corpo sollevarsi, in aria. In un volo dolce e piacevole. Leggero.
Silenzio. Tenebra.
Poi, una luce, si accese.
Una luce innaturale che mai aveva veduto.
In quella luce si trovò avvolto. Stava in alto. E in basso stava il corpo.
Su di un lato, accanto si spandeva una grande macchia di sangue.
Un piccolo capannello di gente e in lontananza già si udiva l’urlo di sirene.
Più avanti in mezzo alla strada, che bloccava il traffico una macchina, con la parte anteriore ammaccata e vetri dalla parte del guidatore spaccati e i frantumi erano ricaduti su di un lato nella strada. E mentre guardava senza capacitarsi si sentì tirare su verso l’alto, più in alto ancora, e man mano che saliva il colore della luce cambiava e si faceva meno torba, più intensa e quasi carezzava.
Si sentì bene, meglio di quanto non si fosse mai sentito in tutta la sua vita. Era felicissimo, stupito, elettrizzato, eccitato. I suoi sensi erano acuiti. Poteva vedere meglio, sentire meglio, avere un sapore migliore. Si sentiva meglio, molto meglio di quanto non avesse mai avuto modo di esserlo.
E mentre saliva continuava e vedere quel corpo sulla strada, che ora era messo in un sacco blu e veniva caricato su un carro funebre, ma poteva vedere oltre il sacco blu. E si vide dentro quel sacco . E vide qualcuno che somigliava a se stesso. Capiva che era lui ma allo stesso tempo si dispiaceva nel riconoscersi in lui.
Ma mentre saliva, l‘ascesa si interruppe a un punto. E allora si sentì precipitare giù verso il basso. Come se ci fosse stato un cambiamento di programma.
La discesa sembrava non finire mai e più scendeva e più tutto attorno si faceva tetro.
A un certo punto la discesa terminò e udì persone che lo chiamavano. Vide un gruppo di persone in un corridoio angusto e buio, forse otto, che gli dissero: ‘Sappiamo tutto di te, ti stiamo aspettando da molto tempo, ed è ora che tu venga con noi.'”
Voleva credere che fossero amici, perché avevano nonostante tutto il tono di chi è amico, ma mentre seguiva il gruppo lungo il corridoio buio che diveniva un largo budello scuro, il loro comportamento amicale cambiò, il loro numero aumentò e le loro parole divennero crudeli, blasfeme, beffarde, vituperanti. Allora ebbe paura. E urlò “Torno indietro!”
Ma le figure nere non volevano, glielo impedirono. A quel punto seppe chi erano. Erano persone che avevano vissuto di piacere, di prevaricazione, di crudeltà. Quelle che lui aveva voluto combattere e annientare. E ora avevano trasferito lì in quel luogo abietto il loro modo di vivere e cercavano di attirare persone come lui dal mondo per convertirle al loro credo: coloro che in vita non avevano potuto convertire, coloro che in vita si erano a loro opposti.
Era orribile. Non voleva ora diventare come loro. Non lo era stato in vita, come accettarlo ora?
Ma la forza della loro mente era violenta, ineludibile.
Le sue labbra mormorarono d’istinto:
Sancte Michael Archangele,
Defende nos in proelio
Contra nequitiam et insidias diaboli esto
Praesidium
Imperet illi Deus...
Quelle figure nere presero ad urlare “Che preghi? Smetti o sarà ancora peggio per te! Che preghi? Non verrà nessuno in tuo aiuto, idiota!”.
Ma lui continuò e quelle si straziarono. E si disperarono ancor che mai.
E finalmente una luce. E gli apparve l‘Arcangelo Gabriele con la spada rivolta contro i neri esseri. E quelli urlando parole oscene, irripetibili, si ritirarono.
“Che succede?” Chiese lui.
“Dovevi vedere”. Rispose l‘Arcangelo.
“Vedere cosa?”
“Vedere come il mondo in cui vivi qua continua e si riproduce, vive qua di quella stessa luce ma in modo aumentato. Il mondo in cui vivi anticipa quello che poi sarà, ma con meno forza e nitidezza. Perciò dovevi vedere e capire.”
Parlava con dolcezza l’Arcangelo anche se la sua voce era perentoria e non ammetteva il contrario.
Lo toccò poi con una mano sulla spalla e gli disse: “Va‘ adesso. Torna a casa. Ti aspettano.”
Aprì gli occhi. Si guardò attorno. Fu accecato dalla luce al neon che veniva dal soffitto. Era una stanza bianca e fredda. Si trovò disteso su un tavolo di ferro. Freddo anch’esso. Si guardò attorno. Non c‘era nessuno.
Si alzò. Con sua sorpresa si accorse di essere vestito con gli stessi abiti di quando era uscito di casa.
Vi era uno specchio. Si guardò. I vestiti erano puliti. Non vi erano macchie di sangue. Né erano rotti o strappati. La sua faccia, le sue mani non avevano ferite. Non aveva ematomi. Non aveva lividi. Niente. Stava bene e camminava bene. Meglio di quando era uscito.
Uscì da quella stanza e si trovò in un corridoio. Il corridoio era deserto.
Seguì le indicazioni ed uscì dall‘ospedale.
Appena fuori un taxi aspettava. Salì. Senza pensare.
Quando entrò il taxista gli Chiese. Ponas... (menzionando il suo cognome) e lui rispose: Taip!Il taxista gli profferì un indirizzo dove portarlo. Era quello dicasa. Di nuovo rispose: Taip!
Il taxi partì. Si accorse che accanto a lui sul sedile posteriore vi era un sacco della spesa pieno di cose.
Nel mentre suonò il telefono. Era lei. Ma dove sei? Ti ho chiamato due volte ma non rispondi. Tutto bene?
Scusami, avevo il telefono in tasca e lo avevo silenziato senza accorgermene, rispose. Ho preso un taxi. Fra poco arrivo.
Hai fatto spesa? gli chiese lei.
Taip! Rispose, ancora, senza accorgersene.
Guardò fuori dal finestrino e vide un grande cartello con fondo amaranto, con scritte in rilievo, bianche: Vilniaus Universiteto Ligoninės Santariškių Klinikos.
Capì che era finito dall’altra parte della città, nel quartiere ospedaliero di Vilnius all’inizio della città.
December 30, 2022
La potenza destabilizzante

Se si legge le parole di Sant'Agostino “Qui sunt qui descendunt in lacum? Omnes peccatores mergentes in profundum. Lacus est enim profunditas saeculi. Quae est ista profunditas saeculi? Abundantia luxuriae et nequitiae [1]“ (En. in psalmos XXIX, II, 13), si vede come le persone fisiche che stanno nei poteri forti (mergentes in profundum) che guidano il mondo e che stanno dietro i governi, e i rappresentanti che attuano nei governi i loro piani (e non si può non vedere) lentamente, sebbene appaiano forti, potenti e invincibili, si vede come scendono verso il lacum, il gorgo, che li inghiotte uno ad uno muti. Essi hanno scelto il saeculum, ovvero Babilonia, la città di Satana, in cui vivere di onore e potere e denaro al servizio di quel Demone, e vivono talmente immersi in quel saeculum e in quel servizio da non rendersi conto come la città di Cristo trasversalmente emerga da lontano, da molto lontano, e come un lento tsunami si incunei minacciosa nelle inarrestabili falle di Babilonia, che sempre più tende a sgretolarsi, sotto l'opera apparentemente calma ma continua e senza pausa, di quell'onda che riporterà la città di Dio nel saeculum, a cui non appartiene ma gli sta sopra e sempre più gli impone le sue leggi.
E per ora quell'onda violenta solo si preannuncia, ma sempre più si vede la sua imminenza, che arriverà nella sua potenza e sarà destabilizzante.[1] Chi sono coloro che scendono nella fossa? Tutti i peccatori che sono immersi nel profondo abisso: la fossa infatti è l'abisso del secolo. Che cosa è questo abisso del secolo? Il sovrabbondare della lussuria e della malvagità
December 26, 2022
Masses are not asking for being saved

It is talked too much about waking people, about the salvation of the masses without considering that the masses do not want to be saved. The mass is mass, i.e. what comes to be kneaded, fashioned, and fitted. It is created for that. The dough of masses is made by one simple ingredient: complicity [1]. Complicity means accepting to be culprit without acknowledging it because what you do is what you are told to do. Complicity excludes the sense of responsibility because you just accomplish. You comply with what you are asked to comply with. But who is asking for that compliance? Others. Others "who" (but I should say "that", because the mass is living dough and not real humanity in terms of morals and thinking) are just complicit and without consciousness of their complicity. Complicity, in fact, means that you are involved in a long chain of accomplices without seeing the end of it, because the end is hidden, Every human who is complicit is complicit in a power which is hidden beyond the visible but it manifests itself through the visible, and this has a name: Evil.
Evil is what is de-fective, i.e. what is lacking in making, because its power is to be inspirational, to create without creating but empowering, instead, Others in creating, it is a power beyond, which just sets in motion what will be made through kneading, fashioning, and fitting.
And those who claim to talk in the name of the masses, those who claim to sanctify masses as not responsible for their conditions because masses are hypnotized by the power in charge, are complicit as well of the same forgery, of the same long chain, because they collaborate in keeping alive the same narrative.
Masses are not elites, masses ask for living and having fun without suffering, possibly. This is their utopia, They are not interested in politics, in being awakened and saved. Their goal is to live Hic et Nunc without trying to differentiate themselves from animals.
They prefer to obliterate listening to that part that makes Man different from beasts, qua superat inferiores suas, quas etiam cum pecoribus communes habet [2], that part whereby it surpasses the other parts who/that has in common with cattle, because for sure it would trigger suffering, and this is, a priori, what masses want to exclude from their horizont.
PS.About the minority, who instead learns to listen to the transcendental hum and transcends the mass see my article in Academia
[1] For the concept of "complicity" see Giorgio Agamben Il complice e il sovrano
[2] Saint Augustine De Civitate Dei, XI, 2
December 25, 2022
Memoria di un padre

In me il tuo ricordo sono i vuoti
Il vigore violento
Delle cose non dette allora
Che ora invece si fanno chiare
La tua rabbia soprattutto
Ora diviene certezza
Della sofferenza che ti dava
la forza immane del vivere
Non da quietista
Ma da guerriero
Da cavallo, da puledro pronto
Alla carica affrontavi i giorni
Calando giù dall'erta collina
bardato a guerra
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E mi guardo intorno
E non vedo l'eredità del tuo cuore
Solo uomini femmine
E femmine non più tali
E senza gloria un popolo che smuore
In quel nulla di cui complicenon trova reo.
December 21, 2022
Andrò a ritroso negli anni...

Andrò a ritroso dei nostri anni
di poco passati
che mai mi sorprese il loro corso
E mi restano come grumo, non sciolti dormono dentro
in un inverno senza fine.
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O neve che in questa terra
eterna sei, e gelo infinito
di una città straniera e di una terra senza giorno
e sempre bianca tuttavia.
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O putrida parte di me, che sgretoli il bene
o tu, che senza misericordia sospendi da me
il cuore a cui mi aggrappo
che caldo brama resistere
December 18, 2022
Molto spesso ho pensato che nella mia vita ci sia stata come una mano che nei momenti che sembravano andare dalla parte opposta rispetto a quello che cercavo, invisibile, quella mano, mi spingesse...

Molto spesso ho pensato che nella mia vita ci sia stata come una mano che nei momenti che sembravano andare dalla parte opposta rispetto a quello che cercavo, invisibile, quella mano, mi spingesse, me inconsapevole, nella direzione che quella mano voleva e sapeva, che era la direzione che chi muoveva quella stessa mano invitava me a comprendere come giusta.
Ma leggendo Sant'Agostino mi sovviene un altro paragone, ovvero che non fosse tanto una mano che spingeva ma una nuova direzione che, provenendo da uno stato futuro, si inseriva lentamente e gradatamente, in modo inavvertibile e inappercebile, come lo scambio di un treno, che senza che te ne accorga ti porta da un binario a un altro. Solo che il binario una volta attivato è obbligato, non ti fa scegliere.Ma quello stato che si succede quasi proveniendo dal futuro per imporsi sul presente e gettarlo come ormai passato è attivato dal libero arbitrio che consiste nell'ascolto interiore (cosciente o meno).
Nonne ab infantia huc pergens veni in pueritiam? Vel potius ipsa in me venit et successit infantiae?
"Forse non fu che dall'infanzia, procedendo verso l'età in cui mi trovo ora, passai nella fanciullezza? Perché piuttosto fu la fanciullezza a venire in me succedendo all'infanzia?" (Le Confessioni, 8-13).
Certo io potevo seguire o oppormi a quello mano o stato che si succedeva venendo dal futuro, in questo avrei esercitato il mio libero arbitrio, se però in me non fosse già stato sviluppato un meccanismo che è il motore che fa sì che si riesca a sentire, quando non a vedere, quei signa che non molti sentono o non lasciano essere perché stimano più forte l'opporsi alla apparente swerve, de-viazione, dai propositi del momento, inattesa e sgradita perché contro i propri piani.
Perché ci siano persone che al di là delle apparenze contrarie terminino per seguire il flusso e altre no, lo stesso Sant'Agostino lo spiega con una di quelle sue frasi che si contorgono per mostrare, con le parole, insinuandosi nel volere di quel flusso (Dio) difficile da spiegare con le parole stesse perché oltre l'intellegibile e che solo una specifica forza della capacità umana (Fede) aiuta a comprendere (crede ut intellegas):
Ad illud enim hominis ita loquitur, quod in homine ceteris, quibus homo constat, est melius, et quo ipse Deus solus est melior.
"A quella parte dell'uomo infatti parla, che è migliore di tutte le altre, di cui l'uomo è fatto, e di quella parte solo Dio è migliore" (Sant'Agostino De Civitate Dei, XI, 2),Perché: profecto ea sui parte est propinquior superiori Deo, qua superat inferiores suas, quas etiam cum pecoribus communes habet
"Certamente in quella parte è più vicino a Dio, che gli è superiore. E in virtù di quella parte supera le sue (altre parti) inferiori che ha in comune con le greggi." (Ibid.)
Chi ascolta solo la voce della città terrena, la chiacchiera (per dirla con Heidegger) ascolta le "altre parti" e non quella parte, che lo fa vicino al flusso che proviene inavvertito nella storia dalla città celeste (Dio). E non distingue i segni che nella città terrena sono sempre mischiati e ingarbugliati e per capirli bisogna sviluppare le componenti che indirizzano all'ascolto di quel flusso che proviene dalla città celeste e che si manifesta nella storia, attraverso le piccole cose (signa)
Fecerunt itaque civitates duas amores duo, terrenam scilicet amor sui usque ad contemptum Dei, caelestem vero amor Dei usque ad contemptum sui.(De Civitate Dei, XIV,28)
December 14, 2022
Una interpretación personal del sentido de sufrimiento en Unamuno

Un tema recurrente en Unamuno es el sufrimiento, porque "el sufrimiento es la sustancia de la vida y la raíz de la personalidad, ya que solo el sufrimiento nos hace personas".
Sólo en el sufrimiento el hombre reconoce al hombre como hermano; "el hombre de carne y hueso; el hombre que nace, sufre y muere, sobre todo, quien muere; el hombre que come y bebe y juega y duerme y piensa y quiere; el hombre que es visto y escuchado; es el hermano, el verdadero hermano."En nuestro sufrimiento reconocemos el sufrimiento de Cristo, que es la expresión misma del sufrimiento de Dios.El sufrimiento es agonia (ἀγωνία) que es lucha, y la lucha de hecho produce sufrimiento. Pero lleva a conocerse a sí mismo: en el sufrimiento de la lucha uno se conoce a sí mismo. Sobre todo finalmente sabes de qué lado vas a estár.
«El cristianismo es como el cólera que pasa sobre un país para arrebatar a cierto número de elegidos, y después desaparece.» Esto le oyó el padre Jacinto a M. Gazier, el último de los jansenistas, en una cena –un simposion– el 25 de enero de 1880. Y la civilización, ¿no es alguna otra enfermedad que se lleva, por la locura, a sus elegidos? El cólera, al fin, se lleva pronto a los hombres. Para M. Gazier, el cristianismo era una enfermedad. La civilización es otra. Y en el fondo son acaso una sola y misma enfermedad.
Aquí nos parece que Unamuno se hace eco de la perspectiva agustiniana de las dos ciudades.La lucha (o incluso la pereza de los que prefieren no luchar) de hecho hace tomar partido de un lado o del otro.De hecho, san Agustín consideraba dos grandes grupos o categorías de hombres: aquellos que «se aman a sí mismos hasta el desprecio de Dios» y aquellos que «aman a Dios hasta el desprecio de sí mismos». Los primeros constituyen la ciudad terrena; los segundos constituyen la ciudad de Dios.
Y esa enfermedad de la cual habla Unamuno va a arrastrar con sigo, como el cholera, los que que están del lado de la civilización del mundo terrenal (saeculum ***), mientras que el cristianismo que es lucha (ἀγωνία) va a seleccionar (elegir) aquellos que van a pertenecer a la ciudad de Dios en virtud de la lucha misma y del sufrimiento mismo. El sufrimiento de vivir, la enfermedad, es la misma cosa para todos, pero la enfermedad también distingue entre los que sucumben a la enfermedad y los que se recuperan. Y los que se han sanado, se han sanado, porque han luchado y vencido contra la enfermedad del mundo.
***Sobre este concepto https://princasvilniuje.blogspot.com/2022/02/il-concetto-di-saeculum-in-santagostino.html