Vera Q.'s Blog, page 11
April 28, 2017
Il mio Regno.
Pochi passi, in disparte.
E mi riconosco nelle salite - senza prendere appunti per l'Aldilà - ché dalle discese imparo poco.
Che cosa difficile l'Esistenza: miliardi di miei simili e nulla da spartire con nessuno di loro.
E morirò nella superba convinzione d'esser unica. E di conseguenza sola. Ed è questa la Verità che rende tutti uguali.
Vera Q.
E mi riconosco nelle salite - senza prendere appunti per l'Aldilà - ché dalle discese imparo poco.
Che cosa difficile l'Esistenza: miliardi di miei simili e nulla da spartire con nessuno di loro.
E morirò nella superba convinzione d'esser unica. E di conseguenza sola. Ed è questa la Verità che rende tutti uguali.
Vera Q.
Published on April 28, 2017 07:41
April 24, 2017
Nessuna cosa è bella.
Mi segui, paziente. Ma nella mia immaginazione non c'è posto per Dio, e i tuoi errori - indomabili per numero, e che promettono il Paradiso - mi risparmiano lo strazio di volerti bene.
Così, tiepida, e all'ottimo prezzo del Niente, ti porto con me a stanare Mostri fino a quando capirai che il più crudele di tutti ti sta tenendo per mano.
Vera Q.
Così, tiepida, e all'ottimo prezzo del Niente, ti porto con me a stanare Mostri fino a quando capirai che il più crudele di tutti ti sta tenendo per mano.
Vera Q.
Published on April 24, 2017 13:37
April 23, 2017
Tutto quel che so.
Io non sono felice, mai. Neppure quando sono felice. Niente, nemmeno una volta, dissolve l'Ombra. Ma il mondo tracima di criminali e la Vita non propone, in nessun caso, nulla di ragionevole. Dunque il silenzio è un modo di vivere anche ciò che non sono. Per questo ne creo tanti.
Vera Q.
Vera Q.
Published on April 23, 2017 06:43
April 14, 2017
Fino a quando.
La dipendenza dal Vuoto non guarisce. È un monarca assoluto della scomparsa che si è perso tutto il resto.
Così, con il piglio del fantasma, fingo che vada tutto bene. E se cade qualcosa, qui, non fa rumore.
Vera Q.
Così, con il piglio del fantasma, fingo che vada tutto bene. E se cade qualcosa, qui, non fa rumore.
Vera Q.
Published on April 14, 2017 08:42
April 5, 2017
Fiabe moderne.
Quando A. rientrò a casa, la luce oltre la soglia mormorò un click a mezza bocca. La lampadina, di fatto, esplose in un tremulo baleno giallastro per poi assopirsi in un sonno nerissimo.
«Faretto del cazzo.» Biascicò A., frattanto la mano destra affondava nella patta dei calzoni.
B., rubata all'immaginario di Goya, era appollaiata sul divano antistante all'uscio. Il viso cinerino, puntato al tepore televisivo, virava all'indaco ed A. si lasciò guidare dal Grande Fratello per traghettarsi dopo l'ingresso.
«Sono tornato.» Scandì perentorio.
«Io non sono mai andata via.» Rispose B., laconica, ed impastò l'aria viziata con la tempesta.
Di sbieco, un ficus in attesa di eutanasia li osservava severo.
«Sei ancora arrabbiata.» Siglò A. che, alzate le spalle, e sganciato il giaccone sulla poltrona, proseguì la marziale cavalcata verso la cucina.
La discussione era iniziata sul fare del giorno. Tiepido zefiro, un'inezia. Ed era avvampata dopo il caffellatte, e si era accalorata in tarda mattinata, e bruciava, e fumava. Finché sul rintocco delle quattordici era scoppiata. Deflagrando. Verbosa.
A. voleva una bambina, B. voleva un bambino.
Ed A. protestava e B. ribatteva. E B. si lagnava ed A. insisteva.
Ed alle 14:22, esaurite le ragioni di entrambi, B., furiosa, agguantò il sofà, A., furioso, agguantò la porta. Separazione d'obbligo. Ed il tramonto, maestro di romanticismo, li aveva appena ricongiunti. E con esso, la fame. Malia ben più forte dell’amore.
«Quindi?» Berciò A. seduto a tavola. Picchiettava con la forchetta sulle stoviglie. Le dita tozze, le unghie luride. Gincanava dal bicchiere al piatto, impaziente. TIN! TIN! TON!
«Quindi ho fatto di testa mia.» B. comparve sullo stipite della porta. Le gambe lunghe di ragno. Molleggiata, raggiunse i fornelli dove una pignatta color pece sobbolliva.
«Tu mangi?» Seguitò petulante. Il cucchiaio di legno s'inabissò nella melma lavica. Dal tegame, un pungente odore di spezzatino piombava la stanza. Una cappa grassa. Oleosa.
«Tu mangi?» A. canzonò B. e B. lo colpì con una gomitata al capo.
«Avanti, com’è?» Seguitò B. E la scodella di A., in quel mentre, iniziò a tracimare. Tre mestolate, un tripudio.
«Direi infuocato.» A. sorrise.
«Ho cambiato ricetta, per te», sottolineò B. pungente, «soltanto per te.»
A. si riempì la bocca. Grumi di sugo ad adornare lunga barba. E macchie sul bavero, tutt’altro che lindo.
«In epf-fetti la-h carne è davve-roh tenerah» esondò sputacchiando lapilli «bollente, ma p-tenerah.»
«Ah!Ah! Frollata e marinata. Giorni di lavoro, tesoro, zitta zitta.» B. si accomodò alla mensa senza nascondere una certa soddisfazione per l’ottimo lavoro svolto. E sciolse i capelli. Una matassa di colla informe.
Ed A. s’ingozzò. Ancora.
«Pollicino.» Disse la cuoca. E spalancò le fauci. Una fila di denti aguzzi. Aghi. Spilli. Lo Squalo.
«Eh?» A. la guardò appena, intento a versarsi del vino.
«Si chiamava Pollicino», B. soffiò sullo stufato, «un garzone, quello che ci ha consegnato il nuovo router la settimana scorsa. Capisci perché stamani mi sono così arrabbiata? Volevo che fosse una serata speciale e tu, tu blateravi di bambine! Ho fatto tutto alla chetichella per farti una sorpresa.» La voce rotta. Un pigolio, pio pio. Attrice consumata.
«Amore, scusami. Sono proprio un orco.» Gorgogliò A., languido.
E mangiava, e tracannava, e si lordava.
«E questa? Che cosa diamine è? Un’oliva?» A. afferrò tra pollice ed indice qualcosa di grinzoso, scurissimo. Addirittura bruciato.
«No, sciocchino, è un testicolo, sentirai che prelibatezza.» Cinguettò B., in estasi.
«Per la miseria, sembra burro!» Il ghiottone muggì di pancia.
«Il segreto è la cottura», ed agguantato l’altro testicolo, B. si concesse un piccolo morso. Centellinava la primizia. «Va prima sbollentato, poi passato sulla fiamma ed infine aggiunto alla salsa.»
«Devo ammetterlo, è veramente squisito. Soltanto che io avevo adocchiato una certa Alice, tutto qui.»
«Ma Alice chi? La fattona del Paese delle Meraviglie?»
«Fattona?» A., stupito, si lasciò andare in un rutto liberatorio.
«Ma scherzi? Lo sanno tutti che fa uso di stupefacenti. Carnaccia corrotta!» E B. atteggiò la boccuccia in una piega schifata. «Al massimo la piccola fiammiferaia, benché magrina.»
La sera, intanto, aveva sgranato le palpebre. E il piccolo appartamento di periferia si era tinto di brunito, pronto per il Riposo del Giusto.
«Suonano», garrì B. E non mosse un solo muscolo. «Vai tu, caro?»
«Ma chi cazzo è che rompe i coglioni a quest'ora?» A. si alzò dalla sedia con la flemma tipica dei vecchi. «Non sarà mica tua madre,vero?»
«Beh? Ed anche se fosse?» B. sprofondò nella ciotola di ceramica, avida. Ed A. si sottomise alla scocciatura.
Sicché sfilò svogliato all'entrata, borbottava. Pietre che rotolano. E spalancò il battente con malagrazia. Al di là, sul pianerottolo, uno spicchio di Paradiso. L'Epifania.
«Buonasera signore, io sono il Piccolo Principe.» Tintinnò un cosetto vestito di tutto punto.
«Ed io mi chiamo Peter Pan.» S'accodò il secondo moccioso paludato di verde.
«Siamo venuti a portare la parola di Geova!» Trillarono in coro.
A. si sciolse in un ghigno sghembo. Gli occhi porcini scandagliavano i pargoli. Smaniosi. Acquolina.
«Entrate bambini», ciangottò. La gorgia vibrava. Un suono profondissimo. «Ho appena scoperto d'avere una passione sfrenata per le olive.»
"Le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono, loro lo sanno già che esistono. Le fiabe insegnano ai bambini che i draghi possono essere sconfitti."
Ma no, non nelle mie storie.
Vera Q.
«Faretto del cazzo.» Biascicò A., frattanto la mano destra affondava nella patta dei calzoni.
B., rubata all'immaginario di Goya, era appollaiata sul divano antistante all'uscio. Il viso cinerino, puntato al tepore televisivo, virava all'indaco ed A. si lasciò guidare dal Grande Fratello per traghettarsi dopo l'ingresso.
«Sono tornato.» Scandì perentorio.
«Io non sono mai andata via.» Rispose B., laconica, ed impastò l'aria viziata con la tempesta.
Di sbieco, un ficus in attesa di eutanasia li osservava severo.
«Sei ancora arrabbiata.» Siglò A. che, alzate le spalle, e sganciato il giaccone sulla poltrona, proseguì la marziale cavalcata verso la cucina.
La discussione era iniziata sul fare del giorno. Tiepido zefiro, un'inezia. Ed era avvampata dopo il caffellatte, e si era accalorata in tarda mattinata, e bruciava, e fumava. Finché sul rintocco delle quattordici era scoppiata. Deflagrando. Verbosa.
A. voleva una bambina, B. voleva un bambino.
Ed A. protestava e B. ribatteva. E B. si lagnava ed A. insisteva.
Ed alle 14:22, esaurite le ragioni di entrambi, B., furiosa, agguantò il sofà, A., furioso, agguantò la porta. Separazione d'obbligo. Ed il tramonto, maestro di romanticismo, li aveva appena ricongiunti. E con esso, la fame. Malia ben più forte dell’amore.
«Quindi?» Berciò A. seduto a tavola. Picchiettava con la forchetta sulle stoviglie. Le dita tozze, le unghie luride. Gincanava dal bicchiere al piatto, impaziente. TIN! TIN! TON!
«Quindi ho fatto di testa mia.» B. comparve sullo stipite della porta. Le gambe lunghe di ragno. Molleggiata, raggiunse i fornelli dove una pignatta color pece sobbolliva.
«Tu mangi?» Seguitò petulante. Il cucchiaio di legno s'inabissò nella melma lavica. Dal tegame, un pungente odore di spezzatino piombava la stanza. Una cappa grassa. Oleosa.
«Tu mangi?» A. canzonò B. e B. lo colpì con una gomitata al capo.
«Avanti, com’è?» Seguitò B. E la scodella di A., in quel mentre, iniziò a tracimare. Tre mestolate, un tripudio.
«Direi infuocato.» A. sorrise.
«Ho cambiato ricetta, per te», sottolineò B. pungente, «soltanto per te.»
A. si riempì la bocca. Grumi di sugo ad adornare lunga barba. E macchie sul bavero, tutt’altro che lindo.
«In epf-fetti la-h carne è davve-roh tenerah» esondò sputacchiando lapilli «bollente, ma p-tenerah.»
«Ah!Ah! Frollata e marinata. Giorni di lavoro, tesoro, zitta zitta.» B. si accomodò alla mensa senza nascondere una certa soddisfazione per l’ottimo lavoro svolto. E sciolse i capelli. Una matassa di colla informe.
Ed A. s’ingozzò. Ancora.
«Pollicino.» Disse la cuoca. E spalancò le fauci. Una fila di denti aguzzi. Aghi. Spilli. Lo Squalo.
«Eh?» A. la guardò appena, intento a versarsi del vino.
«Si chiamava Pollicino», B. soffiò sullo stufato, «un garzone, quello che ci ha consegnato il nuovo router la settimana scorsa. Capisci perché stamani mi sono così arrabbiata? Volevo che fosse una serata speciale e tu, tu blateravi di bambine! Ho fatto tutto alla chetichella per farti una sorpresa.» La voce rotta. Un pigolio, pio pio. Attrice consumata.
«Amore, scusami. Sono proprio un orco.» Gorgogliò A., languido.
E mangiava, e tracannava, e si lordava.
«E questa? Che cosa diamine è? Un’oliva?» A. afferrò tra pollice ed indice qualcosa di grinzoso, scurissimo. Addirittura bruciato.
«No, sciocchino, è un testicolo, sentirai che prelibatezza.» Cinguettò B., in estasi.
«Per la miseria, sembra burro!» Il ghiottone muggì di pancia.
«Il segreto è la cottura», ed agguantato l’altro testicolo, B. si concesse un piccolo morso. Centellinava la primizia. «Va prima sbollentato, poi passato sulla fiamma ed infine aggiunto alla salsa.»
«Devo ammetterlo, è veramente squisito. Soltanto che io avevo adocchiato una certa Alice, tutto qui.»
«Ma Alice chi? La fattona del Paese delle Meraviglie?»
«Fattona?» A., stupito, si lasciò andare in un rutto liberatorio.
«Ma scherzi? Lo sanno tutti che fa uso di stupefacenti. Carnaccia corrotta!» E B. atteggiò la boccuccia in una piega schifata. «Al massimo la piccola fiammiferaia, benché magrina.»
La sera, intanto, aveva sgranato le palpebre. E il piccolo appartamento di periferia si era tinto di brunito, pronto per il Riposo del Giusto.
«Suonano», garrì B. E non mosse un solo muscolo. «Vai tu, caro?»
«Ma chi cazzo è che rompe i coglioni a quest'ora?» A. si alzò dalla sedia con la flemma tipica dei vecchi. «Non sarà mica tua madre,vero?»
«Beh? Ed anche se fosse?» B. sprofondò nella ciotola di ceramica, avida. Ed A. si sottomise alla scocciatura.
Sicché sfilò svogliato all'entrata, borbottava. Pietre che rotolano. E spalancò il battente con malagrazia. Al di là, sul pianerottolo, uno spicchio di Paradiso. L'Epifania.
«Buonasera signore, io sono il Piccolo Principe.» Tintinnò un cosetto vestito di tutto punto.
«Ed io mi chiamo Peter Pan.» S'accodò il secondo moccioso paludato di verde.
«Siamo venuti a portare la parola di Geova!» Trillarono in coro.
A. si sciolse in un ghigno sghembo. Gli occhi porcini scandagliavano i pargoli. Smaniosi. Acquolina.
«Entrate bambini», ciangottò. La gorgia vibrava. Un suono profondissimo. «Ho appena scoperto d'avere una passione sfrenata per le olive.»
"Le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono, loro lo sanno già che esistono. Le fiabe insegnano ai bambini che i draghi possono essere sconfitti."
Ma no, non nelle mie storie.
Vera Q.
Published on April 05, 2017 14:58
April 4, 2017
Saperla lunga.
Scopro chi sono mentre agisco, ma è il sapere delle cose certe - se non c'è pericolo nessuno teme il Buio - e nulla ha a che spartire con il Vero. Sicché, pensionato lo specchio, morirò senza conoscermi, e senza adeguato piumaggio, tumulando finalmente me stessa: il mio più ostile interlocutore.
Vera Q.
Vera Q.
Published on April 04, 2017 06:34
March 27, 2017
Un sogno.
Ho sognato Cthulhu che emergeva dalle profondità abissali. Una luce nera, collosa, ed incredibilmente vivida, soggiogava il mare. All'orizzonte, vortici d'aria e di acqua, come lugubri pennacchi, raggiungevano il cielo. Lame fitte. Lingue di vipera. Le nubi, compattissime, radunate dal Perfido Pastore, creavano un impenetrabile muro di lampi.
Dalla spiaggia, pietrificata, osservavo la Fine, la mia Fine.
L'Immenso Male nuotava: il cranio lucido, color Notte. E tentacoli, e marosi rabbiosi. Caos spumeggiante.
Un artiglio brunito, e fetido odore di marcio, mi hanno avvolta e sollevata dalla rena per poi trascinarmi tra i flutti impazziti. E non c'era dolore, ma quiete. La vera quiete. Ed annegavo felice. E sentivo il mio corpo lieve, senza peso.
Non ricordo d'aver mai provato così tanta pace.
E giuro, tutto questo mi spaventa.
Che sensazione aliena. Terribile e bellissima. E mi domando: sarà così morire?
Vera Q.
Dalla spiaggia, pietrificata, osservavo la Fine, la mia Fine.
L'Immenso Male nuotava: il cranio lucido, color Notte. E tentacoli, e marosi rabbiosi. Caos spumeggiante.
Un artiglio brunito, e fetido odore di marcio, mi hanno avvolta e sollevata dalla rena per poi trascinarmi tra i flutti impazziti. E non c'era dolore, ma quiete. La vera quiete. Ed annegavo felice. E sentivo il mio corpo lieve, senza peso.
Non ricordo d'aver mai provato così tanta pace.
E giuro, tutto questo mi spaventa.
Che sensazione aliena. Terribile e bellissima. E mi domando: sarà così morire?
Vera Q.
Published on March 27, 2017 14:13
March 25, 2017
Un sabato sera.
Non lasciare che l’Oscurità mi prenda, mangerei anche quella.
E i miei Mostri rimarrebbero senza nascondiglio, ed io senza fardello da portare.
E cosa altro mi resterebbe se non una coscienza da affrontare con un ferro rovente e la crudeltà di dovermi alzare dal letto?
Vera Q.
E i miei Mostri rimarrebbero senza nascondiglio, ed io senza fardello da portare.
E cosa altro mi resterebbe se non una coscienza da affrontare con un ferro rovente e la crudeltà di dovermi alzare dal letto?
Vera Q.
Published on March 25, 2017 14:25
March 23, 2017
Il lume.
Questo scollinare tra giorni diversamente uguali, mi consuma mente e scarpe. Tutto è Morte, soprattutto la Vita.
E, ancora e sempre, attendo la Notte - Madre indifferente al mio strascicare - e solo allora splendo.
Al buio. Così da smorzarmi senza essere vista.
Vera Q.
E, ancora e sempre, attendo la Notte - Madre indifferente al mio strascicare - e solo allora splendo.
Al buio. Così da smorzarmi senza essere vista.
Vera Q.
Published on March 23, 2017 16:45
March 19, 2017
Lontanissimi.
Dove finisci tu, inizio io. Per un'insipida definizione degli spazi. E niente ci accomuna, nemmeno il sogno dell'impossibile. E puoi solamente tirare ad indovinare che cosa penso con la crudeltà tipica dei mocciosi - senza averne l'innocenza - facendo di me, per forza di cose, l'ennesimo inaccettabile.
Vera Q.
Vera Q.
Published on March 19, 2017 13:32