Fabrizio Ulivieri's Blog, page 107
February 18, 2019
February 11, 2019
"Poker a Vilnius" di Ričardas Gavelis

Una stretta fenditura fra due alti edifici, una breccia in una parete incrostata di finestre cieche. Uno strano passaggio a un altro mondo. Di là, cani e bambini scorrazzano, di qua, una strada vuota e grumi di polvere portati dal vento. Una faccia bislunga rivolta verso di me: labbra sottili, guance scavate, occhi silenti (forse marroni) - una faccia di donna, latte e sangue, richiesta e tormento, divinità e depravazione, canto e mutismo. Una vecchia casa nelle spire di pampani di uva selvatica nei recessi di un giardino. Più a sinistra meli rinsecchiti, a destra foglie gialle sparpagliate svolazzano nell'aria, anche se i rami dei cespugli non mostrano fremito...
Così mi svegliai quella mattina (come certe mattine) sotto i presagi di immagini dolorosamente chiare, che non è rimesso alle tue facoltà inventare o scegliere. Qualcun altro lo fa per te e risuonano nel silenzio e penetrano nel cervello che ancora dorme, e di nuovo scompaiono. Impossibili da cancellare. Quel silenzioso presagio colorerà il tuo giorno intero. Non sfuggirai, non potrai sottrarti a quel presagio. Dovresti non aprire gli occhi, dovresti non sollevare la testa dal cuscino. Ma tu obbedisci e apri gli occhi e di nuovo vedi la tua camera, i libri negli scaffali, gli abiti gettati sulla sedia. Involontariamente ti chiedi chi abbia scelto quella melodia in cui vivi. Perché puoi solo seguire quel suono e non un altro? Chi è il Demiurgo segreto della tua disgrazia? Ti è almeno concesso di scegliere la tua melodia, o la tua mente è già di Loro prigioniera e in catene?
È importante capire se queste immagini sono un groviglio di luoghi visti prima, di volti, o scene senza colore di eventi, o se per la prima volta si mostrano. I ricordi colorano la vita con tinte più o meno familiari. Ed è pericoloso quel giorno che inizia senza visioni. In quei giorni si spalancano abissi, e bestie fuggono dalla gabbia. In giorni simili le cose più lievi pesano più che le pesanti, le bussole indicano direzioni che non hanno nome. E simili giorni sono sempre inattesi. E così oggi (se oggi era oggi)...una vecchia casa nei recessi di un le smilze case di Karoliniškės e la strada vuota, riconobbi il cortile, dove persino i bambini passeggiano soli, giocano soli. Non mi sorprese dunque quella faccia, la sua faccia. La faccia bislunga di una madonna impaurita. Occhi, che guardavano non me, ma erano diretti dentro se stessa.
E l'angoscia crescevano una vecchia casa di legno dalle pareti annerite di pioggia e le foglie gialle, che vorticavano nell'aria portate da un vento giallo. Una casa che era ammonimento, premonizione sussurrata da labbra umide.
E l'angoscia cresceva il sogno, ripieno di uccelli, che picchiavano con le ali sui cumuli di neve bianca e sollevavano spruzzi di neve gelida, che aveva il colore di luce della luna.
Quanti uccelli può contenere un sogno?
Ve ne erano ovunque, un mondo che traboccava di un battito silente di ali impercettibili, di frasi sussurrate da un volto senza labbra e di un oppressivo vento giallo.
Il sogno galleggiava dentro e fuori, né si ritraeva quando uscivo fuori, anche se il cortile era pesticciato e vuoto e un fango secco copriva il fondo come una crosta dura. Sembrava che qua, di notte, un grosso animale squallido vi si fosse rotolato. Un grande drago, coperto di squame, aveva gettato il suo alito di fuoco sulla terra e sull'asfalto. Solo lui poteva aver divorato gli uccelli: erano completamente estinti. Nemmeno l’ombra di un uccello nel cortile posto fra le case. I piccioni sporchi di Vilnius non si spintonavano più sui davanzali delle finestre dove barcollanti vecchiette li nutrivano da sempre. I soliti passeri arruffati non saltellavano più sui balconi. Non un uccello, nemmeno uno. Sembrava che qualcuno li avesse cancellati tutti dal mondo con una grande gomma grigia.
La gente continuava per la propria strada. Neanche uno che si guardasse attorno con una faccia meravigliata come la mia. Non vedevano, niente. A me solo mancavano gli uccelli. Forse neanche dovevano esistere, forse non ne esisteva e non ne era mai esistito neppure uno in tutto il mondo?
Avevo forse solamente sognato un sogno malato, vi avevo visto qualcosa di insano che avevo chiamato „uccelli“?
Ma davvero, quello che ricordavo, che conoscevo sugli uccelli, era nient’altro che una fantasia patologica, una paranoia sugli uccelli?
Quei pensieri sembravano offuscare la mia attenzione. Altrimenti avrei subito individuato la donna dal volto grinzoso, avrei percepito quel suo modo di guardare opprimente. Credevo di avere abbastanza esperienza. Passai oltre lungo il sentiero calpestato nell'erba, gettai un‘occhiata al semaforo verde e coraggiosamente attraversai.
Published on February 11, 2019 12:51
February 10, 2019
La mia vita è stata una corsa (Bettino Craxi)

“Io, nella mia vita la tranquillità non l’ho mai cercata. In verità, non mi sono mai neppure posto il problema della felicità.”
Era una frase di Craxi ma era una frase che Silvano avrebbe benissimo potuto usare per sé. Silvano non fu mai felice, ma neppure mai si pose il problema se la felicità esistesse e che fosse.
Conosceva la rabbia, il rancore, la lotta, la resistenza, il lavoro duro, la bontà improvvisa, la compassione, la commozione, ma non la felicità. Felicità per lui era una parola come un’altra. Era un sentimento che aveva dimenticato troppo presto, insieme alla gioventù.
E così era per Sabatina.
Ma Sabatina tuttavia, assaporava momenti di felicità. Ed erano quei momenti in cui poteva parlare con qualcuno. A lei piaceva parlare. Poteva parlare per ore. Dimenticava i dolori, i mali, dimenticava le tristezze, la sofferenza. Parlare la esaltava, la faceva sentire viva.
Il dialogo che lei preferiva era il monologo. Avere la possibilità di parlare a qualcuno che per ore ascoltasse senza contraddirla.
I suoi soggetti preferiti, soprattutto dopo i cinquanta anni erano Ida, la guerra, Le Mura, Settefrati, i figli.
Verso i settanta anni avrebbe aggiunto lunghi monologhi riguardanti i viaggi.
Lei che non aveva mai viaggiato, a settanta anni scoprì come fosse bello viaggiare. Lo scoprì con un gruppo organizzato da Valerio, un privato cittadino di Capraia Fiorentina (il paese dirimpettaio, di là d‘Arno, di Montelupo: „Da Montelupo si vede Capraia, Dio fa le persone e Amor l‘appaia“ recita un antico detto montelupino). Valerio aveva la passione di organizzare viaggi per persone anziane, e, grazie a Valerio, Sabatina a settanta anni poté visitare San Marino, il Vaticano, la Francia, la Svizzera, la Germania, la Serbia, la Croazia.
Ma fu in virtù dello spirito dei tempi che Sabatina seppe adattarsi a una nuova vita. Fu in virtù di un nuovo spirito politico che Silvano visse una nuova meravigliosa vita politica, prima della definitiva caduta. Si dice che la caduta fu preparata dal montare di un’opinione pubblica sempre più indignata dalla corruzione dilagante dei partiti. Ma l’opinione in realtà si prepara, si costruisce, si manipola, si crea cavalcando lo spirito del tempo.
- Non bisogna essere marciatori della pace a senso unico…moralisti un tanto al chilo…massimalisti dei miei stivali…ma quali rivoluzionari d‘Egitto! Craxi da giovane aveva questi modi di esprimersi che facevano colpo su di noi. Che hanno costituito un lessico, una sintassi, un modo di dire, un modo di essere, un modo di fare politica irripetibile. Era una sorta di predicatore laico, che ti costringeva a ragionare. Lui ti ascoltava…questa era la grandezza di Craxi. E aveva ragione quasi sempre. E poi non è più cambiato, perché la grandezza di Bettino Craxi era che lui era già Bettino Craxi quando non lo credevano ancora Bettino Craxi. Pensavano che fosse solo Benedetto. Invece no, era già Bettino.
Le parole di Pillitteri gli risuonavano nelle orecchie.
Chi poteva fermare Bettino? Nessuno. Aveva l‘Italia in mano. Solo una forza superiore che aveva interesse a rimuoverlo insieme a una classe politica, corrotta sì, ma che con Craxi aveva trovato una politica estera e interna propria poteva fermarlo. Una forza che già allora si manifestava globale. Senza limiti e confini. Una forza sempre più dipendente da motivazioni altre che quelle inerenti a un sistema nazionalistico, e che fin da allora si scopriva interessata a una spinta sovranazionale e avvertiva stretti persino i limiti di questo pianeta.
Non poteva essere il contadino con le scarpe grosse e il cervello fino di Milano ad aver orchestrato quella spinta. Non poteva essere quel giudice moralista a stoppare Bettino.
Non capiva Silvano. Sì, capiva che avrebbero potuto essere gli americani ad aver coadiuvato il contadino di Milano…ma era qualcosa di più. Qualcosa che andava oltre il potere americano. Qualcosa che si era inserito all'interno di quel potere e lo usava. Lo capiva ma gli sfuggiva. Rimaneva senza nome. E forse lo sarebbe rimasto ancora per lustri, decadi, secoli forse…
Published on February 10, 2019 13:07
February 6, 2019
Memoires of a Martial Artist - How the Anunnaki influenced the Human Mankind

I met Boris. A former fighter of the UFC. A young man from Russia who lived in Vilnius.
Boris's smile surprised me for his simplicity. For the the joy he had within himself. He started giving me Muay Thai lessons.
I liked Tai Chi but I felt there were mistakes. It was not a combat art. The way to kick, the way to punch, I found them improper, inappropriate in case of a real fight.
- It's full of fake martial artists. Be careful - he told me – it’s a cult, you know. Old martial arts schools are very culty. Have you seen Dojo martial arts in Instagram? Dojo is an awesome collection of the fakest martial arts you have ever seen in your life. They know that this shit won’t work but they pretend that will work. And you know why? Because it’s a cult. This is exactly the shit that freaks me out! You know…too many fake martial artists. Too many.
He paused. He started watching outside, beyond the big windows of the gym. He saw nothing. It was 3:30pm and was dark. The darkness was shot with swirling whitness. Snow swirled and danced. Snow everywhere beyond the large windows that stood like a limes facing an unknown territory.
Then he said.
- You know that in China traditional Martial Arts are very popular. They think that only these Martial Arts, like Tai Chi, for example, work. It is not true. They don’t work. At all. In China there is a guy, a former MMA fighter who dared to challenge a famous Tai Chi Master, called Lei Lei. Lei Lei had appeared in a TV program, where he was facing a Kung Fu foreign. Lei Lei defeated the foreign using Tai Chi. But Tai Chi, you know, is an aerobic exercise for the elderly. Tai Chi is not to combact (in fact later it was found that the foreign was an actor). Lei Lei also said on Weibo that he looked down on MMA and MMA is useless. Above all he despised MMA saying that he could break a rear naked chocke with a single hand. It was very easy for him to do that. But, as far as I know, a rear naked choke is unbreakable. At this point it was clear that the Master was lying. Thus the fighter decided to challenge the Master Lei Lei and he won, even though he didn’t take seriously the fight. But since that his life has completely changed. After the fight the mainstream media outlets slandered and insulted him. They said he had attacked traditional Chinese culture. They said he had used foreign forces to invade China. His Weibo account was closed along with his other social media account. His online video programme was also closed…maybe you now understand what I mean when I say that all this stuff is “culty”.
Yes, I understood.
To establish a supremacy you must proceeded to establish supremacy as a cult. To establish this cult you need a narrative whose purpose is to acquaint the populace to the basic tenets regarding that cult, which is today mostly done via mainstream outlets. In the ancient time was instead done using The Epic, Which became an useful and powerful vehicle for indoctrination
After leaving the Gym, I took the bus 41. In front of the gym there was a stotelė, a bus top. I got off at Aguonų stotelė and walked along Kauno gatve until the intersection with Šopeno gatve. There was a shop called Medus, where they sold a very concentrated liquid propolis that helped me to reactivate energy after training.
While walking towards the shop my attention was caught by a nepastbimas plakatas, an unnoticeable playbill, badly glued on the wall of a shabby house.
PROFESSOR ZECHARIA NAJAFI WILL GIVE A GUEST LECTURE ENTITLED "HOW THE ANUNNAKI HAVE INFLUENCED THE DEVELOPMENT OF MANKIND AND HOW DO THEY STILL DRIVE IT"DATE: 19TH NOVEMBER (THURSDAY) 17.30P.M. VENUE: KNYGYNAS MINT VINETUŠV. IGNOTO G. 16, VILNIUS
Published on February 06, 2019 12:03
February 5, 2019
Species Italica: magnare bere (cagare)

Il grande sforzo culturale alto dei nostri istituti culturali all'estero. Ma forse ormai questa è la unica vera cultura italiana. Species Italica: magnare bere (e cagare). Inutile illudersi.
Io ho creduto nella cultura italiana, ho pure pagato le tasse per far lavorare istituti simili. Per me è veramente stomachevole vedere un popolo ridotto in balia del solo dogma gastronomico. Annullare le menti nel cibo e nel vino. L'unica vera cultura italiana.
E' un'altra forma di dipendenza, un narcotico al pari di altri narcotici per annullare bene ogni spirito originale e soprattutto ribelle.
La decadenza della forza romana iniziò proprio con il piacere del vizio della tavola. Infiacchì il corpo e poi la mente.
Published on February 05, 2019 21:30
February 4, 2019
Memoirs of a Martial Artist - Muay Thai lessons

I met Boris. A former fighter of the UFC. A young man from Russia who lived in Vilnius.
Boris's smile surprised me for his simplicity. For the the joy he had within himself. He started giving me Muay Thai lessons.
I liked Tai Chi but I felt there were mistakes. It was not a combat art. The way to kick, the way to punch, I found them improper, inappropriate in case of a real fight.
- It's full of fake martial artists. Be careful - he told me – it’s a cult, you know. Old martial arts schools are very culty. Have you seen Dojo martial arts in Instagram? Dojo is an awesome collection of the fakest martial arts you have ever seen in your life. They know that this shit won’t work but they pretend that will work. And you know why? Because it’s a cult. This is exactly the shit that freaks me out! You know…too many fake martial artists. Too many.
He paused. He started watching outside, beyond the big windows of the gym. He saw nothing. It was 3:30pm and was dark. The darkness was shot with swirling whitness. Snow swirled and danced. Snow everywhere beyond the large windows that stood like a limes facing an unknown territory.
Published on February 04, 2019 13:21
February 3, 2019
Vilnius loves "Amore, šaltibarščiai e pomodori rossi"!

Published on February 03, 2019 00:58
February 1, 2019
Convergenze parallele

Silvano pianse. Negli ultimi anni all’ira alternava spesso la commozione. Era divenuto simile a suo padre Giuseppe, che per un nonnulla si commoveva e piangeva.
Pianse a vedere come l’ex autista di Berlinguer, Alberto Menichelli, si bloccava nel racconto. Aveva la voce emozionata, un groppo alla gola, e non riusciva ad andare avanti con il racconto degli ultimi momenti della vita di Berlinguer.
Berlinguer era sempre stato un avversario politico, non lo aveva mai considerato come persona. Lo aveva incrociato un paio di volte, ma non aveva mai avuto l’opportunità di parlarci. L’ultima volta lo aveva visto da lontano al XLIII congresso socialista a Verona, sonoramente fischiato al suo ingresso come ospite. Anche Silvano allora lo aveva fischiato. Ma ora in quel filmato che la RAI ritrasmetteva aveva visto anche l’uomo e non solo il politico. E si era commosso. Aveva visto un Berlinguer che non conosceva. Molta parte della vita privata del segretario del PCI, gli ricordava la sua. Un po’ si era identificato nel racconto dell’uomo Berlinguer che Giovanni Minoli, il giornalista RAI, aveva narrato nel servizio di La Storia Siamo Noi.
- Anche io ho lasciato troppo sola la mia famiglia. Soprattutto con Loris non ho mai avuto un dialogo. Poco anche con Fabrizio, ma almeno con lui un po’ ce l’ho avuto… - si trovò a mormorare da solo.
- Che fai, parli da solo? – gli chiese Sabatina che sedeva sulla poltrona davanti al televisore come sempre, e che puntualmente si risvegliava dal suo torpore come avesse delle antenne adatte a captare ogni minimo cambiamento di sintonia che avvenisse in quella stanza.
Silvano non rispose.
Pensava a Loris, ai tanti scontri avuti con lui, e molti per colpa sua, a causa di quell’innato autoritarismo stalinista che lo dominava in quegli anni di vita politica, che aveva magari costituito la sua fortuna in politica ma il suo disastro in famiglia.
Con Loris avevano lavorato insieme. O almeno ci avevano provato. Ma Loris aveva un‘altra visione del mondo, diversa completamente dalla sua, per cui aveva preferito cercare altre strade.
Loris gli incuteva soggezione se doveva essere sincero. Con lui non si era mai sentito libero di fare e dire quello che pensava, forse perché era stato l‘unico capace di contrastarlo in famiglia.
Ma ora anche Loris gli si era avvicinato. Si dimostrava diverso, affettuoso. Era sempre disponibile ad aiutarlo. Era cambiato. Non era più il figlio ostile di una volta.
La questione morale…Berlinguer si era messo a parlare di questione morale quando si era reso conto conto che ormai aveva perso tutte le battaglie. Soprattutto quella sul compromesso storico a causa della morte di Moro. Aveva imboccato una strada senza via d‘uscita. Ma in una cosa era stato bravo, e Silvano glielo riconosceva: aveva fatto credere che solo i comunisti, solo loro, fossero puliti, quasi che loro non avessero mai preso i soldi da Mosca. La diversità comunista, come veniva chiamato questo loro proporsi come immuni da ogni corruzione e amoralità, li aveva condotti all‘isolamento. Soprattutto aveva allontanato ogni possibilità di dialogo con il PSI di Craxi.
Craxi era il nuovo allora, Craxi aveva una visione nuova della politica. Berlinguer era il passato. Era al tramonto. E difatti di lì a poco morì. E forse quella morte prematura ne salvò il mito che stava andando incontro alla distruzione di se stesso.
Eppure in quel filmato di Minoli c’erano tanti momenti toccanti. Come quando Menichelli raccontava che una mattina Berlinguer voleva fare un passeggiata e allora erano andati al piazzale del Ministero degli esteri. Menichelli aveva tirato fuori il pallone che teneva sempre in macchina, perché Berlinguer era un fissato del calcio. Il segretario del PCI si era tolto la giacca, la cravatta, arrotolato i pantaloni e aveva preso a giocare con dei ragazzini che erano lì. In quel mentre era passato Moro in macchina. Moro aveva fatto fermare la macchina e si era messo a vedere la scena con il sorriso sulle labbra con un' aria da "non c' è più religione" in faccia"… Era un‘ immagine di come Silvano avrebbe voluto essere ma mai lo era stato. Aveva preso la politica troppo sul serio, quello era stato il suo errore.
“Questo paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera se non sorgerà un nuovo senso del dovere”.
Questa frase di Moro è una frase che trascende il tempo in cui è stata pronunciata (1976). Una frase che se non fosse stata pronunciata da Moro avrebbe potuto avere anche un suono rivoluzionario, soprattutto in anni in cui il senso del dovere fu travolto dalla contestazione.
Moro fu comunque un rivoluzionario lento in seno a un partito di cui la lentezza e la inamovibilità furono le costanti in ogni decisione. Un rivoluzionario controcorrente in seno ad un mondo che andava in senso contrario alla visione di Moro.
Un rivoluzionario come Mattei, o più tardi Craxi, che cercarono di fare una politica sovrana per uno stato che non era sovrano. Con il compromesso storico cercò di sottrarre la politica interna ed estera ai centri di poteri che eterodirigevano l’Italia. E pagò con la vita, come ancher Berlinguer, probabilmente, pagò con la vita e non è detto che siano sempre stati gli americani o gli inglesi ad agire dietro le quinte. E probabilmente non furono loro a far fuori Berlinguer, se veramente fu fatto fuori, come qualcuno sostiene.
Era dunque vero quello che Moro aveva detto in un’intervista alla RAI (novembre 1977) e mai andata in onda: “Io sono odiato negli Stati Uniti e in gran parte della Germania, Enrico Berlinguer è odiato in Unione Sovietica”.
Silvano negli anni in cui Moro portava avanti la politica delle convergenze parallele era, al pari di Craxi, contrario al tentativo di portare il PCI al governo, o quanto meno di allineamento al governo.
E quando Moro fu fatto fuori, credé, come quasi tutti gli italiani (salvo pochissimi, che sapevano la verità ma tacquero) che a rapire e uccidere Moro fossero state le Brigate Rosse.
E quando Berlinguer morì non ebbe motivo per dubitare che Berlinguer fosse morto per un ictus. Aldo Moro rimise al centro della sua filosofia politica, che qualcuno aveva definito l’arte di parlare senza dire nulla, la persona. Perché la persona viene prima del cittadino. Ogni diritto del cittadino è connesso alla persona, è in riferimento alla persona.
Moro era così, ciò che predicava in politica lo applicava in famiglia. Taciturno, dolce e riservato a tal punto che la figlia non ricordava di aver mai sentito da lui una parola sulla madre e il fratello morti quando era giovane. Non le sembrava di aver mai sentito parlare di un compagno di giochi, di un episodio di scuola, di una frase detta riguardo al padre…Sembrava uno venuto dal nulla, uno che a un certo momento avesse scelto di vivere senza passato.
- Ci sono sicuramente anni duri davanti.
Silvano pronunciò queste parole a Firenze davanti a una tazza di caffè in un bar di Borgo dei Greci. Di fronte a lui sedeva Guida, un compagno del partito. Era di Palermo ma ormai trapiantato a Firenze da molti anni. Ultimamente si incontrava spesso con Guida. Guida sapeva ascoltare. Lo consigliava bene.
Era alla fine nata un’amicizia in quel mondo della politica, dove conoscersi era facile ma essere amici difficile.
La fissazione di Silvano, ogni volta che incontrava qualcuno di siuo gradimento, era di invitarlo a pranzo, e questo metteva in allarme Sabatina, che non amava ospiti e soprattutto cucinare per ospiti.
E dunque ogni volta erano litigi in cui alla fine vinceva sempre Silvano. Sabatina da ultimo non sapeva mai imporsi. Non era che non amasse la compagnia, perché Sabatina era una apersona ciarliera, che amava la compagnia. L‘idea, il pensiero di dover cucinare per qualcuno che non fosse uno di famiglia la mandava in crisi.
Ma dopo il primo incontro con Guida, anche Sabatina cambiò subito opinione. La gentilezza, l’affabilità, il calore umano di quel gentleman siciliano le arrivò diritto.
Fu lei anzi che spesso chiedeva Silvano di invitare Guida a pranzo.
Per una (rara) volta si trovarono d’accordo.
- Su una cosa Moro ha ragione – rispose Guida – questa è una democrazia incompiuta. E bisogna uscire da questo stato di cose. Bisogna trovare il modo di superare questa crisi. Moro vuole però portare i comunisti al governo per fare questo. Ovviamente per noi questo non va bene.
- Moro parla di interrogativi angosciosi.
- Beh credo che, conoscendo il modo di pensare di Moro, “angoscioso” sia l’aggettivo che calza a pennello al lo stato d’animo con cui vive questo passaggio.
- Sai, io e Moro abbiamo una cosa in comune.
- Quale?
- Il 4 agosto dell’anno scorso abbiamo preso lo stesso treno. E entrambi siamo scesi prima che le bombe esplodessero.
- L’Italicus? Eri sull’Italicus?
- Sì. Lui so che fu fatto scendere prima che partisse da Roma, con una scusa…che aveva importanti documenti da firmare. Io lo presi solo per arrivare a Firenze. Le bombe esplosero più tardi a San Benedetto Val di Sambro.
- Siete due miracolati. - Io forse sì. Lui no. Lui, qualcuno che sapeva gli ha risparmiato la vita quel giorno…
- Credo proprio di sì. Forse Rumor lo salvò…
- Forse. Chi può dirlo.
Published on February 01, 2019 09:02
January 29, 2019
Enrico Berlinguer

Silvano pianse. Negli ultimi anni all’ira alternava spesso la commozione. Era divenuto simile a suo padre Giuseppe, che per un nonnulla si commoveva e piangeva.
Pianse a vedere come l’ex autista di Berlinguer, Alberto Menichelli, si bloccava nel racconto. Aveva la voce emozionata, un groppo alla gola, e non riusciva ad andare avanti con il racconto degli ultimi momenti della vita di Berlinguer.
Berlinguer era sempre stato un avversario politico, non lo aveva mai considerato come persona. Lo aveva incrociato un paio di volte, ma non aveva mai avuto l’opportunità di parlarci. L’ultima volta lo aveva visto da lontano al XLIII congresso socialista a Verona, sonoramente fischiato al suo ingresso come ospite. Anche Silvano allora lo aveva fischiato. Ma ora in quel filmato che la RAI ritrasmetteva aveva visto anche l’uomo e non solo il politico. E si era commosso. Aveva visto un Berlinguer che non conosceva. Molta parte della vita privata del segretario del PCI, gli ricordava la sua. Un po’ si era identificato nel racconto dell’uomo Berlinguer che Giovanni Minoli, il giornalista RAI, aveva narrato nel servizio di La Storia Siamo Noi.
- Anche io ho lasciato troppo sola la mia famiglia. Soprattutto con Loris non ho mai avuto un dialogo. Poco anche con Fabrizio, ma almeno con lui un po’ ce l’ho avuto… - si trovò a mormorare da solo.
- Che fai, parli da solo? – gli chiese Sabatina che sedeva sulla poltrona davanti al televisore come sempre, e che puntualmente si risvegliava dal suo torpore come avesse delle antenne adatte a captare ogni minimo cambiamento di sintonia che avvenisse in quella stanza.
Silvano non rispose.
Pensava a Loris, ai tanti scontri avuti con lui, e molti per colpa sua, a causa di quell’innato autoritarismo stalinista che lo dominava in quegli anni di vita politica, che aveva magari costituito la sua fortuna in politica ma il suo disastro in famiglia.
Con Loris avevano lavorato insieme. O almeno ci avevano provato. Ma Loris aveva un‘altra visione del mondo, diversa completamente dalla sua, per cui aveva preferito cercare altre strade.
Loris gli incuteva soggezione se doveva essere sincero. Con lui non si era mai sentito libero di fare e dire quello che pensava, forse perché era stato l‘unico capace di contrastarlo in famiglia.
Ma ora anche Loris gli si era avvicinato. Si dimostrava diverso, affettuoso. Era sempre disponibile ad aiutarlo. Era cambiato. Non era più il figlio ostile di una volta.
La questione morale…Berlinguer si era messo a parlare di questione morale quando si era reso conto conto che ormai aveva perso tutte le battaglie. Soprattutto quella sul compromesso storico a causa della morte di Moro. Aveva imboccato una strada senza via d‘uscita. Ma in una cosa era stato bravo, e Silvano glielo riconosceva: aveva fatto credere che solo i comunisti, solo loro, fossero puliti, quasi che loro non avevssero mai preso i soldi da Mosca. La diversità comunista, come veniva chiamato questo loro proporsi come immuni da ogni corruzione e amoralità, li aveva condotti all‘isolamento. Soprattutto aveva allontanato ogni possibilità di dialogo con il PSI di Craxi.
Craxi era il nuovo allora, Craxi aveva una visione nuova della politica. Berlinguer era il passato. Era al tramonto. E difatti di lì a poco morì. E forse quella morte prematura ne salvò il mito che stava andando incontro alla distruzione di se stesso.
Eppure in quel filmato di Minoli c‘erano tanti momenti toccanti. Come quando Menichelli raccontava che una mattina Berlinguer voleva fare un passeggiata e allora erano andati al piazzale del Ministero degli esteri. Menichelli aveva tirato fuori un pallone che teneva sempre in macchina, perché Berlinguer era un fissato del calcio. Il segretario del PCI si era tolto la giacca, la cravatta, arrotolato i pantaloni e aveva preso a giocare con dei ragazzini amici di suo figlio che erano lì. In quel mentre era passato Moro in macchina. Moro aveva fatto fermare la macchina e si era messo a vedere la scena con il sorriso sulle labbra con un' aria da "non c' è più religione" in faccia"… Era un‘ immagine di come Silvano avrebbe voluto essere ma mai lo era stato. Aveva preso la politica troppo sul serio, quello era stato il suo errore.
Published on January 29, 2019 21:39