Fabrizio Ulivieri's Blog, page 137

September 11, 2017

Amore šaltibarščiai e pomodori rossi: biografia di un amore dall'interno - (decima puntata)


Foto Živile Abrutytė

Aveva un cuore buono. Metteva a disposizione tutto quello che aveva “Ciò che è mio è tuo” – mi ripeteva spesso.Aveva un corpo bello, formoso ed accogliente, caldo e soffice. I suoi baci erano morbidi e avvolgenti.I suoi occhi erano come la neve ghiacciata del polo che colpita dal sole freddo del mattino non puoi a lungo guardare senza che le tue pupille patiscano la troppa luce.Sebben fosse generosa sapeva amministrare bene le sue scarse disponibilità economiche.Era sfiduciata. Per un niente diveniva triste e depressa e la luce dei suoi occhi si indeboliva sotto l’azione della malinconia, ma appena usciva da quello stato subito i suoi occhi si ricoloravano di quella luce ghiacciata e il sorriso si apriva fra le sue labbra carnose.Era semplice e amava le cose semplici. Bevande semplici, come il caffè e il vino in quantità moderate. Piatti composti da piccole porzioni di cibo la cui cottura non richiedeva procedimenti complicati. Da dopo che aveva scoperto la moka, che le avevo regalato, aveva abbandonato il caffè lituano e combinava moka e Illy caffè.Parlava poco di sé, e solo con le persone di cui aveva fiducia. Era riservata ma non timida. Aveva un coraggio interiore che forse sconfinava in lucida incoscienza.Era dominata da una lucida incoscienzache come una febbre altissima era sputata fuori nel momento della gelosia. Era un Otello al femminile. Avrebbe potuto impazzire per gelosia per poi subito, come Otello, pentirsene e darsi la morte.Niente di ciò che le interessava sfuggiva allo sguardo scannerizzante dei suoi occhi. Applicava filtri rigorosi, per cui coglieva sempre il dettaglio e perdeva di vista la totalità.Amava parlare con le amiche, con le quali il dialogo sconfinava spesso nel pettegolo e in conversazioni spinte sul sesso.Amava il sesso, e per istinto evitava lo sport anche se si sforzava a fasi alterne di praticarlo.Non era ipocrita, ma onesta e anche eccessivamente diretta. Priva di superflue sovrastrutture, potrei ammettere.Odiava la solitudine ma sapeva vivere in solitudine.Credeva nell’amicizia ma era sempre più delusa dalle amiche: “Con le amiche non riesco mai a esprimermi, non posso essere quella che sono. Quando io ho bisogno di loro, loro mai ci sono ma quando loro hanno bisogno di me sempre mi cercano”Forse il vero io di Austėja sapeva esprimersi solo nell’intimità. Il suo vero essere era nel momento più raccolto dell’essere e più originario a sé: l’intimità del rapporto sessuale. In quel momento era nel suo stato edenico proprio: parlava poco e si sapeva esprimere corporeamente.In quel momento poteva essere moglie amante, prostituta, amica e sapere esprimere tutto il calore di cui era capace.
Austėja amava la fotografia. Aveva Instagram e vi postava le sue migliori foto. I suoi soggetti preferiti erano foto della natura: rose, alberi, piante morenti, rametti coperti di neve, particolari più che campi lunghi…soggetti sui quali proiettava il suo istinto diretto e senza mediazioni e per questo forse le sue fotografie acquistavano una profondità inattesa per una dilettante.
Ma era una dilettante?
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Published on September 11, 2017 07:44

Da "Rugìle" - Ipazia (Incipit - scena della masturbazione)



Ipazia componente 1 (gennaio 2011)

Ogni volta che ricordi, misuri il passato attraverso l’esperienza del presente e il ricordo in sé collassa

- E’ grande – disse Ipazia mentre mi masturbava.

In effetti il mio pene era più grande allora che avevo passato i cinquanta anni di quando ne avevo venti. Poteva essere stato l’effetto di alcuni oligoelementi combinati e del Tribulus Terrestris come pure del Maca e Suma che prendevo in contemporanea al Levitra, allo Spedra e al Viagra da cento?
Per non menzionare il Cordyceps, il reishi, la clorofilla, l’ornitina e l’arginina come pure il cromo picolinato, il ginko biloba e infine il chaga. Una farmacia di sostanze che avevo cominciato ad assumere nel tentativo di riguadagnare la salute e combattere uno stato di impotenza in cui la malattia mi aveva gettato.
Che forse agissero sugli ormoni e le cavità porose del pene e ne avessero aumentato le dimensioni?

- Ti piace masturbare? - Le avevo chiesto al colmo dell’eccitazione
- Forse – aveva risposto
La situazione mi stava eccitando tuttavia. Eravamo in macchina, in piena campagna. Mi ero fermato. Mi ero abbassato i pantaloni. Quando mi eccitavo perdevo ogni ritegno. E ormai avevo da molto smesso di essere rispettoso delle donne. Ero convinto che non meritassero rispetto e agivo di conseguenza. Da perfetto egoista.

- Mi posso masturbare Ipazia? – le avevo con falsa pudicizia chiesto
- Prego – mi aveva risposto con un sorriso semplice quanto candido

Avevo preso a baciarla e masturbarmi nello stesso tempo. La sua bocca era umida e calda; aumentava la mia erezione. Ero contento di quella situazione.
Lei aveva preso a guardare interessata il mio pene eretto e duro come il ferro.

- Sei eccitata?
- Sì
- Perché?
- Per il tuo cazzo. E’ bellissimo. Quasi meraviglioso

Il quasi meraviglioso mi disturbò un poco. Le presi una mano e me la misi sopra. Lei cominciò a masturbarmi con molta lentezza. La sua mano era soffice. Scottava quasi. Il mio pene si indurì al massimo e divenne sontuoso e fu allora che Ipazia disse:

- E’ grande
Io ero completamente eccitato. Mi stava facendo una sega come avrebbe potuto farmela una puttana. In macchina.
Quello mi eccitava.
Venni quasi subito.
Si pulì la mano Ipazia e disse:
- Di solito non mi piace fare così ma per te ho fatto un’eccezione
- Grazie – le risposi – spero che farai tante eccezioni così
- Forse…comunque non sono molto brava in questo…
- Non sei brava? Mi hai fatto venire quasi subito…
- Forse era la situazione che ti eccitava
- Sì, questo è vero…

Fuori cominciava ad essere buio. Passarono un paio di macchine. Eravamo in aperta campagna. In una piazzola lungo una strada di campagna dalle parti del ristorante “Collebrunacchi” vicino a San Miniato Alto, in provincia di Pisa. Era calata la notte ed era umido fuori. Se non fosse stato per il riscaldamento acceso in macchina ci saremmo gelati.

- Grazie Ipazia.
- Prego…l’ho fatto perché ti amo
- Anch’io ti amo Ipazia…

Finalmente Ipazia aveva finito di pulirsi in modo adeguato la mano e mi passò il fazzoletto di carta perché lo gettassi.
Aprii lo sportello e lo buttai sull’erba umida.
Era gennaio e pioveva. Fuori era veramente buio. Eravamo di ritorno da un fine settimana passato a San Gimignano.
Ipazia era ninfomane.
Mi aveva detto che, all’età di ventidue anni, aveva già avuto circa duecento uomini e le sarebbe piaciuto andare a letto con altri cento almeno.
Pensai che in fondo avrei potuto vivere bene con lei: io avrei cucinato (ancora amavo cucinare) e lei avrebbe dovuto solo pensare a scopare, con me.
Era basica nei suoi bisogni: mangiare, bere e scopare. Come ogni puttana.
Le puttane non amano pensare.
E soprattutto ingannano.

Sunto:
Anche nelle cose volgari esiste una ragione profonda.
Qualsiasi atto volgare è un mondo in profondità che mostra un altro sé.
In questo capitolo l’autore attraverso il ricordo misura quel mondo che ora, nel momento che viene osservato, non è più lo stesso mondo.
Lo misura attraverso il ricordo ma lungo l’ottica del presente in cui vive. L’universo di quel ricordo è filtrato attraverso i tanti universi che si sono succeduti da quel primo universo in cui tutto è accaduto



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Published on September 11, 2017 02:48

Da "Rugìle" - Ipazia (Incipit) -

Foto Živile Abrutytė

Ipazia componente 1 (gennaio 2011)

Ogni volta che ricordi, misuri il passato attraverso l’esperienza del presente e il ricordo in sé collassa

- E’ grande – disse Ipazia mentre mi masturbava.

In effetti il mio pene era più grande allora che avevo passato i cinquanta anni di quando ne avevo venti. Poteva essere stato l’effetto di alcuni oligoelementi combinati e del Tribulus Terrestris come pure del Maca e Suma che prendevo in contemporanea al Levitra, allo Spedra e al Viagra da cento?
Per non menzionare il Cordyceps, il reishi, la clorofilla, l’ornitina e l’arginina come pure il cromo picolinato, il ginko biloba e infine il chaga. Una farmacia di sostanze che avevo cominciato ad assumere nel tentativo di riguadagnare la salute e combattere uno stato di impotenza in cui la malattia mi aveva gettato.
Che forse agissero sugli ormoni e le cavità porose del pene e ne avessero aumentato le dimensioni?

- Ti piace masturbare? - Le avevo chiesto al colmo dell’eccitazione
- Forse – aveva risposto
La situazione mi stava eccitando tuttavia. Eravamo in macchina, in piena campagna. Mi ero fermato. Mi ero abbassato i pantaloni. Quando mi eccitavo perdevo ogni ritegno. E ormai avevo da molto smesso di essere rispettoso delle donne. Ero convinto che non meritassero rispetto e agivo di conseguenza. Da perfetto egoista.

- Mi posso masturbare Ipazia? – le avevo con falsa pudicizia chiesto
- Prego – mi aveva risposto con un sorriso semplice quanto candido

Avevo preso a baciarla e masturbarmi nello stesso tempo. La sua bocca era umida e calda; aumentava la mia erezione. Ero contento di quella situazione.
Lei aveva preso a guardare interessata il mio pene eretto e duro come il ferro.

- Sei eccitata?
- Sì
- Perché?
- Per il tuo cazzo. E’ bellissimo. Quasi meraviglioso

Il quasi meraviglioso mi disturbò un poco. Le presi una mano e me la misi sopra. Lei cominciò a masturbarmi con molta lentezza. La sua mano era soffice. Scottava quasi. Il mio pene si indurì al massimo e divenne sontuoso e fu allora che Ipazia disse:

- E’ grande
Io ero completamente eccitato. Mi stava facendo una sega come avrebbe potuto farmela una puttana. In macchina.
Quello mi eccitava.
Venni quasi subito.
Si pulì la mano Ipazia e disse:
- Di solito non mi piace fare così ma per te ho fatto un’eccezione
- Grazie – le risposi – spero che farai tante eccezioni così
- Forse…comunque non sono molto brava in questo…
- Non sei brava? Mi hai fatto venire quasi subito…
- Forse era la situazione che ti eccitava
- Sì, questo è vero…

Fuori cominciava ad essere buio. Passarono un paio di macchine. Eravamo in aperta campagna. In una piazzola lungo una strada di campagna dalle parti del ristorante “Collebrunacchi” vicino a San Miniato Alto, in provincia di Pisa. Era calata la notte ed era umido fuori. Se non fosse stato per il riscaldamento acceso in macchina ci saremmo gelati.

- Grazie Ipazia.
- Prego…l’ho fatto perché ti amo
- Anch’io ti amo Ipazia…

Finalmente Ipazia aveva finito di pulirsi in modo adeguato la mano e mi passò il fazzoletto di carta perché lo gettassi.
Aprii lo sportello e lo buttai sull’erba umida.
Era gennaio e pioveva. Fuori era veramente buio. Eravamo di ritorno da un fine settimana passato a San Gimignano.
Ipazia era ninfomane.
Mi aveva detto che, all’età di ventidue anni, aveva già avuto circa duecento uomini e le sarebbe piaciuto andare a letto con altri cento almeno.
Pensai che in fondo avrei potuto vivere bene con lei: io avrei cucinato (ancora amavo cucinare) e lei avrebbe dovuto solo pensare a scopare, con me.
Era basica nei suoi bisogni: mangiare, bere e scopare. Come ogni puttana.
Le puttane non amano pensare.
E soprattutto ingannano.

Sunto:
Anche nelle cose volgari esiste una ragione profonda.
Qualsiasi atto volgare è un mondo in profondità che mostra un altro sé.
In questo capitolo l’autore attraverso il ricordo misura quel mondo che ora, nel momento che viene osservato, non è più lo stesso mondo.
Lo misura attraverso il ricordo ma lungo l’ottica del presente in cui vive. L’universo di quel ricordo è filtrato attraverso i tanti universi che si sono succeduti da quel primo universo in cui tutto è accaduto



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Published on September 11, 2017 02:48

September 10, 2017

"Il Giornale" recensione a "Il sorriso della Meretrice" di Paolo Martone




Poetico e tragico. Surreale e visionario. Nel “Il Sorriso della Meretrice – microstorie e micro riflessioni in tempi di crisi” di Fabrizio Ulivieri il lettore si immerge in un flusso che tocca la sensibilità, in cui alcuni possono immedesimarsi, che può far sorridere o essere un pugno nello stomaco....(vai all'articolo)

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Published on September 10, 2017 13:44

September 7, 2017

Parassiti (nona parte) - Il predicatore


Foto via Secolo D'Italia

Il capitano Petacchi era un assiduo ascoltatore di RT International. Gli offriva un punto di vista alternativo all’opinione mainstream, alla solita vulgata manipolata dai soliti media. Era stanco della comune ciarla messa in giro a senso univoco. La TV di Putin, per sue proprie ragioni ovviamente, gli apriva uno sguardo diverso rispetto ai media controllati dagli americani e dagli inglesi.
Fu durante una pausa caffè che si sintonizzò, com’era solito fare, tramite il suo android su RT International in lingua spagnola.
Per puro caso era in atto un’intervista a un responsabile della comunità musulmana della Spagna, dopo il recente attentato di Barcelona.
Ascoltò l’intervista.
Devo parlare con questo predicatore. Mi aiuterà a capire meglio.
Pensò che la visita in Spagna non sarebbe stata molto gradita ai suoi superiori. Ormai il senso di diffidenza si era connaturato al suo operare.
Avrebbe preso alcuni giorni di vacanza.
Quando ancora si addestrava a far parte del GIS, aveva stretto amicizia con Eduardo López – Arena che era venuto a Livorno per un corso di addestramento.
Ora Eduardo era divenuto Comisario de Los Mossos de Escuadra.
Pensò che lui avrebbe potuto aiutare a rintracciare il predicatore. Preferì chiamare direttamente dal suo cellulare, che sperò non fosse controllato. Quelli dell’Aise ormai controllavano tutti quelli che si occupavano di controterrorismo da dopo che a capo dell’Aise era stato il capitano dei carabinieri Paskutine ed era venuto fuori lo scandalo delle indagini svolte per conto della procura della repubblica di Napoli all’insaputa dei colleghi dell’Aise. Quelli dell’Aise dopo aver fatto fuori il capitano Paskutine e averlo rispedito al proprio reparto con i rispettivi collaboratori non si si fidavano più dei carabinieri e a loro volta li controllavano o rifiutavano di passargli informazioni nel migliore dei casi.

Cercò il numero nella rubrica dell’Android e chiamò.
In quel momento in un bagno di un caffè di Barcelona un telefonò squillò.
Eduardo López – Arena, si era fermato in quel caffè spinto da un impellente bisogno corporale mentre percorreva la strada per recarsi al lavoro. Soffriva di colite acuta a causa, probabilmente, del suo lavoro.

- ¡Vete a la mierda! 
Il telefono aveva interrotto l’espletamento della funzione corporale in modo troppo brusco, concentrato com’era. Eduardo era quasi sobbalzato sulla tazza del water.
Quando vide il nome di chi lo chiamava il suo disappunto si tramutò in sorpresa.
- El cabrón del capitano Petacchi?
- Sì sono proprio io vecchio mio. Come ti va?
- Bene…anche se mi hai preso in un momento un po’ particolare… - disse sorridendo sarcasticamente mentre cercava di soffocare certi rumori
- Mi dispiace
- Non ti preoccupare…ma a che devo la tua chiamata? E’ da qualche anno che non ci sentiamo
- Mi dovresti fare un favore
- Ci puoi contare
- Mi dovresti rintracciare un certo Said Ahmed Zaid. Una specie di imam, un predicatore, responsabile della rappresentanza musulmana in Spagna
- Sospettato di terrorismo?
- No…anzi…l’ho sentito in internet. Ho bisogno di parlarci quanto prima, devo capire…
Il giorno dopo dopo era già a El- Prat, l'aeroporto di Barcellona, verso le due del pomeriggio.
Mentre con un taxi si faceva portare in Carrer de Bolivia sede de los Mossos dove lavorava Eduardo ricevette una sua chiamata.
- Vecchio mio ti ricordi Livorno?
- Sì
- Allora sai dove ti aspetto
Capì che Eduardo doveva essersi accorto che li stavano intercettando. Sapeva dove lo aspettava. A Livorno gli aveva sempre parlato del Cafè Viena. Sapeva che Eduardo in caso di incontri anonimi associava la parola Livorno a Cafè Viena, La Rambla, 115. Non lo aveva dimenticato
Disse al tassista di cambiare direzione e dirigersi verso la Rambla.

- Qui c’è sempre tanta gente e tanto rumore – gli disse Eduardo avvicinandosi all’orecchio di Petacchi per essere inteso – in ogni caso avranno difficoltà. Ho il contatto – e gli passò un bigliettino muovendo la tazza del caffè verso di lui. Ti aspetta fra due ore.
Di nuovo risalì in taxi e si fece portare nel luogo dell’appuntamento.
Sulla targhetta della porta di un palazzo del centro era semplicemente scritto Said. Suonò.
La porta si aprì. Salì al quarto piano come d’accordo. La porta era semichiusa. Entrò.
Si ritrovò davanti un giovane di più o meno trenta anni. Quello che aveva visto su RT.
- Si accomodi – disse il predicatore indicandogli una sedia senza perdere tempo in convenevoli
- Si è sorpreso di questo attentato? – iniziò Petacchi a sua volta desideroso di arrivare al punto
- Purtroppo azioni simili ormai non sorprendono più. Abbiamo vissuto le stesse azioni a Parigi, Bruxelles, Londra, Barcellona…Turchia, Egitto, Iraq…noi come comunità musulmana soffriamo doppiamente perché oltre alla tragedia umana delle morti e dei feriti veniamo colpevolizzati dai media e dalla popolazione in quanto musulmani e dobbiamo giustificarci, dobbiamo chiarire che non sosteniamo questa forma di terrorismo che non ci rappresenta ma alla fine questi sono sempre giovani della nostra razza, terra, comunità che per il loro fanatismo, la loro radicalizzazione e per la loro ignoranza religiosa son arrivati a commettere questi atti di terrorismo
- Ma com’è possibile che nelle prigioni e nelle moschee si muovano supposti imam che radicalizzano i giovani fino a fargli commettere atti simili?
- Capitano, non posso negare…ma bisogna capire se questi radicalizzatori o ideologhi siano da definire imam…questo è il punto. Gli imam…esiste un vuoto legale, almeno in Spagna, per qualificare l’imam per questo esistono figure intruse che mancano di formazione, di titolo, di certificazione…non vi è un sistema che regola l’aspetto degli imam per cui non si può controllare che persone siano queste che si definiscono imam ma che in realtà sono divulgatori di un radicalismo che non appartiene all’islam e in virtù di ciò non hanno accesso alla comunità e alla moschea…il problema sta fuori. Fuori ci sono queste figure che senza accedere direttamente alla nostra comunità hanno accesso però ad altri mezzi ben più potenti per esercitare la loro retorica religiosa basata sull’odio, sul fanatismo, su una lettura manipolata della religione per a loro volta manipolare, sedurre o captare giovani mentalmente o socialmente vulnerabili
- Non capisco bene…chi elegge, chi sceglie gli imam?
- La propria comunità…le moschee sono organizzate in modo che ciascuna comunità musulmana crea una comunità religiosa e che questa comunità religiosa deve essere registrata nel registro delle entità religiose presso il ministero di giustizia…ciascuna comunità crea una giunta elettiva e questa giunta elettiva contatta una persona che viene riconosciuta come imam e viene pagato con l’aiuto finanziario della comunità stessa…non vi è alcun tipo di finanziamento esterno…a cui spesso si accenna sui giornali….il problema è come dicevo prima fuori della moschee, fuori delle comunità, non vi è controllo esercitato sui presunti imam che hanno accesso a mezzi mediatici a cui noi non abbiamo in alcun modo accesso…
- Ma com’è possibile che si possa radicalizzare qualcuno così velocemente?
- Non è sempre così. In molti casi è stato un processo lungo…nel caso di Barcellona poco più di un anno…sorprende anche me…ma onestamente non so se sia un processo di radicalizzazione o di modelli culturali che erano già presenti nella testa di questi che hanno attuato l’attentato. Cultura della morte, cultura del fanatismo…che gira in internet….
- Ma mi spieghi…mi dica come si spiega che tutti questi foreign fighters, terroristi, sono di estrazione europea?
- Come le dicevo prima, non è un fattore religioso o perlomeno non è solamente un fattore religioso che porta alla radicalizzazione…a mio avviso è una ricerca di identità. Questi giovani mettono in dubbio l’identità dei padri, ne contestano le radici…la loro identità non è l’identità dei padri e neppure è l’identità del paese europeo dove sono cresciuti e vivono perché il paese che li ospita lo sentono ostile, nemico. La loro identità non esiste…per questo sono facile preda di chi sa offrirgli una identità… piuttosto bisogna interrogarsi sui grandi mezzi mediatici a disposizione di questi conferitori di identità, di questi supposti imam, bisogna interrogarsi sulla grande disponibilità di mezzi economici che hanno chi costruisce queste potentissime reti di radicalizzazione…che dai media occidentali ufficiali vengono spacciate, manipolate come espressione del vero Islam. Oltre alla radicalizzazione di non-identitari è contemporaneamente in atto una disinformazione sul vero Islam. Capitano…gli stessi poteri che creano queste reti sono quelli che creano la disinformazione mainstream. Mirano a creare odio verso i musulmani, islamofobia, a rendere il mondo occidentale ostile ai musulmani e questo non può che favorire questo tipo di radicalizzazione. Mi capisce? Ma lo sa Lei che in realtà la maggioranza delle vittime del terrorismo “musulmano” sono proprio i musulmani? In Siria i “musulmani” uccidono musulmani, in Iraq i “musulmani” uccidono musulmani e così in molti altri luoghi del mondo…ma chi compie queste mattanze? E’ vero che chi compie queste mattanze sono di estrazione musulmana, è vero che professano retoriche ideologiche musulmane ma sono in realtà provenienti da paesi europei: sono inglesi, francesi, spagnoli, tedeschi…è l’Europa il serbatoio dei cosiddetti combattenti musulmani. E’ l’Europa in ultima analisi che esporta pretesi musulmani che uccidono musulmani…
- Come dovremmo allora definire questo terrorismo, secondo Lei?
- Terrorismo internazionale

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Published on September 07, 2017 09:34

Amore šaltibarščiai e pomodori rossi: biografia di un amore dall'interno - (nona puntata)



Foto Živile Abrutytė

Fotografia e identità
Quando cambi paese all’inizio ci sono molte sensazioni nuove.
La paura di perdersi, per esempio. Perdere la strada per tornare a casa. La paura di sentirsi male per strada. La paura di aver fatto un grande errore e non poter più tornare indietro.
Se l’amore è quel grande motore che tutto muove pur restando fermo è anche vero che genera una nuova paura: la paura che finisca, la paura che lentamente muoia e si dissolva, o improvvisamente scompaia e ti ritrovi solo in una terra straniera senza la possibilità di ritornare indietro.
Questo timore aumenta quando poi scopri un sentimento nel tuo partner che quando sei ancora nel tuo paese ancora non avevi notato.
Scoprii infatti che Austêja nell’intimità amava farmi soffrire. E se all’inizio era un sentimento ben limitato e ristretto notai segni per cui quel sentimento avrebbe potuto estendersi anche ad altri ambiti più vasti.

Se un motore funziona bene mai ci interesseremmo al modo in cui funziona finché funziona. Quando invece comincia a mostrare problemi di tenuta siamo obbligati a interessarcene, e i risultati sono che o si genera fastidio e irritabilità per il fatto che una cosa che ha sempre funzionato ora non funzioni più, oppure genera interesse.
Cominciamo a provare interesse solo e nell’attimo stesso che cerchiamo di capire come funziona un motore e come vada riparato.
Da una rottura scaturisce da ultimo un senso sottile di piacere. Proviamo piacere che il motore ci abbia dato la possibilità di occuparci del suo funzionamento e di acquisire lo stato di “meccanico”. Un ruolo al quale siamo nuovi ma che eleva le nostre aspettative pratiche.

Fu così che da una rottura di ambito ristretto, o proprio da quell’ambito ristretto, scoprii il piacere che lei mi procurava facendomi soffrire.
Uno stato di ebrezza diventava quella sofferenza, a caldo, ma, a freddo, una paura che tutto potesse trasformarsi e collassare.
Forse, però, questo soffrire non era poi così sbagliato se avessi saputo trarlo a mio vantaggio. Quale fosse questo vantaggio non ne avevo la più pallida idea.
Tuttavia cominciava a farmisi chiaro che oltre ai normali piaceri della vita se n’era aggiunto un altro che prima mi era ignoto.

Per un altro avrebbe potuto essere un fastidio, un dolore; per me era - all’opposto - un piacere, e della carne soprattutto.
Ma che relazione vi era fra la gelosia di Austėja e il suo sadismo?
La stessa relazione che vi è fra ciò che è nascosto e ciò che appare. Il suo sadismo si manifestava aumentato con il progredire della gelosia.

- Vorrei picchiarti e farti male – mi disse afferrando la mia faccia fra le sue mani, sorprendentemente forti, stringendola in una morsa – ti piacerebbe?
- Sì – risposi inconscio e incredulo

Austėja aveva una grande capacità: sapeva esprime in modo semplice e robusto articolazioni emotive frammentariamente complesse.
Se fosse stata una scrittrice sarebbe stata l’opposto di Dostoevskij, che esprimeva picchi altissimi di semplici stati emotivi con una profluenza narrativa dilagante e travolgente.
Austėja descriveva il mondo in modo diverso da come lo viveva. E ciò, per forza di cose, la portava ad uscire dal coro, a non esprimersi in modo comune e per luoghi comuni.

Diciamo che aveva creato un proprio stile di espressione dei propri sentimenti. Un’arte stilistica ritagliata su misura e originale per la sua espressione sentimentale.
Ma come era strutturata Austėja?


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Published on September 07, 2017 05:56

September 6, 2017

Amore šaltibarščiai e pomodori rossi: biografia di un amore dall'interno - (ottava puntata)



Foto Živile Abrutytė

Se posso fare una distinzione paragonerei il destino di Austėja ad una febbre continua che tiene il corpo in continua debilitazione mentre il mio a quello di un toro che cozza contro ostacoli più grossi di lui.
Entrambe le due situazioni ci mettevano a contatto con un sistema di organizzazione emotiva diversa.
Essere affetti da una febbre continua porta a spezzettare, segmentare e misurare i meccanismi emotivi.
Prendere a cornate la vita è come finire la giornata esaurito ed avere la stessa sensibilità di uno che la sera piombi a modo di masso nel letto senza interrogarsi sul perché di quelle cornate.
Venendo a contatto con Austėja venivo a contatto con il nenutrūkusi styga e imparavo a segmentare, scomporre e ricomporre ogni emozione e ogni frammento della realtà sviluppando una curiosità analitica per la vita che prima non avevo.
Principiavo a reincarnarmi in un altro me.
Le parole di Miłosz mi tornavano bene per spiegare questo nuovo atto di reincarnazione.

- Ti giuro che devi credermi al cento per cento. Se ti dico una cosa è quella e non può esserne un’altra
Austėja mi guardava e piangeva, scossa dai mille segmenti che la spezzettavano fino a divenire mille Austėja.
Per me era interessante che preferisse l’apparenza all’essenza. Preferiva affidarsi ai recessi dei social media per indagare quelle sarebbero state le angherie (tradimenti) che avrei commesso e inferto a lei piuttosto che scrutarmi negli occhi e sincerarsi della verità del mio sguardo.
Un “I like” di un essere di sesso femminile ripetuto almeno tre volte a foto che postavo su Facebook già costituivano indizio di copulazione fra me e chi aveva sottolineato il gradimento.
Una chat di auguri ricevuta nel giorno di Natale da mano sempre femminile costituiva indizio certo di una relazione avviata in Italia.

- Da noi non si dà un numero di telefono a persone che non siano concretamente vicine. Mandare auguri per Natale significa interesse e vicinanza

Io venivo da un paese in cui tutto è superficie, e tutto si increspa e cambia secondo come soffi il vento, dove – storicamente - il tradimento, l’inganno e il voltagabbanismo erano/sono all’ordine del giorno, che poteva dunque significare una chat o dare un’amicizia su Facebook?

- Che vuoi che sia dare un’amicizia su Facebook, per toglierla basta poco – mi aveva commentato un italiano a cui avevo chiesto il permesso di inviargli una richiesta di amicizia.

Perché un innocente “I like” doveva portare su di sé la colpa di una preferenza scellerata e fuorviare Austėja solo sui particolari facendole perdere di vista la totalità (cioè io, il suo referente della segmentazione)?
Qui mi vengono di nuovo in aiuto le parole di Miłosz che per onestà di chiarezza preferisco ripetere per vederle ora in un’ottica leggermente diversa “Qual è la ragione dell’esistenza di tutti questi rappresentanti del genere homo, di tutto questo andirivieni insensato…Non si rendono minimamente conto del fatto che niente è veramente loro, che tutto – dalle loro occupazioni ai loro vestiti, dal loro modo di muoversi al loro tipo di sorriso, dalle loro convinzioni ai loro punti di vista – tutto dipende dalla struttura storica che li ha prodotti”.

- Perché non mi credi?
- Non lo so amore

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Published on September 06, 2017 07:37

September 5, 2017

Amore šaltibarščiai e pomodori rossi: biografia di un amore dall'interno - (settima puntata)



Foto Živile Abrutytė

Nenutrūkusi Styga[1]

Chi soffre profondamente mira a fare un capolavoro della sua vita con una continua ricerca di equilibrio perfetto che genera sofferenza oltremisura e abnorme rispetto in chi gode di una visione di vita normale.
Austėja era un capolavoro nel costruire quel capolavoro. Poche altre donne avevano il suo talento.

Il suo talento partiva

- Da un’infanzia difficile
- Da una madre fredda e incapace di esprimere emozioni
- Da un paese che non amava
- Da una mancanza di fiducia nelle sue possibilità

Quando parlava della madre diceva solo “madre” e non “mia madre”. Ma era forse colpa della lingua lituana?
Con la Lituania aveva un rapporto più di odio che di amore. Non era il suo paese, non era la sua gente. Non era il luogo dove voleva vivere.
A queste quattro ragioni aggiungerei una quinta: la capacità di scannerizzare le persone e le cose e di vederle in un attimo nella loro interiorità, il che le provocava spesso malfiducia nel prossimo e disillusioni frequenti, in una terra soprattutto dove l’arte della menzogna era elevata a modalità quotidiana di rapportarsi.
La “madre” poi era un continuo richiamo al “si deve”, al dovere generale enunciato dalla gente, al dovere morale che la gente richiedeva per accettare il modo di vivere dell’altro.
Oltre a questo una delle sue passioni generate dal bisogno di erigere un capolavoro di sofferenza era il domandare come avrebbe domandato un poliziotto. Aveva bisogno di inquisire, di scavare in profondità nell’altro per conoscere i minimi dettagli dei sentimenti e sensazioni dell’altro.
Spezzettare le situazioni le dava il maggior godimento, ogni segmento avrebbe generato ulteriori dubbi allontanando la certezza e la pace interiore.

Io da parte mia anteponevo invece (in quel momento) un incipiente e dilagante odio verso l’umanità, verso l’essere umano.

Austėja segmentava le emozioni, io i corpi.

La mia visione era abbastanza devastante, e mi rendeva incredulo rispetto all’altro. Che affidamento potevo avere in un sacco di carne sangue ossa e merda? Soprattutto gli esseri umani che comparivano in TV sembravano affetti da una categoria in più rispetto alle tre enunciate: la stupidità assoluta. Avrei potuto dire le mie stesse ragioni usando le parole di Czesław Miłosz “Qual è la ragione dell’esistenza di tutti questi rappresentanti del genere homo, di tutto questo andirivieni insensato…Non si rendono minimamente conto del fatto che niente è veramente loro, che tutto – dalle loro occupazioni ai loro vestiti, dal loro modo di muoversi al loro tipo di sorriso, dalle loro convinzioni ai loro punti di vista – tutto dipende dalla struttura storica che li ha prodotti”

Da parte mia dunque era radicata una forte incapacità di credere nell’essere umano, e le ragioni che la generavano erano diverse dal nenutrūkusi styga che partoriva la malfiducia di Austėja.
Io venivo da un paese nato dall’unione di mafia e stato, di complotti internazionali. Era un paese nato male fin dall’inizio.
L’unità d’Italia era avvenuta sotto le pressioni esterne dell’Inghilterra che per ragioni geopolitiche e commerciali aveva bisogno di uno stato satellite, l’Italia unificata schierata dalla parte del regno britannico avrebbe permesso il controllo del mediterraneo e messo in minoranza le forze francesi impedendo una possibile intesa franco-italiana, il cui effetto avrebbe potuto rendere difficili le comunicazioni tra Gibilterra, Malta e l’Egitto.
Su queste basi genetiche nacque l’Italia e poco è cambiato da allora, essendo sempre un paese le cui politiche sono dettate dall’esterno. Ora come allora.

Grazie a Liborio Romano, ministro degli interni del regno delle Due Sicilie (tradì il re Francesco II e si alleò con Cavour, tradì Cavour e si alleò con Garibaldi) fu formalmente codificata la prima alleanza fra Stato e Mafia, sostituì infatti le forze di polizia con una specie di milizia civile per il controllo dell’ordine pubblico con i camorristi locali.
Potevo io essere immune da questi mali di origine?
Poteva Austėja essere immune dai propri mali di origine?

Il senso tragico del suo destino si condensava nelle sue parole “Non è possibile che la vita sia solo questo”. Parole valide in ogni parte del mondo ma che poggiavano però nell’ottica del filo ininterrotto.
Il senso tragico della mia vita poggiava in un disgusto per il voltagabbanismo, la menzogna, il latrocinio e il marionettismo che infestavano il mio paese.

Un destino simile ci accomunava, scaturito però da genesi storiche diverse.
Quale delle due genesi sarebbe stata preferibile? Ve n’era una preferibile?

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[1] Filo ininterrotto
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Published on September 05, 2017 07:35

Fabrizio Ulivieri "Rugíle" A Review by Anna Ciampolini Foschi (Canadian Writer and Journalist)




Fabrizio Ulivieri

Rugíle

Rome, Italy. L’Erudita/G. Perrone Ed. 2017

A Review by Anna Ciampolini Foschi

An aging intellectual, still struggling with the aftermath of a mysterious and debilitating illness, seeks solace in a series of sexual encounters with much younger women. Simply put, this is not a new theme for a novel, but author Fabrizio Ulivieri manages to deconstruct the conventional notion of love and sexuality and to add layers of psychological and emotional depth to his tormented main character and his lovers. Although the descriptions of explicit, often extreme sex are attracting a lot of attention to Rugíle, Ulivieri’s latest novel, much darker, primeval fears powerfully emerge as the focus of this narrative.

Rugíle is indeed an odyssey of the senses, an attempt to transcend the boundaries of normalcy but, above all, is a mournful, cerebral elegy, an exorcism about impermanence, fear, aging, and death. The unnamed protagonist and his lovers are all doomed souls. He is an older Italian man, cultured and of good social standing, who pursues young, exotic lovers in an almost vampire-like mode partly to recapture his lost youth, partly because he is fascinated by “the otherness.” He doesn’t like Italian women, whom he considers vulgar and foulmouthed. He finds mature women repulsive. Their wrinkles evoke the decaying of the flesh in death. Instead, he needs to feed on youth and vigor. His women are Asian, American, and Eastern European and each hides a tragic past, a troubled family history or an addiction to unspeakable sexual obsessions. But each also brings a perspective on other cultures and other social mores that entice him. They represent possible portals to possible multiple universes. They also are the only remaining possibility to experience love. The protagonist, who at the beginning of the book states that he has lost respect for women, engages in a series of sexual encounters that lead him to experience “fifty shades of feelings.” He also undergoes several shades of tragedy: three women meet a tragic death. Ipazia, a bi-sexual nymphomaniac with whom he has an intense relationship, miscarries their child and later dies ravaged by cancer. A troubled Skype friend, Ingrid, dies through suicide. Lastly, a car accident ends his life and that of the woman he could have loved.
Rugíle, the title character, is addicted to oral sex to the point of servicing men for payments. She takes the protagonist on an unusual path involving a complex exploration of entanglement, ultimate transgressions, acceptance, complicity, and the re-shaping of the concept of love itself.

Two cities, Florence in Italy where the protagonist lives and Vilnius in Lithuania, provide the main backdrop for the characters’ interaction. While Florence’s geography is mostly represented thorough the description of various trendy locales such as the bookstores, literary cafés, and upscale restaurants where the protagonist meets his lovers, the segments of the story that take place in Vilnius stress the city’s vibrancy and soulful beauty. They also offer a glimpse on a post-totalitarian, post-modern society trying to forge/reclaim its own identity.

Other cities or countries that play an important role in the characters’ lives, such as Korea, Japan, The United States, and, to a lesser extent, Milan in Italy, are a relevant element in the protagonist and the women’s own tormented life journey. Kami, a Japanese woman, struggles against the strict rules of Japanese society, Ipazia carries a tragic family legacy connected to her country’s political and territorial divisions. American-born Camilla lives in a duality, torn between her consumer and sex-driven, efficiency-obsessed American culture and the more laid-back Italian lifestyle.

Ulivieri writes with ease, in a fluid narrative. The book starts with an explicit masturbation scene that, like all other similar situations, is described in detail and in a detached, aseptic fashion. Since there is no space left to the reader’s imagination and this defuses the narration’s erotic charge, one wonders if Ulivieri wants to remind us that the novel is more about an unrequited quest for knowledge and immortality and that sex is only one avenue to pursue. The novel’s tragic ending is also a liberation, a gateway to the cosmic dimensions that the protagonist had long attempted to comprehend.

At the end of each chapter, a summary directs the reader to delve into the deeper connections and the reverberation of our actions on a wider, cosmic scale. It also makes references to the laws of Quantum physics and other scientific theories. Not everyone is well-versed in Quantum physics or string theory and some readers may find that the use of this literary technique slows down the narration and may appear a bit too didactic.

Ulivieri states that Rugíle is having a great success with young people and Millennials. It is indeed a contemporary novel, filled with so many echoes of today’s reality: virtual intimacy, social media, mass migrations, proxy wars, stagnation, uncertainty, and the general malaise that permeates our existence, the impermanence on which the characters’ life is based upon.

Fabrizio Ulivieri lives in Florence, Italy. He is a professor of Italian language and literature at the Istituto Europeo. He has published several novels, including Il ritorno che non volevo, L’ eterno ritorno, Il sorriso della meretrice (2013), Cecilia,storia di un’aliena a Firenze (2014), Amore Šaltibarščiai e pomodori rossi: biografia di un amore dall'interno, and Rugíle. He is the author of the essays Il Culo e la riduzione fenomenologica, and Albert Richter: un’aquila fra le svastiche. Il ciclismo tedesco fra nazismo e esoterismo, 1919-1939, published in 2007.


Anna Ciampolini Foschi 

lives in Vancouver, British Columbia. She is a short story writer, anthology editor and journalist. She is a co-founder of the Association of Italian Canadian Writers and the co-founder and co-Chair of the F.G. Bressani Literary Prize, sponsored by Vancouver’s Italian Cultural Centre. About Rugíle, she says: “The novel’s genre was rather new to me. Writing a review from my point of view was an interesting experience.”


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Published on September 05, 2017 00:25

September 3, 2017

Amore šaltibarščiai e pomodori rossi: biografia di un amore dall'interno - (sesta puntata)

Foto Živile Abrutytė

Osservavo Austėja. Ora si era distesa sul letto, aveva le mestruazioni e leggeva Žmonės. La sua casa era piena di libri. Alla parete stava appeso un piccolo quadro in cui era scritto: neturi aukoti savo gyvenimo kitiems “non devi sacrificare la tua vita per gli altri”
Amava leggere. Forse a differenza di me amava cose più leggere.

In generale preferiva non pensare. Il suo modo di sentire era profondo e la spingeva spesso a voler soffrire. Soffrire le procurava piacere.

- Ma perché vuoi finire Po Toskanos saule di Frances Mayes se ti annoia?
- I libri li devo finire anche se non mi piacciono. Li ho sempre finiti tutti
- Ma se un libro annoia per me è inutile continuare…non ti dà emozioni, non ti motiva…
- Forse sono un po’ masochista – e sorrise – ho lo stomaco gonfio – aggiunse

- Perché?
- Lo šaltibarščiai, le mestruazioni…
- Sì? E perché lo mangi allora? soprattutto quando hai le mestruazioni…
- Mi piace, devo mangiarlo anche se ho le mestruazioni
Mi sentivo in esilio a Vilnius?
No, non sentivo un particolare legame con l’Italia e trasferirmi a Vilnius non lo sentivo un atto sleale verso la terra che mi aveva formato. Avevo più subìto che imparato in quella terra. Quello che avevo imparato era sempre stato al di fuori dei confini.
Le mie donne erano state per lo più straniere. I libri letti erano al novanta per cento in lingua straniera. Che mi legava all’Italia ancora? Il caffè forse. La colazione la mattina alle cinque alla mia pasticceria.
Nulla di più credo.
Per anni, vivendo in Italia, mi ero professato italiano ma avevo interiormente agito come non lo fossi. Accanto a Austėja cercavo finalmente di far coincidere l’interno e l’esterno. E stranamente solo ora mi rendevo conto della scissione schizofrenica con cui avevo convissuto per più di metà secolo.
Forse era per questo motivo che non mi capiva Austėja. Lei pensava all’Italia come al paese della felicità. Usava l’Italia per fuggire alle incomprensioni del suo paese, alla duplicità della gente e a una cultura che tradiva il passato sovietico anche nelle Lituania ora indipendente, come sosteneva lo storico lituano Nerijus Šepetys: “Pertanto quando si parla del lascito sovietico che permane, è valido tuttora anche per noi. Siamo nati in questa terra, cresciuti, andati a scuola all'asilo da bambini. Son cose che regolano i nostri modi di comunicare, di rapportarsi l'uno all'altro, di pensare dell'uno rispetto all'altro, e finalmente della vita interna in relazione all'esterna. Queste cose valgono anche per le generazioni più giovani. Non credo che gli storici che hanno rotto il ghiaccio abbiano anche cancellato la memoria e le tradizioni della Lituania sovietica”.

Austėja parlava di un’Italia che non conosceva bene, lo vedeva come il paese dell’Eldorado ma non lo era.
- Mi sento persa. Non vedo niente positivo in questa realtà (lituana). Solo devi vivere e fare le cose. Sembra come una prigione – la Lituania non chiedeva a Austėja adesione ma sottomissione alla sua ottica
In Lituania se vi è una libertà non è pubblica ma interiore.
Il chiudersi in se stessi e resistere a una realtà opprimente è una concezione ben radicata nella cultura
“In epoca sovietica la resistenza intellettuale era percepita come resistenza interiore, un’oasi interiore di libertà, che veniva protetta e curata” (Nerijus Šepetys).

Austėja teneva la testa bassa ma aveva gli occhi fieri. Se cercava di parlare umilmente capivi invece la sua forza interiore. Quella forza, quell’oasi interiore poteva eclissarsi per un giorno, per una settimana, ma poi ritornava e non moriva mai.
Eppure soffriva. Lo capivi dalla fierezza dei suoi occhi il dolore interiore di Austėja.
Solo nel periodo delle mestruazioni gli occhi di Austėja divenivano stanchi e persi, era troppa la sofferenza del corpo che anche l’oasi di libertà interiore ne moriva.
Aveva mestruazioni dolorose e violente. Spesso un umore nero e illogico le anticipava con segnali inequivocabili anche di una settimana.
In quei momenti ogni rapportarsi a lei secondo ragione era destinato a fallire. Si poteva solo aspettare che le mestruazioni venissero e con il sangue se ne andasse anche quella bile nera che si era impadronita di Austėja.
In quel momento amarla diventava più un artifizio che un impeto e una passione. Una ricerca costante di equilibri e posizioni da prendere e da cedere secondo l’opportunità.
Dovevo parlare una sorta di ezopine kalba. Parlare in un modo all’esterno contenendo un altro intento all’interno.
Io ero costretto ad usare l’ezopine kalba, non lei. Dovevo usare un linguaggio emotivo e privo di contenuti forti che potesse essere tollerato ed adeguato alla sua situazione presente.

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Published on September 03, 2017 13:04