Fabrizio Ulivieri's Blog, page 109

January 14, 2019

E non cangiò lo stile della travagliosa vita, la diletta luna





Onore a Voi, uomini e artefici della grande impresa spaziale. Onore a tutti coloro che hanno reso possibile l’audacissimo volo…onore a Voi che, seduti dietro ai vostri prodigiosi apparecchi governate, a Voi che notificate al mondo l’opera e l’ora la quale allarga alle profondità celesti il dominio sapiente e audace dell’uomo…e ciò che stupisce di più è vedere che non si tratta di sogni. La fantascienza, si dice, diventa realtà 
Le Parole di Paolo VI esaltarono quella notte in cui l’uomo sbarcò sulla luna. Una notte in cui il 96% egli italiani rimase incollato alla TV.
Una calda notte di luglio dove si vedevano finestre aperte e illuminate e le strade erano vuote.
Circa quattrocentocinquanta milioni di persone di tutto il mondo stettero collegate ai video per assistere all’evento e sentire la famosa frase di Armstrong quando pose il piede sul suolo della Luna:


one small step for a man, one giant leap for mankind 

Ma era una frase preparata, una di quelle cose che si dicono per celebrare avvenimenti. Avvenimenti che nulla cambiano all’andamento immediato del mondo.
L’esercitò Americano continuò la guerra in Vietnam e Il primo direttore dell'FBI, J. Edgar Hoover, nel 1968 dichiarò The Black Panthers, "Una delle più grandi minacce alla sicurezza interna della nazione".
In Italia iniziavano gli anni di piombo, le stragi, le bombe e si intensificavano gli scontri di piazza.
La Guerra Fredda si inasprì.
La gente continuava ad alzarsi, lavorare, mangiare e dormire. A sedere sul proprio culo, a gioire e soffrire nonostante il grande salto dell’umanità.
E non cangiò lo stile della travagliosa vita, la diletta luna.

- Puzzavate come tori
- Ma come puoi dire questo? – un po’ si offese Fabrizio.

Da quando Fabrizio aveva cominciato a giocare al Calcio nel Montelupo, era la prima volta che sua madre andava a vederlo giocare. Ed era meglio che non ci fosse andata. Solo Luigi qualche volta si era seduto in tribuna per vederlo giocare. Suo padre non c’era mai andato e mai ci sarebbe andato. Per lui sport e preti erano allo stesso livello, entrambi erano l’oppio del popolo.

- Mi si è avvicinato alla rete uno che puzzava di sudore, da far dare di stomaco. Sudato come un toro.
- Mamma, si gioca al calcio. Si suda. È normale.

Sua madre non era andata in tribuna, si era fermata a vedere giocare ai bordi del campo. Alla rete di recinzione.

- Ma perché non sei andata in tribuna?
- Ci sono le scale da fare. Con la gonna camminavo male. E poi non volevo rimanere a lungo.

Sabatina, aveva ormai quarantotto anni. Aveva ormai da qualche anno perso ogni confidenza con il proprio corpo. In verità non l’aveva mai considerato qualcosa di diverso da uno strumento di lavoro e di sopravvivenza; nulla che avesse a che fare con l’idea corpo = bellezza. Se bellezza nel corpo di Sabatina vi era stata, era stata quella dell’asino, la bellezza che tocca a ciascuno in gioventù: essere belli solo perché si è giovani. Con ciò non si vuole dire che Sabatina non fosse stata bella. Certamente era stata bella ragazza. Una volta aveva perso anche il lavoro, perché al tabacchificio di Barbialla dove lei lavorava, La Capra, il fattore, si era invaghito di Sabatina a tal punto che la fece licenziare perché Sabatina non voleva accettare le sue avances. Quando andava alla messa alle Mura con la madre, gli uomini la guardavano in modo insistente.
Anche da sposata, al mercato aveva avuto uomini, che avevano cercato di parlarle, conoscerla. Le avevano anche fatto proposte.
Ma il suo corpo viveva uno stato inconscio di clausura rispetto all‘idea di bellezza di quegli anni. Le era estraneo. Lo usava, lo lavava, lo nutriva, vi lavorava, lo riposava. Era piacere talora, dolore, malattia, gioia rare volte.
E ora che le sue gambe e i fianchi si erano ingrossati. Ora che comparivano le prime vene varicose. Ora che cominciava a ingrassarsi, ora che la bellezza sfioriva e le rughe arrivavano, per lei non era un problema. Faceva parte di un processo che le era naturale come il respirare, il mangiare o l’urinare e il defecare.
Per quello non era salita su per le scale. Perché naturalmente aveva avvertito una difficoltà a farlo che non voleva in alcun modo sfidare.

Ormai era giunta alla meno pausa e per tanti motivi il sesso la interessava sempre meno, se mai era stato motivo di particolare interesse, per cui il suo umore si era convertito in un’ironia vieppiù sarcastica e in un pessimismo assoluto che ottundevano le poche gioie e le continue delusioni della vita. Di sogni non ne aveva più nemmeno uno, se non il desiderio di viaggiare. Ma era un sogno quello?
Per questo quando la notte fra il 20 e il 21 luglio l’Italia si era fermata, incollata al televisore, lei e Silvano fecero parte di quel 4% che non avevano seguito la diretta sull’allunaggio. Luigi e Fabrizio seguirono quella diretta, insieme fino verso le 1 di notte. Poi Luigi rinunciò e solo Fabrizio rimase davanti al televisore.
Ma il giorno dopo Fabrizio era al campo di calcio per quella partita in notturna, a cui per la prima volta la madre assisté una decina di minuti in tutto.
E quel giorno correva come correva ogni partita. Giovava la palla come sempre. Dava pedate e prendeva pedate come tutte le volte che giocava.
Il mondo era uguale a prima. Apparentemente.

Fabrizio aveva cominciato a giocare al calcio a causa di un altro rifiuto di suo padre. Non gli piaceva il calcio. Fu solo un ripiego, un surrogato di una delusione. La delusione della sua vita.
Fin da piccolo amava la bicicletta. Alla Graziani avevano costituito un gruppo di ragazzini ciclisti e gareggiavano fra di loro. Avevano le biciclette più disparate. Tutti comunque avevano biciclette con cambio. Solo due di loro possedevano la bicicletta da corsa. Fabrizio aveva invece la bicicletta da donna di sua madre. Gareggiava con quella, e nessuno riusciva a batterlo. Teneva il passo in pianura e come la strada cominciava a salire si metteva davanti e non ce n’era per nessuno. In quei momenti si sentiva un campione, il suo campione: Franco Bitossi. Bitossi, il famoso “cuore matto” non abitava lontano da Montelupo. E a Fabrizio qualche volta capitava di vederlo dal vivo, anche se per lo più lo seguiva in TV.

In quei momenti che si alzava sui pedali e spingeva come un forsennato e con la coda dell’occhio controllava gli avversari dietro che uno ad uno si staccavano si immaginava storto con il collo piegato un po’ a destra come il suo campione in salita. Riviveva in lui quegli attimi di forza. La forza del suo campione diveniva la sua.
Le gesta di Fabrizio non passarono inosservate, soprattutto un giorno che in salita con la bicicletta da donne staccò Nebbia, un ragazzo di Montelupo che correva nella categoria allievi per la Copart una squadra di Limite sull’Arno.
Attaccarono la ripida salita del Pulica. Fabrizio con la bicicletta da donna, Nebbia con quella da corsa. Fabrizio con un solo rapporto. Nebbia con due moltipliche e cinque rocchetti.
Fabrizio si mise davanti fin dall'inizio. Presto tutti si staccarono. Solo Nebbia gli resistette per un centinaio di metri ma la cadenza di Fabrizio fu troppa anche per Nebbia, che saltò come un birillo. 
Due giorni dopo a casa di Silvano e Sabatina si presentarono all’ora di cena due dirigenti della Copart. Volevano Fabrizio nella loro squadra. E lo volevano ad ogni costo. Gli avrebbero dato anche la bicicletta gratis.
Ma fu un altro rifiuto. Questa volta anche Sabatina fu d’accordo. Marcello Mugnaini, un ciclista professionista, che non viveva lontano da Montelupo, al Tour de France del 1967 aveva subito una caduta terribile, per cui era quasi morto. L’impressione che aveva lasciato quell’incidente in una piccola comunità come quella di Montelupo, era stata così forte che due anni dopo era ancora vivissima.

- No, non voglio – disse Silvano – Non se ne parla.
- A correre in bicicletta? Per vedere se mori! – aggiunse Sabatina.

Con quello la visita dei due dirigenti della Copart si concluse. Delusi e amareggiati se ne andarono.

Fabrizio non trovò la forza di reagire. Il sogno della sua vita, correre in bicicletta e diventare un campione, si dissolse in una sera; quel sogno durato anni era finito in un attimo, all’ora di cena.






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Published on January 14, 2019 13:31

January 13, 2019

21 luglio 1969 - Il primo uomo sulla luna - If we could think it, we could do it






Onore a Voi, uomini e artefici della grande impresa spaziale. Onore a tutti coloro che hanno reso possibile l’audacissimo volo…onore a Voi che, seduti dietro ai vostri prodigiosi apparecchi governate, a Voi che notificate al mondo l’opera e l’ora la quale allarga alle profondità celesti il dominio sapiente e audace dell’uomo…e ciò che stupisce di più è vedere che non si tratta di sogni. La fantascienza, si dice, diventa realtà

Le Parole di Paolo VI esaltarono quella notte in cui l’uomo sbarcò sulla luna. Una notte in cui il 96% egli italiani rimase incollato alla TV.
Una calda notte di luglio dove si vedevano finestre aperte e illuminate e le strade erano vuote.
Circa quattrocentocinquanta milioni di persone di tutto il mondo stettero collegate ai video per assistere all’evento e sentire la famosa frase di Armstrong quando pose il piede sul suolo della Luna:

one small step for a man, one giant leap for mankind 
Ma era una frase preparata, una di quelle cose che si dicono per celebrare avvenimenti. Avvenimenti che nulla cambiano all’andamento immediato del mondo.
L’esercitò Americano continuò la guerra in Vietnam e Il primo direttore dell'FBI, J. Edgar Hoover, nel 1968 dichiarò The Black Panthers, "Una delle più grandi minacce alla sicurezza interna della nazione".
In Italia iniziavano gli anni di piombo, le stragi, le bombe e si intensificavano gli scontri di piazza.
La Guerra Fredda si intensificò.
La gente continuava ad alzarsi, lavorare, mangiare e dormire. A sedere sul proprio culo, a gioire e soffrire nonostante il grande salto dell’umanità.
E non cangiò lo stile della travagliosa vita, la diletta luna.
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Published on January 13, 2019 10:32

January 12, 2019

Memoirs of a martial Artist - sometimes dreams seem slow



(foto Živilė Abrutytė)


The Master had explained to me, without any apparent reason, that someone had funnelled thousand of euros in that coffeehouse to keep it open during the winter. And he did it unbeknownst to everyone in such a way that somebody had the suspicious that it was a money laundering operation, which was quite common in this city. It was quite manifest that one of the best known banks of Vilnius received a formal warning from the central bank of Lithuania. The Italian mafia had begun to push its tentacles towards the Baltic Republics.

In Vilnius to manage any local business was really hard in that season. There was a sort of depression in winter around the center. Few passersby, no tourists, no business...given the harshness of the winter…an unfortunate situation to run a shop in winter in the city.An Italian I knew used to say that in those days ci sono i lupi per le strade. He meant that the streets are so deserted that only wolves go around the empty gatvės (streets) descending down from the hills into the city and looking for food.
And I agreed with his similitude.
The Master leaned into the fragrant, curling steam of his tea and grinned in grief without a reason.
Art Cafe seemed a disquieting place for him. But I felt it cozy instead. Everything in there seemed slow in the way sometimes dreams seem slow.


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Published on January 12, 2019 11:49

Memoirs of a martial Artist - Italian mafia in the Baltic Republics



(foto Živilė Abrutytė)


The Master had explained to me, without any apparent reason, that someone had funnelled thousand of euros in that coffeehouse to keep it open during the winter. And he did it unbeknownst to everyone in such a way that somebody had the suspicious that it was a money laundering operation, which was quite common in this city. It was quite manifest that one of the best known banks of Vilnius received a formal warning from the central bank of Lithuania. The Italian mafia had begun to push its tentacles towards the Baltic Republics.

In Vilnius to manage any local business was really hard in that season. There was a sort of depression in winter around the center. Few passersby, no tourists, no business...given the harshness of the winter…an unfortunate situation to run a shop in winter in the city.An Italian I knew used to say that in those days ci sono i lupi per le strade. He meant that the streets are so deserted that only wolves go around the empty gatvės (streets) descending down from the hills into the city and looking for food.
And I agreed with his similitude.
The Master leaned into the fragrant, curling steam of his tea and grinned in grief without a reason.
Art Cafe seemed a disquieting place for him. But I felt it cozy instead. Everything in there seemed slow in the way sometimes dreams seem slow.


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Published on January 12, 2019 11:49

January 10, 2019

Memoirs of a Martial Artist - Lupi per le strade







The Master had explained to me, without any apparent reason, that someone had funnelled thousand of euros in that coffeehouse to keep it open during the winter. In Vilnius to manage any local business was really hard in that season. There was a sort of depression in winter around the center. Few passersby, no tourists, no business...given the harshness of the winter…an unfortunate situation to run a shop in winter in the city.
An Italian I knew used to say that in those days ci sono i lupi per le strade. He meant that the streets are so deserted that only wolves go around the empty gatvės (streets) descending down from the hills into the city and looking for food.
And I agreed with his similitude.


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Published on January 10, 2019 15:02

January 9, 2019

Eine absurde Idee (Einführung in meinen Roman "Inseln des Glücks (Laimės salos)" auf der Suche nach einem Verlag)



Diese Geschichte beginnt vor einem Jahr und endet fast ein Jahr später. Eine Zeitspanne im Leben einiger Menschen relativ kurzer, aber langer jedoch. Wie das Leben auf der Erde, lang, aber relativ kurz.
Und alles beginnt mit einem Foto, das - wie jedes Foto - versucht einen Moment des Glücks, in der immer unruhigen Existenz des Menschen zu fixieren. Und setzt es für immer fest, das heißt, solange das Foto existieren wird.
Glück ist jedoch kein Moment und Glück ist nicht einmal ewig, denn ewig sind keine Fotos und Menschen.
Aber warum dann nach Glück suchen? Welche seltsame Idee ist diese Idee inmitten all des Leidens, dass das Leben unermüdlich vorschlägt?
Eine Idee absurd und trotzdem möglich.
Ausgehend von diesem Bild wollte das Schicksal (aber das Schicksal gibt es nicht - es ist nur eine Art zu reden), dass wir für viele Seiten einer Familie sprechen, die in Vilnius in einem Zeitraum von fast zwölf Monaten nach Glück gesucht hat. Wir beschreiben es in ihren Versuchen, in ihren Freuden und Leiden, in ihren Ängsten, Nervosität, Träumen und Enttäuschungen, Pausen und Aufschwüngen, in ihren Verlangen, jeden Augenblick auf dieser Erde zu wachsen und zu existieren und uns ein Zeichen zu hinterlassen, so leicht es auch sein mag. Wir haben ihre Geschichte erzählt, wir haben sie Monat für Monat mit Leidenschaft und Transport verfolgt. Und am Ende haben wir uns mit dieser Familie verbunden. Wir haben sie geliebt. Und sie zu verlassen war schmerzhaft. Aber jede Geschichte hat einen Anfang und ein Ende. Und unsere Geschichte musste auch enden. Es ist eine wahre Geschichte, denn wahr sind alle Erzählungen, die uns an Etwas glauben lassen. Um an Etwas zu glauben, brauchen wir Geschichten, weil sie sich Menschen und Dingen nähern. Ohne Geschichten ist keine Person oder Sache nahe und daher wahr. Diese sind jene Geschichten, die an Werte, Helden, Zustände, Ideale glauben lassen ... Die Geschichten geben den Sinn des Daseins und entziehen sich daher dem Nichts, sie erheben sich als Wahr…
Aber warum suchen Menschen verzweifelt nach Glück? Warum erstellen wir Ereignisse und Fakten, um nahe zu bleiben und um an eine eigene Welt zu glauben und glücklich zu sein, wenn wir im Wesentlichen unglücklich sind? Warum suchen wir hartnäckig eine Insel, auf der wir dieses Glück zusammen erleben können?

Um diese Fragen zu beantworten, wollte " Das Schicksal" diese Geschichte aus vielen Gründen schreiben, vor allem aber Eines: um zu versuchen, die Verzweiflung umzugehen.
Nur glückliche Geschichten entführen uns von einem Nichts, das uns verfolgt und im Zentrum einer einzigen Wahrheit kreuzt, die wir niemals hören möchten:

Es ist nichts hinter uns 
Nicht einmal das Nichts,  Dass das wäre schon Etwas. 
(Giorgio Caproni)
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Published on January 09, 2019 01:16

January 8, 2019

Una repubblica a sovranità azzerata





Voleva capire meglio dove portava quella direzione che aveva intrapreso. Voleva conoscere meglio i fatti che fino ad ora gli erano rimasti nascosti. Così passò quella notte di tregua, quell'armistizio, che il padre gli aveva tacitamente concesso ad approfondire il soggetto in internet. Che gli importava di dormire? Non aveva dormito per mesi. Anzi per anni. Da almeno due anni e mezzo dormiva la media di tre o quattro ore per notte. Che avrebbe cambiato una notte insonne in più?
Da quando suo padre aveva subito un ictus ed era caduto per terra rompendosi il femore, in quella casa non si era più vissuto un giorno di pace. Non che prima vi fosse pace. Con suo padre non vi era mai stata pace. Vivere con lui era una vita percorsa da un continuo sisma di intensità variabili, ma costantemente attivo e con pause pressoché impercettibili.
Nel suo navigare da un sito all'altro finì su un video: L'Orchestre noir, l' inchiesta di una TV francese precisa, dettagliata, anatomica, sul ruolo dei servizi segreti italiani ed esteri dal dopoguerra fino alla fine della Guerra Fredda. Si interrogava sulla strategia della tensione in Italia, sugli ambienti dell'estrema destra e dei servizi segreti americani e delle loro responsabilità negli attentati di quegli anni.
Per oltre due ore Fabrizio bevve caffè, ascoltò il video e i suoni di quella calda notte d'estate. Fece qualche pausa quando lo coglieva il sonno. Non voleva dormire. Voleva scoprire la verità a cui suo padre lo aveva indirizzato. Andò un paio di volte sul terrazzo a guardare la luna e la luce di quel pianeta riversata sui tetti di Empoli e sulle colline lontane del Montalbano.
Era vuoto e senza preoccupazioni. Si sentiva sospeso. Inseguiva i pensieri, le trame, le voci dei testimoni del video. I tanti perversi personaggi che avevano creduto, agito, ucciso in nome di una visione...Yves Guérin-Sérac...ufficiale dell' esercito francese che aveva combattuto in Indocina, Corea e Algeria membro delle truppe di elite della 11ème Demi-Brigade Parachutiste du Choc, che lavorava con lo SDECE (l'intelligence francese) che aveva fondato l'OAS, un esercito segreto che combatteva contro l'indipendenza dell'Algeria.
Da Lisbona dirigeva l'Aginter Press che si occupava di distruzione delle strutture di stato, della manipolazione dei gruppi comunisti. Che nello specifico era il lavoro del suo secondo, Robert Leroy, il cui compito era esattamente di infiltrarsi nei movimenti della sinistra, di costituire finti movimenti di sinistra in modo da preparare la strategia degli attentati e far ricadere gli attentati stessi nelle responsabilità delle forze di sinistra. Negli anni 67 e 68 Leroy aveva operato in Italia a Torino, Milano e in altre città infiltrandosi in movimenti filo-cinesi e spingendoli ad azioni eversive che non erano in programma tentando di radicalizzarne le posizioni, preparando il terreno perché gli attentati futuri fossero imputati a gruppi minoritari: anarchici, maoisti...o comunque di sinistra.
L'Aginter Press, avevano spiegato nel video, costituiva il coordinamento europeo, mentre nei singoli paesi agivano i gruppi locali. In Italia Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, erano i diretti esecutori della strategia ispirati da questa realtà.
Un' esperienza diretta del capitano Yves Guérin-Sérac l'aveva avuta Vincenzo Vinciguerra un terrorista nero di Avanguardia Nazionale e di ordine Nuovo, condannato all'ergastolo per la strage di Peteano, che veniva intervistato nel video.
"La presenza di Guérin-Sérac dei suoi uomini, ma anche dei francesi, dei tedeschi, degli americani - aveva detto Vinciguerra - la vediamo nel corso di tutti gli avvenimenti che si succedono. Nella creazione dei circoli anarchici, delle infiltrazioni a sinistra. Nella nascita dei gruppi extra parlamentari a Livorno nel 1967 con i soldi della CIA. In tutti questi eventi noi vediamo la presenza costante degli uomini dell'Aginterpress. Soprattutto per quello che riguarda l'addestramento e la preparazione degli uomini all'infiltrazione nei movimenti della sinistra extraparlamentare per la strumentalizzazione dell'avversario politico...Ralf [nome in codice di Yves Guérin-Sérac] era un esperto in propaganda nera...Ralf, lo posso dire, era una persona estremamente preparata. Molto intelligente, abile. E molto religioso. Mi ha colpito la religiosità di Ralf. Ogni sera si leggeva la preghiera del paracadutista. Infallibilmente la preghiera del paracadutista tutte le sere! Una personalità affascinante. Un uomo estremamente pericoloso però perché privo di scrupoli come tutti i cattolici integralisti. La civiltà cristiana si costruisce su milioni di morti. Ralf non avrebbe avuto scrupoli a fare milioni di morti per salvare la civiltà cristiana. La caratteristica della strage è quella di colpire nella massa. Quello che diceva Guérin-Sérac e quello che dicono i manuali dei servizi segreti francesi è che il terrorismo stragista colpisce fra la folla. Si colpisce la persona inerme per creare il terrore".
A queste ultime parole Fabrizio, cercando di fissare la luce della luna, si ricordò le frasi di disperazione che aveva sentito in alla TV in bocca alla gente dopo la strage di piazza Fontana, che si domandava a chi giovasse creare una tale situazione di spaesamento, di tensione, di asprezza. Un crimine terribile commesso contro la gente semplice, contro tutta la gente, contro la collettività, contro il popolo tutto.
Ma chi aveva messo quelle bombe? A Milano a Roma nello stesso giorno? Perché? Chi aveva voluto questo? Chi era in cima alla piramide?
Gli risuonarono le frasi apocalittiche di Mons. Oliveri durante l'omelia del 15 dicembre 1969 per il funerale delle vittime della strage di piazza Fontana, in un giorno dicembrino in cui il cielo sembrava scendere giù per la cupezza, tanto da far pensare che fossero state spente le luci: "Ancora una volta il sangue innocente di Abele sparso a macchie enormi offende questa mia diletta città!"
La strada che conduceva alla cuspide della piramide passava per il Veneto nero i cui movimenti dell'estrema destra erano infiltrati e controllati dai servizi segreti americani, agenti pazzi perché agenti militari e negli uomini dei servizi quelli militari erano più pazzi dei civili. Il giudice Guido Salvini che aveva a lungo indagato sulle infiltrazioni confermava che questi ufficiali erano tutti stati controllati e verificati nella posizione che era stata indicata dai collaboratori e che in particolare appartenevano alla FTASE, la base del comando delle forse alleate del sud Europa di Verona.

E l' Italia quella povera Italia gli appariva ora come una terra in cui tutto si era sperimentato. Ma perché? Perché gli esperimenti in terra italiana appartenevano ad altri stati?
Era vero allora quello che aveva letto. Che l'Italia era una democrazia del doppio stato. Una nazione in bianco e nero, da romanzo criminale. Una repubblica a sovranità azzerata e a perenne rischio di democrazia.
Di lontano cominciava a spuntare il sole. Fabrizio si era seduto sulla poltrona della madre, che aveva portato sul terrazzo. Gli uccellini sugli alberi del giardino prendevano a cinguettare. Il bar sotto casa tirava su la saracinesca. Al supermercato arrivavano i primi camion per scaricare le merci. Nemmeno un'auto. Solo due negri in bicicletta pedalavano verso la stazione.
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Published on January 08, 2019 12:02

January 5, 2019

Il '68 in cifre e il Sessantotto in lettere (la vittoria del capitalismo postmoderno)



Quando Fabrizio ritornò Silvano sedeva davanti alla TV. Non salutò. Non disse una parola. Guardava la TV con una espressione fissa. Stava rigido, disteso e lungo sul divano.

- È tutta la sera che è così disse la filippina - non ha voluto nemmeno mangiare.

Fabrizio era preoccupato. Quando suo padre era in quello stato preannunciava un peggioramento mentale e di conseguenza fisico. Si connetteva a quell'universo fatto di nero e nulla che sembrava tirarlo dentro giorno dopo giorno.
"Quando sarà quel giorno?", si chiedeva allora Fabrizio.
La filippina al solito lo aspettava già vestita e pronta a scappare appena lui avesse varcato la porta.
Se ne andò, finalmente. A Fabrizio che se ne andasse subito, non dispiaceva. Non gli piaceva. Era d'accordo con suo padre. Che poteva avere in comune l'universo da cui proveniva la filippina con quello di suo padre?
Ma questa era divenuta l'Italia. Un paese dove gli italiani contavano meno degli immigrati. Un paese di contraddizioni profonde, in cui i comunisti si erano trasformati in fascisti e i fascisti che mai erano scomparsi se non all'apparenza si erano fusi con i comunisti, al punto che era impossibile distinguerli.
L'aveva detto anche Pasolini che un provocatore ai tempi suoi sarebbe stato subito smascherato e riconosciuto dagli occhi, dal naso, dai capelli...ma dopo c'era stato un livellamento che aveva reso impossibile distinguere un provocatore da un rivoluzionario, perché destra e sinistra si erano fisicamente fuse. Ma chi aveva provocato quel livellamento? Tante domande rimangono senza risposta, perché la realtà visibile non mostra mai quello che ha operato la realtà che sta sotto.

Rimasero lui e Silvano, che non parlava in nessun modo. Si sedé di lato a lui sul divano grande e lo guardò.
Silvano pareva davvero in un altro mondo. Come una particella impossibile da determinare nella sua posizione.

- Voglio raccontarti la mia vita. Devi sapere quello che ho cercato di fare nella mia vita, prima che muoia.

Fabrizio a quelle parole si sentì sconcertato. Onestamente non aveva nessuna voglia di subirsi i racconti di suo padre.

- Voi giovani credete di sapere. E invece non sapete nulla. Vabbeh tu eri un ragazzino...io mi ricordo tutti quegli studenti in piazza che urlavano a Lenin, Mao, Ho Chi Minh...che . credevano di cambiare il mondo...e magari ci credevano e non sapevano che erano manovrati...tutti si chiedono perché il '68 ha fallito. E ci credo. Chi guidava, i capi, erano tutti al soldo dei servizi segreti. Hanno fatto quello che dovevano fare e poi sono passati dall'altra parte. Guarda Quello che chiamavano il Rosso a Parigi, o Joschka Fischer ...

Fabrizio lo guardava a bocca aperta. Suo padre era forse ritornato di qua, nell'universo in cui anche Fabrizio viveva. E sembrava aver ritrovato la ragione.

- ...tu che pensi di sapere tutto, tu che hai studiato tutta la tua vita hai mai sentito parlare dell'operazione Blue Moon?
- No.
- Vedi...voi credete di sapere e non sapete nulla. Io, quando lavoravo a Roma ho incontrato tanta gente. Ho incontrato anche uno...che si chiamava...Ca...Cav... - Silvano si fermò, guardò Fabrizio con uno sguardo spento, senza vita.

- Non me lo ricordo Fabrizio, mi dispiace.
- Non ti preoccupare babbo. Ma che ti ha raccontato?
- Non me lo ricordo Fabrizio. portami a letto, sono stanco. Che farà Sabatina? Chi c'è all'ospedale con lei?
- Luigi.
- Meno male. Poveraccia, sola all'ospedale...fra poco moriremo, Fabrizio. Rimarrai solo. Ma hai la casa. Quella sarà tua. Almeno da dormire ce l'avrai.
- Grazie, babbo - ma Fabrizio sapeva che non avrebbe mai più voluto vivere lì quando sarebbero morti.

Fabrizio tuttavia rimase incuriosito dalle parole del padre. E quando finalmente il padre si addormentò lui prese il computer e digitò: operazione Blue Moon.
Trovò un documentario della Rai che spiegava bene quella che era stata un'operazione della CIA sperimentata in USA, e poi diffusa in Italia e in Europa, per la diffusione delle droghe pesanti, eroina, morfina, LSD per stroncare la protesta. C'era in effetti in quel filmato un agente segreto italiano che allora faceva parte dei Legionari e che aveva partecipato a una riunione dei servizi segreti della NATO e a cui con sua grande sorpresa prendevano parte agenti dell'Est e il cui nome ricordava quello storpiato dal padre: Roberto Cavallaro. Che fosse veramente lui?
Fabrizio si fece un caffè era ormai quasi mezzanotte. Andò sul terrazzo. La notte fuori era calda e calma. Aveva perso il sonno. Per fortuna quella notte il babbo dormiva e non urlava come tutte le notti quando Sabatina era a letto con lui. Sembrava che l'assenza di lei avesse agito su di lui come un anestetico.
Fabrizio aveva perso il sonno. Non pensava più a dormire. Fissava le colline del Montalbano illuminate dalla luna piena. Vide una collina che appariva diversa da come solitamente appariva.
Gli vennero in mente allora le parole di un filosofo italiano, Costanzo Preve, che diceva che il '68 lo capisce meglio un qualunque tassista che un intellettuale della sinistra. "Distinguerei gli eventi concreti del '68 scritto in cifre dal Sessantotto scritto in lettere maiuscole che è un mito di fondazione del nuovo capitalismo postmoderno" aveva affermato. Ora capiva meglio l'imbroglio, quello che sta sotto e non si vede e condiziona il sopra che si vede.
Rientrò, voleva indagare di più. Quel momento di lucidità di suo padre gli aveva aperto un mondo che non sospettava. Suo padre lo aveva aperto a un nuovo linguaggio, che gli consentiva di scoprire una realtà che seguendo la narrativa ufficiale sul '68 lo conduceva per forza di cose a conclusioni sbagliate.
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Published on January 05, 2019 12:54

Operazione BLUE MOON (1)



È difficile se non impossibile inventare un complotto a tavolino dal nulla. È impossibile farlo se non si ha l'intelligenza ...e questi grandi strateghi hanno spesso questa intelligenza di cogliere quello che si sta muovendo nella società, di aggrapparsi ad un fermento, di ingigantirlo di piegarlo e di indirizzarlo in una certa direzione... (Giancarlo De Cataldo)


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Published on January 05, 2019 00:57

Operazione BLUE MOON



È difficile se non impossibile inventare un complotto a tavolino dal nulla. È impossibile farlo se non si ha l'intelligenza ...e questi grandi strateghi hanno spesso questa intelligenza di cogliere quello che si sta muovendo nella società, di aggrapparsi ad un fermento, di ingigantirlo di piegarlo e di indirizzarlo in una certa direzione... (Giancarlo De Cataldo)

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Published on January 05, 2019 00:57