Vera Q.'s Blog, page 7

Oi dialogoi.

A. - Vera, dammi un consiglio!

V. - Muori.

A. - Mi serve un consiglio migliore...

V. - Muori più in fretta.

A. - Consigliare la morte non è una bella cosa, lo sai?

V. - Per te che cosa è bello? I fiori sono belli?

A. - Sì, sì... sono belli, ma che c'entra?

V. - Muori, e ne avrai di magnifici.

Tratto da: "se proprio vuoi offrirmi un caffè, sappi che non sono adattissima a conversare."

In fondo.

Le mie emozioni hanno taglienti e lunghe code. Il ricordo del momento, un'ombra trascinante, dorme nel mio letto e mi morde il sonno. E nemmeno posso trovare sollievo rannicchiata nell'armadio a quattro stagioni, perché non ce n'è mai stata una sgombra.

Vera Q.

Tutto tranne me stessa.

In questa vita ho vissuto più di una vita. E per questo, ora, abito tante cose. E fa star bene, perché il divenire non t'interessa. Così posso compiermi ed incarnarmi persino in un pallone gonfiato. E librarmi nel cielo. Ed esplodere nello spazio. In silenzio, finalmente.

Vera Q.

Di sabato.

Oggi al bar-tabacchi-giornalaio-merceria-profumeria-oculistica-reparto psichiatrico, ho conosciuto Donello.
Donello, per tutti Nello, ha un'età collocabile tra il mesozoico e l'olocene. Ed un solco lungo il viso come una specie di sorriso. (Maledizione De Andrè, esci dalla mia testa!)
Donello dice d'essere un errore anagrafico.
In origine, infatti, doveva essere Adonello. Un piccolo Adone. Ma il padre, ignaro dell'esegesi ordita dalla madre, al momento di registrare l'atto di nascita ha titubato davanti al messo comunale: "Adonello vuol dire senza dono. C'è l'alfa privativa", sicché l'Adone in fasce è stato abortito sul nascere.
Donello mi aspetta sabato prossimo al bar. Perché ho un bellissimo anello con i denti e la faccia di una che ama il vino.
Gli ho detto che scrivo e che utilizzerò il suo nome divulgando in qualche libro la sua storia figlia di una grammatica pressapochista.
- Che genere scrivi?
- Nulla di che, Nello, muoiono tutti.
- Fammi morire felice.
- Non temere, sarai Adonello, Donello, Nello, detto Felice.

Vera Q.

That's all folks.

Conservo le mie parole a decantare in salamoia così da preservarne l'umore. E se potessi, ricamerei le mie iniziali sulla lingua per sbatterle sul palato ogni volta che scordo chi sono.
Ho scelto la vita. Com'è accaduto?
Sicché prendo quello che spurga da questa immensa illusione, e già mi sto annoiando.

Vera Q.

Fight!

La coscienza di ciò che sono è insopportabile. É come quando mi soffermo a pensare di avere la lingua in bocca. E la sento, con quel penoso senso di pieno ed estraneo. E si muove, e sgomita per uscire. E non voglio averci niente a che fare perché non sta mai zitta.

Vera Q.

D(istanti).

Taccio per pigrizia e perché non credo nei miracoli. E ho più di un orologio per eliminare le emozioni ed essere sorda al momento giusto, così da pentirmi del prima e del poi mentre decido cosa farne di un adesso che mai arriverà.

Vera Q.

Caos casuale del Caso.

Lontanissima dagli Dei, brindo con il mio sangue. E il rosso mi dipinge le labbra.
Ed è ciò che resta della mia umanità: l'insondabile fascino del distacco. E sarebbe facile credere che questo scongiuri il disincanto, ma la trappola del vivere mi propone la Disperazione come soprabito. Ed io non so resistere a un cappotto nero.

Vera Q.

Così va il mio mondo.

Molle, come i panni stesi, salto sospesa, aperta verso il perché mi porto addosso l'ancestrale paura di vivere, senza neppure poter riascoltare una delle cassette dei miei quindici anni.

Vera Q.

Leggi di natura.

Esisti, e non te lo perdono. Ma non posso permettermi questo capriccio per una questione, personalissima, di creanza. E suono la Sinfonia dell'Oblio senza ascoltarla - non c'è alcun buon accordo - perché, passato lo stupore, il cielo stellato annoia perfino me.

Vera Q.