Fabrizio Ulivieri's Blog, page 108
January 26, 2019
Gli ultimi giorni in questo mondo (da "Il giorno che l'Italia morì")

Silvano provò ad alzarsi. Voleva camminare. Voleva andare in camera, dove Sabatina dormiva. Era da poco ritornata dall’ospedale. Le medicine l’avevano stordita, anche se aveva una fibra forte. Tuttavia era più ceduto lui, sia mentalmente che fisicamente, che lei. Lei era rimasta il toro focoso che era da giovane. Aveva perso in forza fisica ma non aveva perso in nulla riguardo alla volontà e alla cocciutaggine, che era forse addirittura aumentata.
Silvano invece era ormai un cavallo azzoppato, molto azzoppato. La cui lucidità mentale appariva e scompariva. La cosa strana era che lui lo avvertiva quando non era lucido e faceva discorsi strampalati ma non poteva fare nulla per impedirlo. Apparteneva ad un'altra forza che era dentro e non poteva fermarla. E parlava e pensava per lui. Su cui poi con un atto imperioso di volontà riusciva talora a imporsi e a ritornare se stesso.
- Silvano, dove vai? – gli chiese la filippina.
- Stai zitta te. Non t’impicciare! Fai che devi fare, ma a me non mi comandare. Io a casa mia faccio quello che voglio.
A balzelloni, un po’ dondolando su se stesso, appoggiandosi alla parete, senza stampelle, riuscì a raggiungere la camera venendo dal soggiorno. Arrivato alla porta si fermò. In silenzio si mise a guardare Sabatina che dormiva.
Non aveva occhi che per lei, negli ultimi mesi della sua vita. Ora dava a lei tutto l’amore che non le aveva dato da giovani. Ma lei era infastidita da quell’uomo che le stava così addosso. Appiccicoso, come lei lo definiva.
Da quando era andato in pensione gli rimproverava di stare sempre in casa a pesticciare, a impicciarsi di tutti i lavori da donne.
- Ma che t’impicci? Ma che ne sai tu di come si pulisce una casa? Ma perché non vai al bar o a un panchina a fare amicizia con qualcuno? Ma possibile che non hai un amico?
Silvano non voleva. Viveva a Empoli. Un paese di comunisti. Lui con i comunisti non ci voleva stare, nemmeno da vecchio. Ci aveva litigato tutta la vita. Almeno ora che era in pensione voleva evitarli. La panchina non era per lui. Il bar forse. Qualche volta era andato, prima quando ancora stava bene, dopo cena (soprattutto in estate), nel viale Boccaccio, vicino all’ospedale. C’era un bar pizzeria. Ci prendeva il caffè, faceva due chiacchiere ma poi subito ritornava a casa. Il pensiero di Sabatina sola lo inquietava.
Published on January 26, 2019 08:04
January 25, 2019
Memoires of a Martial Artist - We were alone in the world.

The Master had explained to me, without any apparent reason, that someone has funneled thousand of euros in that coffee shop, where I encountered him, to keep it open during the winter. In Vilnius to manage any local business was really hard in that season. There was a sort of depression in winter around the center. Few passersby, no tourists, no business, given the harshness of the winter…an unfortunate situation to run a shop in winter in Vilnius, because the weather was astonishingly cruel.
An Italian I knew used to say that in those days ci sono i lupi per le strade. He meant that the streets are so deserted that only wolves go around the empty gatvės (streets) descending down from the hills into the city and looking for food.
And I agree with his similitude.
Outside the road had disappeared without leaving any trace. The air was smoking with snow. The snowstorm had caught The Master’s sight. The Master seemed terrified by the roaring and howling of the blizzard. A whitness without borders was hiding the town. We, both, breathed the loneliness in which the snowstorm had precipitated us.
We were alone in the world.
Published on January 25, 2019 13:36
January 23, 2019
Batteriehühner – Michel Houellebecq “Sérotonine”

Vor dem Werbegeschrei über die Bücher von Michel Houellebecq, insbesondere Sérotonine, musste ich diesen Autor lesen, von dem ich seinen früheren Roman Submission nicht lesen konnte.
Houellebecq ist meiner Meinung nach ein radikaler Chic der Literatur, und um ehrlich zu sein, musste ich mich dazu zwingen, Sérotonine zu lesen. Und doch musste ich endlich aufgeben. Sérotonine machte mich nervös und folterte mich. Am Ende gab ich wie in einem Erlösungsakt auf. Es war zu viel zu ertragen.
Er hat keinen Stil. Er schreibt auf eine langweilige und banale Art und Weise ohne Geschwindigkeitswechsel.
Von Seiten bis Seiten gibt es keinen Dialog, aber Houellebecq ist nicht Henry Miller, er hat weder die Stilfähigkeit von Henry Miller noch seine Fähigkeit, den Rhythmus zu wechseln.
Seite für Seite verläuft harmlos und langweilig harmlos. Banal. Aber, ja, man weißt daß, dies ist die Gesellschaft des Mittelmaßes, in der der perfekte Mittelmäßiger siegt. Und sicherlich ist Houellebecq ein brillanter, mittelmäßiger Gewinner.
Eine Passage, die für mich keine Bedeutung hat: "Wie alle Länder Westeuropas hatte Spanien, das sich in einem fatalen Prozess der Produktivitätssteigerung befand, nach und nach alle unqualifizierten Jobs beseitigte, die dazu beigetragen haben, das Leben etwas weniger unangenehm zu machen und indem Gleichzeitig wurde der Großteil der Bevölkerung zu Massenarbeitslosigkeit verurteilt. Solches Gepäck, sei es unter den Markennamen Zadig und Voltaire oder Pascal und Blaise, machte nur in einer Gesellschaft Sinn, in der die Trägerfunktion noch existierte. "
Ist dies eine Kritik am Konsum? Am Kapitalismus? Ist es Blödsinn? Ich weiß es nicht, weil ich die Bedeutung nicht verstehe. Ganz unverständlich ist, was er meint.
Manchmal gibt es Beispiele für Popkultur, die in Hochkultur verwandelt wurde. "Alles ist gut ...", sagte ich so sanft, wie ich konnte, mit der schmerzlosen Intonation eines zivilisierten Serienmörders. Anthony Hopkins war für mich ein Modell, aufregend und fast unpassierbar, schließlich die Art von Männern, die wir zu einem bestimmten Zeitpunkt in seinem Leben treffen müssen. Ich wiederholte noch sanfter, fast unterschwellig: "Alles ist gut ..."
Im heutigen Schreiben muss ich gestehen, dass wir mittelmäßig sein müssen (und Houellebecq bestätigt es), homolog, ausgeglichen, harmlos, vielleicht radikaler Chic (wie er). Du kannst kritisieren wenn du willst, du kannst sagen, dass in der Welt alles Scheiße ist, aber du musst mittelmäßig sein, wenn du es sagt. Scheiß auf die Leute, wenn du es magst, aber du musst bleiben wirklich an der Oberfläche, geh nicht unter, sag nicht die Dinge, die du zu sagen willst, weil deine Worte das System, das dich bejubelt, verletzen könnten, und wenn du das tust, werden sie dich bejubeln, sie werden dich lassen alle Preise gewinnen, die Sie wertschätzen, du verdienst. Dann sei du ein perfekter Mittelmäßiger. Aber sei der Beste! Sie werden dich belohnen!
Wenn ich Houellebecq in Bezug auf Submission und Sérotonine verurteilen muss, ist er sicherlich ein mittelmäßiger Schriftsteller, aber einer der besten Mittelmäßigkeit, diese Art von Mittelmäßigkeit, die gefällt und belohnt wird. Und in diesem Fall ist Flammarion ein großartiger Verleger. Ein wirklich guter. Wie Gallimard.
Flammarion und Gallimard können beide, tödliche langweilige Schriftsteller zu echten literarischen Genies und weltweiten literarischen Fällen machen. Wer erinnert sich an Les Bienveillantes von Jonathan Littel? Eines der tödlichsten langweiligen Bücher, die jemals veröffentlicht wurden (von Gallimard).
Published on January 23, 2019 01:33
January 21, 2019
Boia chi molla

Nel 1970 Rumor varò un governo monocolore, composto in modo assurdo: 27 ministri e 56 vice ministri.
“Una ciurma scandalosa - li chiamò Montanelli - Il parlamento si è ridotto a un parco buoi - continuava Montanelli - Questi uomini - rincarava - fatte le solite eccezioni, fanno pietà e seguiteranno a farlo finché si insisterà a sceglierli fra i mestieranti del cosiddetto ‘apparato’ dove non militano che gli scarti di tutte le professioni. Si chiamano ‘correnti’. Ma queste correnti non sono entità astratte. Sono degli uomini. E questi uomini chi li ha scelti se non i capi? Quali criteri costoro abbiano seguito lo si vede ora. Evidentemente per mettersi al riparo da futuri rivali hanno preferito reclutare gli adepti nel pattume delle mediocrità. Ma ai mediocri, per andare avanti e far carriera non resta che l'intrallazzo. Ed è proprio questo che sta dilagando nel nostro ambiente politico”.
Montanelli fu indubbiamente visionario ma, come Badoglio nel ’43, nemmeno lui immaginava fino a che punto quello strutturalismo politico sarebbe dilagato e spinto.
Il governo approvò la legge che doveva finanziare la costituzione delle regioni. Vennero stabiliti ingenti contributi finanziari per le regioni che dovevano però fare i conti con le numerose correnti della DC (almeno 8) dove abbondavano i nuovi faccendieri. Non importava che alcuni fossero ribelli, diventavano comunque utili per essere inseriti dentro un “sistema” che creava competenze amministrative da gestire sul territorio.
In ultima analisi non fu che una moltiplicazione dei pani e dei pesci per accontentare ex portaborse, ex funzionari, ex sindaci, ex politici, i vari trombati, i nuovi rampanti e tutto quel ceto politico che stava dietro le segreterie provinciali e che negli anni precedenti aveva lavorato per i leader, ma che non era stato gratificato abbastanza, perché le poltrone a Roma erano troppo poche.
Ma le autonomie, le nuove Regioni se le potevano dimenticare, il potere centrale avrebbe alla fine gestito tutto. I Consigli e le Giunte Regionali che stavano nascendo sarebbero serviti in gran parte solo per creare una nuova casta di funzionari sul territorio, che a nome del referente romano, avrebbero ubbidito agli ordini, più o meno supinamente. Spesso, dove sarebbe stato impossibile egemonizzare da parte del partito di governo, si sarebbero fatte le più strane e oscene alleanze con l'opposizione, che se possibili in una zona, in altre sarebbero apparse vergognose.
Gli uomini politici che sedevano sulle poltrone governative romane ormai perdevano di vista gli interessi generali del paese e guardavano soprattutto e solo al proprio territorio. Che era prevalentemente il meridione, essendo che la maggioranza degli uomini politici, almeno quelli più potenti, provenivano dal sud. E così finivano per perdere di vista la nazione, a favore delle loro regioni (meridione), con precisi patti clientelari in una specie di “consorteria”. Ad avvantaggiarsi finalmente furono le regioni che avevano un “uomo autorevole” nel partito, mentre ci rimisero le regioni che erano rappresentate da “uomini mediocri”.
Nel ’43 l’Italia aveva perso l’onore e la sovranità. Nel ’68 perdeva la sua identità. Nel ’70 e negli anni a seguire avrebbe perso la direzione e la classe politica smarrito il contatto con la realtà.
Silvano uscì dalla riunione della direzione del partito piuttosto indolente. Fiacco, sarebbe forse più corretto dire.
A Reggio Calabria era un bel pasticciaccio. I compagni non sapevano che linea tenere. Certo non potevano distanziarsi dal popolo che era in rivolta. Andare contro un popolo in rivolta sarebbe stato un errore, ma anche schierarsi dalla parte della violenza che pareva fomentata dall'estrema destra e dalla mafia poteva mettere in imbarazzo il partito. Ma i socialisti c’erano dentro fino al collo. E questo faceva incazzare Silvano. A Latella avevano bruciato la casa, la sede del partito era stata devastata dalle fiamme.
Una situazione difficile. Un grosso impiccio, nato dai soliti clientelismi, perché (si diceva) i partiti avevano dato l’università a Cosenza per favorire Giacomo Mancini e il capoluogo a Catanzaro per fare il gioco di Riccardo Misasi, per cui, così, tutti i fondi stanziati dallo Stato non finivano a Reggio. Il sud, il profondo sud, campava di fondi stanziati dallo stato, su cui le “consorterie” si lanciavano come lupi affamati. Era chiaro che per Reggio Calabria quei fondi erano vitali, per molteplici ragioni.
Silvano era stanco. La politica cominciava a stancarlo. Era entrato in politica per cambiare il mondo, e ogni giorno di più vedeva come non fosse possibile cambiare il mondo.
Non solo non cambiava il mondo, ma quello suo personale era decisamente peggiorato. In famiglia avvertiva l’odio di Sabatina e dei figli. Forse solo Fabrizio ancora gli voleva bene, ma anche Fabrizio cominciava ad allontanarsi da lui. Lo vedeva la sera quando rientrava come gli tenesse il muso e a mala pena gli parlasse. Non poteva biasimare Fabrizio. Fabrizio gli aveva sempre dimostrato amore e rispetto. Non poteva negare che se ora le cose erano cambiate era sicuramente a causa del rapporto fra lui e Sabatina. Sentiva che la sera a cena il clima era irrespirabile e tuttavia non riusciva a fare nulla per cambiarlo. Non riusciva a sorridere, a dire cose gentili, a essere brillante. Appena entrava in casa una cappa di piombo gli calava addosso. E lui si inacidiva, e un mondo nero lo avvolgeva.
Malediva allora se stesso, e quel giorno che la madre l’aveva messo al mondo.
Si era infilato in uno stile di vita da cui non riusciva ad uscire.
Le donne erano diventate un motivo di vita. Si stava perdendo troppo dietro a loro. Non avrebbe dovuto essere così ma era così.Ci aveva pensato, e sebbene non ne fosse del tutto sicuro questo perdersi dietro alle donne doveva essere dovuto allo stallo della vita politica, alla sensazione di essere finito in un vicolo cieco da cui uscirne era impossibile.
Ma aveva voglia di uscirne.
Per questo stava male.
Allora aveva una relazione con una donna di Empoli che aveva un negozio di parrucchiera. Ma anche a Roma incontrava una compagna del partito. Questa doppia relazione gli pesava e tuttavia non riusciva a terminarle. Si sentiva vicino ad una animalità che prima gli era sconosciuta. Era come se non riuscisse a distinguere fra il bene e il male. Come se tutto fosse indefinito, relativo, strutturato da continui orizzonti mai determinati. Per quello era confuso. Aveva perso la capacità di distinguere fra bianco e nero, fra bene e male.
A quei giorni Silvano aveva smesso di fumare le sigarette e aveva preso a fumare il sigaro. Doveva modificare anche i minimi accidenti della sua vita. Fumare il sigaro lo faceva sentire in sincronia con il suo mondo, con le modalità esistenziali che si rapportavano al suo stile di vita, all’ambiente che lo circondava e all’immagine che più o meno consciamente voleva dare in rappresentazione all’esterno.
Era un’immagine che tutto sommato piaceva, incontrava consensi. Solo in famiglia nessuno prendeva sul serio quello che lui faceva e cercava di essere. Sabatina con il sarcasmo lo annientava. I figli parevano neppure accorgersi del suo essere uomo, incapaci di andare oltre la figura del padre a cui non voleva più cercare di corrispondere.
Forse anche a lui il Sessantotto aveva trasmesso una volontà di ribellione a schemi che neppure lui voleva sopportare. Li trovava inattuali. Impelleva l’urgenza di adattarsi a un nuovo ruolo. Ed era quello che sentiva. Liberare dentro l’uomo. Rompere le regole, le tradizioni, le obbligazioni.
A quel tempo aveva deciso di cambiare macchina. La Bianchina, in effetti Sabatina aveva ragione, era ridicola. Come diceva lei, pareva veramente una scatoletta di sardine. Voleva una macchina più spaziosa. Più status symbol. Cominciò a pensare a una Lancia. Gli piaceva la Lancia Fulvia Berlina. Il problema era il costo.
Quando ne parlò a Sabatina e le fece vedere le foto del dépliant nel tentativo di mostrarsi interessante e di conquistare Sabatina, credendo che cambiando macchina avrebbe cambiato il clima familiare, la sua risposta fu:
- Ma compri tutte scatolette?
- Ma come una scatoletta? E’ una delle macchine più eleganti che abbia prodotto la Lancia. Vuoi mettere questa e la Bianchina?
- Per me ci corre poco. Mi sembrano uguali.
Silvano si arrabbiò. Cominciò a dire che non capiva nulla, che era un' imbecille e che veniva da una famiglia dove non capivano nulla. Sabatina reagì e naturalmente se la prese con quel demonio di donna di su mà (Ida). Per l’ennesima volta litigarono e sarebbero venuti alle mani se Loris non fosse entrato in cucina e non avesse urlato “Basta! Siete due cretini! Non vedo l’ora di andarmene per sempre da questa casa e non vedervi più!”.
Fabrizio rimase sulla soglia della porta e guardava in silenzio.
Era l’ora di cena.
A Reggio intanto la protesta continuava. Dai giornali era difficile capire che succedeva se non che una città era un guerra. Intanto si registravano i primi morti, il che aveva inferocito ancor di più la popolazione di Reggio. Furono mesi di terrore, in cui il governo scelse solo la forza della repressione.
Ciccio Franco, sindacalista missino della CISNAL, era divenuto il capo della protesta, al grido di “Boia chi molla!”. Protagonisti di quella rivolta, tutti. Uomini, ragazzi, studenti, operai, disoccupati, preti, imprenditori e le donne. Le donne di Reggio.
- In mezzo alla strada ci sono i nostri figli. Il nostro sangue. Siamo scese in piazza per difendere loro. Soltanto in questo modo possiamo arginare un la violenza di Stato! Siamo stanche di vedere ogni giorno i nostri figli malmenati e pestati a sangue dalla polizia!
Cilenti, il compagno di Reggio alla direzione aveva parlato chiaro.
- Compagni, le contraddizioni sono molte. La situazione è drammatica. Sul piano locale della città la stessa base del PSI condivide le motivazioni attorno al capoluogo. Le condividono anche molti militanti dei sindacati. La rivolta è un fatto popolare di enormi dimensioni. Non è purtroppo sulla stessa linea la base socialista della provincia, la Ionica e la Tirrenica, e vi è purtroppo una linea diversa sul piano regionale e nazionale...
Silvano era sempre più amareggiato dalla linea del partito. Sicuramente l’amarezza era acuita anche dall’insoddisfazione della vita personale, ma quel PSI non gli piaceva. Stava troppo a ruota dei comunisti o, come con Nenni, aveva puntato troppo al governo con la DC.
Ci voleva un segretario diverso. Uno con le palle, che desse un’identità al partito, una linea propria.
Era l'ora di farla finita con la gestione meridionale del partito. Di finirla con quella politica meridionalistica. Ci voleva un uomo nuovo con una diversa visione, slegata dal meridionalismo.
Un uomo che sganciasse anche da ogni alleanza con i comunisti: un partito di canaglie, che non avrebbero esitato a immolare l’intera classe politica sugli altari dei tribunali.
Nulla di personale con Mancini, l’attuale segretario. Sicuramente un uomo per bene, ma aveva avuto troppa indulgenza per il meridione e la sua Cosenza.
La politica doveva avere un respiro più ampio e non localistico.
Silvano diveniva sempre più sospettoso e sentiva che il suo ruolo nel partito diventava scomodo.
Silvano si accorgeva di non avere amici. Una mancanza che anche Sabatina gli rimproverava. In politica conosceva un numero infinito di persone. Ma erano amici? Erano compagni, conoscenti, incontri, avversari…ma amici era una parola che non suonava come avrebbe dovuto suonare. Stonava.
Quando era giovane, aveva amici. Quelli sì, erano amici. Con loro condivideva passioni, amori, stupidaggini. Con loro rideva, soffriva, mangiava, beveva. Con loro si divertiva e si annoiava.
Ma poi la vita era cambiata.
Con le donne non era che fosse molto diverso. Erano amanti, compagne, puttane qualche volta. Ma non aveva una grande stima di loro, per quanto ne avesse bisogno. Alla fine si rendeva conto che l’unica donna di cui avesse stima era Sabatina, sebbene non l’amasse più.
In politica anno dopo anno era come se la terra sotto i suoi piedi tremasse per lo spostamento di masse tettoniche che ora spingevano in una direzione ora in un’altra, ora si sollevavano verso l’alto ora si inabissavano.
Le persone cambiavano. Anche le donne cambiavano. Ma Sabatina era la costante della sua vita. Ciò che sempre era e sarà.
Non la amava ma capiva che aveva bisogno di lei. Avrebbe sempre avuto bisogno di lei. Aveva la certezza che avrebbero finito i giorni insieme.
Quando? Quando quel giorno sarebbe venuto? E come?
Vi era paura in quelle domande. Vi era comunque anche un senso ineliminabile di curiosità. Quasi che la sua vita appartenesse ad un altro nel momento che si interrogava sulla propria fine.
Published on January 21, 2019 12:53
January 20, 2019
Battery hens: MICHEL HOUELLEBECQ - Sérotonine

We have the same pale
Comb, clipped yellow beak and white or auburn
Feathers, but as the door opens and you
Hear above the electric fan a kind of
One-word wail, I am the one
Who sounds loudest in my head.
(Unknown poet)
Because of all the hype around Michel Houellebecq, Sérotonine in particular, I found myself obliged to read this author of whom I had not been able to read his former novel, Submission.
Houellebecq in my opinion is a radical chic of literature and to be honest I had to force myself to read Sérotonine. And yet I finally had to give up. Sérotonine made me nervous, tortured me. In the end I gave up as in an act of salvation. It was too much to bear.
He has no style. He writes in a boring and banal way, without any change of pace.
For pages and pages there is no dialogue, but he is not Henry Miller, he does not have the stylistic ability of Henry Miller nor his capacity to switch the rhythm.
Page after page proceeds harmless and boringly harmless. Banal. But you know, this is the society of mediocrity, where the perfect mediocrity wins. And certainly Houellebecq is a brilliant winning mediocre.
A passage without meaning to me: "Comme tous les pays d'Europe Western, l'Espagne, engagée dans a processus mortel d'augmentation de la productivité, avait peu à peu supprimé tous les emplois non qualifiés qui contributant jadis à rendre la vie un peu moins desgréable, condamnant du même coup la majeure partie de sa population au chômage de masse De tels bagages, qu'ils soient siglés Zadig et Voltaire ou bien Pascal et Blaise, n'avaient de sens que dans une société ou existait encore la fonction de porteur "
Is this a criticism of consumerism? Of capitalism? Is it bullshit? I do not know, because I do not understand the meaning. Incomprehensible.
Sometimes there are examples of pop culture turned into high culture "Tout va bien ..." dis-je le plus doucement que je pus, avec the intonation onctueuse of a serial killer civilisé, Anthony Hopkins était pour moi un modèle, enthousiasmant et presque indépassable , enfin le genre d'hommes qu'on a besoin de rencontrer, is a certain stade de sa vie. Je répétai encore plus doucement, subliminalement presque: «Tout va bien ...»
In today's writing, I must confess/admit we need to be mediocre (and Houellebecq confirms it), homologous, equalized, harmless, maybe radical chic (like him). Criticize if you want, say that the world is all shit but be brilliantly mediocre in saying it. Fuck people off if you like it, but truly stay to the surface, do not go under, do not say the things you have to say because your words might hurt the system that acclaims you and by doing this they will acclaim you, they will let you win all the prizes they esteem you deserve ... be a perfect mediocre, then. But be the best! They will reward you!
If I have to judge Houellebecq with reference to Submission and Sérotonine, he is certainly a mediocre writer, but one of the best mediocrity, that kind of mediocrity that pleases and is rewarded. And in this case Flammarion is great publisher. A really good one. As Gallimard.
Flammarion and Gallimard, both in fact, can turn deadly boring writers into genuine literary geniuses and worldwide literary cases. Who remembers Les Bienveillantes by Jonathan Littel? One of the most deadly boring books that have ever been published (by Gallimard).
Published on January 20, 2019 22:39
Polli d'allevamento - Michel Houellebecq "Sérotonine"

We have the same pale
Comb, clipped yellow beak and white or auburn
Feathers, but as the door opens and you
Hear above the electric fan a kind of
One-word wail, I am the one
Who sounds loudest in my head.(Poeta ignoto)
Davanti a un battage pubblicitario come quello di Michel Houellebecq, di Sérotonine in particolare, mi sono trovato obbligato a leggere questo autore di cui non ero riuscito a leggere in nessun modo Submission.
Houellebecq a mio avviso è un radical chic della letteratura e mi sono fatto violenza per leggerlo. E tuttavia ho dovuto mollare. Mi innervosiva, mi torturava. Alla fine ho mollato. Al troppo si deve alla fine cedere.
Non ha stile. Scrive in modo noioso e banale, senza cambio di passo.
Per pagine e pagine non vi è un dialogo, ma non è Henry Miller, non ha la capacità stilistica di Henry Miller né il suo cambio di passo.
Pagina dopo pagina procede inoffensivo innocuo e noioso. Banale. Ma si sa, questa è la società della mediocrità, dove il mediocre perfetto vince. E sicuramente Houellebecq nel suo genere è un mediocre perfettissimo.
Passi di cui non capisco il senso
"Comme tous les pays d’Europe Occidentale, l’Espagne, engagée dans un processus mortel d’augmentation de la productivité, avait peu à peu supprimé tous les emplois non qualifiés qui contribuaient jadis à rendre la vie un peu moins désagréable, condamnant du même coup la majeure partie de sa population au chômage de masse. De tels bagages, qu’ils soient siglés Zadig et Voltaire ou bien Pascal et Blaise, n’avaient de sens que dans une société où existait encore la fonction de porteur"
E' una critica al consumismo? Al capitalismo? E' una stronzata? Non lo so, perché non capisco il senso. Di una cosa sono sicuro, lascia il tempo che trova.
Vi sono similitudini radical chic di una tale elevatezza culturale « Tout va bien… » dis-je le plus doucement que je pus, avec l’intonation onctueuse d’un serial killer civilisé, Anthony Hopkins était pour moi un modèle, enthousiasmant et presque indépassable, enfin le genre d’hommes qu’on a besoin de rencontrer, à un certain stade de sa vie. Je répétai encore plus doucement, subliminalement presque : « Tout va bien… »
Nella scrittura oggi bisogna essere polli d'allevamento (e Houellebecq lo conferma), omologati, uguali, inoffensivi, magari radical chic (come lui). Critica se vuoi, di' pure che il mondo è tutta merda ma sii brillantemente mediocre nel dirlo. Scassa la minchia se vuoi, ma rimani fedele alla superficie, non scendere sotto, non dire le cose che devi dire e che potrebbero far male al sistema che ti osanna e allora ti osanneranno, ti faranno vincere tutti i premi che vogliono...sii un perfetto pollo d'allevamento. Il migliore! E loro ti premieranno!
Se devo giudicare Houellebecq da Submission e Sérotonine, è sicuramente uno scrittore mediocre, ma della migliore mediocrità, quel tipo di mediocrità che piace e viene premiata. E in questo Flammarion è grande. Lui sì che è grande. Come Gallimard riesce a trasformare scrittori di una noia mortale in autentici geni letterari e casi letterari a livello mondiale. Chi si ricorda di Jonathan Littel, Les Bienveillantes? Uno dei libri più orribilmenti noiosi che siano stati pubblicati (da Gallimard).
Published on January 20, 2019 08:45
January 19, 2019
Il 68 e la distruzione dell' homo interior

Nel 1970 Rumor varò un governo monocolore, composto in modo assurdo: 27 ministri e 56 vice ministri.
"Una ciurma scandalosa" li chiamò Montanelli. "Il parlamento si è ridotto a un ‘parco buoi’ continuava Montanelli. Questi “uomini - rincarava Montanelli - fatte le solite eccezioni, fanno pietà e seguiteranno a farlo finché si insisterà a sceglierli fra i mestieranti del cosiddetto ‘apparato’ dove non militano che gli scarti di tutte le professioni. Si chiamano ‘correnti’. Ma queste correnti non sono entità astratte. Sono degli uomini. E questi uomini chi li ha scelti se non i capi? Quali criteri costoro abbiano seguito lo si vede ora. Evidentemente per mettersi al riparo da futuri rivali hanno preferito reclutare gli adepti nel pattume delle mediocrità. Ma ai mediocri, per andare avanti e far carriera non resta che l'intrallazzo. Ed è proprio questo che sta dilagando nel nostro ambiente politico" .
Fu indubbiamente visionario. Ma, come Badoglio nel ’43, nemmeno lui immaginava fino a che punto quello strutturalismo politico si sarebbe dilagato e spinto.
Si approva la legge che deve finanziare la costituzione delle regioni.
Vengono stabiliti ingenti contributi finanziari per le regioni; Nella DC ci sono tante correnti (almeno 8) dove abbondano i nuovi faccendieri. Non importa che alcuni siano ribelli, diventano utili per essere inseriti dentro un "sistema" che crea competenze amministrative da gestire sul territorio.
E’ una moltiplicazione dei pani e dei pesci per accontentare ex portaborse, ex funzionari, ex sindaci, ex politici, i vari trombati, i nuovi rampanti e tutto quel ceto politico che sta dietro le segreterie provinciali che negli anni precedenti ha lavorato per i leader, ma che non è stato gratificato abbastanza, perché le poltrone erano a Roma troppo poche.
Le autonomie, le nuove Regioni se le possono dimenticare, tutto verrà gestito dal potere centrale. I Consigli e le Giunte regionali che stanno per nascere serviranno solo per creare una nuova casta di funzionari sul territorio, che a nome del referente romano, ubbidiscono agli ordini, agiscono e riferiscono. E spesso dove è impossibile egemonizzare si fanno perfino le più strane e oscene alleanze con l'opposizione, che se possibili in una zona, in altre apparirebbero vergognose.
Molti uomini politici che siedono sulle poltrone governative romane perdono di vista il loro paese e guardano solo al proprio territorio. Non governano più una nazione, ma la loro regione, con precisi patti clientelari in una specie di "consorteria" . Ad avvantaggiarsi sono le regioni che hanno un "uomo autorevole" nel partito, mentre a rimetterci sono le regioni che hanno "uomini mediocri.
Nel ’43 l’Italia aveva perso l’onore e la sovranità. Nel ’68 perde la sua identità. Nel ’70 e negli anni a seguire perde la direzione e la classe politica il contatto con la realtà.
Silvano uscì dalla riunione della direzione del partito piuttosto indolente. Fiacco, sarebbe forse più corretto dire.
A Reggio Calabria era un bel pasticciaccio. I compagni non sapevano che linea tenere. Certo non potevano distanziarsi dal popolo che era in rivolta. Andare contro un popolo in rivolta sarebbe stato un errore, ma anche schierarsi dalla parte della violenza che pareva fomentata dall’estrema destra e dalla mafia poteva mettere in imbarazzo il partito. Ma i socialisti c’erano dentro fino al collo. E questo faceva incazzare Silvano. A Latella avevano bruciato la casa, la sede del partito anche era stata devastata dalle fiamme.
Una situazione difficile. Un grosso impiccio, che si diceva fosse nato dai soliti clientelismi Che i partiti avevano dato l’università a Cosenza per favorire Giacomo Mancini e il capoluogo a Catanzaro per fare il gioco di Riccardo Misasi, per cui, così, tutti i fondi stanziati dallo Stato non finivano a Reggio.
Ma Silvano era stanco. La politica cominciava a stancarlo. Era entrato in politica per cambiare il mondo, e ogni giorno di più vedeva come non fosse possibile cambiare il mondo.
Non solo non cambiava il mondo, ma il suo personale era decisamente peggiorato. In famiglia avvertiva l’odio di Sabatina e dei figli. Forse solo Fabrizio ancora gli voleva bene, ma anche Fabrizio cominciava ad allontanarsi da lui. Lo vedeva la sera quando rientrava come gli tenesse il muso e a mala pena gli parlasse. Non poteva biasimare Fabrizio. Fabrizio gli aveva sempre dimostrato amore e rispetto. Non poteva negare che se ora le cose erano cambiate era sicuramente a causa del rapporto che fra lui e Sabatina. Sentiva che la sera a cena il clima era irrespirabile e tuttavia non riusciva a fare nulla per cambiarlo. Non riusciva a sorridere, a dire cose gentili, a essere brillante. Appena entrava in casa una cappa di piombo gli calava addosso. E lui si inacidiva, e un mondo nero lo avvolgeva.
Malediva allora se stesso Silvano, e quel giorno che la madre l’aveva messo al mondo.
Si era infilato in uno stile di vita da cui non riusciva ad uscire.
Le donne erano diventate un motivo di vita. Si stava perdendo troppo dietro a loro. Ci aveva pensato, e sebbene non ne fosse del tutto sicuro questo perdersi dietro alle donne doveva essere dovuto allo stallo della vita politica, alla sensazione di essere finito in un vicolo cieco da cui uscirne era impossibile.
Ma aveva voglia di uscirne.
Per questo stava male.
Adesso aveva una relazione con una donna di Empoli che aveva un negozio di parrucchiera. Ma anche a Roma incontrava una compagna del partito. Questa doppia relazione gli pesava e tuttavia non riusciva a terminarle. Si sentiva vicino ad una animalità che prima gli era sconosciuta. Era come se non riuscisse a distinguere fra il bene e il male. Come se tutto fosse indefinito, relativo, strutturato da continui orizzonti mai determinati. Per quello era confuso. Aveva perso la capacità di distinguere fra bianco e nero, fra bene e male.
A quei giorni Silvano aveva smesso di fumare le sigarette e aveva preso a fumare il sigaro. Doveva modificare anche i minimi accidenti della sua vita. Fumare il sigaro lo faceva sentire in sincronia con il suo mondo, le modalità esistenziali che si rapportavano al suo stile di vita, all’ambiente che lo circondava e all’immagine che più o meno consciamente voleva dare in rappresentazione all’esterno.
Era un’immagine che tutto sommato piaceva, incontrava consensi. Solo in famiglia nessuno prendeva sul serio quello che lui faceva e cercava di essere. Sabatina con il sarcasmo lo annientava, lo innervosiva, lo confondeva. I figli parevano neppure accorgersi del suo essere uomo, incapaci di andare oltre la figura del padre a cui non voleva più cercare di corrispondere.
Forse anche a lui il Sessantotto aveva trasmesso una volontà di ribellione a schemi che neppure lui voleva sopportare. Li trovava inattuali. Impelleva l’urgenza di adattarsi a un nuovo ruolo. Ed era quello che sentiva. Liberare dentro l’uomo. Rompere le regole, le tradizioni, le obbligazioni.
Adesso aveva deciso di cambiare macchina. La Bianchina, in effetti Sabatina aveva ragione, era ridicola. Come diceva lei pareva veramente una scatoletta di sardine. Voleva una macchina più spaziosa. Più status. Cominciò a pensare a una Lancia. Gli piaceva la Lancia Fulvia Berlina. Il problema era il costo.
Quando ne parlò a Sabatina e le mostrò le foto del dépliant nel tentativo di mostrarsi interessante e di conquistare Sabatina, credendo che cambiando macchina avrebbe cambiato il clima familiare, la sua risposta fu:
- Ma compri tutte scatolette?
- Ma come una scatoletta? E’ una delle macchine più eleganti che abbia prodotto la Lancia. Vuoi mettere questa e la Bianchina?
- Per me ci corre poco. Mi sembrano uguali.
Silvano si arrabbiò. Cominciò a dire che non capiva nulla, che era un imbecille e che veniva da una famiglia dove non capivano nulla. Sabatina reagì e naturalmente se la prese con quel demonio di donna di su mà (Ida). Per l’ennesima volta litigarono e sarebbe venuti alle mani se Loris non fosse entrato in cucina e non avesse urlato “Basta! Siete due cretini! Non vedo l’ora di andarmene per sempre da questa casa e non vedervi più!”.
Fabrizio rimase sulla soglia della porta e guardava in silenzio.
Era l’ora di cena.
Published on January 19, 2019 04:05
January 17, 2019
Quando l'Italia perse la direzione

Nel 1970 Rumor variò un governo monocolore, composto in modo assurdo: 27 ministri e 56 vice ministri.
"Una ciurma scandalosa" li chiamò Montanelli. "Il parlamento si è ridotto a un parco buoi" continuava Montanelli. Questi “uomini - rincarava Montanelli - fatte le solite eccezioni, fanno pietà e seguiteranno a farlo finché si insisterà a sceglierli fra i mestieranti del cosiddetto ‘apparato’ dove non militano che gli scarti di tutte le professioni. Si chiamano ‘correnti’. Ma queste correnti non sono entità astratte. Sono degli uomini. E questi uomini chi li ha scelti se non i capi? Quali criteri costoro abbiano seguito lo si vede ora. Evidentemente per mettersi al riparo da futuri rivali hanno preferito reclutare gli adepti nel pattume delle mediocrità. Ma ai mediocri, per andare avanti e far carriera non resta che l'intrallazzo. Ed è proprio questo che sta dilagando nel nostro ambiente politico" .
Mo tanli fu indubbiamente visionario. Ma, come Badoglio nel ’43, nemmeno lui immaginava fino a che punto quello strutturalismo politico si sarebbe dilagato e spinto.
Si approva la legge che deve finanziare la costituzione delle regioni.
Vengono stabiliti ingenti contributi finanziari per le regioni; Nella DC ci sono tante correnti (almeno 8) dove abbondano i nuovi faccendieri. Non importa che alcuni siano ribelli, diventano utili per essere inseriti dentro un "sistema" che crea competenze amministrative da gestire sul territorio.
E’ una "moltiplicazione dei pani e dei pesci" per accontentare ex portaborse, ex funzionari, ex sindaci, ex politici, i vari trombati, i nuovi rampanti e tutto quel ceto politico che sta dietro le segreterie provinciali che negli anni precedenti ha lavorato per i leader, ma che non è stato gratificato abbastanza, perché le poltrone erano a Roma troppo poche.
Le autonomie, le nuove Regioni se le possono dimenticare, tutto verrà gestito dal potere centrale. I Consigli e le Giunte regionali che stanno per nascere serviranno solo per creare una nuova casta di funzionari sul territorio, che a nome del referente romano, ubbidiscono agli ordini, agiscono e riferiscono. E spesso dove è impossibile egemonizzare si fanno perfino le più strane e oscene alleanze con l'opposizione, che se possibili in una zona, in altre apparirebbero vergognose.
Molti uomini politici che siedono sulle poltrone governative romane perdono di vista il loro paese e guardano solo al proprio territorio. Non governano più una nazione, ma la loro regione, con precisi patti clientelari in una specie di "consorteria". Ad avvantaggiarsi sono le regioni che hanno un "uomo autorevole" nel partito, mentre a rimetterci sono le regioni che hanno "uomini mediocri.
Nel ’43 l’Italia aveva perso l’onore e la sovranità. Nel ’68 perde la sua identità. Nel ’70 e negli anni a seguire perde la direzione e la classe politica il contatto con la realtà.
Published on January 17, 2019 13:00
January 16, 2019
Figli del Sessantotto

Fabrizio aveva cominciato a giocare al calcio a causa di un altro rifiuto di suo padre. Non gli piaceva il calcio. Fu solo un ripiego, un surrogato di una delusione. La delusione della sua vita.
Fin da piccolo amava la bicicletta. Alla Graziani avevano costituito un gruppo di ragazzini ciclisti e gareggiavano fra di loro. Avevano le biciclette più disparate. Tutti comunque avevano biciclette con cambio. Solo due di loro possedevano la bicicletta da corsa. Fabrizio aveva invece la bicicletta da donna di sua madre. Gareggiava con quella, e nessuno riusciva a batterlo. Teneva il passo in pianura e come la strada cominciava a salire si metteva davanti e non ce n’era per nessuno. In quei momenti si sentiva un campione, il suo campione: Franco Bitossi.
Bitossi, il famoso “cuore matto” non abitava lontano da Montelupo. E a Fabrizio qualche volta capitava di vederlo dal vivo, anche se per lo più lo seguiva in TV.
In quei momenti che si alzava sui pedali e spingeva come un forsennato e con la coda dell’occhio controllava gli avversari dietro che uno ad uno si staccavano si immaginava storto con il collo piegato un po’ a destra come il suo campione in salita. Riviveva in lui quegli attimi di forza. La forza del suo campione diveniva la sua.
Le gesta di Fabrizio non passarono inosservate, soprattutto un giorno che in salita con la bicicletta da donne staccò Nebbia, un ragazzo di Montelupo che correva nella categoria allievi per la Copart una squadra di Limite sull’Arno.
Attaccarono la ripida salita del Pulica. Fabrizio con la bicicletta da donna, Nebbia con quella da corsa. Fabrizio con un solo rapporto. Nebbia con due moltipliche e cinque rocchetti.
Fabrizio si mise davanti fin dall'inizio. Presto tutti si staccarono. Solo Nebbia gli resistette per un centinaio di metri ma la cadenza di Fabrizio fu troppa anche per Nebbia, che saltò come un birillo.
Qualche giorno dopo a casa di Silvano e Sabatina si presentarono all'ora di cena due dirigenti della Copart. Volevano Fabrizio nella loro squadra. E lo volevano ad ogni costo. Gli avrebbero dato anche la bicicletta gratis.
Ma fu un altro rifiuto.
Questa volta anche Sabatina fu d’accordo.
Marcello Mugnaini, un ciclista professionista, che non viveva lontano da Montelupo, al Tour de France del 1967 aveva subito una caduta terribile, per cui era quasi morto. L’impressione che aveva lasciato quell’incidente in una piccola comunità come quella di Montelupo, era stata così forte che due anni dopo era ancora vivissima.
- No, non voglio – disse Silvano – Non se ne parla. Non mi sembra il caso.
- A correre in bicicletta? Per vedere se mori! Ma che si crede che si metta al mondo un figlio per vederselo morire in bicicletta? – aggiunse Sabatina.
Con quello la visita dei due dirigenti della Copart si concluse. Delusi e amareggiati se ne andarono.
La conservazione all'istinto, all'animalità, della sopravvivenza del corpo aveva avuto la meglio sulla concatenazione logica che vi erano evidenti segni di un campione in potenza da mettere in atto.
Fabrizio così non trovò la forza di reagire. Il sogno della sua vita, correre in bicicletta e diventare un campione, si dissolse in una sera; quel sogno durato anni era finito in un attimo, all'ora di cena, sotto i colpi di nuove strutture figlie del tempo, mi sembra e si crede.
Come i sogni di molti altri giovani, destinati a grandi delusioni, che avrebbero patito lo stesso destino.
Era nell'aria quel mutamento. Lo avvertiva Silvano, lo avvertiva Sabatina, lo avvertiva Fabrizio. Luigi forse meno. Luigi si era ritirato in un suo mondo ordinato che comportava pause e lunghi silenzi nel rapporto con la famiglia, che servivano a prendere distanza dai mutamenti strutturali in atto.
Mentre tutte le forme del rapportarsi alla famiglia, alla scuola, alle università, alle strutture dello stato sembravano vivere e crescere su un vuoto creato dal distacco dai termini rappresentati dai valori del paese, della sua storia, della sua famiglia e della tradizione in generale, Luigi pareva permanere a metà strada fra quel vuoto e le nuove dislocazioni, rimozioni e negazioni continue e irreversibili. Navigava fra mille accidenti in continua rivoluzione senza esserne interessato.
Per quello forse non avrebbe subito delusioni, perché non non finiva nel nulla del nuovo nihilismo. Rimaneva ai termini e non si spostava sulla comprensione delle nuove relazioni partorite dal Sessantotto. Per Luigi 2 + 2 ancora faceva 4. Per Luigi io penso era io penso e non mi sembra o si pensa, non esisteva il collettivismo soggettivo ma l’oggettività. Il padre era il padre, la madre era la madre, la moglie era la moglie e il marito era il marito.
Per quello probabilmente, anni dopo, quando Silvano una notte voleva lasciare la casa e andare a vivere con un’altra donna e sentì Sabatina piangere in camera, balzò dal letto e afferrò suo padre per il bavero e lo rigettò indietro gridandogli “Questa è la tua casa, questa è la tua famiglia! Di qui non te ne vai!”
Published on January 16, 2019 18:44