Fabrizio Ulivieri's Blog, page 115
November 11, 2018
Che cos'è una narrativa?

"Your life has marked you in unique ways and these marks whether you know it or not will determine how you live your life"
(Michael Rabiger)
Per capire che cosa sia una narrativa, bisogna capirne lo status. Le narrative hanno uno status pari a quello dei beni comuni (acqua, fiumi, laghi, patrimonio culturale...) e in virtù di questo loro status possono essere partecipate o meno, condivise o meno, contestate o meno, accettate o rifiutate, rinnovate, corrette, contrataste, sovvertite, trasformate.
Sono delle norme, dei comportamenti, delle tendenze, mode, regole, storie, miti, bugie...che vengono da noi interiorizzati e creduti e perciò accettati, sotto forma per esempio di convinzioni, di segnali inconsci che hanno natura performativa che va in una certa direzione (per esempio credere che i cattivi andranno all'inferno, che i soldi daranno la felicità, che secondo un principio neoliberista lo stato non deve intervenire nell'economia, che l' oro è il metallo più prezioso...).L'individuo rispetto alle narrative puo' avere un atteggiamento passivo, critico, interpretativo, antagonista, innovatore.
Published on November 11, 2018 08:32
La carne che non muore (VI) - Visita al cimitero di Livorno

- Davvero mi accompagnerai? – chiese Antonio.
- Non ti abbandonerò, amore mio. Verrò con te al cimitero.
- Vi faccio preparare qualcosa da mangiare, Eccellenza? – chiese una delle cameriere.
- Non ho fame – rispose Antonio.
- No, amore – intervenne Eleonora – qualcosa devi mangiare...sei così pallido. Ed è da quando aspettavamo la coincidenza a Firenze che non hai più mangiato niente. E anche io mi sento debole, se non mangio qualcosa potrei svenire.
Antonio la guardò.
- Non voglio che tu stia male, luce dei miei occhi. Mi hai accompagnato in questo viaggio. Sarai stanca e immagino affamata. Ti ho sottoposto a tante fatiche.
Attesero fino a che una donna li accompagnò in una stanza vicina dove era stata imbandita una piccola tavola, con formaggi, salumi e frutta.
Antonio mangiò pochi bocconi, Eleonora spilluzzicò un po’ di tutto ma poco di tutto. Entrambi sentivano di avere un nodo alla gola e non riuscivano a mangiare.
Bevvero invece del vino rosso, un rosso toscano che li rianimò e diede loro una nuova calma nel mentre che l’alcol faceva il suo effetto.
Antonio prese per una mano Eleonora e le chiese se fosse pronta ad andare. Lei ripose di sì con un cenno della testa.
Si avviarono verso il giardino dove un fiacchere li aspettava.
Era lo stesso fiaccheraio che li aveva portati alla villa. Non se ne era andato. Era rimasto commosso dagli eventi e non aveva avuto la forza di andarsene, incuriosito come era dal sapere che fosse successo. La narrazione lo aveva impietosito. Era stato rifocillato dalle cameriere, e della buona aveva era stata data anche al cavallo.
Quando Antonio rivide lo stesso conducente di prima esclamò:
- Ma siete sempre voi! Non ve ne siete andato dunque?
- Mi è mancato il cuore eccellenza.
- Ma come vi chiamate?
- Giovanni.
- Grazie, Giovanni, per essere rimasto. Per averci aspettato.
- Quando ho visto sentirvi male, Eccellenza...
- Basta! Non chiamatemi più Eccellenza ma Antonio, vi prego.
- Antonio...quando ho assistito al suo dolore, quando ho sentito la storia della morte della vostra sorella, era come se un lutto mi avesse colpito personalmente.
Continuarono a parlare e una simpatia nacque immediatamente fra Giovanni e Antonio. Giovanni era un giovane sui venticinque anni, alto, magro dai modi decisi ma cortesi: il tipo di uomo che poteva godere le simpatie di Antonio.
Il cavallo aveva preso un buon trotto e il fiacchere correva lungomare.
I due uomini tacquero, perché la conversazione era stata coperta dal suono del ferro degli zoccoli e dallo sferragliare della vettura.
Eleonora di tanto in tanto guardava Antonio e scorgendolo sempre cupo e pieno di dolore appoggiava la testa alla sua spalla, stringendogli forte il braccio.
Finlmente giunsero al cimitero, davanti alla porta di ingresso.
- Ci siamo – sospirò Antonio.
- Sì, ci siamo – rispose un po’ spaventata Eleonora.
- Coraggio! Andiamo amore mio.
- Andiamo.
- Aspettate – disse il fiaccheraio – Aspettate che la porta è già chiusa. Fatemi suonare il campanello.
Giovanni suonò il campanello un paio di volte.
Finalmente venne ad aprire un omone grande e grosso.
- Ah! Sei tu Giovanni. Che vuoi? A quest’ ora il cimitero è chiuso. Non lo sai?
- Signor Falleni, lo so ma dovreste fare un’eccezione per questi due mie amici, che sono venuti da Torino e non hanno fatto in tempo a veder la sorella morta.
- Mi dispiace Giovanni, ma qui di eccezioni non se ne fanno.
- Signor Falleni, per me dovrete farlo. Io vi ho salvato il figliolo in Darsena, che stava per affogare...
A queste parole, l’omone parve cambiare atteggiamento.
- Giovanni, io questo non lo dimentico. Ti ho sempre detto che avevo un debito a vita con te. Se questo è quello che io devo pagare per sdebitarmi allora che entrino.
- Grazie, amico mio – rispose Giovanni.
Giovani ritornò al fiacchere, aprì le porte ed aiutò Eleonora a scendere.
Mentre oltrepassavano il cancello, Falleni gli chiese.
- Ma che devono fare i tuoi amici a quest’ ora nel cimitero? Visitare una tomba?
- Non una tomba, ma una morta.
- Una morta?
- Sua Eccellenza è il fratello della signora Giusti, è venuto da Torino perché sapeva che la signora stava male. Ma quando è arrivato la Signora era già spirata e trasportata qui.
- Sì, l’hanno messa nella camera mortuaria in attesa che fosse pronta la tomba.
- Possono vederla?
- Lo sai Giovanni, che non posso negartelo. Ho un debito di riconoscenza che mi lega te per tutta la vita. Se devono vedere la morta, la vedranno.
- Accompagnali dunque – rispose Giovanni – Io aspetterò qui.
Published on November 11, 2018 03:02
November 8, 2018
Sabatina e la forza dell'ombra

Fu allora che Sabatina pensò di lasciare Silvano.
Lo zio Foffo era morto. Artemesia si era sposata e si era trasferita a la Sughera, un piccolo paesino non distante da Montaione.
Sua madre Laura era andata a vivere a Castelfiorentino, insieme a Primetta. E a causa di Primetta
Primetta subito dopo la fine della guerra si era fidanzata con Roberto, un ragazzo delle Mura.
Quando ormai tutti pensavano che Primetta fosse destinata a rimanere zitella, lei, contro ogni previsione, in virtù di uno scarto inatteso, aveva incontrato Roberto.
Roberto era un bel ragazzo, che per una ferita riportata in guerra camminava con una gamba interita. Aveva come si diceva allora un “mancamento” e giunto a questo punto anche lui vantava poche speranze di accasarsi. Primetta d’altronde era ormai a venottoanni e le sue possibilità erano ridotte al lumicino.
- Io non ho bisogno di sistemarmi. Posso continuare a vivere come vivo – aveva sempre ripetuto dopo la morte di Roberto.
Sabatina pensava che aveva visto due Primette nella sua vita. Una, la Primetta prima di Roberto. L’altra, la Primetta dopo la morte di Roberto. Forse addirittura tre Primette, ovvero la primetta del monastero.
Fino al giorno che aveva conosciuto Roberto la sorella era stata una ragazza normale. Felice, chiacchierona, amante della vita, con la speranza di maritarsi anche se con l’andare del tempo la speranza diminuiva e di pari passo decresceva anche la gioia di vivere, in modo esponenziale però.
Poi ci fu la Primetta che volava, quella felicissima del fidanzamento. Tre anni di fidanzamento, due fatti di felicità, di due corpi e un solo cuore, e uno di solo dolore che corrispondeva alla scoperta della malattia di Roberto, e al calvario finale della sua vita fino alla conseguenza della morte.
Infine la Primetta che era nata dalla morte di Roberto. Una Primetta disturbata, malata di nervi, taciturna, senza piì speranza, monacale.
E furono difatti le monache che trasformarono Primetta da una donna fatta di vita a una donna senza vita. Le tolsero la vita. La fecero rinunciare alla vita.
E furono le monache dell’ ospedale di Santa Verdiana di Castelfiorentino ad approfittarsi di lei, della sua debolezza, di ragazza smarrita che aveva perso ogni certezza nelle ore che aveva passato al capezzale di Roberto distrutto giorno dopo giorno dal “malaccio”.
La irretirono a tal punto che voleva prendere i voti e ritirarsi in clausura. Fu la madre ad opporvisi. E tuttavia non fu abbastanza forte da sottrarre Primetta all’ ideale di una vita di clausura al punto da finirne anche lei coinvolta.
Le suore avevano bisogno di una perpetua, e così offirono un alloggio ad entrambi madre e figlia in cambio di lavoro (sottopagato). Lavorare per loro significava fare la loro stessa vita, consistita di ombra, e priva di luce.
- Non ci voglio venire da nonna Laura! – era la invariabile stizza di Fabrizio quando Sabatina diceva che voleva andare a trovare sua madre a Castelfiorentino.
- Ma perché? – chiedeva Sabatina con una sofferenza dentro pari a quella di un cazzotto preso in pieno, alla bocca dello stomaco.
- E’ buio! E’ triste. Non c’è luce. Ho paura da nonna Laura. E poi tutte quelle monache cattive.
- Ma come cattive? Sono monache...serve di Gesù e della Madonna.
- No, mamma. Sono cattive, brutte. Non mi piacciono. Hanno la bocca che puzza.
Anche a Sabatina, quel luogo faceva tristezza. La penombra che vi regnava le toglieva il respiro. Amava la vita Sabatina. Era un “Toro”, fatta di passione, di sangue che bolle, di carne che patisce e gioisce.
Ma era sua madre, la cosa più santa della sua vita, la persona che più amava; era sua sorella, la sorella più cara, con la quale aveva sempre avuto intesa, fin da piccola, la sorella con cui aveva giocato, goito e pianto. Per loro poteva sopportare tutto, anche la tenebra.
In Sabatina il corpo veniva prima delle parole, come nella maggioranza delle donne, che con il corpo riescono ad esprimere prima, ciò che le parole in uomo sanno esprimere in anticipo rispetto al corpo stesso.
In quelle stanze dove abitavano la madre e la sorella era innanzitutto il corpo che soffriva. Le parole potevano solo lenire, persuadere, convincere del contrario.
- Mamma io vorrei lasciare Silvano.
Quando disse quella frase capì che era una frase detta sotto l’effetto dell’ombra, per cui non avrebbe in nessun modo raggiunto l’obiettivo che sperava. Era il corpo che predominava nella penombra, irretito, irrigidito dalla malinconia della mancanza di luce. Non riusciva a dire le cose come avrebbe voluto dire. E la causa era quell’ ombra spessa che dominava nella grande camera dai soffitti alti di sua madre.
- Ma perché?
- Mi tradisce, mamma. Mi ha tradito con la mia migliore amica.
- Bell’amica.
- Una puttana.
- Ma perché lo vuoi lasciare?
- Non ci posso più dormire insieme. Mi fa schifo. Ho perso fiducia in lui.
- E che farai? Dove andrai a vivere da sola? Come vivrai sola? Non c’è il divorzio. Sarai solo una disgraziata. E poi hai due bambini. Che faranno senza il padre? E noi due? Qui fra le monache e tu separata, fuori dal matrimonio? Perderemo il lavoro...non credo sia una buona idea la tua Sabatina. Cerca di perdonarlo. E prova a continuare a vivere con lui. E’ la migliore soluzione.
Nella penombra di quel grande camerone dove parlava con sua madre, le parole della madre divennero ancor più gravi di quello che già erano.
Sabatina non è che avesse sperato nella comprensione della madre, si aspettava la risposta della madre quale era stata. Conosceva la madre, come conosceva Ida, la cui risposta era stata dissacrante “Che vuoi che sia, quando è lavato tutto è come prima”.
E tuttavia aveva sperato in un miracolo. In una protezione della madre come quando era bambina.
Ma non ci fu quel miracolo. La madre già viveva in un’ombra che separava la vita dalla vita.
Fu questione di un paio di mesi infatti. La madre Laura, la sua mamma, se ne andò.
E quello fu il primo grande vuoto, che le portò via metà vita., che mai le fu ridata. Perse quella vita e perse anche la sorella, che rimasta sola smarrì la ragione e fu ricoverata a San Salvi. Dopo due anni di San Salvi, Primetta quasi miracolosamente ricominciò a riacquistare la mente e fu dimessa. Andò a vivere con Artemisia alla Sughera, con cui rimase fino alla fine.
Per Sabatina, quella sorella, quella amata sorella, fu il ricordo vivente della madre, e la adorò quasi fosse la continuazione in terra di sua madre Laura.
Certe sere guardava il telefono muto. Silvano accanto, anche lui muto, quel Silvano che quando le sue sorelle chiamavano la sera protestava, siarrabbiava, perché Sabatina stava troppo al telefono con le sorelle che la chiamavano dalla Sughera. Protestava in ogni caso, anche se a chiamare erano le sorelle.
- Ma che vuoi? – si rivoltava Sabatina – pagano loro! Sono loro che chiamano non io!
- Ma che si può vedere, stare tutto qesto tempo al telefono! Ma ti sembra normale un’ora al telefono? Ma che avrete da dirvi?
E allora Sabatina cominciava a piangere. E si pentiva amaramente di aver ascoltato sua madre. E si pentiva di tutte le altre volte che Silvano l’aveva tradita e l’aveva di nuovo perdonato, ora a causa dei figli che la imploravano di non lasciare il padre, ora a causa della mancanza di soldi che la costringevano a rinunciare a una vita indipendente. E così era arrivata alla fine dei giorni, e si era ritrovata a vivere con un uomo per compassione nel vederlo vecchio e incapace di essere quello che era stato. Era seppellita viva in quella vita che aveva accettato per non aver mai saputo dire di no.
- Il mondo si è dimenticato di noi Silvano. Nessuno ci viene più a trovare. Se non fosse per Fabrizio che è ritornato a vivere con noi, non avremmo più un collegamento con il mondo esterno.
- Questo è il ringraziamento per aver fatto del bene – rispondeva Silvano, invariabilmente.
In effetti quella casa era sempre più un mondo recluso, che fagocitava con il solo intento di separare dal mondo esterno due vite che stavano per essere consegnate al nulla.
Solo Fabrizio che, dopo due separazioni, era ritornato a vivere con loro connetteva indirettamente il mondo dei genitori vicino a scomparire inghiottito dal buco nero del nulla all’ altro mondo, quello esterno, quello che potevano ancora raggiungere solo con il ricordo. Il corpo ne era escluso.
Published on November 08, 2018 13:39
November 7, 2018
La carne che non muore (V)

- La Signora negli ultimi tempi era divenuta irriconoscibile. Era dimagrita. Pallida. Aveva sempre occhi lucidi. Ma sorrideva. Sorrideva a tutti. Era buona con tutti. Tutti la amavano per quello, per la sua bontà.
Antonio a sentire quelle parole un poco si sciolse, perse quell’ irrigidimento militare che l’ aveva risollevato dal divano.
- Ma il marito? Il commendator Giusti, non era con lei?
- Il marito, Eccellenza, è sempre in viaggio, a casa sta sempre poco. Ma comunque è arrivato, due giorni fa, poco prima che la Signora degenerasse. Visto in che condizioni si trovava la Signora, ha fatto chiamare il curato per darle l’ olio santo.
Antonio, parse accusare di nuovo un capogiro. Si portò una mano alla fronte e chiuse gli occhi per riaprirli qualche attimo dopo.
- Ma che è successo? Che può aver portato mia sorella a una simile fine? Ma non ha lasciato nulla? Non ha detto nulla che potesse rivelare la natura dei suoi mali?
- Mi aveva lasciate tre lettere...forse una di queste era per Lei, Eccellenza.
- E dove sono, queste lettere?
- Avevo l’ordine di impostarle subito, se qualcosa fosse successo alla Signora...e così ho fatto.
- Dannazione!
- Mi dispiace, Eccellenza, ma ho ubbidito al volere della signora.
- Ha fatto bene. – rispose Antonio – Ma come è morta? Di che è morta?
- Venerdì la Signora stava male. Non l’avevo mai vista così. Mi sono subito resa conto che era una cosa grave. Con mia grande sorpresa ha detto che voleva andare a Livorno. “Signora” Le ho detto “perdonatemi ma non mi sembrate in condizione di andare in calesse fino a Livorno”. Con mia grande sorpresa mi ha risposto male. La prima volta da quando lavoro per lei. Mi ha chiesto subito scusa, lamentandosi del fatto che stava alquanto male.
L’ho vista salire in carrozza. Se non l’avesse aiutata il cocchiere non sarebbe riuscita a salire sul calesse.
Un’ora dopo quando è ritornata mi ha spaventato, aveva il colore di un cadavere. Gli occhi rossi come quelli di un topo, ed era febbricitante. Con l’aiuto del cocchiere e di mio marito l’abbiamo portata di peso in camera e messa a letto. “Signora, ma che è andata a fare a Livorno? Sta così male...non doveva andarci...”, “Dovevo Anna, dovevo...il notaro mi aspettava”, “Il notaro? Oh Gesù! Ma che si è messa in testa, Signora?”
Volevo rimanerle accanto la notte ma la Signora non ha voluto. La mattina sono andata in camera era immobile. Ho capito che eravamo alla fine. L’ho chiamata ho cercato di scuoterla ma non rispondeva.
Ho chiamato mio marito. E’ corso a cercare il medico. Io ho fatto chiamare il curato. Abbiamo anche avvisato il commendator Giusti, che sua moglie era morente.
Sono ritornata in camera, ho cercato di rianimarla. Le ho stropicciato le tempie con l’aceto. Per un attimo ha aperto gli occhi e mi ha debolmente sorriso, ma è rimasta paralizzata. Era dura come marmo, e mi pareva divenisse fredda.
Venne il medico e disse che ormai non c’era più nulla da fare. Il curato sopraggiunse dopo poco e le diede la estrema unzione.
Infine arrivò anche il commendatore, che le presa una mano, la chiamò per nome. A sentire la sua voce la Signora riaperse gli occhi ma cominciò ad agitarsi tutta. Pareva avesse convulsioni. Guardò il commendatore come avesse visto un demonio, uno sguardo che non potrò dimenticare. Emise un urlo e...cessò di vivere.
La donna terminò il racconto piangendo. Antonio piangeva. Eleonora quasi non respirava.
- Com’ è possibile che sia morta? Di che è morta? Scoprirò di che è morta. Non mi rassegno! Lo scoprirò! Dov’è ora? Dov’è?
- E’ al cimitero Eccellenza. La tomba acquistata in fretta e furia dal commendatore non era ancora pronta. E adesso si trova in deposito presso la stanza mortuaria del cimitero di Livorno, Eccellenza.
- Eleonora, andiamo ti prego. Devo assolutamente cederla.
- Sì, amore mio andiamo. Anche io voglio vederla tua sorella, finalmente.
- Faccio preparare il calesse? – chiese il contadino, anche lui preso dall’eccitazione del momento.
- Sì, immediatamente – rispose Antonio.
- Sei sicuro che vuoi davvero rivederla? – chiese Eleonora – Non peggiorerà il tuo stato rivederla da morta?
- No. Mi sento in colpa per non essere arrivato in tempo. E poi mi sembra di sentire la sua voce, che mi invoca. Mi chiama. Vuole vedermi.
Eleonora lo guardò con un certo timore.
Published on November 07, 2018 03:17
November 6, 2018
Sabatina e il divorzio

“Se arriva il divorzio, vostra moglie fuggirà con la cameriera”
(Amintore Fanfani)
Fu allora che Sabatina pensò di lasciare Silvano.
Lo zio Foffo era morto. Artemesia si era sposata e si era trasferita a la Sughera, un piccolo paesino non distante da Montaione.
Sua madrea Laura si era trasferita a Castelfiorentino, insieme a Primetta. E a causa di Primetta
Primetta subito dopo la fine della guerra si era fidanzata con Roberto, un ragazzo delle Mura.
Quando ormai tutti pensavano che Primetta fosse ormai destinata a rimanere zitella, lei aveva incontrato Roberto.
Roberto era un bel ragazzo, solo che per una ferita riportata in guerra camminava con una gamba interita. Aveva come si diceva allora un “mancamento” e ormai anche lui aveva poche speranze di accasarsi. Primetta d’altronde era ormai a venottoanni e le sue possibilità erano ridotte al lumicino.
- Io non ho bisogno di sistemarmi. Posso continuare a vivere come vivo – aveva sempre ripetuto dopo la morte di Roberto.
Sabatina pensava che aveva visto due Primette nella sua vita. Una, la Primetta prima di Roberto. L’altra, la Primetta dopo la morte di Roberto. Forse addirittura tre Primette, la primetta del monastero.
Fino al giorno che aveva conosciuto Roberto la sorella era stata una ragazza normale. Felice, chiacchierona, amante della vita, con la speranza di maritarsi anche se con l’andare del tempo la speranza diminuiva e di pari passo decresceva anche la gioia di vivere, in modo esponenziale però.
Poi ci fu la Primetta che volava, quella felicissima del fidanzamento. Tre anni di fidanzamento, due fatti di felicità, di due corpi e un solo cuore, e uno di solo dolore che corrispondeva alla scoperta della malattia di Roberto, e al calvario finale della sua vita fino alla conseguenza della morte.
Infine la Primetta che era nata dalla morte di Roberto. Una Primetta disturbata, malata di nervi, taciturna, senza piì speranza, monacale.
E furono difatti le monache che trasformarono Primetta da una donna fatta di vita a una donna senza vita. Le tolsero la vita. La fecero rinunciare alla vita.
E furono le monache dell’ ospedale di Santa Verdiana di Castelfiorentino ad approfittarsi di lei, della sua debolezza, di ragazza smarrita che aveva perso ogni certezza nelle ore che aveva passato al capezzale di Roberto distrutto giorno dopo giorno dal “malaccio”.
La irretirono a tal punto che voleva prendere i voti e ritirarsi in clausura. Fu la madre ad opporvisi. E tuttavia non fu abbastanza forte da sottrarre Primetta all’ ideale di una vita di clausura al punto da finire anche lei coinvolta.
Le suore avevano bisogno di una perpetua, e così offirono un alloggio ad entrambi madre e figlia in cambio di lavoro (sottopagato). Lavorare per loro significava fare la loro stessa vita, fatta di ombra, priva di luce.
- Non ci voglio venire da nonna Laura! – era la invariabile stizza di Fabrizio quando sabatina diceva che voleva andare a trovare sua madre a Castelfiorentino.
- Ma perché? – chiedeva Sabatina con una sofferenza dentro pari a quella di un cazzotto preso in pien alla bocca dello stomaco.
- E’ buio! E’ triste. Non c’è luce. Ho paura da nonna Laura. E poi tutte quelle monache cattive.
- Ma come cattive? Sono monache...serve di Gesù e della Madonna.
- No, mamma. Sono cattive, brutte. Non mi piacciono. Hanno la bocca che puzza.
Anche a Sabatina, quel luogo faceva tristezza. La penombra che vi regnava le toglieva il respiro. Amava la vita Sabatina. Era un “Toro” fatta di passione, di sangue che bolle, di carne che patisce e gioisce.
Ma era sua madre, la cosa più santa della sua vita, la persona che più amava; era sua sorella, la sorella più cara, con la quale aveva sempre avuto intesa, fin da piccola, la sorella con cui aveva giocato. Per loro poteva sopportare tutto, anche la tenebra.
In Sabatina il corpo veniva prima delle parole, come nella maggioranza delle donne, che con il corpo riescono ad esprimere prima, ciò che le parole in uomo sanno esprimere in anticipo.
In quelle stanze dove abitavano la madre e la sorella era innanzitutto il corpo che soffriva. Le parole potevano solo lenire, persuadere, convincere del contrario.
- Mamma io vorrei lasciare Silvano.
Quando disse quelle parole capì che erano sotto l’effetto dell’ombra e non avrebbero in nessun modo raggiunto l’obiettivo. Era il corpo che predominava nella penombra, irretito, irrigidito dalla malinconia della mancanza di luce. Non riusciva a dire le cose come avrebbe voluto dire.
- Ma perché?
- Mi tradisce, mamma. Mi ha tradito con la mia migliore amica.
- Bell’amica.
- Una puttana.
- Ma perché lo vuoi lasciare?
- Non ci posso più dormire insieme. Mi fa schifo. Ho perso fiducia in lui.
- E che farai? Dove andrai a vivere da sola? Come vivrai sola? Non c’è il divorzio. Sarai solo una disgraziata. E poi hai due bambini. Che faranno senza il padre? E noi due? Qui fra le monache e tu separata, fuori dal matrimonio? Perderemo il lavoro...non credo sia una buona idea la tua Sabatina. Cerca di perdonarlo. E prova a continuare avivere con lui. E’ la migliore soluzione.
Nella penombra di quel grande camerone dove parlava con sua madre, le parole della madre divennero ancor più gravi di quello che già erano.
Sabatina non è che avesse sperato nella comprensione della madre, si aspettava la risposta della madre quale era stata. Conosceva la madre, come conosceva Ida, la cui risposta era stata dissacrante “Che vuoi che sia, glielo fai lavare e tutto è come prima”.
E tuttavia aveva sperato come in un miracolo. In una protezione della madre come quando era bambina.
Ma non ci fu quel miracolo. La madre già viveva in un’ombra che separava la vita dalla vita.
Fu questione di un paio di mesi infatti. La madre Laura, la sua mamma, se ne andò.
E quello fu il primo grande vuoto, che le portò via metà vita., che mai le fu restituita.
Published on November 06, 2018 20:02
November 4, 2018
ON WRITING, NOWADAYS (in Italy)

For me writing means to be un écrivain engagé, to be an existentialist writer such as Camus, Sartre, and also, although someone cannot agree into calling them "existentialists", Yukio Mishima, Junichiro Tanizaki and Yasunari Kawabata. Engagé does not necessary mean that it should be in a strictly political sense, even though it possible to conceive this position like this. Engagé can also be understood in the sense of a writer who searches for the life meaning in facts that concern our own daily existence. A writer can be engagé in creating a certain kind of literature that tends to make people think, to find a way to make people reflect on existence, breaking certain traditional consolidated narratives. In creating alternative voices (alternative narratives) with reference to the dominant ones.
The ideal figure of our writer is an engagé writer who owns a-just-writer-status, i.e. a writer who professionally is only a writer, and not writer and ... writer and ... and ... (writer and journalist, writer and lawyer, writer and actor, writer and journalist and film director ... etc. ad infinitum).
In the field of information, for example, it has always been said that videos longer than three or four minutes are not supposed to be watched. And three or four minutes are though considered an excessive length. It has always been said that contents must be moderately strong because people might get bored by deep analyses ... but lateley it turns out that some independent and alternative sources of information (Byoblu, an Italian video blog, for example) that do exactly what has always been demonized (a two-hour video about economics, politics, internet digitalization, conspiracy and world-wide lobbies ...) gained an incredible success by doing a type of information that has found an a priori unimaginable following on the internet.
We therefore believe that the time is ripe for breaking up the kind of literature of complete disengagement that is currently dominant, what I call the anodyne literature, the meme-literature, which has as main purpose, to put it in a nutshell, to strengthen the transversal globalist category capable of incorporating everything "Read, if you really need it, but stop fucking around!"
This does not mean making a boring literature, but fast-paced stories, that catch the interest of readers in the while strong contents are offered, i.e. contents that are alternative to the dominant models which have instead as their aim the maintenance of a status quo, a prolonged stagnation without interruption, which diverts individuals from the hope of any change, which was the driving force of the post-war Italian economic boom, of the hippies movements as well, and of the student protests of 1968 characterized by popular rebellions against military and bureaucratic elites (regardless of the manipulations and infiltrations that have been proven in these movements).
I do not want and cannot (as I have no proof) say that there is any literature censorship, or any manipulation by publishers side (as there is indeed in the field of media information) but a filtered literature is active, yes. The publishers accept and publish only what corresponds to what has been tested by their preemptive filters: authors who guarantee a certain number of sales, authors who are presented by, who have been selected by, who write according to certain models and styles, who avoid references to ... authors who do not sympathize with a set up ideological editorial line (querelle Vittorini vs Tomasi di Lampedusa, in post war Italian literature) ...
In this temporary grid many other species of filters can be inserted - I have exemplified the most immediate and instantaneous.
Writing a good book does not mean anything. You can write a good book and remain perfectly unknown. You can write crappy books and become a bestselling (I mention some examples: Jonathan Littel, Les Bienveillantes; Lize Spit, It melts; Frances Mayes, Under the Tuscan sun ...), or modest texts passed off as masterpieces (Paolo Cognetti, Eight mountains) ... or boring writers but passed off as new Dostoyevsky (Elena Ferrante, Elizabeth Strout ...). I limit myself to just a few examples, but the list could be lengthened by a lot more examples.
I therefore believe that it should be increased intellectual honesty in writers: If you want to be a serious writer, you have to read (many) other books first of all, you need to have something to say, you must know how and what to write, you should give people hope to change their condition, you should be prepared to break up any status quo which denies hope.
Critics must be real critics and not mere flunkeys of publishers. And publishers have to keep an eye on their budgets, but also to promote Culture. And the State's primary objective must be to promote Italian culture, language and values, in Italy and abroad.
Finally, the writer must be conscious, that he can NEVER claim to please everyone, the more he breaks the aforementioned schemes the more he will incur a similar impasse. Books are like perfumes, it has not to be forgotten, books are something strictly linked to personal taste. Nonetheless, a writer must have a well-defined line of writing and researching to follow, regardless of the fact that he can address multiple audiences.
Published on November 04, 2018 01:09
November 3, 2018
L'écrivain engagé

Scrivere significa per me innanzitutto essere écrivain engagé, come lo erano scrittori esistenzialisti quali Camus, Sartre, e anche, benché qualcuno possa storcere la bocca nel definirli “esistenzialisti”, Yukio Mishima, Junichiro Tanizaki e Yasunari Kawabata. Engagé non significa che lo si debba essere in senso strettamente politico, lo si può essere tuttavia, ma si può essere engagé anche nel senso di ricerca di significato nei fatti che riguardano l’ esistenza. Si può essere engagé nel creare un certo tipo di letteratura che tenda a far pensare, a trovare un modo per far riflettere sull’esistenza, rompendo certe narrative tradizionali consolidate. Nel creare voci alternative (narrative alternative) a quelle dominanti. A schemi che si pensano vincenti. Innanzitutto nel ripensare la figura di un simile scrittore bisogna eliminare dalla sua narrativa il deittico e ...per ricentralizzare la figura in un ruolo ben definito.
La figura ideale del Nostro scrittore è uno scrittore engagé, scrittore solo scrittore, e non scrittore e …scrittore e … e … (Litizzetto, Totti, Veltroni…ecc. ad infinitum).
Per riaffermare tale figura bisogna scalfire interrompere narrative consolidate. Nel campo dell’ informazione per esempio si è sempre detto che video lunghi più di tre o quattro minuti non vengono guardati. E tre quattro minuti già sono considerati tempi eccessivi. Si è sempre detto che contenuti troppo forti possano annoiare...salvo poi scoprire che ci sono fonti di informazione(Byoblu, ad esempio) che fanno esattamente quello che si è sempre demonizzato: video di due ore parlando di economia, di politica, di digitalizzazione, di complottismo e poteri forti...Un tipo di informazione che ha trovato un seguito in internet, inimmaginabile.
Crediamo perciò che i tempi siano maturi per rompere con la letteratura del completo disimpegno che è quella dominante. Che è una letteratura che non funziona più, che ha prodotto tutto quello che poteva produrre, che è arrivata al capolinea e perciò va ripensata. La letteratura anodina, la letteratura-meme, che ha come scopo, detto in soldoni, di rafforzare la categoria globalista trasversale capace di inglobare tutto “Leggi, se proprio ti è indispensabile, ma non rompere i c…”, un letteratura cioè staccata da ogni possibilità di incidere sulla direzione del mondo, una letteratura corollario, se si vuole, una letteratura orpello, una letteratura che non è più uno dei valori fondanti del progresso sociale connesso a quello finanziario, poichè la crescita finanziaria si è completamente disconnessa dall'investire nel progresso sociale, come invece si faceva fino agli anni Settanta: si produceva ricchezza che veniva reinvestita nel progresso sociale.
Una letteratura, quella attuale, che è sicuramente nata da un disimpegno sociale e dalla conseguente delocalizzazione della figura dello scrittore attraverso le collocazioni deittiche e... e
Ritornare a fare una letteratura di impegno sociale il cui attore (lo scrittore) non è più delocalizzato ma centralizzato nel suo impegno univoco, non significa fare una letteratura noiosa, ma di ritmo, che prenda e interessi nel mentre che si offre una letteratura forte, fatta di contenuti forti ma alternativi ai modelli imposti, che hanno invece come mira il mantenimento di uno status quo, di una stagnazione senza soluzione di continuità che tolga all’individuo il senso della speranza di poter cambiare, che è stato il fattore propulsivo del boom economico italiano del dopoguerra, dei movimenti hippies nel mondo, del Sessantotto (indipendentemente dalle manipolazioni e infiltrazioni che vi sono provatamente state in questi movimenti).
Chi cerca di ricreare un tipo di letteratura contraria a quella imperante del disimpegno totale si trova a confrontarsi con una serie di filtri messi in essere dal mondo editoriale per la preservazione del disimpegno. Non voglio e non posso (in quanto non ne ho le prove) affermare che esista una letteratura censurata, o manipolata, dagli editori (come vi è nel campo dell’informazione dei media) ma filtrata sì. Le case editrici accettano e pubblicano solo ciò che corrisponde a quello che è stato messo al vaglio dei loro filtri preventivi. Si scelgono solo autori che garantiscono un certo numero di vendite, che vengono presentati da, che sono stati selezionati da, che scrivono secondo certi modelli e stili, che evitino riferimenti a...che non rispecchino una linea editoriale ideologica diversa da quella che sostengono.
Per questo, oggi, scrivere un bel libro, non significa nulla. Si può scrivere un bel libro e rimanere dei perfetti sconosciuti. Si possono scrivere libri di merda e diventare dei bestseller (ne cito alcuni: Jonathan Littel, Les Bienveillantes; Lize Spit, Si scioglie; Frances Mayes, Under the Tuscan sun...), o elaborare testi modesti ma fatti passare per capolavori (Paolo Cognetti, Le otto montagne)…o essere scrittori noiosi ma spacciati per comprovati Dostoyevsky (Elena Ferrante, Elizabeth Strout...). Mi limito a solo alcuni esempi, ma l’ elenco, avendone voglia, si potrebbe allungare e di molto.
Io credo pertanto, che ci dovrebbe essere maggiore onestà intellettuale in chi scrive, in chi pubblica e in chi recensisce. Scriva chi innanzitutto legge, scriva chi ha qualcosa da dire. Scriva chi sa scrivere. Scriva chi ha speranza. Scriva chi vuole rompere lo status quo che nega la speranza.
I critici facciano i critici e non i pennivendoli. E gli editori guardino sì ai bilanci ma anche a promuovere la Cultura. E lo Stato abbia come obiettivo primario promuovere la cultura, la lingua e il modello italiano, in Italia e all’estero (cosa che finora non ha mai fatto, in verità).
Published on November 03, 2018 07:03
Sul senso di scrivere, oggi

Scrivere significa per me innanzitutto essere écrivain engagé, come lo erano scrittori esistenzialisti quali Camus, Sartre, e anche, benché qualcuno possa storcere la bocca nel definirli “esistenzialisti”, Yukio Mishima, Junichiro Tanizaki e Yasunari Kawabata. Engagé non significa che lo si debba essere in senso strettamente politico, lo si può essere tuttavia, ma si può essere engagé anche nel senso di ricerca di significato nei fatti che riguardano l’ esistenza. Si può essere engagé nel creare un certo tipo di letteratura che tenda a far pensare, a trovare un modo per far riflettere sull’esistenza, rompendo certe narrative tradizionali consolidate. Nel creare voci alternative (narrative alternative) a quelle dominanti. A schemi che si pensano vincenti.
La figura ideale del Nostro scrittore è uno scrittore engagé, scrittore solo scrittore, e non scrittore e…scrittore e…e… (Litizzetto, Totti, Veltroni…ecc. ad infinitum).
Nel campo dell’ informazione per esempio si è sempre detto che video lunghi più di tre o quattro minuti non vengono guardati. E tre quattro minuti già sono considerati tempi eccessivi. Si è sempre detto che contenuti troppo forti possano annoiare...salvo poi scoprire che ci sono fonti di informazione(Byoblu, ad esempio) che fanno esattamente quello che si è sempre demonizzato: video di due ore parlando di economia, di politica, di digitalizzazione, di complottismo e poteri forti...Un tipo di informazione che ha trovato un seguito in internet, inimmaginabile.
Crediamo perciò che i tempi siano maturi per rompere il tipo di letteratura del completo disimpegno che è quella dominante. La letteratura anodina, la letteratura-meme, che ha come scopo, detto in soldoni, di rafforzare la categoria globalista trasversale capace di inglobare tutto “Leggi, se proprio ti è indispensabile, ma non rompere i c…”
Ciò non significa fare una letteratura noiosa, ma di ritmo, che prenda e interessi nel mentre che sioffre una letteratura forte, fatta di contenuti alternativi ai modelli imposti, che hanno come mira il mantenimento di uno status quo, di una stagnazione senza soluzione di continuità che tolga all’individuo il senso della speranza di poter cambiare, che è stato il fattore propulsivo del boom economico italiano del dopoguerra, dei movimenti hippies nel mondo, del Sessantotto (indipendentemente dalle manipolazioni e infiltrazioni che vi sono provatamente state in questi movimenti).
Non voglio e non posso (in quanto non ne ho le prove) affermare che esista un certo tipo di letteratura censurata, o manipolata, dagli editori (come vi è nel campo dell’informazione dei media) ma filtrata sì. Le case editrici accettano e pubblicano solo ciò che corrisponde a quello che è stato messo al vaglio dei loro filtri preventivi. Si scelgono solo autori che garantiscono un certo numero di vendite, che vengono presentati da, che sono stati selezionati da, che scrivono secondo certi modelli e stili, che evitino riferimenti a...che non rispecchino una linea editoriale ideologica (Vittorini - Tomasi di Lampedusa)...
In questa griglia si possono inserire molti altri filtri – ne ho esemplificati i più immediati e di pronto reperimento.
Scrivere un bel libro, non significa nulla. Si può scrivere un bel libro e rimanere dei perfetti sconosciuti. Si possono scrivere libri di merda e diventare dei bestseller (ne cito alcuni: Jonathan Littel, Les Bienveillantes; Lize Spit, Si scioglie; Frances Mayes, Under the Tuscan sun...), o testi modesti spacciati per capolavori (Paolo Cognetti, Le otto montagne)…o essere scrittori noiosi ma spacciati per comprovati Dostoyevsky (Elena Ferrante, Elizabeth Strout...). Mi limito a solo alcuni esempi, ma l’ elenco, avendone voglia, si potrebbe allungare e di molto.
Io credo pertanto, che ci dovrebbe essere maggiore onestà intellettuale in chi scrive: scriva chi innanzitutto legge, scriva chi ha qualcosa da dire. Scriva chi sa scrivere. Scriva chi ha speranza. Scriva chi vuole rompere lo status quo.
I critici facciano i critici e non i pennivendoli. E gli editori guardino sì ai bilanci ma anche a promuovere la Cultura. E lo Stato abbia come obiettivo primario promuovere la cultura, la lingua e il modello italiano, in Italia e all’estero.
Lo scrittore infine, deve essere cosciente, che non potrà MAI pretendere di piacere a tutti, quanto più romperà gli schemi sopradetti tanto più incorrerà in una simile impasse. I libri sono come i profumi, non lo si scordi mai, una cosa strettamente legata al gusto personale. Ciò nonostante uno scrittore dovrà avere una sua linea di scrittura e di ricerca ben definita, a cui attenersi, indipendentemente dalla sua audience.
Published on November 03, 2018 07:03
November 2, 2018
La carne che non muore (IV)

L’ interno della villa era sontuoso. Quadri e arazzi dovunque appesi. Per terra tappeti persiani dai colori accesi.. Ai lati delle corridoi numerose statue accompagnavano il visitatore.
I mobili avevano uno stile rinascimentale.
Antonio fu adagiato su un ampio divano dell’ ingresso. Gli fu portato un cordiale fu aiutato a berlo.
Tosto Antonio parve riprendersi.
Eleonora a vedere Antonio, suo marito, stare meglio gli gettò le braccia al collo, dimenticando le albagie mostrate poco prima in carrozza.
- Amore, stai meglio?
Antonio pareva lentamente riprendersi da quello stordimento repentino. L’ effetto del cordiale fu evidente. Tutti gli astanti parvero tirare un sospiro di sollievo.
Si portò una mano alla fronte. Si toccò la fronte. Si passò la mano sul volto.
- Eleonora – mormorò.
- Antonio.
- Che mi è successo?
- Hai collassato, amore.
- Ma perché?
Eleonora si guardò intorno per trovare un suggerimento. Tutti la invitarono a non rispondere con cenni del capo.
- Non so amore, forse un capogiro...
- Ma dove siamo?
- A Livorno, amore. In casa di amici.
In quel momento entrò il contadino, quello che aveva fatto capolino dalla porticella laterale.
- Mi ricordo, mi ricordo ora...Ines, Ines la mia Ines... – e con le mani si coprì il volto in segno di disperazione.
Vi fu un lungo silenzio. Tutti fissavano Antonio, il quale ad un certo momento come se si fosse ricordato di essere un militare abituato a ben altre situazioni, si riscosse. Si alzò di scatto, come volesse mettersi sull’attenti.
- Voi! – disse in modo imperioso puntando l’indice verso il contadino, quasi fosse il responsabile della morte della sorella- Voi! Mi racconterete tutto. Mi direte per figlio e per segno quello che le è successo...parlate dunque!
Il contadino, come riconoscendo l’autorità che lo fronteggiava, la stessa che aveva fronteggiato tanti contadini e briganti nel sud dell’Italia, tenendo umilmente il cappello di cencio in mano a testa china come stesse per essere giustiziato.
- Non so molto in verità, Eccellenza, perché raramente, lavorando io nel giardino, non avevo molta opportunità di incontrare la signora Ines. Ma mia moglie che l’ha assistita fino all’ultimo respiro esalato potrà ragguagliarvi meglio, Eccellenza.
- Che si aspetta, dunque! Mi si conduca qui subito questa donna!
Di lì a poco, una delle serve entrò accompagnata da una povera donna scarmigliata.
- Parlate!
- Eccellenza, l’ ho assistita io – disse confusa, timida e tutta rossa in volta.
- Basta, non siate timida, parlate...vi prego – soggiunse addolcendo un poco il tono.
Published on November 02, 2018 10:31
Neil Sedaka

La notte e’ fatta
per amare
ma per chi e’
solo come me la notte e’ fatta
per soffrire
e ricordare
...
la piu’ bella
cosa al mondo
credevo fosse
amare solo te
un giorno fui felice
adesso piango
per te
Anche Sabatina canticchiava quella canzone di Neil Sedaka, che era il tormentone di quell’anno. La davano sempre alla radio. Quella canzone rispecchiava il suo stato d’animo attuale, di persona ferita.
Neil Sedaka in quegli anni era diventato improvvisamente uno dei cantanti più gettonati della scena musicale internazionale.
Ora stava riscuotendo un grande successo anche in Italia.
“Oh Carol” nel 1959 era rimasta in testa alle classifiche per undici settimane. Poi “Esagerata”, "Un Giorno Inutile”, “Tu Non lo Sai”, “Il Re dei Pagliacci” furono tutti successi italiani. Le ragazze impazzivano per Neil. Sabatina non aveva mai vagheggiato per altri uomini, ma il successo di Neil coinvolse anche lei.
La passione per la musica non era mai stato il suo lato forte. Lei era rimasta a cantanti quali Giorgio Consolini, Gino Latilla, Achille Togliani, Carla Boni…che aveva conosciuto grazie al Festival di San Remo di cui era divenuta una assidua spettatrice. Non ne perdeva un’ edizione.
Ma ora toccata e ferita nell’orgoglio aveva bisogno di evadere e il sorriso di Neil, la sua faccia da bravo ragazzo, pulito, sorridente, che cantava ritmi allegri le dava la possibilità di sognare, quella possibilità di cui aveva bisogno per uscire dal buco nero in cui era precipitata.
“La notte è fatta per amare”, forse il più grande successo italiano per Neil Sedaka, la faceva sentire una donna nuova. Una Sabatina moderna. Canticchiare quella canzone era riprendersi una rivincita su Lidia. Quella troia! Che si professava amica da una parte e dall’altra andava a letto con Silvano. Quel maiale!
E questa volta Sabatina era espolsa. I “Tori” si sa, hanno grande capacità di sopportazione ma quando esplodono, esplodono.
Aveva preso una seggiola e gliel’aveva tirata in testa a Silvano, quando era rincasato a mezzanotte.
- Porco, maiale! Vigliacco! Vergognati!
- Ma sei impazzita?
- No. Tu sei un maiale ecco che sei! Dicevi di andare a lavorare a Firenze e poi andavi in macchina a giro con Lidia. Ora dove seistato? Bighellone? Con quella troia di Lidia!
- Io con Lidia? Ma che hai perso il capo?
- Sì, porco! Non puoi negare vi ho visti io a Montelupo, passare in macchina insieme.
Dopo l’avvertimento di Rosina, Sabatina aveva preso a rimuginare. Rosina non diceva mai una cosa a vanvera. Se faceva o diceva una cosa un motivo c’era. Era una donna pratica. Onesta. Se aveva una cosa da dirti te la diceva in faccia. E per quello aveva perso molte amicizie.
Rosina, aveva voluta avvertirla.
Ma poteva anche essersi sbagliata, come le aveva detto. Perché no? Era possibile. Tuttavia questa spiegazione non la convinceva.
E comunque non avendo prove, rimase sospesa nel giudizio.
Sennonché Silvano cominciò con il suo comportamento a dare ancor più adito al sospetto.
Prese infatti a dire che la sera avrebbe fatto tardi perché aveva delle riunioni del partito a Firenze, quando una delle giustificazioni iniziali del suo trasferirsi a Firenze fu proprio il fatto che avrebbe svolto maggiormente lavoro di ufficio e meno quello di dirigente politico, per cui sarebbe diminuito il numero di riunioni a cui avrebbe dovuto presenziare in ore serali.
Ma ora quelle riunioni divenivano un po’ troppe. Non poteva più crederci. Non poteva più fare finta di nulla. Era troppo.
Un giorno che era andata nel negozio della “Siria” per prendere dei piatti da pagare su su (a rate, si direbbe oggi), la Siria, la proprietaria appunto, dalla quale il negozio prendeva il nome, le disse.
- Sposina, io le devo parlare. Lei è una signora tanto a modino, tanto onesta...che lo vedo, lei compra qualcosa, e ogni mese è sempre la prima a pagare. Non salta mai un mese...sapesse quanti bisogna rincorrere per farsi pagare, non solo operai, poveracci, ma anche signori qui di Montelupo...una vergogna mi creda...io non posso più tollerare che la gente parli alle spalle di lei...non va bene. Lei è troppo per bene.Tutti lo sanno e lei non lo sa. Io sono più anziana di lei, potrei quasi essere la su mamma...mi ascolti.
Published on November 02, 2018 05:39